Valutazione unitaria degli abusi edilizi e non parcellizzazione: un principio che può risultare disfunzionale

06 Feb 2025
6 Febbraio 2025

Nelle sentenze del giudice amministrativo si trova spesso l'affermazione che gli abusi edilizi di un edificio vanno valutati tutti insieme in modo unitario e non vanno trattati separatamente, in modo parcellizzato.

Se si prova a capire se sussista un generale dovere normativo di fare così, non lo si trova.

Alla fine si scopre che si tratta di uno di quei orientamenti giurisprudenziali consolidati che vengono applicati in modo un po' meccanico, senza considerare se nel singolo caso specifico esso apporti una qualche utilità all'ordinato assetto del territorio oppure se crei solo problemi insolubili o eccessivamente gravosi per il proprietario dell'immobile, che molto spesso non è il responsabile dell'abuso o delle difformità e che si trova a dover gestire una situazione ereditata dagli avi oppure frutto di un infelice acquisto da terzi. 

Per esempio, nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5749 del 2023 si legge: "Laddove vengano contestati una serie di abusi effettuati sul medesimo immobile non può effettuarsi una loro valutazione parcellizzata per individuare quelli assentibili con una semplice d.i.a. e quelli che necessitano di un permesso di costruire. Costituisce, al contrario, un orientamento consolidato che la valutazione di una pluralità di abusi deve essere complessiva: “la valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni” (Cons. Stato, Sez. VI, 19 aprile 2023, n. 3964; nello stesso senso sez. VI, 18 ottobre 2022, n.8848).

Il principio, già prima del Salva Casa, appariva ragionevole in alcuni casi: per esempio, se nella fase di costruzione di un edificio si realizza un aumento di volume di 100 mq, mentre l'indice del lotto avrebbe consentito un aumento massimo di 50 metri cubi, l'interessato non poteva (e non può) pretendere di sanare 50 cubi con l'articolo 36 (doppia conformità) e fiscalizzare gli altri 50. E mi sembra giusto così.

Però in altri casi concreti, già prima del decreto Salva Casa, applicando questo principio spesso si rinvenivano situazioni  inutilmente complicate e che non sembravano affatto rispondenti a criteri di giustizia sostanziale: per esempio, in fase di costruzione di una casa negli anni '70 era stato effettuato un piccolo aumento di volume (trasformabile in 20 mq con la regola del diviso 5 per 3 del primo condono edilizio della legge 47/1985), che eccedeva la tolleranza del 2%, ma che sarebbe stato sanabile per doppia conformità ex art. 36 D.P.R. 380 del 2001.  Nel corso della successiva costruzione di un accessorio affiancato alla casa, negli anni '80, era stata realizzato anche lì un piccolo aumento di volume che eccedeva le tolleranze: sommando i due aumenti di volume, si eccedeva l'indice attuale del lotto e, quindi, non si poteva sanare insieme le due difformità con l'articolo 36. Il buon senso pratico avrebbe suggerito di sanare la prima difformità con l'articolo 36 e di fiscalizzare la seconda. L'applicazione del principio della valutazione unitaria degli abusi ha costretto l'incolpevole proprietario a fiscalizzare entrambi gli abusi, spendendo una somma spropositata in relazione alla modestia delle difformità.

La situazione è diventata ancora più complicata dopo il Salva Casa, che con i vari articoli da 34 a 36 ha introdotto svariati casi particolari di sanatorie legate anche anche alla realizzazione degli abusi o delle difformità entro una certa data. Supponiamo, per esempio, che un edificio costruito prima del 1977 sarebbe sanabile con l'articolo 34 ter, ma che negli anni '80 sia stato effettuato un ampliamento affiancato, sanabile con l'articolo 36 bis. Il principio di valutazione unitaria consentirebbe di sanare gli abusi solo insieme e solo se sia applicabile a entrambi l'articolo 36 bis. Ma, se non ci sono per entrambi i presupposti dell'articolo 36 bis, non si riesce a sanare nulla. Ma le due difformità sono ben distinte e individuabili e non si capisce quali utilità riceva l'ordinato assetto del territorio dal fatto che le due difformità debbano per forza essere sanate insieme o non essere sanabili entrambe.

Quindi, a mio parere, bisognerebbe distinguere caso per caso quando abbia un senso valutare gli abusi in modo unitario e non parcellizzato e quando questo senso non ci sia.

Post di Dario Meneguzzo - Avvocato

Sentenza CDS 5749 del 2023

8 replies
  1. Anonimo says:

    A mio avviso ci sarebbe una valutazione di fondo da fare:
    In materia edilizia, vige da sempre il principio per cui su opere abusive non è consentito alcun intervento edilizio, neanche quelli più semplici e privi di titolo abilitativo in regime ordinario, come la manutenzione ordinaria. Questo divieto è espressione della considerazione secondo cui un’opera abusiva, non essendo legittimamente esistente nell’ordinamento urbanistico, non può costituire oggetto di interventi che ne presuppongano la validità giuridica.

    Nel caso specifico: come mai si è permesso negli anni ’80 di effettuare un ampliamento, su un immobile abusivo?

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  2. Alv says:

    Offro un mio contributo sebbene tardivo.
    Semplificando brutalmente…

    Dato un certo intervento, sia che il titolo abilitativo venga acquisito in via preventiva sia che venga acquisito in sanatoria, si applicano i medesimi criteri. La legge italiana consente di acquisire in sanatoria il medesimo titolo che sarebbe stato necessario acquisire in via ordinaria. Le differenze riguardano unicamente le oblazioni/sanzioni e la verifica della doppia conformità.

    Quindi: se devo effettuare un intervento edilizio 1) lo valuto nel suo complesso, 2) lo qualifico giuridicamente (manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro, ristrutturazione etc.), 3) stabilisco quale sia il titolo abilitativo idoneo e 4) procedo ad acquisirlo. Non faccio spezzatino dell’intervento presentando un mix di titoli.
    Se l’intervento l’ho già effettuato, devo procedere ad acquisire il medesimo titolo ma in sanatoria. E anche in questo caso il criterio è il medesimo: non posso fare spezzatino (“parcellizzare”). Esattamente come nella modalità ordinaria.

    Perchè non si può parcellizzare un intervento, tanto “ex ante” che “ex post” (sanatoria)? Per molti motivi (verifica indici urbanistici, lettura e interpretazione complessiva dell’intervento etc.) ma quello fondamentale secondo me è il seguente: la regolazione dell’attività edilizia in Italia si fonda sulla qualificazione degli interventi edilizi (manutenzione, restauro/risanamento, ristrutturazione e nuova costruzione). Dalla qualificazione dell’intervento seguono una serie di conseguenze: il titolo abilitativo necessario, il livello di controllo della PA conseguente, l’applicazione graduata della normativa tecnica (se l’intervento è una ristrutturazione il progetto dovrà garantire requisiti più stringenti rispetto al caso della manutenzione straordinaria) e infine le conseguenze in caso di condotte illegittime (banalmente: demolizione o sanzione). E’ evidente che la parcellizzazione dell’intervento mina alle fondamenta questo sistema: spacchettando l’intervento generalmente se ne modifica la qualificazione giuridica e tutto il castello di tutele, verifiche, obblighi etc. va a catafascio.

    Naturalmente come la “parcellizzazione” comporta storture del sistema anche l’operazione contraria (cioè l’unione di più interventi) ha lo stesso effetto. Qui sarebbe necessario aprire una parentesi e spendere qualche parola sul concetto di “intervento”. In particolare dovremmo chiederci quali elementi dobbiamo valorizzare per stabilire se un determinato insieme di opere costituisca un singolo intervento o più interventi distinti.
    Questo perchè a volte non è semplice distinguere tra due interventi distinti da uno singolo che si è protratto nel tempo in maniera indefinita. Purtroppo chi commette abusi generalmente non comunica inizio e fine lavori….

    Quanto alla applicazione pratica (“Supponiamo, per esempio, che un edificio costruito prima del 1977…”) per come è stata posta la questione i due abusi costituiscono interventi distinti (il primo riguarda opere in difformità da un titolo, il secondo opere in assenza di titolo) e come tali DEVONO essere trattati separatamente.
    Il problema potrebbe semmai essere quello di dimostrare che gli interventi sono effettivamente due e non uno solo spalmato su un arco temporale molto ampio. Ad esempio: se il primo abuso consiste in opere in difformità (mancanza di una variante) ciò potrebbe essere evidenziato da una fine lavori (interruzione dei lavori), dal catasto originale e/o dalla agibilità. Se riesco a collocare il successivo ampliamento in un epoca distinta mi pare che non ci siano dubbi sul fatto che gli interventi edilizi siano due quindi come all’epoca avrei dovuto acquisire due titoli separati così devo fare oggi.

    Aggiungo che anche il Consiglio di Stato (l’ho letto pochi giorni fa ma non ho la sentenza sotto mano) è riuscito ad ammettere che il divieto di parcellizzazione ammette deroghe o eccezioni (hanno usato proprio uno di questi termini, dimostrando di non avere molto chiaro il concetto) nel caso sia evidente che ci si trovi di fronte ad interventi edilizi distinti.

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  3. Anonimo says:

    Infatti la SCIA sanante le varianti di titoli abilitativi rilasciati ante L. 10/77 incontra un limite, ovvero la verifica di tutte le eventuali irregolarità edilizie realizzate posteriormente al periodo di efficacia del medesimo titolo.

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  4. Anonimo says:

    Scusi Avvocato, dove è scritto nella legge n. 105/2024 la non sanabilità degli abusi separati?

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  5. Anonimo says:

    “Non condivido pienamente la visione espressa, in quanto ritengo che la valutazione unitaria sia, invece, la soluzione più coerente per garantire una gestione armoniosa e razionale degli abusi. Sebbene le due difformità—quella relativa all’edificio pre-1977 e l’ampliamento degli anni ’80—possano sembrare giuridicamente separate, è fondamentale considerare il contesto complessivo dell’opera.

    La necessità di trattare gli abusi in modo unitario non nasce dalla volontà di complicare il processo, ma dalla logica di mantenere l’integrità dell’edificio e del suo sviluppo. L’approccio parcellizzato, infatti, potrebbe risultare controproducente, poiché rischia di separare interventi che sono parte di un progetto complessivo, con il risultato di una regolamentazione frammentata che non rispetta appieno l’assetto territoriale.

    Il principio di valutazione unitaria, se applicato correttamente, consentirebbe di sanare l’abuso nel suo insieme, rispettando la coerenza progettuale e dando un senso compiuto alla regolarizzazione. Separare le difformità senza una visione globale dell’edificio e del suo ampliamento potrebbe condurre a soluzioni giuridiche che non riflettono la realtà delle opere realizzate.

    Pertanto, è fondamentale che, quando possibile, le difformità vengano trattate insieme, applicando la normativa in modo unitario, per evitare che il singolo caso venga risolto in maniera parziale, con potenziali ricadute negative sull’assetto territoriale.”

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  6. Anonimo says:

    “In effetti è necessario aggiornare le FAQ per includere anche il caso da Lei indicato. Mi sembra che ci fossimo fermati agli anti ’77, ma ora emergono altre ipotesi relative a opere realizzate successivamente.”

    Rispondi
  7. Anonimo says:

    “Mi sembra evidente che si tratta di applicare una strategia mirata a contrastare gli ‘artificiosi frazionamenti’ degli interventi su un immobile, operati da un unico soggetto con l’intento di eludere normative urbanistiche o fiscali, in modo tale da nuocere agli interessi pubblici. In caso contrario questi frazionamenti, sarebbero utilizzati per mascherare modifiche sostanziali alla proprietà, anche se considerati come una forma di abuso, volta a ottenere vantaggi ingiustificati a danno della collettività.”

    Rispondi

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