Si può annullare in autotutela un atto illegittimo che elargisce somme pubbliche

13 Ott 2014
13 Ottobre 2014

Il T.A.R. Trentino, Trento chiarisce che, di regola, l’annullamento in autotutela non può essere giustificato solamente dalla illegittimità dell’atto. Questo principio, però, è derogato qualora si tratti di elargizioni indebite di denaro pubblico, essendo atti dovuti e privi di ogni discrezionalità amministrativa.

Nella sentenza n. 339 del 2014 infatti si legge che: “La revoca, in termini generali, è l’atto di secondo grado che consente di far cessare, pro futuro, gli effetti di un provvedimento amministrativo (legittimo) avente efficacia prolungata nel tempo, a cagione di una rinnovata valutazione degli interessi implicati nell’atto, ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto, allo scopo di assicurare la permanente rispondenza dell’assetto provvedimentale all’interesse pubblico (cfr., art. 21 quinquies, l. 7.8.1990, n. 241).

7b. Diversamente, gli atti che siano ab initio viziati di illegittimità, sono annullabili, con effetti ex tunc, non solo dal giudice amministrativo ma anche, in sede di autotutela, dalla stessa Amministrazione pubblica.

La garanzia dell’affidamento del privato che confida, quandanche senza colpa, nella stabilità dell’atto illegittimo, si risolve nel dovere di motivazione che ricade sull’Amministrazione procedente. L’esercizio del potere di annullamento in autotutela non è soggetto a termini, salvo che non sia decorso un periodo di tempo macroscopicamente eccessivo tale da ingenerare l’affidamento dei consociati (non già nell’inesistente legittimità del provvedimento, quanto piuttosto) nell’avvenuta convalescenza dell’atto.

La codificazione del generale potere di annullamento d’ufficio risale alla novella legislativa che, nel 2005, ha inserito nella l. 7.8.1990, n. 241, gli artt. 21 octies e 21 nonies. La disciplina positiva prevede dunque che, ove ricorrano i classici vizi dell’atto amministrativo, l’Organo che ha emanato l’atto illegittimo ha sempre il potere di procedere, d’ufficio, all’annullamento dello stesso; il provvedimento di secondo grado deve essere sostenuto da ragioni di pubblico interesse e l’Amministrazione deve agire entro un termine, elastico ma ragionevole, e tenere in considerazione gli interessi tanto dei destinatari quanto degli eventuali controinteressati.

7c. Se la successiva giurisprudenza amministrativa ha precisato, in linea generale, che la mera volontà di ripristinare la legittimità dell’azione amministrativa non può, essa sola, fondare un provvedimento di secondo grado (cfr., C.d.S., sez. IV, 15.2.2013, n. 915), tuttavia, la stessa giurisprudenza, graniticamente, riconosce che il fine di ridurre o recuperare indebite elargizioni di denaro pubblico fonda, ex se, l’annullamento di un provvedimento viziato. Si veda, da ultimo, C.d.S., sez. III, 9.6.2014, n. 2903, che ha affermato che il recupero di somme non spettanti è atto dovuto poiché “l'interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione, in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l'atto oggetto di recupero produce di per sé un danno per l'Amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo, ed un vantaggio ingiustificato per il privato” (cfr. anche C.d.S., sez. VI, 9.6.2014, n. 2934; sez. VI, 10.5.2013, n. 2539; sez. V, 15.11.2012, n. 5772; sez. VI, 14.7.2011, n. 4284; sez. IV, 4.2.2008, n. 293; sez. VI, 27.11.2002, n. 6500; Cons. Giust. Amm. Sic., 20.1.2014, n. 15)

La revoca, in termini generali, è l’atto di secondo grado che consente di far cessare, pro futuro, gli effetti di un provvedimento amministrativo (legittimo) avente efficacia prolungata nel tempo, a cagione di una rinnovata valutazione degli interessi implicati nell’atto, ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto, allo scopo di assicurare la permanente rispondenza dell’assetto provvedimentale all’interesse pubblico (cfr., art. 21 quinquies, l. 7.8.1990, n. 241).

7b. Diversamente, gli atti che siano ab initio viziati di illegittimità, sono annullabili, con effetti ex tunc, non solo dal giudice amministrativo ma anche, in sede di autotutela, dalla stessa Amministrazione pubblica.

La garanzia dell’affidamento del privato che confida, quandanche senza colpa, nella stabilità dell’atto illegittimo, si risolve nel dovere di motivazione che ricade sull’Amministrazione procedente. L’esercizio del potere di annullamento in autotutela non è soggetto a termini, salvo che non sia decorso un periodo di tempo macroscopicamente eccessivo tale da ingenerare l’affidamento dei consociati (non già nell’inesistente legittimità del provvedimento, quanto piuttosto) nell’avvenuta convalescenza dell’atto.

La codificazione del generale potere di annullamento d’ufficio risale alla novella legislativa che, nel 2005, ha inserito nella l. 7.8.1990, n. 241, gli artt. 21 octies e 21 nonies. La disciplina positiva prevede dunque che, ove ricorrano i classici vizi dell’atto amministrativo, l’Organo che ha emanato l’atto illegittimo ha sempre il potere di procedere, d’ufficio, all’annullamento dello stesso; il provvedimento di secondo grado deve essere sostenuto da ragioni di pubblico interesse e l’Amministrazione deve agire entro un termine, elastico ma ragionevole, e tenere in considerazione gli interessi tanto dei destinatari quanto degli eventuali controinteressati.

7c. Se la successiva giurisprudenza amministrativa ha precisato, in linea generale, che la mera volontà di ripristinare la legittimità dell’azione amministrativa non può, essa sola, fondare un provvedimento di secondo grado (cfr., C.d.S., sez. IV, 15.2.2013, n. 915), tuttavia, la stessa giurisprudenza, graniticamente, riconosce che il fine di ridurre o recuperare indebite elargizioni di denaro pubblico fonda, ex se, l’annullamento di un provvedimento viziato. Si veda, da ultimo, C.d.S., sez. III, 9.6.2014, n. 2903, che ha affermato che il recupero di somme non spettanti è atto dovuto poiché “l'interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione, in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l'atto oggetto di recupero produce di per sé un danno per l'Amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo, ed un vantaggio ingiustificato per il privato” (cfr. anche C.d.S., sez. VI, 9.6.2014, n. 2934; sez. VI, 10.5.2013, n. 2539; sez. V, 15.11.2012, n. 5772; sez. VI, 14.7.2011, n. 4284; sez. IV, 4.2.2008, n. 293; sez. VI, 27.11.2002, n. 6500; Cons. Giust. Amm. Sic., 20.1.2014, n. 15)”.

Ancora si legge che: “Il provvedimento impugnato consiste in un annullamento legittimamente disposto, ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, dall’Ente che aveva adottato la determinazione parzialmente illegittima sulla base della quale, nel periodo settembre 2000 - agosto 2010, era stato concesso ed erogato l’assegno di cura in misura superiore a quella spettante in base al requisito reddituale tassativamente imposto dalla legge provinciale.

Difatti, come già anticipato, è principio giurisprudenziale da tempo consolidato che la ripetizione di somme indebitamente corrisposte dalla Pubblica amministrazione ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, ai sensi dell'art. 2033 c.c., di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse a cui sono istituzionalmente destinate quelle somme.

Tale doverosità esclude, pertanto, che l'Amministrazione sia tenuta a fornire una specifica motivazione, oltre all'ovvia indicazione delle ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto a quel sussidio. In altri termini, poiché l’atto di annullamento in autotutela non ha natura provvedimentale - perché non emanato nell’esercizio di attività discrezionale (cfr., C.d.S., sez. IV, 20.9.2012) - non è per esso richiesta alcuna comparazione tra gli interessi pubblici e quelli del privato coinvolti, se non sotto il limitato aspetto delle esigenze di vita del debitore.

Ne consegue che la buona fede del percipiente ed il suo affidamento nella stabilità dell'erogazione non costituiscono alcun ostacolo all'esercizio della facoltà di recupero in capo al creditore, neppure quando intervenga a lunga distanza di tempo dalla corresponsione. Né può ostare alla ripetizione l'avvenuta destinazione delle somme erogate alla soddisfazione delle esigenze di vita dell’interessato e dei suoi familiari. Tali fattori comportano unicamente l'obbligo dell'Amministrazione di procedere al recupero con modalità tali da non incidere significativamente sulle esigenze del debitore (cfr., da ultimo, C.d.S., sez. III, 3.2.2014, n. 470; sez. III, 12.9.2013, n. 4513; sez. III, 4.9.2013, n. 4429; sez. VI, 17.6.2009, n. 3950)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Trento n. 339 del 2014

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