La cd. legge Salva Milano: peggio la toppa dello squarcio?
Pende all’esame del Senato un disegno di legge che dovrebbe fornire un’interpretazione autentica della l. 1150/1942: secondo le cronache, ciò dovrebbe favorire una soluzione alle indagini penali per i presunti abusi edilizi commessi a Milano.
Al seguente link è possibile ascoltare l’intervento e leggere la relazione dell’avv. prof. Paolo Urbani in Commissione VII al Senato: https://www.pausania.it/audizione-del-4-2-2025-presso-la-commissione-viii-del-senato-del-prof-urbani-sul-ddl-1309-interpretazione-autentica-in-materia-urbanistica-ed-edilizia/.
Il prof. Urbani ha riflettuto sulle conseguenze che possono avere interventi edilizi impattanti in assenza di pianificazione attuativa.
Altri giuristi sollevano il dubbio se una legge asseritamente di interpretazione autentica possa o no essere applicata retroattivamente (nel caso di specie, alle edificazioni già eseguite, peraltro in pendenza di indagini penali già annunciate) e, ove non possibile, quali effetti avrà la legge, se approvata.
Padova- Due appartamenti e un negozio sono diventati 21 alloggi Airbnb. In un condominio spuntano 21 mini appartamenti per turisti- “Gli impianti e le fogne non reggono”-
Immagino tutto fatto nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia, tenendo conto degli interessi pubblici e privati che si intrecciano nel contesto urbanistico, affinché non ci sia un aumento incontrollato o uno sfruttamento eccessivo delle risorse, ma piuttosto un uso che rispetti l’equilibrio tra crescita, sostenibilità e qualità della vita, utilizzato in modo razionale e rispettoso, bilanciando le esigenze dei cittadini, delle imprese, e degli enti pubblici.
Questo approccio cerca di evitare che i cambiamenti nel territorio, anche se legittimi e desiderati, possano avere effetti collaterali dannosi, come il sovraccarico dei servizi pubblici o l’insostenibilità ambientale.
Mi sembra che un aumento incontrollato sia oramai una cosa appurata- Dal servizio di “presa diretta” di ieri sera, si capisce cosa succede.
A Milano, a prendere il posto di negozi di quartiere come latterie, edicole e alimentari sono ora minuscoli mono o bilocali, con condizioni di vivibilità spesso al limite. Mentre prezzi più accessibili spingono i nuovi cittadini ad abitare in vecchi seminterrati, magazzini e garage sottoterra.
Del resto, per il regolamento edilizio di Milano per essere abitabile un appartamento deve avere una dimensione minima di 20 metri quadri (a meno che lo stabile sia antecedente al 1975, come gran parte del patrimonio immobiliare cittadino che ben poco ha di moderno: non è raro, quindi, imbattersi in annunci di monolocali di 14 metri quadri (a 750 euro al mese), o abitazioni al piano terra con tanto di saracinesca (la celebre “cler” milanese) ricavate all’interno di ex negozi, spazi ridotti con minuscole finestre direttamente su strada. Case che, spesso, non hanno neanche la certificazione richiesta per beni immobili destinati a uso residenziale, ma presentano ancora la categoria catastale C1 riservata a negozi, laboratori e botteghe.
Micro appartamenti moltiplicati come funghi al posto dei vecchi negozi di quartiere, segno tangibile di una realtà urbana che cambia e che sostituisce latterie, alimentari, ferramenta e edicole con mono o bilocali dal letto a castello e il tavolo ribaltabile a due passi dal lavandino del bagno, pronto per le esigenze del popolo degli affitti brevi (nella settimana del Fuorisalone, ad esempio, si possono guadagnare circa 4.500 euro in media) o degli studenti di passaggio. Tutto dietro la serranda, da alzare e abbassare ogni mattina. Le finestre? Più che altro semplici prese d’aria il più delle volte in alto, dove un tempo era posizionata l’insegna del negozio, o direttamente su strada. Non proprio il massimo, in una città più che mai segnata da furti e piccola criminalità.
Ma non solo. Se le nuove case non ci sono, e il territorio della città è assai limitato, i nuovi alloggi per la Milano del futuro si ricavano anche…sottoterra. Sono infiniti gli scantinati, i seminterrati e quelli che un tempo erano dei garage o dei magazzini. Appartamenti sotto il livello dell’asfalto, protetti da grosse inferriate dove la luce del sole penetra a malapena, a pochi centimetri dalle scarpe dei passanti (e, purtroppo, anche dalle deiezioni dei loro animali da compagnia). Per non parlare dello smog dei tubi di scappamento delle auto e della polvere, che entra in grandi quantità in questi appartamenti poco arieggiati, e dell’umidità di una città d’acqua (per quanto nascosta sotto il cemento) come Milano.
Del resto, per considerarsi abitabile, un seminterrato ha dovuto soddisfare fino a poco tempo fa l’altezza minima dei locali a 2,70 metri. Un decreto più recente (2015) ha stabilito che addirittura, in presenza di pannelli di riscaldamento radiante a pavimento, questo requisito sarebbe potuto scendere a 2,60 metri, ridotti poi a 2,40 dal Salva Casa di Matteo Salvini che nel 2024 ha sancito l’abitabilità per i sottotetti, i facili cambi di destinazione d’uso e tolleranze costruttive, cioè differenze consentite tra quanto autorizzato e quanto realizzato, sdoganando di conseguenza le microcase. Ma c’è molto altro, ovviamente, all’interno del concetto di vivibilità. Un sacrosanto diritto sempre sacrificato in nome delle cifre convenienti, fino al 30/40 per cento in meno del valore di mercato per quanto riguarda le “case-bottega”, in una città dove il prezzo medio del mattone è 5.466 €/m² (quello nazionale è 1.903 €/ m²). Il costo di vivere in una città esclusiva, che nasconde chi non può permettersi i costi esorbitanti delle case dietro a una saracinesca, o addirittura sottoterra.
fanpage.it
L’osservatorio mostra quanta superficie può permettersi di acquistare con un mutuo, in media, un lavoratore in base al reddito netto medio: un operaio 19 mq (1.360€), un impiegato 25 mq (1.836€), un quadro 48 mq (3.477€) e un dirigente 105 mq (7.638€). Case minuscole, soprattutto per operai e impiegati.
Verrebbe da dire: Taglie minuscole, ma il problema è anche la soglia minima di abitabilità: 19 metri quadri sono pochi anche per la nuova normativa che ha fissato a 20 mq (prima era 28) la dimensione minima dei monolocali.
© MilanoToday
Infondo si tratta di condomini in cui le persone vivono senza bisogno di uscire;
Nei dintorni ci sono tutti i servizi, dalle scuole agli ospedali, fino a supermercati, negozi e ristoranti
Si ha una totale autosufficienza, in cui gli abitanti non hanno la necessità di uscire.
I residenti possono anche non varcare mai confini dei condomini,
possono vivere in totale autonomia e soddisfare ogni esigenza dei suoi abitanti,
che offrono splendide viste panoramiche sulla città, il tutto
all’insegna del benessere e della comodità
Esistono molti spazi comuni in cui poter interagire e in cui le persone possono dedicarsi ad attività ricreative.
Sono dei progetti unici nel suo genere che pone le sue basi sull’autosufficienza, senza la necessità di valutare le gravi implicazioni socio-psicologiche sui suoi abitanti
Cosa importa conoscere tutti i vicini di casa.
Una condizione in cui i residenti non hanno bisogno di uscire, perché questo potrebbe influenzare i comportamenti sociali e la salute mentale di una persona, motivo per cui non serve un dibattito sull’effettiva qualità della vita in un luogo del genere.
Inoltre, proprio come una rappresentazione di questo mondo, esiste anche qui una scelta sociale dettata dalla (ricchezza), dal tipo di appartamento e dalla posizione. Ovviamente, si tratta di residenti facoltosi, che possono accedere a servizi e comfort inaccessibili per chi vive in altre parti della città. Avere tutto nelle vicinanze, senza bisogno di uscire dal proprio condominio può essere una grande comodità, senza il rischio concreto di un totale isolamento, anche nei confronti del quartiere che si trovano nei dintorni.
Non si parla di Milano, ma del Regent International Apartment Complex, in Cina.
Il mega condominio in cui vivono 20mila persone (e non c’è bisogno di uscire)
A Milano, in fin dei conti, tutto questo accade solo in forma ridotta. Anche la Procura si trova in difficoltà e sembra propensa a cercare un ‘accordo compensativo’, poiché ha compreso che non è facile uscirne. Tuttavia, gli abusi commessi da soggetti interessati vanno perseguiti con determinazione.
Torno sull’argomento perché il quotidiano ” Il Foglio “ – fiero sostenitore del c.d. “ salva Milano “ – segnala che fra gli interventi oggetto dell’attenzione della procura di Milani vi è anche un intervento in via Anfiteatro 7 del quale la Giustizia Amministrativa ha dichiarato la piena legittimità.
Le sentenze in questione sono quella del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) N. 01875/2021 del 4 maggio 2021 pubblicata il 2 agosto 2021 con cui, non delibate per ragioni di economia processuale le eccezioni di carenza di legittimazione e inammissibilità del ricorso formulate dall’amministrazione e dalle controinteressate, il ricorso è stato dichiarato infondato. Spese di lite compensate In considerazione della novità e peculiarità delle questioni dedotte.
I ricorrenti si sono rivolti al Consiglio di Stato (Sezione Quarta) che con sentenza N. 07708/2022 del 28 luglio 2022 pubblicata il 5 settembre 2022 si è dimostrato assai meno clemente del Collegio Meneghino.
Ha, in primis, accolto l’eccezione di inammissibilità, non esaminata in primo grado per carenza dell’interesse a ricorrere, ritenendo allegazioni poste a sostegno generiche e l’apodittiche.
Dopo di, che entrando nel merito, ha demolito spietatamente ogni contestazione fatta dai ricorrenti.
Ha quindi condannato le parti appellanti alla rifusione delle spese del giudizio al Comune di Milano alle parti resistenti. l’importo deciso dal Collegio – che lascio scoprire ai lettori – la dice lunga sulla sostenibilità del ricordo.
Va ricordato che la procura di Milano indaga su numerose e diverse fattispecie di presunte irregolarità edilizie, ma certo il fatto che per il caso specifico sia stata accertata la legittimità del comportamento del Comune e di questo non si tenga il minimo conto mi fa sovvenire una affermazione che il Consigliere di Stato dott. Umberto Realfonso ripeteva spesso quando teneva un corso di aggiornamento.
Mi resta comunque oscuro il ruolo della Commissione paesaggio del Comune di Milano non venendo in aiuto il sito istituzionale. Se qualche lettore che opera a Milano volesse chiarirlo gliene sarei grato.
La commissione Paesaggio si era trasformata in un “centro di potere” fra favori agli immobiliaristi amici, pressioni sui dipendenti comunali e attacchi a chi poteva mettere il bastone fra le ruote.
Un “sistema” che, secondo le accuse, aveva il suo perno nella Commissione per il paesaggio (la Gdf ha acquisito documenti su una sessantina di architetti che ne hanno fatto parte dal 2015 in poi, per vagliare l’ipotesi di ulteriori conflitti di interessi) e in un “vero e proprio ufficio parallelo”
Sistema che puntava, secondo le accuse, a far passare progetti senza il vaglio della Giunta o del Consiglio comunale, con una semplice convenzione fra funzionari e costruttori.
Fonte- il Giorno
Le speculazioni giornalistiche mi interessano né punto né poco.
Quel che vorrei capire è il ruolo tecnico / amministrativo della Commissione Comunale per il Paesaggio del Comune di Milano che mi sembra vada oltre i pareri premessi al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche ex D.L.vo 42/2004.
In effetti se la zona di via Anfiteatro fosse sottoposta a vincolo paesaggistico gli interventi di ristrutturazione sarebbero strettamente limitati dal punto di vista volumetrico e soggetti a P.d.C. e non a S.C.I.A. .
Attendo conforto da qualche volenteroso lettore Meneghino.
Capito, interessante capire come non interessa questa cosa. complimenti
Lo scorso 20 maggio alcuni residenti avevano scritto al Comune sollevando criticità già al centro di altri esposti su operazioni immobiliari in altri quartieri di Milano: “La realizzazione di nuove 60 unità abitative, porterà nell’isolato decine di nuovi residenti, aumentando il carico urbanistico e la domanda di servizi nell’area, aggravando altresì i problemi di traffico già esistenti, in una strada di ridotte dimensioni e di raccordo con via Ripamonti” oltre a una “riduzione di luce e aria” per i residenti.
Le valutazioni del Comune
Il caso è finito davanti al gruppo di lavoro istituito dal Comune quasi un anno fa per valutare i progetti che per le loro caratteristiche potrebbero finire al centro di indagini su presunti abusi edilizi. E gli accertamenti, come è stato comunicato all’operatore immobiliare, hanno concluso che “non necessita un piano attuativo” con la relativa analisi dei servizi per la cittadinanza, che “l’intervento deve qualificarsi di nuova costruzione” e individua “quale modalità più corretta il ricorso alla monetizzazione delle dotazioni territoriali”.
Fonte: il Giorno
Per comprendere come venga effettuata l’analisi dei servizi, prendiamo ad esempio un caso a Padova, nel Quartiere San Lazzaro, in Via Orlando Galante. Qui, dopo anni dalla realizzazione di un’intera zona residenziale, è stato istituito un senso unico. Questo esempio evidenzia come tale pratica stia diventando sempre più comune in molte aree.
Il dibattito tra gli indagati “rende evidente come l’approvazione del provvedimento “salva Milano” scaturisca dall’esclusivo interesse privato dei dirigenti pubblici milanesi, affinché i procedimenti penali in corso a loro carico vengano congelati da un provvedimento che li tuteli per quanto riguarda il passato e li autorizzi, per quanto riguarda il futuro, a proseguire sulla medesima linea“
Non solo: “Un ruolo nella redazione” della norma, scrive il gip, “era ricoperto persino dalla lobby dei costruttori, che intendeva approfittarne per “aggiungere cose in più” (evidentemente in loro favore)”.
Fonte: il fattoquotidiano.it
Notizia di ieri: dalle intercettazioni agli atti delle indagini della Procura è emerso che la Salva Milano è stata voluta e dettata ai loro referenti politici di Governo e in Parlamento-
-Fonte Rainew
Sottoscrivo il post precedente di oggi delle 8:09.
Il «salva-Milano» non è un condono. Purtroppo
Il «salva-Milano» introduce per legge un’interpretazione autentica di norme urbanistiche che il Comune ha declinato nel modo più liberista possibile. Per la magistratura ciò ha generato abusi edilizi. Ma il salva-Milano non è un condono. Magari lo fosse. È invece una contro-riforma urbanistica.
Un condono (edilizio) prevede due azioni principali. Primo, afferma che una determinata modalità di trasformazione del territorio non era legittima e, a rigore, non lo sarà nemmeno in futuro.
Secondo, richiede a chi ha commesso l’abuso il versamento di oneri al fine di regolarizzare l’edificio realizzato illegittimamente.
Il salva-Milano non fa nulla di tutto questo. Anzi, in primo luogo afferma che la modalità di trasformazione urbana incriminata era pienamente legittima (o meglio, stabilisce che essa è quella autenticamente prevista dalla legge) e che quindi lo sarà nel futuro e in tutto il paese (non solo nel capoluogo lombardo); in secondo luogo, e in diretta conseguenza di ciò, impedisce al Comune di Milano di richiedere il versamento di nuovi oneri a chi ha realizzato le trasformazioni sotto accusa.
fonte; il manifesto.it
Una dubbiosa condizione
C’è però una curiosa discrezionale condizione, ovvero che la disapplicazione della norma del d.m. n. 1444/68 è subordinata ad un “accertamento” da parte “dell’amministrazione competente e con provvedimento motivato” della inesistenza di un “contrasto con un interesse pubblico concreto e attuale”.
Quale sia “l’interesse pubblico concreto e attuale” da preservare e con quale atto si debba esprimere l’“Amministrazione competente” non è dato sapere e poiché la materia urbanistica – se non puntualmente definita nel piano urbanistico generale – resta di competenza consiliare forse al Consiglio comunale occorrerà ricorrere. Quale sarà il contenuto della motivazione?.
Forse occorrerà un’altra interpretazione autentica sulle modalità di esercizio di questo fumoso potere.
L’amministrazione deve fare un bilanciamento tra spazi residenziali e spazi pubblici. Dovrà prendere in considerazione per determinare:
Il tipo di zona
La densità abitativa e il rapporto tra edifici e spazi pubblici.
La gestione del traffico e dei parcheggi, considerando il carico urbanistico.
Il progettato intervento dovrebbe rispondere alle necessità locali in termini di abitabilità, vivibilità e integrazione con l’ambiente circostante. In genere PUA vanno fatti così. Per cui non si capisce sinceramente come faranno a rispettare i parametri e cosa debba essere l’interesse pubblico concreto e attuale, se non il fatto che tanti cittadini si troveranno senza casa.
I privati, con il loro capitale, secondo la procura avrebbero avuto accesso a procedure fin troppo semplificate per le costruzioni ex novo di edifici.
Il rispetto degli standard può diventare una priorità assoluta, anche se questo comporta una riduzione delle cubature o della densità?
Si dovrebbero esaminare in dettaglio:
-sia il contenuto del Disegno di legge nella stesura più recente attualmente disponibile (e cioè il testo già approvato dalla Camera dei Deputati il 21 novembre scorso e trasmesso al Senato il giorno dopo per l’approvazione definitiva).
-sia il testo che era stato originariamente sottoposto all’esame della Camera il 24 luglio 2024 che era sostanzialmente diverso.
Diverso è il contenuto, la finalità e gli effetti.
Sarebbe importante metterli a confronto in quanto evidenziano un approccio diametralmente opposto non privo di conseguenze concettuali e pratiche e capire il perché di questo cambio di strategia.
Il cambio di strategia appare evidente:
Quanto agli effetti la norma originaria così concepita valeva ex nunc (e cioè d’ora in poi fino alla norma definitiva) e non ex tunc, per cui confermava nel passato la vigenza della disciplina statale dianzi riportata, ovvero l’obbligatorietà di piani particolareggiati in caso di superamento dei limiti volumetrici o di altezza; così concepito era organico, ma non salvava Milano (e cioè il pregresso).
In estrema sintesi si contesta al comune di Milano di aver assentito la realizzazione di importanti interventi edificatori classificandoli di “ristrutturazione edilizia” in zone già densamente edificate tramite segnalazioni certificate di inizio attività (s.c.i.a.) ad iniziativa dei privati richiedenti, bypassando la previa redazione di un piano particolareggiato previsto dalla legge statale ancor oggi vigente nei casi in esame, evitando così una specifica valutazione urbanistica da approvarsi dall’organo collegiale del Comune (la Giunta) e godendo di una sensibile riduzione degli oneri di urbanizzazione (e standards urbanistici) dovuti.
La questione origina dalla definizione di “ristrutturazione edilizia” dell’articolo 3, lett. d) del Testo Unico dell’edilizia (DPR 380/01) che, rispetto all’originaria definizione del 2001 è stato ripetutamente dilatato fino a ricomprendere (ove non sussistano vincoli specifici di pregio paesaggistico o storico-ambientale) la demolizione integrale con ricostruzione anche in diverso sito e con diversa sagoma (conservando però la destinazione d’uso).
Piaccia o no questa è la norma attuale della ristrutturazione stabilita da legge statale (che potremo meglio esaminare nei suoi presupposti concettuali in altra sede) e che costituisce comunque norma “di principio” non derogabile.
Su questo presupposto pare che siano stati consentiti gli interventi milanesi oggi sotto inchiesta, complice anche la legislazione regionale.
Vero è però che la legislazione edilizia or ora citata soggiace alle prescrizioni ancora vigenti della legge statale n. 765/67 (cosiddetta legge-ponte) che all’articolo 17 (poi inserito come articolo 41-quinques nella legge fondamentale n. 115/42) prescrive l’obbligo della preventiva redazione (e approvazione) di un piano particolareggiato qualora gli interventi edilizi siano di altezza superiore ai 25 metri o di volumetria superiore ai 3 mc/mq (ovvero quando le altezze in zona omogenea “B” superino quelle preesistenti degli edifici circostanti ex articolo 8 del d.m. n. 1444/68).
In altri termini in questi casi l’intervento da “edilizio” diventa di interesse “urbanistico” ed anche la sua compatibilità/conformità trasla dal piano dell’atto dovuto (qual è la ristrutturazione) al piano della valutazione di merito dell’organo collegiale (giunta) oltre che dalla sua conformità al preordinato Piano regolatore generale (o strumento urbanistico comunale che dir si voglia in base alla legge regionale).
fonte: ingenio.web
Leave a Reply
Want to join the discussion?Feel free to contribute!