Come incide il mutamento di un’ATI?

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 01 luglio 2014 n. 970 si occupa dei mutamenti nella compagine di un’Associazione Temporanea d’Impresa (ATI): “Ora osserva il Collegio che, nel caso in questione, si è assistita ad una sostituzione del soggetto partecipante alla gara, atteso che la RTI, invero, non si è mai costituita, così che il soggetto che ha partecipato alla gara ed avanzato l’offerta contrattuale, con la rinuncia del mandante alla costituzione del raggruppamento temporaneo, in realtà ha modificato la originaria compagine per assumere una nuova e diversa veste.

Secondo la ricorrente tale evenienza non assume alcuna giuridica rilevanza, atteso che la predetta possiede tutti i requisiti formali e sostanziali per partecipare e svolgere il lavoro previsto dal bando.

Invero il disposto normativo di cui all’art. 37, commi 9, 18 e 19 statuisce una immodificabilità della compagine che ha partecipato alla gara e che si è impegnata in sede di offerta.

L’ordinamento prevede, in via di eccezione, le ipotesi in cui, come nel caso di specie, il mandante del RTI può essere sostituito.

Si tratta all’evidenza di ipotesi eccezionali e di stretta interpretazione che non consentono una possibile estensione analogica per le evenienze non previste (Cons. St., sez. V, 7 aprile 2006, n. 1903; Cons. St., sez. V, 30 agosto 2006, n. 5081).

Né la presente vicenda può essere ricondotta nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 51 D.lgs 12 aprile 2006, n.163, atteso che nessuna delle ipotesi ivi previste può essere ravvisata nel fatto che la mandante ha ritenuto di non costituire il raggruppamento temporaneo e ritirarsi dell’esecuzione dei lavori già provvisoriamente aggiudicati.

Invero al rigoroso orientamento giurisprudenziale sopra riportato, si è opposto, sempre dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, una diversa e più aperta interpretazione della norma proprio per consentire la sostituzione di componenti l’ATI ed il contestuale mantenimento dell’impegno contrattuale.

Anche la Plenaria con la decisione n.8/2012, sembra aderire a tale impostazione con la precisazione che tale evenienza non deve costituire, però, un motivo per eludere una eventuale e successiva esclusione dalla gara.

Ora, osserva il Collegio che era onere della ricorrente dimostrare che il rifiuto della mandante di perfezionare la costituzione del raggruppamento temporaneo non era dettato da sopraggiunte inidoneità soggettive od oggettive a contrattare e che tale evenienza era frutto di una mera scelta organizzativa della mandante.

Solo in tali termini, pertanto la modifica, in senso recessivo del soggetto partecipante alla gara può superare il rigido criterio espresso dall’art. 37 cit. e risultare conforme all’orientamento giurisprudenziale espresso dalla Plenaria e sopra riportata.

E’ di tutta evidenza, infatti, che eventuali e negativi accadimenti che possono aver coinvolto uno dei componenti il RTI comportano, in sede di verifica, la conseguente decadenza del lavoro eventualmente aggiudicato, così coinvolgendo l’intero raggruppamento.

Né tale evenienza potrebbe essere superata attraverso una formale recessione dal raggruppamento proprio in considerazione degli impegni congiuntamente assunti.

Allora, ritiene il Collegio che è onere della componente e dei componenti rimasti quello di rappresentare in modo obiettivo che tale recesso non è elusivo delle regole di gara, onere che il ricorrente non ha punto assolto con il ricorso in questa sede scrutinato”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 970 del 2014

Lo spunto del sabato: on the road

12 Lug 2014
12 Luglio 2014

E' normale che essi siano smarriti. E' normale che noi lo siamo. Come potrebbero non essere smarriti? Come potremmo non esserlo? Siamo capitati qui senza chiederlo e ce ne andremo per lo più senza volerlo. Cos'altro essi potrebbero fare, se non vagare smarriti? Come potremmo anche noi non vagare smarriti?

Non meravigliarti se per questo essi siano anche arrabbiati. Non meravigliarti se scoprirai che per questo lo siamo anche noi e che lo siamo da sempre e per sempre. In fondo tutto questo ci fa paura e per questo siamo arrabbiati. Questo è il destino che ci è toccato in sorte: non sapere nulla di noi, avere paura  e essere intimamente arrabbiati.

E cos'altro potremmo fare, se non percorrere qualche tratto di strada insieme a chi è ancora più smarrito, impaurito e arrabbiato di noi? Più di questo io non so e non posso lasciarti in eredità, ma, credimi, non è poco. Se puoi, evita di sprecare i tuoi giorni confuso dal fumo evanescente delle illusioni.

Se non potrai, almeno ricordati che è solo fumo.

(dal Testamento Segreto di A.G. - inedito)

Annullata l’aggiudicazione dell’appalto Expo 2015 per i fatti emersi a seguito dell’indagine penale

11 Lug 2014
11 Luglio 2014

Il TAR Lombardia, con la sentenza n.  1802 del 2014, ha annullato l’aggiudicazione definitiva dell’appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori di realizzazione delle architetture di servizio del sito Expo 2015, a seguito degli sviluppi dell’indagine condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano (riguardante la turbativa – consumata o, comunque, tentata – della procedura di affidamento).

sentenza TAR Milano 1802 del 2014

Come accade che un senatore americano scriva a uno studente italiano?

11 Lug 2014
11 Luglio 2014

Sono un docente di un liceo scientifico in provincia di Padova e insegno matematica e fisica da 15 anni a studenti dai 14 ai 19 anni: ho visto molti cambiamenti nel mondo della scuola, sempre peggiorativi nei confronti della qualità del sistema di istruzione a causa dei continui tagli alle risorse, dell’aumento smisurato del carico di lavoro e della crescente ( e inutile ) burocrazia. Eppure, nonostante i continui attacchi e la perdita di potere economico e sociale, assieme a tanti colleghi si continua a lavorare con dedizione e spirito di servizio garantendo una formazione solida e competitiva ai nostri studenti. La dimostrazione? Qualche giorno fa un mio studente è tornato dopo un’esperienza annuale all’estero tramite l’associazione internazionale “Intercultura”, precisamente negli Stati Uniti dove ha frequentato una scuola statale. Le sorprese? Al test di ingresso ha sbaragliato tutti i suoi coetanei americani e stupito i docenti che conseguentemente l’hanno inserito all’ultimo anno di corso pur non avendo l’età corrispondente. Durante l’anno scolastico, i suoi risultati sono stati eccellenti in tutte le discipline ma particolarmente in matematica e fisica ( dove ha ottenuto pure la lode ). Per la cronaca devo informare che non si tratta di un genio, ma di uno dei tanti studenti che istruiamo nei nostri Istituti Statali Italiani tramite un sistema di istruzione che secondo i vari ministri e sottosegretari succeduti nelle varie legislature sarebbe niente più di un ammortizzatore sociale, spreco di risorse e corporazione di lavoratori fannulloni e privilegiati. Eppure Francesco ( nome  inventato ) è arrivato al “top notch” dell’istruzione americana destando addirittura l’attenzione di un senatore: probabilmente in America si usa così, i senatori non solo sono attenti al mondo reale del loro Paese, ma se ne prendono cura. Dopo gli elogi iniziali e le congratulazioni di rito, il senatore infatti si congeda invitando Francesco a contattarlo per qualsiasi richiesta per il futuro. Non pretendo che i senatori italiani si informino sull’andamento scolastico degli studenti, ma mi aspetterei un po’ più di riconoscimento ed attenzione al mondo della scuola così tanto sacrificato in questi ultimi 15 anni di tagli e riduzioni. Purtroppo, la tendenza dell’attuale governo, come dei precedenti, è quella di tagliare ulteriormente le risorse all’istruzione tanto che risulta ormai difficile pensare a un futuro.

Ora Francesco è tornato nella sua classe, in una scuola senza mensa, senza spazi adeguati per lo studio, ma costipata di classi pollaio, dotata di poche attrezzature, soffocata dalla burocrazia e che sopravvive a stento con i contributi volontari delle famiglie: ma mi ha già confidato che l’università la farà negli Stati Uniti, dove se sei bravo e impegnato allora sei riconosciuto e valorizzato…e poi c’è sempre il senatore!

 Un docente italiano

Non chiedete alla Corte dei Conti se sia possibile cumulare sullo stesso soggetto la posizione organizzativa e l’alta professionalità

11 Lug 2014
11 Luglio 2014

Un Sindaco ha chiesto alla Corte dei Conti del veneto di esprimersi sulla possibilità di cumulare sullo stesso soggetto la posizione organizzativa, con responsabilità di struttura, e la posizione di alta professionalità, con riconoscimento di un'unica retribuzione, ossia quella più elevata prevista per le posizioni di alta professionalità.

La Corte non ha risposto, precisando che la domanda è inammissibile sotto il profilo oggettivo, per scongiurare possibili interferenze e condizionamenti rispetto alle competenze di altri organi istituzionalmente preposti  a esprimersi in merito (nel caso specifico l'ARAN).

Dario Meneguzzo - avvocato

parere Corte dei Conti

Nel cambio d’uso senza opere la normativa sanitaria prevale su quella urbanistica

11 Lug 2014
11 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 07 luglio 2014 n. 3415 stabilisce che, in materia di mutamento della destinazione d’uso senza opere, le norme igienico-sanitarie statali prevalgono su quelle urbanistico-edilizie più restrittive previste dai regolamenti comunali. Nel caso di specie, infatti, il Comune aveva negato l’intervento de quo perché l’art. 20 delle N.T.A. prescriveva una distanza minima di 200 m dal vicino all’allevamento distante poco più di 100 m. Il privato, però, insisteva per l’accoglimento della richiesta perché la normativa igienico-sanitaria imponeva soltanto il rispetto dei 100 m.

Chiarito ciò i Giudici affermano che: “Come già affermato in sede cautelare, l’art. 20 delle NNTTA del Comune di Trescore Cremasco, di cui il Comune ha fatto applicazione per inibire il cambio di destinazione d’uso del manufatto senza opere, da magazzino ad abitazione, tutela interessi di natura igienico-sanitaria, alla cui cura sono preposti, ai sensi dell’art. 55 della legge regionale lombarda n. 64/1981, gli enti responsabili dei servizi di zona.

Deve quindi convenirsi con l’appellante che debba essere accordata prevalenza al Regolamento Locale di Igiene, che prescrive una distanza di 100 tra abitazioni e allevamenti di suini, in quanto disposizione speciale e successiva, dettata in attuazione dell’art. 9, commi 2 e 3 della l.r. n. 64/1981 sull’esercizio di funzioni in materia di igiene e sanità, rispetto alla menzionata norma urbanistica , di carattere evidentemente recessivo.

Conseguentemente, trova applicazione l’art. 52 , comma 2 della l.r. 11.3.2005, n. 12, in base alla quale i mutamenti d’uso degli immobili non comportanti la realizzazione di opere edilizie, purchè conformi alle prescrizioni urbanistiche ed igienico – sanitarie, sono soggetti esclusivamente a comunicazione preventiva dell’interessato.

L’annullamento del diniego comporta anche l’illegittimità derivata dell’ingiunzione di rimessione in pristino, parimenti impugnata, così come, per le ragioni sopra esposte, la caducazione automatica della sanzione dell’acquisizione dell’immobile e dell’area di sedime al patrimonio comunale”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n 3415 del 2014

Autorizzazione commerciale e subingresso

11 Lug 2014
11 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 01 luglio 2014 n. 948 si occupa delle autorizzazioni commerciali su aree pubbliche affermando che il subingresso deve essere presentato entro il termine decadenziale di sessanta giorni previsto dall’art. 6 della L. R. Veneto n. 10/2001: “Con il ricorso in epigrafe viene impugnato il provvedimento con cui il comune ha pronunciato la decadenza del diritto di subentro e reintestazione dell'attività commerciale di un'autorizzazione per il commercio su aree pubbliche su posteggio numero 159 e 160, nonché gli articoli 7 e 8 del regolamento per il commercio su aree pubbliche del comune, nella parte in cui prevede che il subingresso e la reintestazione delle autorizzazioni al commercio siano sottoposte al regime autorizzatorio e al termine decadenziale di 60 giorni per la presentazione delle relative domande .

La ricorrente, titolare del posteggio ha presentato domanda di reintestazione delle autorizzazioni ; tuttavia il comune, ritenendo applicabile il regime autorizzatorio vigente nella regione Veneto, prima delle modifiche introdotte in materia di semplificazione amministrativa, ha comunicato a entrambi i soggetti richiedenti la decadenza rispettivamente dal diritto di subentro e dalla reintestazione in conseguenza della presentazione avvenuta oltre la data di 60 giorni prevista dall'articolo sei della legge regionale Veneto numero 10 del 2001 e dagli articoli 7. e 8 del regolamento comunale del commercio su aree pubbliche.

Sostiene la ricorrente che le disposizioni in parola confliggerebbero con la previsione contenuta nell'articolo 19 della legge 241 del 1990 come modificato per effetto del decreto-legge numero 78/ 2010 convertito in legge 122/2010 che ha introdotto il nuovo istituto della segnalazione certificata di inizio attività, sì che ,anche sulla scorta di quanto avviene in altre regioni, il subingresso non potrebbe essere subordinato a una domanda da presentarsi entro un certo termine ma sarebbe perfezionato esclusivamente con la segnalazione certificata di inizio attività.( la regione Lombardia per esempio ha disciplinato la materia in questione prevedendo il termine di quattro mesi per segnalare il subingresso secondo quanto disposto dall'articolo 25 della legge regionale numero sei del 2010.

Si è costituito il comune contro deducendo puntualmente.

Non avendo la regione Veneto disposto normativamente, la previsione di legge contestata con il ricorso in epigrafe pare legittima e trova riscontro anche nei regolamenti di altri comuni (confronta il regolamento del comune di Padova, che risulta approvato con delibera numero 73 2013, e che significativamente richiama il decreto legislativo numero 59/2010 vale a dire proprio il provvedimento che ha introdotto la segnalazione certificata di inizio attività, vale a dire la previsione che legittimerebbe secondo la ricorrente l'esercizio commerciale della medesima, non esistendo alcun limite temporale per la presentazione della SCIA. Prevede la norma del regolamento comunale di Padova, per esempio che “Il subentrante per atto tra vivi in possesso dei requisiti soggettivi di cui all’art. 71 del decreto legislativo 59/2010, può iniziare l’attività solamente dopo aver presentato la domanda di subingresso. La domanda deve essere presentata entro sessanta giorni dalla data di acquisto del titolo, pena la decadenza dal diritto di subingresso. La decadenza opera di diritto e il relativo avvio di procedimento è comunicato all’interessato e, in caso di gestione d’azienda, anche al titolare che ha affidato l’azienda,…..(cfr anche il comune di Treviso, per il quale è richiesta una domanda telematica e non la SCIA).

In fatto è incontestata la tardività, e pur essendo comprensibile quanto affermato dalla ricorrente, vale a dire la plausibilità della intempestività della domanda alla luce della condizione di extracomunitaria e di prevalente operatività commerciale in una regione come la Lombardia il cui termine è sostanzialmente doppio rispetto al Veneto, legittimandosi dunque per così dire una sorta di riconoscimento dell’errore scusabile, pur tuttavia il provvedimento risulta legittimo, con conseguente reiezione del ricorso”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 948 del 2014

Il piano casa deroga anche alla previsione urbanistica a verde privato

10 Lug 2014
10 Luglio 2014

Un soggetto aveva  presentato al Comune una istanza ai sensi della legge regionale n. 13/2011 (secondo Piano casa), al fine di ottenere il permesso di costruire, in ampliamento della propria casa di abitazione, un ulteriore appartamento da destinare a sua volta ad abitazione, ampliamento che sarebbe stato realizzato sull’area contermine, avente destinazione urbanistica F5 – Verde privato. Il Comune, dopo aver richiesto una serie di integrazioni documentali (debitamente eseguite dall’interessata), ha opposto il diniego, rilevando l’inaccoglibilità della richiesta in quanto la prima casa di  abitazione ricade in ZTO C1S/19 e l’ampliamento della stessa sarebbe avvenuto in un ambito, classificato come ZTO F5 (verde privato), nel quale è vietato ogni intervento, così concretando (sempre secondo il Comune) l’ipotesi di cui al l’art. 9, comma q), lettera c) della legge regionale n. 14/2009 e smi.  Secondo il Comune, la previsione urbanistica relativa all’area sulla quale sarebbe stato previsto l’ampliamento della prima casa di abitazione, darebbe luogo ad una particolare disciplina di protezione che, impedendo ogni intervento costruttivo – sia ex novo che in ampliamento – non renderebbe possibile nella specie l’applicazione della normativa regionale sul Piano Casa.

Il TAR Veneto, con la sentenza n. 877 ha, però, accolto il ricorso, smentendo la tesi del Comune.

Scrive il TAR: "Invero, non possono in alcun modo essere condivise le argomentazioni difensive svolte dall’amministrazione comunale, che pretende di far assurgere a vincolo di sostanziale protezione, così come richiamato dall’art,. 9, comma q), lettera c) della legge regionale, la sola previsione urbanistica dettata per l’area de qua delle vigenti n.t.a (art. 24). Infatti, detta previsione ha il solo valore di indicare per l’area de qua una determinata previsione urbanistica, assegnandole la relativa classificazione, ma detta previsione assume portata generale, come tale derogabile ai sensi e per gli effetti della normativa regionale sul Piano Casa, la quale, come noto, favorisce gli interventi di ampliamento della prima abitazione, anche in deroga alle previsioni contenute negli strumenti urbanistici comunali.  L’invocato regime di protezione non può quindi essere individuato nel caso di specie, tenuto conto altresì del costante insegnamento che individua tale eventualità con riferimento a singoli edifici, soggetti a specifici gradi di protezione in ragione del loro particolare pregio ovvero, sulla base di espressa e motivata previsione, con riferimento ad ambiti dotati di particolare pregio (ad esempio, sotto il profilo storico o paesaggistico). Poiché dette particolari condizioni non sussistono nel caso di specie, così come peraltro confermato dalla stessa amministrazione comunale, la quale con la delibera consiliare n. 50 del 29.11.2011 (mai revocata sul punto), ha espressamente ritenuto di escludere dagli interventi eseguibili in applicazione della normativa sul Piano Casa le zone F, eccezion fatta per le zone F5, risulta evidente l’illegittimità del diniego opposto. Né può valere l’assunto difensivo di parte resistente che – invocando il punto 1 della lettera A) dell’allegato alla delibera C.C. n. 50/2011 – intende escludere l’applicazione delle disposizioni ivi dettate alle prime case di abitazione, tenuto conto del fatto che comunque troverebbe applicazione, così come ivi parimenti disposto, la disciplina di cui alla L.r. 14/2009 e quindi dei medesimi principi sopra richiamati. Da ultimo, va altresì osservato come il richiamo alla diversa ipotesi di cui alla lettera d) del medesimo art.9, non solo non risulta conferente (non trattandosi di un vincolo di inedificabilità ai sensi dell’art. 33 della legge 47/85), ma soprattutto trattasi di un profilo che non è stato indicato a fondamento del diniego opposto e che, pertanto, costituisce un’inammissibile integrazione della motivazione". 

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 877 del 2014

La responsabilità del proprietario incolpevole circa lo smaltimento dei rifiuti abbandonati

10 Lug 2014
10 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 01 luglio 2014 n. 963 si occupa delle responsabilità connesse allo smaltimento dei rifiuti abbandonati.

Dopo aver affermato che, per imporre l’obbligo di rimozione anche al c.d. proprietario incolpevole (non autore dell’illecito) bisogna accertare almeno una sua forma di colpa e/o negligenza, giunge ad affermare che il proprietario, anche se locatore di un immobile, in ragione dei poteri e dei diritti che egli può esercitare sulla cosa locata, è ex se responsabile anche se non è l’autore materiale dell’illecito (e lo è magari il conduttore). Sul punto si legge che: “Passando all'esame delle critiche sostanziali rivolte ai provvedimenti impugnati, va ricordato che la legge stabilisce che, ferma restando l'applicazione delle sanzioni per l'abbandono, il deposito incontrollato o l'immissione, anche il proprietario del terreno può comunque essere obbligato, in solido con l'autore dell'illecito, a procedere al ripristino dello stato dei luoghi; ma occorre pur sempre che sia dimostrata almeno una sua colpa. Infatti, l’art. 14 della legge n.22/97 , vale a dire l’originaria formulazione della norma, ha escluso in radice la configurabilità di qualsiasi ipotesi di responsabilità propter rem…; perché l’ordinanza sia legittima occorre l’indicazione e l’accertamento di un comportamento doloso o colposo del destinatario dell’ordinanza nonché di un nesso causale fra tale comportamento e l’alterazione ambientale da rimuovere.

In altri termini, se da un lato l'obbligo di rimozione dei rifiuti e di rimessione in pristino incombe in primo luogo sull'autore dell'illecito, appare evidente che può essere chiamato ad adempiere anche il terzo proprietario del terreno se è ravvisabile almeno una sua colpa. In caso contrario, il sindaco ha comunque sempre il dovere di disporre la rimozione dei rifiuti e la rimessione in pristino, salva, ovviamente, la possibilità di rivalsa qualora, in futuro, si identificasse l'autore dell'illecito.

A proposito della colpa, peraltro, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che “la condizione di colpa che, ai sensi dell'art. 14, d.lg. n. 22 del 1997, rende corresponsabile il proprietario di un fondo con gli autori materiali dell’abbandono non autorizzato di rifiuti - e consente al Comune di ingiungergli di provvedere al loro smaltimento, sotto pena di esecuzione in danno - consiste per lo più nella negligenza, dimostrata da una prolungata inerzia, incombendo allo stesso l'obbligo di adoperarsi, attraverso misure efficaci e non meramente simboliche, affinché siffatti episodi non vengano posti in essere e, comunque, abbiano a cessare (T.A.R. Friuli V.G. 29 settembre 2000, n. 692)”, ed ha anche evidenziato, che, oltre a questo aspetto temporale, era rilevante, per esempio, il fatto che “ il sito è ben circoscritto e quindi facilmente controllabile,anche perché è posto vicino al centro abitato”; aggiungendo che “spetta alla PA indicare i dati di fatto tali da dimostrare il comportamento doloso o colposo del proprietario .

Di certo, comunque, ”il dovere di diligenza che spetta al titolare di un fondo non può estendersi al punto di pretendere un’ininterrotta vigilanza diurna e notturna allo scopo di evitare che terzi si introducano nel fondo per abbandonare rifiuti. La richiesta di un impegno di tale entità travalicherebbe oltremodo gli ordinari canoni della diligenza media (o del buon padre di famiglia) che è alla base della nozione di colpa, quando questa è indicata in modo generico, come nella specie, senza ulteriori specificazioni..”

In altri termini, “la titolarità di un diritto di godimento o di quello dominicale non può comportare un generico dovere di “vigilanza attiva” in ordine al corretto uso da parte di ignoti di fondi aperti, al fine di evitare addebiti per illeciti altrui (cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, n. 193/2004); né tanto meno, a tali fini, si potrebbe surrettiziamente imporre al proprietario di dotare di recinzione i fondi situati in luoghi poco frequentati, sia perché la chiusura del fondo costituisce, ai sensi dell’art. 841 cod. civ., una facoltà e non uno specifico obbligo per il proprietario e sia perché, in ogni caso, l’omessa recinzione non può essere considerata alla stregua di una condotta omissiva (con)causa di un eventuale danno ambientale commesso da terzi, dal momento che la chiusura del fondo mediante recinzione costituisce unicamente un mero deterrente contro eventuali scarichi abusivi operati da altri, ma ad essa non può certo riconoscersi una assoluta efficacia protettiva del sito, di talché non può ritenersi che l’eventuale mancanza di recinzione possa apportare un concreto contributo sotto il profilo causale al prodursi del danno da inquinamento (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 3582/2005) .

Anzi, la Cassazione ha anche precisato che, comunque, “non è punibile e non può essere obbligato alla rimozione chi, avendo la disponibilità di un' area sulla quale altri abbiano abbandonato rifiuti, si limiti a non attivarsi perché questi vengano rimossi”.

Di converso, “è configurabile una responsabilità a titolo di colpa e conseguente obbligo di smaltimento di rifiuti e ripristino dei luoghi, a carico del proprietario di una area utilizzata dall'affittuario quale discarica abusiva di pneumatici, qualora sia a conoscenza di tale utilizzo e, con la propria negligenza, abbia contribuito ad aggravare la situazione.

Ciò premesso, dispone il richiamato l’art. 192 (divieto di abbandono) del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, concernente norme in materia ambientale, che chiunque violi “i divieti di cui ai commi 1 (abbandono e deposito incontrollato) e 2 (immissione di rifiuti) è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi, in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.

Osserva in proposito il Collegio che, in base alla giurisprudenza amministrativa ormai consolidatasi sul punto, il proprietario dell’area è tenuto a provvedere allo smaltimento a condizione che ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell'illecito abbandono di rifiuti (per esempio per aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo), e che è stato conseguentemente escluso che le norme riportate configurassero un’ipotesi di responsabilità oggettiva (cfr. C.d.S., sez. V, 25.1.2005, n. 136).

Nel caso in esame la responsabilità quantomeno a titolo di cooperazione colposa e tolleranza e agevolatrice viene riconosciuta da parte del provvedimento comunale in quanto la qualità di proprietario locatore conserva la disponibilità giuridica alla custodia del bene locato, tant'è vero che non è possibile compiere nel medesimo innovazioni interventi modifiche permanenti e stabili senza il consenso dello stesso, il quale quindi tramite questa via ne assume la responsabilità verso i terzi, consenso come ampiamente previsto nel contratto di locazione relativo alla clausola del potere del proprietario di ispezionare in qualunque momento i locali affittati.

Inoltre, seppure la ditta non fosse ricompresa fra le industrie insalubri, tuttavia l'attività galvanica esercitata risulta essere notoriamente a elevato impatto ambientale, per cui obblighi di vigilanza e controllo eccedenti quelli ordinari erano comunque predicabili, “secondo criteri di diligenza adeguati al grado di pericolosità insita nell'attività”, si afferma nel provvedimento, con valutazione che il Collegio ritiene immune da censura.

L’ordinanza afferma poi che il ricorrente sarebbe stato a conoscenza dello stato in cui versava il proprio immobile essendo inverosimile e poco credibile che il medesimo ne ignorasse lo stato, sia perché si tratterebbe di rifiuti in quantità notevole visibili e non occultati dal conduttore facilmente percepibili essendo di diversa tipologia e soprattutto perché all'esito dell'attività produttiva conosciuta e consentita dal proprietario in virtù appunto del rapporto locativo, sia perché appare inverosimile che per un decennio si sia disinteressato dello stato del proprio immobile e comunque tale disinteresse configurerebbe una grave condotta colpevole negligente, anche perché la vigilanza sarebbe stata di facile praticabilità essendo il medesimo residente a poca distanza da tale immobile”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 963 del 2014

Quando c’è la giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche?

10 Lug 2014
10 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 07 luglio 2014 n. 3436 chiarisce in quali casi vi è la giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche: “Oggetto del giudizio è la questione se sussista o meno la giurisdizione amministrativa in merito alla impugnazione della deliberazione della Giunta Regionale della Basilicata n. 1650 del 30 novembre 2012, avente ad oggetto l'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio dell’impianto per la produzione di energia elettrica da fonte idraulica di cui trattasi, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili in agro del Comune di Maratea, nonché dell'atto di avvio del procedimento per l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e della dichiarazione di pubblica utilità delle opere e degli atti del procedimento.

Va premesso che l'art. 133, comma 1, lett. b) ed f), del c.p.a., in tema di rapporti di concessione di beni pubblici ed in materia urbanistico-edilizia e di uso del territorio (incluso il fenomeno espropriativo), ha salvaguardato la giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, regolata dalla previgente normativa, di cui all’art. 143, comma 1, lett. a), del r.d. n. 1775/1933.

Tale giurisdizione va estesa anche ai provvedimenti che, pur se promananti da autorità diverse da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque, siano caratterizzati dall'incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche e concorrano, in concreto, a disciplinare la realizzazione, la localizzazione, la gestione e l'esercizio delle opere idrauliche (cfr. Cassazione civile, sez. un., 8 aprile 2009, n. 8509), ivi compresi pure i provvedimenti espropriativi o di occupazione d'urgenza delle aree occorrenti per la realizzazione dell'opera idraulica, oltre agli atti comunque influenti sulla sua localizzazione sul suo spostamento.

Tale principio rileva indipendentemente dalla ragione che abbia determinato l’adozione di detti provvedimenti, quindi anche se non connessi al regime delle acque e quindi anche se resi necessari dalla tutela dell'ambiente o di un bene artistico o da valutazioni tecniche in funzione della salvaguardia dell'incolumità pubblica o ancora da mere ragioni di opportunità amministrativa (cfr. Cassazione civile, Sez. Un., 12 maggio 2009, n. 10846; Cass., Sez. Un., 7 novembre 1997 n. 10934; Cass., Sez. Un., 27 aprile 2005 n. 8686; Cass. Sez. Un., 26 luglio 2002 n. 11099).

Pertanto può affermarsi che, mentre esulano dalla giurisdizione del Tribunale delle Acque (e rientrano in quella del giudice amministrativo) i provvedimenti incidenti sulla materia e sul regime delle acque pubbliche in via meramente strumentale ed indiretta, vi rientrino i provvedimenti di approvazione del progetto definitivo per la realizzazione di una centrale idroelettrica, previa V.I.A., gli atti concernenti la costituzione di una servitù coattiva, mediante procedura espropriativa, per il passaggio della condotta necessaria per la realizzazione dell'opera, nonché il relativo permesso di costruzione, atti tutti incidenti in maniera diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche.

In particolare è stata ritenuta la sussistenza della giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in caso di impugnativa di provvedimenti influenti sulla localizzazione dell'opera idraulica o sul suo spostamento, nonché sulla definizione delle sue caratteristiche e sulla sua realizzazione, nonché sui provvedimenti di occupazione ed espropriazione di opere necessarie per realizzare la condotta idraulica relativa alla costruzione di una centrale idroelettrica contestata dal titolare del fondo ove era previsto il transito interrato di una nuova condotta di adduzione finalizzata alla canalizzazione delle acque per il successivo sfruttamento idroelettrico (cfr. Cassazione civile, sez. un., 12 maggio 2009, n. 10846).

Sussiste pertanto la giurisdizione di legittimità di detto Tribunale, a norma dell'art. 143, comma 1, lett. a), del r.d. n. 1775 del 1933, oltre che con riguardo alle questioni investenti gli interessi pubblici connessi al regime delle acque strettamente inteso (demanialità delle acque, contenuto o limiti di una concessione di utenza, nonché questioni di carattere eminentemente tecnico relative alla distribuzione ed all'uso delle acque pubbliche ed ai diritti di derivazione o utilizzazione dell'utenza nei confronti della P.A.), ogni volta che siano impugnati provvedimenti amministrativi caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, nel senso che concorrano in concreto a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse, o a stabilire o modificare la localizzazione di esse o ad influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti (cfr. Cass. Civ., SS.UU., ord. 19 aprile 2013, n. 9534, 20 giugno 2012, n. 10148, 13 maggio 2008, n. 11848 e 21 giugno 2005, n. 13293),

Anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato la sussistenza della giurisdizione di legittimità del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sui ricorsi avverso i provvedimenti in materia di acque pubbliche, "allorquando i provvedimenti impugnati incidono direttamente ed immediatamente sulla materia delle acque, concorrendo in concreto a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i concessionari ovvero a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all'esercizio e/o alla realizzazione delle opere stesse o a stabilirne e/o a modificare la localizzazione di esse o influire sulla loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimento...Non rientrano, per contro, in tale speciale competenza giurisdizionale le controversie che hanno per oggetto atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 1 ottobre 2010, n. 7276; nello stesso senso: Sez. IV, 6 luglio 2009, n. 4306; Sez. V, 7 maggio 2008, n. 2091; Sez. V, 18 settembre 2006, n. 5442)”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3436 del 2014

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