Il passaggio da “Trasparenza, valutazione e merito” ad “Amministrazione trasparente”

30 Mag 2013
30 Maggio 2013

Il D.Lgs. 33/2013 introduce un nuovo obbligo: la creazione nei siti internet delle pubbliche amministrazioni di una sezione che deve essere denominata “Amministrazione trasparente”.

Pubblichiamo una nota introduttiva del dott. Antonio Casella sul tema della creazione nei siti internet delle pubbliche amministrazioni della sezione "Amministrazione trasparente", che sostituisce la sezione "Trasparenza, valutazione e merito" e che incorpora la sottosezione "amministrazione aperta" introdotte da norme del 2012.

Qui sotto in formato pdf è possibile scaricare il testo della nota.

Antonio Casella - Da TVM a AT

Sulle tende da sole (con l’auspicio che il sole arrivi)

30 Mag 2013
30 Maggio 2013

Segnalo la sentenza del TAR Lombardia - Brescia n. 468 del 16/5/2013 che ha annullato un’ordinanza comunale di rimozione di una tenda da sole, emessa ai sensi del D.P.R. 380/2001. I giudici hanno escluso che la tenda in questione necessitasse del permesso di costruire, per il fatto che essa presentava i seguenti caratteri: “…  la tenda è più che amovibile nell’immediato ed avvolgibile in sé. La stessa è oggettivamente precaria e di carattere occasionale senza che ne risulti alcun aumento volumetrico di aspetto tridimensionale e stabile; la medesima sembra anche atteggiarsi come di utilità alla struttura principale quale pertinenza.”

Sempre in relazione alle tende da sole, segnalo una interessante pronuncia del TAR Campania - Napoli (sez. IV del 16/12/2011, n. 5919), che opera una ricognizione della giurisprudenza e della legislazione relative al titolo edilizio necessitante per installare tali manufatti.

Il provvedimento gravato si fonda sull'erroneo presupposto che il contestato intervento sia sottoposto al regime del permesso di costruire.

… sulla problematica concernente l'individuazione del titolo edilizio necessario per l'istallazione di tende solari, si registravano in giurisprudenza, prima della modifiche apportate all'art. 6 D.P.R. n. 380/2001 dall'art. 5 D.L. 25 marzo 2010, n. 40, tre diverse posizioni. Secondo un primo orientamento, si sarebbe trattato di un intervento privo di rilevanza edilizia, che non richiedeva, in quanto tale, alcun titolo concessorio (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 31 luglio 2006, n. 1890). Secondo un'opposta opinione, invece, le tende solari sarebbero finalizzate alla migliore fruizione di un immobile e risulterebbero destinate ad essere utilizzate in modo permanente e non a titolo precario e pertanto necessiterebbero del permesso di costruire (cfr. T.A.R. Basilicata, sez. I, 27 giugno 2008, n. 337). A parere, infine, di una posizione intermedia (espressa proprio da questa Sezione con la sentenza 2 dicembre 2008, n. 20791), l'istallazione di tende solari rientrerebbe nel novero degli interventi di manutenzione straordinaria, in quanto non determinerebbe alcun volume autonomo né una modifica permanente dello stato dei luoghi, con la conseguenza che il titolo edilizio a tal fine necessario sarebbe costituito dalla denuncia di inizio attività, ai sensi del combinato disposto degli articoli 6, 10 e 22 del D.P.R. n. 380/2001.

Il Collegio ribadisce, in accordo con quanto recentemente espresso nella già richiamata sentenza n. 5324 del 12 ottobre 2011, di condividere la riferita configurazione della natura giuridica degli interventi in questione come interventi di manutenzione straordinaria, che trova il proprio aggancio normativo nell'art. 3, comma primo, D.P.R. n. 380/2001. Infatti, le tende solari, pur essendo destinate ad alterare la facciata dell'edificio cui accedono (per cui non possono definirsi interventi di manutenzione ordinaria), hanno tuttavia semplice funzione (accessoria e pertinenziale) di arredo dello spazio esterno, limitata nel tempo e nello spazio (in quanto si tratta di strutture generalmente utilizzate nella sola stagione estiva e che non determinano alcuna variazione plano-volumetrica dell'immobile principale, per cui non integrano né una nuova costruzione né una ristrutturazione edilizia).

L'assenza della necessità del permesso di costruire ha, inoltre, ricevuto l'avallo del Consiglio di Stato in relazione ad una fattispecie di maggiore gravità rispetto a quella oggi in discussione (cfr. C.d.S., sez. IV, 17 maggio 2010, n. 3127, secondo cui <<hanno carattere pertinenziale e, come tali, non debbono essere assistite da permesso di costruire, le opere che hanno finito per sostituire una preesistente tenda parasole di un esercizio commerciale con una struttura in legno infissa alla facciata dell'edificio a mezzo di una trave e ancorata alla facciata medesima nonché, in proiezione anteriore, al muretto antistante l'accesso dell'esercizio, atteso che la struttura realizzata, pur essendo indubbiamente più stabile e "pesante" rispetto alla tenda parasole di cui ha preso il posto, è palesemente destinata ad assolvere alla medesima funzione di essa, non essendo, per entità e caratteristiche, idonea ad integrare la nozione di "porticato" o di "veranda"; in particolare, detta struttura è insuscettibile di costituire un volume autonomo e aggiuntivo rispetto all'esercizio commerciale cui accede. Ne discende che l'opera in questione va qualificata come mera pertinenza rispetto all'edificio, in quanto tale non necessitante il previo rilascio di concessione edilizia (oggi permesso di costruire)>>).

Il Collegio osserva peraltro, al riguardo, che a seguito delle modifiche apportate all'art. 6 D.P.R. n. 380/2001 dall'art. 5, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40 (convertito con L. 22 maggio 2010, n. 73) sul regime giuridico degli interventi di manutenzione straordinaria (entrate in vigore in data successiva a quella di realizzazione delle opere per cui è causa), tali interventi possono ormai essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo, previa semplice comunicazione di inizio lavori, con previsione, in caso di mancanza di quest'ultima, di una sanzione pecuniaria pari ad euro 258,00.

Avv. Marta Bassanese

sentenza TAR Brescia 468 del 2013

sentenza TAR Napoli 5919 del 2011

L’escussione della cauzione provvisoria non si applica per la violazione dei requisiti generali di partecipazione

30 Mag 2013
30 Maggio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 28 maggio 2013 n. 768, dichiara che l’escussione della cauzione provvisoria non si applica se l’esclusione della ditta partecipante alla gara pubblica avviene per violazione dell’art. 38, c. 1, lett. g), del D. Lgs. 163/2006 secondo cui: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti (...) g) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”.

 

Premesso che l’art. 48 del D. Lgs. 163/2006 recita: “1. Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati al contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito di cui all'articolo 42, comma 1, lettera a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 6 comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento.

1-bis. Quando le stazioni appaltanti si avvalgono della facoltà di limitare il numero di candidati da invitare, ai sensi dell'articolo 62, comma 1, richiedono ai soggetti invitati di comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando, in sede di offerta, la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito in originale o copia conforme ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Non si applica il comma 1, primo periodo.

2. La richiesta di cui al comma 1 è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e nel caso in cui essi non forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni si applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della nuova soglia di anomalia dell'offerta e alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione”, il T.A.R. Veneto ritiene che la falsa dichiarazione della regolarità contributiva imputata alla impresa ricorrente è regolata esclusivamente dall’art. 38, c. 1, lett. g), del D. Lgs 163/2006 concernente i “requisiti di ordine generale” e non dall’art. 48 del D. Lgs. 163/2006 che concerne esclusivamente i requisiti economico-finanziari.

Di conseguenza: “8.1. L’esclusione dell’odierna ricorrente è stata disposta ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera g), del codice dei contratti pubblici, nel testo vigente all’epoca dei fatti, in ragione del difetto del requisito di ordine pubblico quale specifica condizione soggettiva prevista dalla legge relativa alla violazione “grave” e definitivamente accertata “rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana”, la cui sussistenza preclude la partecipazione alla gara dell’operatore economico.

8.2. Ad avviso del Collegio, la mancanza del possesso del requisito di partecipazione in questione, tuttavia, benché sanzionabile con l’esclusione dalla gara, non comporta al contempo l’escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto all’Autorità, per i provvedimenti di cui all’art. 6, comma 11, da ritenersi invero quali conseguenze tassativamente previste per l’ipotesi della mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa previsti dall’art. 48 del D.Lgs. n. 163 del 2006.

8.3. L’articolo 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede, infatti, l’esclusione del partecipante alla gara, l’escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione del fatto all’Autorità per la vigilanza, che può disporre la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento, soltanto con riferimento all’accertata mancanza del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa richiesti dal bando di gara, concernenti cioè l’idoneità del concorrente sotto il profilo tecnico a espletare l’attività oggetto di gara così come la sua idoneità a far fronte agli impegni contrattuali specificati nell’ambito di una determinata procedura concorsuale.

8.4. A tale disposizione, dunque, in considerazione della sua funzione sanzionatoria, deve attribuirsi carattere tassativo dovendosi pertanto ritenersi preclusa alcuna sua estensione in via analogica ad ipotesi diverse e, in particolare, alle fattispecie di esclusione previste dall’art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 (cfr., in tal senso, fra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2012 n. 80).

Infatti, la carenza dei requisiti di carattere generale, riguardanti cioè la moralità professionale lato sensu intesa di ciascun concorrente richiesta per la partecipazione a tutte le gare pubbliche, «è compiutamente regolata dall’articolo 38 del codice dei contratti che prevede, in tal caso, solo l’esclusione del concorrente dalla gara e costituisce situazione ontologicamente diversa dal mancato possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa disciplinata dall’articolo 48 del medesimo codice» (così Cds n. 80 del 2012, cit.) rispetto alla quale, quindi, non può realizzarsi alcun tipo di parificazione e/o assimilazione in via interpretativa.

8.5. Deve inoltre escludersi che l’applicabilità della sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria anche in ipotesi di accertata carenza di requisiti d’ordine generale ex art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 possa discendere dal disposto dell’art. 75, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, dal momento che tale ultima disposizione disciplina la diversa ipotesi in cui l’aggiudicatario si rifiuti di sottoscrivere il contratto senza adeguata motivazione (così Consiglio di Stato n. 80 del 2012, cit.).

8.6. Il Collegio non ignora, al riguardo, che l’Adunanza plenaria n. 8 del 2012 del Consiglio di Stato (cfr. capoverso 6 del Considerato in diritto) ha invero affermato la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria in applicazione dell’art. 75, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006 che, sempre secondo quanto in tale sede affermato, riguarderebbe «tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, intendendosi per fatto dell’affidatario qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, dunque non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto di requisiti generali di cui all’art. 38 citato».

8.7. Ciò nondimeno, ad avviso del Collegio, posto che la garanzia a corredo dell’offerta che viene in considerazione nell’ambito dell’art. 75 del codice dei contratti pubblici ha la finalità di garantire la stazione appaltante della mancata sottoscrizione del contratto e di assicurare l’affidabilità dell’offerta presentata, svolgendo pertanto una funzione indennitaria dei danni cagionati in una specifica fase procedimentale che prelude appunto alla definitiva stipulazione del contratto da parte di un concorrente ritenuto idoneo ad addivenire alla predetta stipulazione, detta garanzia non può ritenersi estensibile tout court a qualunque condizione oggettiva o soggettiva del concorrente che precluda la stessa possibilità di partecipare ad una procedura selettiva per l’individuazione del contraente con la P.A.

9. Quanto, poi, alla segnalazione del fatto all’Autorità effettuata dalla stazione appaltante in ragione della falsità nella dichiarazione della ditta ricorrente, deve rilevarsi che la stessa non integra un provvedimento amministrativo, ma una mera comunicazione a fini informativi e che eventuali conseguenze sanzionatorie e comunque lesive delle posizioni soggettive dell’interessato potranno conseguire solo a seguito delle successive e solo eventuali determinazioni dell’Autorità”.

Dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 768 del 2013

Ma chi lo ha detto che il Consorzio di Bonifica sia proprietario dei fossi?

29 Mag 2013
29 Maggio 2013

La stessa sentenza del TAR Veneto n. 615 del 2013, già allegata al post che precede, si occupa della questione della individuazione del soggetto proprietario di un fosso, precisando che il fatto che il Consorzio di Bonifica abbia competenze in materia di fossi non vuol dire che ne sia anche il proprietario. Da ciò discende che, se occorre un atto di assenso del proprietario, non basta una autorizzazione rilasciata dal Consorzio di Bonifica.

Scrive il TAR: "2. Ciò premesso, e per quanto attiene il merito del ricorso, è possibile accoglierlo ritenendo fondati i motivi di seguito precisati.
2.1 Dall’esame degli atti, anche successivi alla proposizione del ricorso, è emerso come il Comune di Mira, pur avendo acquisito la documentazione relativa ad una convenzione diretta alla costituzione di una servitù di passaggio dello scarico – e con riferimento ai proprietari che venivano attraversati dallo stesso scarico-, abbia omesso il compimento di quell’attività istruttoria, ulteriore, idonea ad individuare con certezza la natura giuridica e, soprattutto, la proprietà del fosso in cui si andavano a riversare gli stessi reflui e, ciò, sia al fine di individuare con certezza i ruoli e le competenze del Consorzio di Bonifica sia, più in generale, nell’intento di identificare la disciplina applicabile e, non in ultimo, circoscrivere il potenziale pregiudizio nei confronti della proprietà della ricorrente.

3. Giova ancora premettere, anche nell’intento di circoscrivere l’oggetto della controversia, come la valutazione della legittimità, o meno, del provvedimento ora impugnato – e quindi dell’intero procedimento posto in essere dal Comune di Mira precedente all’emanazione di detto provvedimento finale -, possa ragionevolmente prescindere sia, dall’accertamento di quale soggetto sia  effettivamente proprietario del fosso di cui si tratta sia, ancora, dall’accertamento del venire in essere di un aggravamento della servitù di passaggio dello scarico, circostanza quest’ultima inevitabilmente consequenziale al riconoscimento della proprietà del fosso dell’Olmo in capo alla ricorrente.
4. Ai fini dell’accoglimento del ricorso di cui si tratta deve ritenersi dirimente constatare, il venire in essere di un vizio di eccesso di potere,
riconducibile al sintomo del difetto di istruttoria, vizio reso manifesto in più di una fase del procedimento di cui si tratta.

5. Un primo elemento sintomatico di detto difetto di istruttoria attiene alle mancate verifiche esperite e con riferimento alla titolarità del fosso dell’Olmo, difetto di istruttoria confermato dall’esame della nota del 27/12/2012 indirizzata a questo Tribunale, mediante la quale, il Comune di Mira ha inteso ripercorrere l’iter istruttorio posto in essere e, ciò, a seguito dell’Ordinanza cautelare n. 645/12 di questo Tribunale.
5.1 Non solo dall’istruttoria svolta dal Comune non appare con chiarezza che la proprietà del fosso dell’Olmo sia attribuibile al Consorzio di Bonifica delle Acque Sorgive, ma va rilevato come a seguito della pronuncia cautelare di questo Tribunale lo stesso Consorzio aveva precisato (al fine di riscontrare una richiesta di chiarimenti del Comune) che il fosso dall’Olmo “non è demaniale, ma consorziale”. In realtà questo Collegio, pur consapevole sul punto dell’esistenza di una riserva di giurisdizione del Giudice Ordinario, ritiene che non possano non essere condivisi i rilievi di parte ricorrente, laddove ricorda come i beni possono essere o pubblici o privati, senza possibilità di individuare l’ammissibilità di soggetti ulteriori in quanto tali, idonei a risultare astrattamente legittimati a diventare titolari di aree o beni.
5.2 Nel procedimento che ha portato sia all’atto impugnato, sia all’emanazione degli atti presupposti del Consorzio di Bonifica, non vi è traccia di un’affermazione, di un documento, dal quale sia possibile desumere l’esistenza di una verifica finalizzata ad individuare la titolarità del fosso di cui si tratta e, ciò, pur in presenza di un’area immediatamente contigua a quella dei ricorrenti. Sul punto va, altresì, evidenziato come la disciplina che il Consorzio di Bonifica Acque Sorgive ritiene di applicare al caso di specie, e quindi il R.D. 368/1904, non può essere considerata, di per sé, determinante e dirimente a qualificare la proprietà e la natura giuridica del fosso di cui si tratta. Detta normativa è principalmente finalizzata a costituire i “Consorzi per le opere di bonifica” e ha l’intento di disciplinare di varie tipologie di consorzi ammissibili (che potrebbero essere costituiti anche da soggetti privati), consorzi competenti a svolgere varie attività di bonifica, di rilascio di concessione e di imposizione di vincoli nelle sponde e sulle aree limitrofe dei fossi.
5.2 E’ del tutto evidente come si sia in presenza di una legislazione diretta a disciplinare l’attività e la gestione dei corsi d’acqua attribuiti in manutenzione ai Consorzi di cui si tratta, circostanza che nulla ha che vedere con l’attribuzione di una titolarità. Ne consegue che l’assenza di una specifica indicazione della titolarità del fosso di cui si tratta – unitamente l’altrettanto oggettiva incidenza dei reflui sulla proprietà immediatamente adiacente della ricorrente (quanto meno da un punto di vista potenziale), non avrebbe potuto – e dovuto – sfuggire all’Amministrazione comunale.
5.3 Nel caso di specie le circostanze sopra citate avrebbero dovuto obbligare il Comune allo svolgimento di un’attività istruttoria più articolata, non potendosi arrestare – come è avvenuto nel caso di specie – ad acquisire il parere idraulico per quanto riguarda lo scarico delle acque o, ancora, alla verifica dell’esistenza in capo ai soggetti controinteressati dell’avvenuta emanazione di un atto di concessione idraulica rilasciata dal Consorzio stesso in data 20/07/2011, atti amministrativi questi ultimi diretti ad ottemperare a finalità del tutto differenti.
5.4 Circoscrivere l’istruttoria all’acquisizione degli atti sopra citati determina, inoltre, un venir meno delle funzioni di vigilanza e tutela del territorio attribuite ai Comuni sia dalla Costituzione sia, dall’art. 27 del Dpr 380/2001 laddove prevede che ..” Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio
comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.
5.5 Una circostanza ulteriore che dimostra l’esistenza del difetto di istruttoria è riconducibile alla mancanza, negli atti propedeutici all’emanazione del provvedimento impugnato, della documentazione dell’autocertificazione, richiesta dall’art. 1 del Dpr 227/2011 e diretta ad attestare l’esistenza, nei confronti della Societa' Ri.Va di De Jacob Rocco & C, della qualificazione di piccola o media impresa, qualificazione quest’ultima che costituisce un presupposto per equiparare i reflui così prodotti ai reflui domestici, con consequenziale applicazione di detta ultima disciplina.
La mancata presentazione, da parte della Societa' Ri.Va di De Jacob Rocco & C, della dichiarazione sostitutiva sopra citata – unitamente alla contestuale mancata richiesta da parte del Comune dell’esibizione di detta documentazione ad integrazione della domanda presentata-, avrebbe dovuto impedire al Comune di Mira di applicare la disciplina dei reflui domestici allo scarico di cui si tratta".

Dario Meneguzzo

Chi pesca acqua di irrigazione da un fosso ha interesse a impugnare l’autorizzazione a scaricare acque reflue in quel fosso

29 Mag 2013
29 Maggio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 615 del 2013 decide un ricorso col quale è stata impugnata l'auorizzazione rilasciata dal Comune a scaricare acque reflue in un fosso, che non è di proprietà dei ricorrenti.

Scrive il TAR a proposito della legittimazione e dell'interesse al ricorso: "1. In primo va luogo va esaminata l’eccezione preliminare del Comune di Mira diretta a rilevare l’inammissibilità e l’irricevibilità per carenza di interesse al ricorso della parte ricorrente, eccezione argomentata considerando che il percorso seguito dal nuovo scarico delle acque reflue non interesserebbe alcun terreno di proprietà della Sig.ra Zaramella. Partendo da detto presupposto, il Comune rileva che i proprietari, effettivamente interessati dal percorso della tubazione di cui si tratta, avevano proceduto a sottoscrivere una servitù volontaria di passaggio dello scarico, circostanza quest’ultima che escluderebbe di fatto l’esistenza di un concreto ed effettivo interesse al ricorso da parte della ricorrente. L’eccezione è infondata.
1.1 L’esame degli atti in causa permette di evincere come debba ritenersi esistente un potenziale pregiudizio alle colture e, ciò, considerando che i reflui di cui si tratta, pur non attraversando il fondo della ricorrente finiscono per sversare in un fosso immediatamente adiacente (c.d. fosso dell’Olmo) agli stessi terreni di proprietà.
1.2 A conferma di quanto sopra affermato si consideri, che nell’ambito della documentazione inviata dal Comune a questo Tribunale a seguito dell’Ordinanza cautelare n. 645/12, era contenuta un’ulteriore nota del Consorzio di Bonifica delle Acque Sorgive, nella quale lo stesso Consorzio aveva cura di affermare che il fosso dell’Olmo svolgeva una funzione, seppur secondaria, “di irrigazione”, essendo utilizzato per scopi irrigui dai proprietari dei terreni limitrofi.
1.3 Sul punto è utile ricordare quanto affermato da un costante orientamento giurisprudenziale, in applicazione dei principi generali sul processo amministrativo (T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 22-11- 2012, n. 635), nella parte in cui ha sancito che ” Nel processo amministrativo, l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale  annullamento dell'atto impugnato”.
1.3 Ne consegue che, anche prescindendo dalla circostanza che il Fosso dell’Olmo sia, o meno, di proprietà della ricorrente è del tutto evidente l’interesse di quest’ultima ad impedire lo sversamento di reflui in un’area situata a margine dei terreni adibiti a coltivazione e, quindi, ad ottenere l’annullamento dell’atto di autorizzazione allo scarico ora impugnato. L’eccezione di inammissibilità e irricevibilità è pertanto infondata".

sentenza TAR Veneto 615 del 2013

Il rapporto tra ricorso giurisdizionale e quello arbitrale

29 Mag 2013
29 Maggio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza del 15 maggio 2013 n. 2641, si occupa dell’alternatività tra il ricorso giurisdizionale e quello arbitrale, dichiarando che: “6.3. – L’alternatività tra ricorso al collegio arbitrale e ricorso giurisdizionale è fondata su una costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cfr. in particolare la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 maggio 2001, n. 2807, oltre alla ampia giurisprudenza richiamata dalla sentenza impugnata). Essa deve essere ribadita alla luce del nuovo codice del processo amministrativo che afferma, all’art. 7, comma 7, in via generale principi di economia e di concentrazione della giurisdizione amministrativa, che devono ritenersi estesi anche ai rapporti tra giurisdizione amministrativa e collegi arbitrale, al fine di non vanificare gli scopi delle norme che prevedono questi ultimi proprio come soluzione alternativa alla giurisdizione.

6.4. – Il principio di alternatività è confermato del fatto che sia pure limitatamente a qualificati motivi è consentita la impugnazione della decisione del collegio arbitrale, come infatti avviene anche nel presente giudizio, nonché dalla esistenza di limiti alla impugnabilità della decisione arbitrale, che non avrebbero senso, se non esistesse un principio di alternatività quanto al merito della decisione. La stessa difesa appellante lo riconosce quando argomenta che dall’accoglimento delle censure relative alla mancanza dei presupposti di validità della decisione arbitrale deriverebbe il venir meno dell’inammissibilità relativa al primo ricorso in primo grado”.

Il Collegio inoltre chiarisce i imiti entro cui si può esperire un’impugnazione nei confronti del lodo arbitrale: “Va innanzitutto ricordato l’ambito entro il quale può essere impugnata la decisione arbitrale secondo la già richiamata sentenza n. 21 maggio 2001, n. 2807, alla cui impostazione questo Collegio aderisce: " Ne consegue che il lodo emesso in sede di arbitrato irrituale è impugnabile solo per i vizi che possano vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, violenza, dolo, incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico o dell'arbitro stesso) (Cass., Sez. Un., 8 agosto 1990, n. 8010)."……. In particolare, l'errore rilevante deve presentare, a norma dell'art. 1428 c.c. i requisiti della essenzialità e della riconoscibilità e vertere su taluno degli elementi indicati nell'art. 1429 c.c., che le parti abbiano debitamente prospettato agli arbitri stessi; dunque l’errore rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri e ricorrente quando questi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non avere preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa; mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di giudizio, sia in ordine alla valutazione delle prove che in riferimento all'idoneità della decisione adottata a comporre la controversia (Cass., Sez. Un., 8 agosto 1990, n. 8010; Cass. civ., Sez. I, 10 marzo 1995, n. 2802; Cass., Sez. I, 28 novembre 1992, n. 12725; Cass., Sez. Un., 26 gennaio 1988, n. 664). Deve dunque senz’altro escludersi la impugnabilità del lodo arbitrale per errori di giudizio, cioè errori di valutazione dei fatti, ferma restando l’esatta rappresentazione degli stessi. …. Quanto agli errori di diritto, giova osservare che gli stessi non sono del tutto irrilevanti, ai sensi dell’art. 1429 cod. civ., quale causa di annullamento degli atti negoziali: e, invero, l’art. 1429, n. 4, considera essenziale, e dunque possibile causa di annullamento del negozio, l’errore di diritto che sia "stato la ragione unica o principale del contratto"; l’errore di diritto, poi, oltre che determinante, deve essere riconoscibile dall’altro contraente (art. 1428 cod. civ.)…. L’errore di diritto rilevante quale vizio del consenso è quello che si traduce in una erronea rappresentazione dei fatti a causa di una erronea premessa giuridica. Si tratterà, di regola, di errore sulla esistenza o inesistenza di una norma giuridica, e non di un errore di interpretazione e valutazione della portata della norma medesima”.

dott. Matteo Acquasaliente

Consiglio di Stato n. 2641 del 2013

Il Consiglio di Stato chiarisce quando c’è l’uso pubblico di una strada

29 Mag 2013
29 Maggio 2013

La questione giuridica decisa dalla sesta sezione del Consiglio di Stato con la decisione n. 2544 del 10 maggio 2013 trae origine da una deliberazione del Consiglio comunale - di un Comune livornese, Marciana, - che modificava il tracciato di una “strada vicinale” ad uso pubblico perché troppo vicino ad un fabbricato di proprietà di un abitante.

 I vicini avevano impugnato la suddetta delibera innanzi al T.A.R. Toscana deducendo la natura privata del tracciato modificato in quanto, esso, costituiva l'unica via di accesso alle loro proprietà.

 Il Tribunale amministrativo accoglieva il ricorso annullando la deliberazione comunale ritenendo che questa non potesse avere ad oggetto una strada privata.

 Il Comune proponeva appello ed il Consiglio di Stato, prima di decidere, nominava un verificatore con il compito di descrivere i luoghi di causa, chiarire chi usava il viottolo, di che materiale era fatto e se era stato oggetto di manutenzione da parte dell'appellante.

 Il Consiglio di Stato dopo aver enunciato su quale questione giuridica si pronuncerà - ossia: l'accertamento dell'effettiva esistenza di una servitù di uso pubblico sul viottolo – premette che il giudice amministrativo può conoscere in via incidentale di diritti soggettivi quando tale sindacato è necessario  per accertare la legittimità di un provvedimento amministrativo.

In particolare il g.a. ha  il potere di compiere una verifica in ordine alla esistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada, nel caso in cui essa sia finalizzata a stabilire se la delibera comunale che ha regolamentato il percorso attraverso di essa sia o meno legittima. Se la strada ha natura esclusivamente privata, la delibera deve ritenersi invalida.

Il Collegio poi chiarisce quando inizia a decorrere il termine per impugnare una delibera comunale.

L'art. 41, comma 2, del C.p.a.  prevede che il termine decadenziale di sessanta giorni per impugnare  l'atto amministrativo decorre dal momento in cui “l'interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque avuta piena conoscenza, o, per gli atti in cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento”. In base a tale disposizione, la pubblicazione all'albo pretorio non è sufficiente a determinare la presunzione assoluta di piena conoscenza dell'atto da parte dei soggetti, ai quali l'atto direttamente si riferisce e interessati a impugnarlo, ai quali il provvedimento, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, deve essere notificato o comunicato direttamente.

 Infine i giudici d'appello rigettano il ricorso del Comune di Marciana, confermando la sentenza del T.A.R. Toscana n. 1834/2008, in quanto dalla verificazione è emersa la natura esclusivamente privata del tracciato di strada che di conseguenza non poteva essere modificato dalla delibera.

Il Consiglio di Stato chiarisce che per considerare esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada (e quindi farla diventare da strada privata a strada vicinale ad uso pubblico) occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della pubblica amministrazione.

  Rocco Giacobbe Vaccari – Avvocato del Foro di Padova

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DIA: l’ordine di inibizione dei lavori deve essere non solo adottato ma anche notificato entro i 30 giorni

28 Mag 2013
28 Maggio 2013

Della questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 624 del 2013.

Scrive il TAR: "il provvedimento impugnato è illegittimo in quanto non risulta rispettato il termine di trenta giorni, termine che impone, per espressa previsione normativa, che l’ordine di inibizione dei lavori venga non solo adottato ma anche notificato (cui non è quindi in ogni caso equiparabile la sola trasmissione via fax) al soggetto interessato entro il termine suddetto; infatti, come documentato dalla stessa resistente, l’avviso di notifica della comunicazione mediante il servizio postale, attestante la data in cui è stata effettuata la spedizione, porta la data del 12 novembre 2012, quindi oltre i trenta giorni decorrenti dalla data di presentazione della DIA, risalente al 10 ottobre 2012".

Dalla parte di sentenza citata si potrebbe pensare che basti la spedizione da parte del Comune e che non conti il ricevimento da parte dell'interessato, ma dalla lettura dell'intera sentenza sembrerebbe di capire, invece, che il Tribunale con notifica intenda il ricevimento da parte del destinatario.

sentenza TAR Veneto 624 del 2013

Quali opere possono essere progettate dal geometra?

28 Mag 2013
28 Maggio 2013

Il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, con la sentenza del 15 maggio 2013 n. 1108, asserisce che il geometra può progettare un’edicola funeraria in quanto opera ascritta fra le modeste costruzioni civili ex art. 16, lett. m) del R.D. n. 274/1929: tale opera, infatti, non determina né particolari e complesse operazioni di calcolo per la sua progettazione, né pericolo per l’incolumità delle persone: “V.1. Va premesso che in zona sismica, ai sensi dell’art. 17 della L. 64/1974, possono essere eseguite costruzioni su progetto d’ingegneri, architetti, geometri o periti edili iscritti nell’albo, nei limiti delle rispettive competenze. Per delineare, allora, le competenze dei geometri occorre fare riferimento alle norme che disciplinano la specifica figura professionale e, quindi, all’art. 16 del R.D. 274/1929 (Regolamento per la professione di geometra).

Dispone, per quanto d’interesse, tale noma:

"L’oggetto ed i limiti dell’esercizio professionale di geometra sono regolati come segue: …

l) progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso d’industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone; …

m) progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili; ...".

V.2. Ne consegue, in primo luogo, che nei limiti del carattere "modesto" dell’edificio civile, la progettazione può essere eseguita in zona sismica anche da un geometra e, in secondo luogo, che tale competenza del professionista permane anche - ai sensi dell’art. 2 della l. n. 1086/1971 (Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso e a struttura metallica), ora ribadito anche dall’art. 64, comma 2, del T.U. Edilizia approvato con d.P.R. n. 380/2001 - nelle ipotesi in cui il progetto di un edificio modesto preveda l’impiego di cemento armato.

È stato in proposito affermato da condivisibile giurisprudenza:

A) che spetta "al G.A. il sindacato sulla valutazione circa l’entità quantitativa e qualitativa della costruzione al fine di stabilire se la stessa … rientri o meno nella nozione di "modesta costruzione civile", alla cui progettazione è limitata la competenza professionale del geometra, ai sensi degli art. 16 ss. r.d. 274/1929" (Tar Salerno 9772/2010);

B) che "il geometra è sempre abilitato alla progettazione di "modeste costruzioni civili"; e che tale competenza permane anche per le costruzioni a struttura metallica o per quelle che richiedano l’impiego di conglomerato cementizio armato normale o precompresso, a condizione - in questo caso - che persista la qualificazione di edificio civile "modesto"…" (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 22 aprile 2011, n. 1022; nello stesso senso: Cons. St., sez. V, 16 settembre 2004, n. 6004);

C) che i limiti posti dal predetto art. 16, lettera m), alla competenza professionale dei geometri, se è pur vero che rispondono a una scelta inequivoca del legislatore dettata da evidenti ragioni di pubblico interesse, lasciano nella sostanza all’interprete ampi margini in ordine alla valutazione dei requisiti della "modestia" della costruzione, della non necessità di complesse operazioni di calcolo e dell’assenza d’implicazioni per la pubblica incolumità.

Della questione, va ricordato, si è già occupato, tra gli altri, con sentenza 5 marzo 2009, n. 134, il anche il T.A.R. Abruzzo, "che in tale occasione ha precisato che il criterio per accertare se una costruzione sia da considerare modesta, e rientri quindi nella competenza professionale dei geometri, vada individuato nelle difficoltà tecniche che la progettazione e l’esecuzione dell’opera comportano e nelle capacità occorrenti per superarle; ed ha ritenuto che a questo fine assumono specifico rilievo, oltre alla complessità della struttura e delle relative modalità costruttive, anche, ma in via complementare, il costo presunto dell’opera, in quanto si tratta di un elemento sintomatico che vale ad evidenziare le difficoltà tecniche che coinvolgono la costruzione.

In aggiunta, ha anche precisato che la competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili riguarda anche le piccole costruzioni accessorie in cemento armato che non richiedono particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone" (T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 16 novembre 2010, n. 1213).

V.3. "Il Collegio non ignora la sussistenza di un contrario orientamento, manifestato dalla giurisprudenza civile (Cass., II, 17028/2006, e 19292/2009), che ha considerato nulli sul piano civilistico i contratti d’opera professionale stipulati da geometri in quanto aventi ad oggetto la realizzazione di opere in cemento armato. Si tratta, tuttavia, di una ricostruzione del dato normativo non condividibile in quanto non tiene conto del fatto che anche le norme relative alle costruzioni in cemento armato, così come quelle dettate per le zone sismiche, fanno espresso richiamo "per relationem" alle competenze stabilite dall’ordinamento professionale dei geometri" (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 22 aprile 2011, n. 1022)”.

Per quanto riguarda il rapporto tra la competenza professionale del geometra e quella dell’ingegnere, il T.A.R. Puglia afferma che: “In altri termini, non siamo in presenza di un progetto ascritto solo al geometra; ma di una progettazione effettuata a più mani, nella quale l’apporto dell’ingegnere risulta prevalente sul piano quantitativo e tecnico, mentre quello del progettista/geometra è secondario e per certi versi atecnico, essendo limitato a definire l’aspetto esteriore dell’edificio. "La predetta conclusione risulta avvalorata anche dalla giurisprudenza (Cons. Stato, V, 83/1999) che ha precisato il ruolo da attribuire, nella progettazione, all’intervento del tecnico laureato: "In materia di progettazione delle opere private, lo scopo perseguito dalla disciplina legislativa che stabilisce i limiti di competenza dei geometri e periti edili e indica i progetti per i quali è invece necessario l’intervento di un ingegnere o di un architetto (art. 16 r.d. 11 febbraio 1929, n. 275, art. 1 r.d. 16 novembre 1939 n. 2229, l. 24 giugno 1923 n. 1395 e r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537) consiste, non nel garantire una buona qualità delle opere sotto il profilo estetico e funzionale, ma unicamente nell’assicurare l’incolumità delle persone; …. e se - a tali fini - viene ritenuta sufficiente in giurisprudenza la "ratifica, con assunzione di responsabilità" ad opera di un ingegnere del progetto redatto da un geometra; allora si deve ritenere che - a maggior ragione - sia legittimo ed ammissibile il progetto che un geometra abbia redatto solo per la parte architettonica, allorquando lo stesso contempli gli elaborati tecnico strutturali firmati tutti da un ingegnere" (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 22 aprile 2011, n. 1022)”. 

Analogamente a quanto supra affermato, anche il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 14 maggio 2013 n. 2617, chiarisce che: “in base al regolamento professionale di cui al citato r.d. n. 274/1929, e precisamente l’art. 16, lett. m), il geometra può essere incaricato di progettare "modeste costruzioni civili", laddove, ai sensi dell’art. 1 del r.d. n. 2229/1939 ("Norme per la esecuzione di opere in conglomerato cementizio semplice od armato"), la progettazione delle opere comportanti l’impiego di tale tecnica costruttiva, "la cui stabilità possa comunque interessate l’incolumità delle persone", è riservata agli ingegneri o agli architetti.

In aderenza al dato normativo in questione, che si impernia dunque sul pericolo per l’incolumità pubblica, ancora di recente questo Consiglio di Stato ha ricordato che è inibita al geometra la progettazione di opere in cemento armato a destinazione abitativa strutturate su più piani (Sez. IV, sentenza 14 marzo 2013 n. 1526).

Su posizioni non dissimili si pone l’incontrastata giurisprudenza della Cassazione.

Secondo il giudice di legittimità, la competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili è circoscritta alle costruzioni in cemento armato con destinazione agricola, in quanto non richiedenti particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per la incolumità delle persone, mentre per le costruzioni civili con struttura portante in cemento armato, ancorché di modeste dimensioni, ogni competenza è riservata ad ingegneri ed architetti (da ultimo: Sez. II, 2 settembre 2011, n. 18038; in precedenza: 30 marzo 1999, n. 3046; 21 dicembre 2006, n. 27441; 7 settembre 2009, n. 19292)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Puglia n. 1108 del 2013

Consiglio di Stato n. 2617 del 2013

Nella parte del 2013 che resta i Comuni potranno acquisire immobili mediante l’esproprio?

28 Mag 2013
28 Maggio 2013

L’art. 12, c. 1-quater del D. L. 06.07.2011, convertito con modificazioni dalla legge 15.07.2011 n. 111, stabilisce che: Per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e successive modificazioni, nonché' le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso ne' stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell'articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30 luglio 2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto  dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto”.

 Alla luce di ciò, la giurisprudenza maggioritaria della Corte dei Conti (Corte dei Conti, sez. contr. Liguria, deliberazione del 25 gennaio 2013 n. 9; Corte dei Conti, sez. contr. Basilica, parere 5 marzo 2013 n. 36) ha esteso tale divieto anche agli acquisti dei beni immobili necessari per le procedure espropriative, salvo riconoscerne l’esclusione per quei procedimenti (espropriativi) ormai pervenuti agli atti conclusivi della fase costitutiva dell’effetto traslativo (Corte dei Conti, sez. contr. Piemonte, parere 28 marzo 2013 n. 52).

Si evidenzia però che, grazie all’iniziativa dell’ANCE (Unione Nazionale Costruttori Edili), è in corso un iter legislativo volto ad escludere dal divieto di acquisto de quo gli immobili soggetti alle procedure espropriative: la proposta di emendamento - o meglio la proposta di interpretazione autentica - prevede che: “Dopo l’articolo 10 è inserito il seguente:Art. 10-bis. – (Norma di interpretazione autentica dell’articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). – 1. Nel rispetto del patto di stabilità interno, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, di cui all’articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, non si applica alle procedure relative all’acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327”.

Allo stato attuale sembra che la Camera dei Deputati abbia già approvato tale emendamento (C. 676) nella seduta del 15 maggio 2013, mentre il Senato della Repubblica lo stia esaminando (S. 662) - almeno in data 22 maggio 2013 - in Commissione Bilancio.

dott. Matteo Acquasaliente

Corte Conti Piemonte PAR 52 del 2013

DDL

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