Secondo il Consiglio di Stato la “pergotenda” è un elemento di arredo che non comporta aumenti di volume

17 Apr 2014
17 Aprile 2014

La circolare di Roma Capitale n. 19137 del 9 marzo 2012 – definisce la ‘pergotenda’ quale manufatto rientrante nell’attività edilizia libera, come «struttura di arredo, installata su pareti esterni dell’unità immobiliare di cui è ad esclusivo servizio, costituito da struttura leggera e amovibilie, caratterizzata da elementi in metallo o in legno di esigua sezione, coperta da telo anche retrattile, stuoie in canna o bambù o materiale in pellicola trasparente, priva di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere, costituita da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non demolizione».

Dalla lettura della sentenza del Consiglio di Stato n. 1777 del 2014 sembrerebbe che a fare la differenza sia l'ancoraggio oppure no al pavimento del terrazzo pertinenziale dell’appartamento dei pali di sostegno della struttura: se manca l'ancoraggio l'opera non costituisce aumento di volume o di superficie e rientra nell'attività edilizia libera. 

Che poi a me non sia tanto chiaro cosa renda ontologicamente diversa una struttura ancorata al pavimento da una ancorata alle pareti esterne forse è indizio di scarsa vocazione per le sfumature. 

Scrive il Consiglio di Stato:  "Merita, in primo luogo, accoglimento il motivo di error in iudicando costituito dall’erronea valutazione delle caratteristiche di fatto connotanti l’opera in oggetto, atteso il mancato ancoraggio – invece erroneamente supposto dal T.a.r. – dei pali di sostegno della struttura in esame al pavimento del terrazzo pertinenziale dell’appartamento dell’appellante (infatti, nel verbale di sopralluogo della Polizia municipale, posto a base degli impugnati provvedimenti, si discorre di pali «poggiati sul pavimento», e non già di pali ancorativi in modo fisso; v., altresì, la documentazione fotografica, in atti), con conseguente facile amovibilità della struttura medesima. La struttura in esame, quale descritta sopra sub § 1. – costituita da due pali dello spessore di 8,50 cm x 11,50 cm poggiati sul pavimento del terrazzo a livello e da quattro traverse con binario di scorrimento a telo in PVC della superficie di 15 mq e dell’altezza variabile da 2,80 m a 2,10 m, ancorata al sovrastante balcone e munita di una copertura rigida di 0,80 (in aggetto) x 5,00 m a riparo del telo retraibile (v. il citato verbale e la documentazione fotografica) –, non configura né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né l’alterazione del prospetto o della sagoma dell’edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, della sua facile e  completa rimuovibilità, dell’assenza di tamponature verticale e della facile rimuovibilità della copertura orizzontale (addirittura retraibile a mezzo di motore elettrico). La stessa deve, invece, qualificarsi alla stregua di arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno all’appartamento cui accede, in quanto tale riconducibile agli interventi manutentivi non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001. Ne consegue la fondatezza del motivo d’appello, di erronea reiezione della censura di violazione degli artt. 3, 6, 10 e 33 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e 14 e 16 l. reg. - Lazio 11 agosto 2008, n. 15, avendo gli impugnati provvedimenti erroneamente qualificato l’opera in oggetto come intervento di «ristrutturazione edilizia e/o cambio di destinazione d’uso da una categoria all’altra», anziché come semplice intervento di natura manutentiva rientrante nell’attività edilizia c.d. libera".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 1777 del 2014

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