La cd. legge Salva Milano: peggio la toppa dello squarcio?
Pende all’esame del Senato un disegno di legge che dovrebbe fornire un’interpretazione autentica della l. 1150/1942: secondo le cronache, ciò dovrebbe favorire una soluzione alle indagini penali per i presunti abusi edilizi commessi a Milano.
Al seguente link è possibile ascoltare l’intervento e leggere la relazione dell’avv. prof. Paolo Urbani in Commissione VII al Senato: https://www.pausania.it/audizione-del-4-2-2025-presso-la-commissione-viii-del-senato-del-prof-urbani-sul-ddl-1309-interpretazione-autentica-in-materia-urbanistica-ed-edilizia/.
Il prof. Urbani ha riflettuto sulle conseguenze che possono avere interventi edilizi impattanti in assenza di pianificazione attuativa.
Altri giuristi sollevano il dubbio se una legge asseritamente di interpretazione autentica possa o no essere applicata retroattivamente (nel caso di specie, alle edificazioni già eseguite, peraltro in pendenza di indagini penali già annunciate) e, ove non possibile, quali effetti avrà la legge, se approvata.
Lo scorso 20 maggio alcuni residenti avevano scritto al Comune sollevando criticità già al centro di altri esposti su operazioni immobiliari in altri quartieri di Milano: “La realizzazione di nuove 60 unità abitative, porterà nell’isolato decine di nuovi residenti, aumentando il carico urbanistico e la domanda di servizi nell’area, aggravando altresì i problemi di traffico già esistenti, in una strada di ridotte dimensioni e di raccordo con via Ripamonti” oltre a una “riduzione di luce e aria” per i residenti.
Le valutazioni del Comune
Il caso è finito davanti al gruppo di lavoro istituito dal Comune quasi un anno fa per valutare i progetti che per le loro caratteristiche potrebbero finire al centro di indagini su presunti abusi edilizi. E gli accertamenti, come è stato comunicato all’operatore immobiliare, hanno concluso che “non necessita un piano attuativo” con la relativa analisi dei servizi per la cittadinanza, che “l’intervento deve qualificarsi di nuova costruzione” e individua “quale modalità più corretta il ricorso alla monetizzazione delle dotazioni territoriali”.
Fonte: il Giorno
Per comprendere come venga effettuata l’analisi dei servizi, prendiamo ad esempio un caso a Padova, nel Quartiere San Lazzaro, in Via Orlando Galante. Qui, dopo anni dalla realizzazione di un’intera zona residenziale, è stato istituito un senso unico. Questo esempio evidenzia come tale pratica stia diventando sempre più comune in molte aree.
Il dibattito tra gli indagati “rende evidente come l’approvazione del provvedimento “salva Milano” scaturisca dall’esclusivo interesse privato dei dirigenti pubblici milanesi, affinché i procedimenti penali in corso a loro carico vengano congelati da un provvedimento che li tuteli per quanto riguarda il passato e li autorizzi, per quanto riguarda il futuro, a proseguire sulla medesima linea“
Non solo: “Un ruolo nella redazione” della norma, scrive il gip, “era ricoperto persino dalla lobby dei costruttori, che intendeva approfittarne per “aggiungere cose in più” (evidentemente in loro favore)”.
Fonte: il fattoquotidiano.it
Notizia di ieri: dalle intercettazioni agli atti delle indagini della Procura è emerso che la Salva Milano è stata voluta e dettata ai loro referenti politici di Governo e in Parlamento-
-Fonte Rainew
Sottoscrivo il post precedente di oggi delle 8:09.
Il «salva-Milano» non è un condono. Purtroppo
Il «salva-Milano» introduce per legge un’interpretazione autentica di norme urbanistiche che il Comune ha declinato nel modo più liberista possibile. Per la magistratura ciò ha generato abusi edilizi. Ma il salva-Milano non è un condono. Magari lo fosse. È invece una contro-riforma urbanistica.
Un condono (edilizio) prevede due azioni principali. Primo, afferma che una determinata modalità di trasformazione del territorio non era legittima e, a rigore, non lo sarà nemmeno in futuro.
Secondo, richiede a chi ha commesso l’abuso il versamento di oneri al fine di regolarizzare l’edificio realizzato illegittimamente.
Il salva-Milano non fa nulla di tutto questo. Anzi, in primo luogo afferma che la modalità di trasformazione urbana incriminata era pienamente legittima (o meglio, stabilisce che essa è quella autenticamente prevista dalla legge) e che quindi lo sarà nel futuro e in tutto il paese (non solo nel capoluogo lombardo); in secondo luogo, e in diretta conseguenza di ciò, impedisce al Comune di Milano di richiedere il versamento di nuovi oneri a chi ha realizzato le trasformazioni sotto accusa.
fonte; il manifesto.it
Una dubbiosa condizione
C’è però una curiosa discrezionale condizione, ovvero che la disapplicazione della norma del d.m. n. 1444/68 è subordinata ad un “accertamento” da parte “dell’amministrazione competente e con provvedimento motivato” della inesistenza di un “contrasto con un interesse pubblico concreto e attuale”.
Quale sia “l’interesse pubblico concreto e attuale” da preservare e con quale atto si debba esprimere l’“Amministrazione competente” non è dato sapere e poiché la materia urbanistica – se non puntualmente definita nel piano urbanistico generale – resta di competenza consiliare forse al Consiglio comunale occorrerà ricorrere. Quale sarà il contenuto della motivazione?.
Forse occorrerà un’altra interpretazione autentica sulle modalità di esercizio di questo fumoso potere.
L’amministrazione deve fare un bilanciamento tra spazi residenziali e spazi pubblici. Dovrà prendere in considerazione per determinare:
Il tipo di zona
La densità abitativa e il rapporto tra edifici e spazi pubblici.
La gestione del traffico e dei parcheggi, considerando il carico urbanistico.
Il progettato intervento dovrebbe rispondere alle necessità locali in termini di abitabilità, vivibilità e integrazione con l’ambiente circostante. In genere PUA vanno fatti così. Per cui non si capisce sinceramente come faranno a rispettare i parametri e cosa debba essere l’interesse pubblico concreto e attuale, se non il fatto che tanti cittadini si troveranno senza casa.
I privati, con il loro capitale, secondo la procura avrebbero avuto accesso a procedure fin troppo semplificate per le costruzioni ex novo di edifici.
Il rispetto degli standard può diventare una priorità assoluta, anche se questo comporta una riduzione delle cubature o della densità?
Si dovrebbero esaminare in dettaglio:
-sia il contenuto del Disegno di legge nella stesura più recente attualmente disponibile (e cioè il testo già approvato dalla Camera dei Deputati il 21 novembre scorso e trasmesso al Senato il giorno dopo per l’approvazione definitiva).
-sia il testo che era stato originariamente sottoposto all’esame della Camera il 24 luglio 2024 che era sostanzialmente diverso.
Diverso è il contenuto, la finalità e gli effetti.
Sarebbe importante metterli a confronto in quanto evidenziano un approccio diametralmente opposto non privo di conseguenze concettuali e pratiche e capire il perché di questo cambio di strategia.
Il cambio di strategia appare evidente:
Quanto agli effetti la norma originaria così concepita valeva ex nunc (e cioè d’ora in poi fino alla norma definitiva) e non ex tunc, per cui confermava nel passato la vigenza della disciplina statale dianzi riportata, ovvero l’obbligatorietà di piani particolareggiati in caso di superamento dei limiti volumetrici o di altezza; così concepito era organico, ma non salvava Milano (e cioè il pregresso).
In estrema sintesi si contesta al comune di Milano di aver assentito la realizzazione di importanti interventi edificatori classificandoli di “ristrutturazione edilizia” in zone già densamente edificate tramite segnalazioni certificate di inizio attività (s.c.i.a.) ad iniziativa dei privati richiedenti, bypassando la previa redazione di un piano particolareggiato previsto dalla legge statale ancor oggi vigente nei casi in esame, evitando così una specifica valutazione urbanistica da approvarsi dall’organo collegiale del Comune (la Giunta) e godendo di una sensibile riduzione degli oneri di urbanizzazione (e standards urbanistici) dovuti.
La questione origina dalla definizione di “ristrutturazione edilizia” dell’articolo 3, lett. d) del Testo Unico dell’edilizia (DPR 380/01) che, rispetto all’originaria definizione del 2001 è stato ripetutamente dilatato fino a ricomprendere (ove non sussistano vincoli specifici di pregio paesaggistico o storico-ambientale) la demolizione integrale con ricostruzione anche in diverso sito e con diversa sagoma (conservando però la destinazione d’uso).
Piaccia o no questa è la norma attuale della ristrutturazione stabilita da legge statale (che potremo meglio esaminare nei suoi presupposti concettuali in altra sede) e che costituisce comunque norma “di principio” non derogabile.
Su questo presupposto pare che siano stati consentiti gli interventi milanesi oggi sotto inchiesta, complice anche la legislazione regionale.
Vero è però che la legislazione edilizia or ora citata soggiace alle prescrizioni ancora vigenti della legge statale n. 765/67 (cosiddetta legge-ponte) che all’articolo 17 (poi inserito come articolo 41-quinques nella legge fondamentale n. 115/42) prescrive l’obbligo della preventiva redazione (e approvazione) di un piano particolareggiato qualora gli interventi edilizi siano di altezza superiore ai 25 metri o di volumetria superiore ai 3 mc/mq (ovvero quando le altezze in zona omogenea “B” superino quelle preesistenti degli edifici circostanti ex articolo 8 del d.m. n. 1444/68).
In altri termini in questi casi l’intervento da “edilizio” diventa di interesse “urbanistico” ed anche la sua compatibilità/conformità trasla dal piano dell’atto dovuto (qual è la ristrutturazione) al piano della valutazione di merito dell’organo collegiale (giunta) oltre che dalla sua conformità al preordinato Piano regolatore generale (o strumento urbanistico comunale che dir si voglia in base alla legge regionale).
fonte: ingenio.web
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