Tag Archive for: Amministrativo

Vi è l’obbligo di indicare i costi da rischio specifico per la sicurezza per tutelare i lavoratori

13 Mar 2014
13 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 301 afferma che, fermo restando l’obbligo di indicare i costi da rischio specifico negli appalti di servizi e forniture anche in assenza di una previsione specifica nel bando o nel disciplinare di gara, anche negli appalti di lavoro vi è il medesimo incombente: ciò è giustificato dal fatto che questa indicazione permette di verificare se sono rispettate la norme in materia di tutela dei lavoratori.

A tal fine si legge: “Il Collegio non ignora il recente orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato che ha annullato la decisione n. 1050/2013 di questo Tribunale che aveva ritenuto obbligatorio indicare, nell’offerta, i costi aziendali anche per le gare relative ai lavori e non solo per quelle inerenti i servizi e le forniture, obbligo, peraltro, da osservare sinanche in caso di mancata ed esplicita indicazione nella lex specialis.

Il ragionamento svolto, allora, dal Tribunale privilegiava gli aspetti essenziali e non derogabili delle ulteriori evenienze securitarie attinenti, in primo luogo, alla tutela ed alla salvaguardia dei lavoratori che, all’evidenza, non possono certamente essere definiti nel piano di sicurezza e coordinamento ex art. 100 cit., perché tale piano riguarda, essenzialmente, la sicurezza del cantiere, secondo gli esclusivi criteri vagliati dalla stazione appaltante così che, da tale progetto, restano escluse situazioni ed eventualità relative alla tutela tipica e particolare di ogni singolo concorrente secondo il diverso modello organizzativo proprio di ogni singola azienda.

Nondimeno, tali ulteriori ed ipotetici fattori di rischio, devono essere comunque partecipati, anche se in forma sintetica e globalmente quantificata, proprio perché è compito della stazione appaltante valutare, o quanto meno, avere gli strumenti per valutare, se la posta indicata quale onere della sicurezza aziendale sia adeguata e congrua al tipo di lavoro che deve essere aggiudicato.

Né si può ragionevolmente sostenere che il costo da interferenza, puntualmente indicato dalla stazione appaltante, copra ogni tipo di esigenza attinente alla sicurezza dei lavoratori impiegati, perché non può escludersi che il modello aziendale comporti possibili adeguamenti organizzativi comunque connessi nella definizione del lavoro, esigenze, queste, che possono riguardare aspetti e fenomeni estranei, sia i costi della sicurezza da interferenza, sia il piano di sicurezza e coordinamento.

E’ evidente che la mancata previsione, nella offerta di gara, di tale aspetti economici indifferibili ed imprescindibili, non potrà che incidere sulla realizzazione dell’opera commissionata, sia in termini di una minore qualità del manufatto, ovvero, sinanche determinare, in caso di costi da sopportare necessariamente, ma non preventivati, l’abbandono della stessa sua realizzazione.

E’ sotto questo profilo che il Collegio ritiene necessario e non derogabile che ogni concorrente rappresenti in modo chiaro ed univoco l’entità dei costi aziendali che dovrà comunque sopportare per realizzare l’opera in gara.

Si tratta, all’evidenza, di formulazioni prognostiche e sintetiche che, però, consentono alla stazione appaltante, anche dopo l’aggiudicazione provvisoria, una più attenta verifica della serietà e congruità dell’offerta anche sotto tale profilo di sicurezza aziendale.

Allora ridurre la complessa vicenda ad una mera ed esclusiva interpretazione letterale, appare, al Collegio estremamente riduttiva e non conforme allo spirito ed alle finalità della norma, che nel giro di un anno ha introdotto e riscritto il comma 3 bis dell’art. 86 del dlgs 163/2006, proprio per definire e meglio tutelare i lavoratori impegnati dal concorrente, la cui offerta non può ridursi a scapito della sicurezza aziendale.

Né la citata norma si configura come eccezionale e, quindi di stretta e letterale interpretazione.

In altri termini la norma non può avere valenza esclusiva per le gare di servizi e fornitura, per cui le imprese concorrenti, in disparte la testuale indicazione normativa, devono prospettare, nella loro offerta, sia gli oneri di sicurezza per le interferenze (nell’esatta misura predeterminata dalla stazione appaltante), sia gli altri oneri di sicurezza da rischio specifico (o aziendali) la cui misura può variare, come detto, sia in relazione al contenuto dell’offerta economica, sia in relazione alla struttura organizzativa aziendale ( Consiglio di Stato, sez. III ,19 gennaio, 2012 n. 212).

Tale onere si ricava, a parere del Collegio, proprio dal combinato disposto degli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006.

Non a caso l’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 281 del 2008 - norme in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro - statuisce che: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”.

Né può sottacersi che la verifica delle offerte anomale, a mente dell’art. 87, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, deve tener conto che: “Nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.

Ciò conferma che l’indicazione, o meno, nella offerta, dei costi della sicurezza aziendale, non può essere rimesso ad una arbitraria scelta del partecipante alla gara, ma, di contro, rappresenta un momento imprescindibile della stessa.

L’indicata previsioni, pertanto, assume, senz’altro, carattere imperativo in ragione degli interessi di ordine pubblico ad esse sottese, in quanto poste a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori (Consiglio di Stato, sez. V, 29 febbraio 2012, n. 1172; sez. III, 20 dicembre 2011, n. 6677).

La mancanza, nella legge di gara, di una tale specifica previsione non giustifica la mancata indicazione, nell’offerta, dei costi per la sicurezza aziendale, atteso il carattere immediatamente precettivo delle norme di legge sopra richiamate, che impongono di formulare, nell’offerta, tali costi, così da eterointegrare la legge speciale della singola gara (ai sensi dell’art. 1374 del c.c.) e ad imporre, in caso di loro inosservanza, l’esclusione dalla procedura (Consiglio di Stato, sez. III, 28 agosto 2012, n. 4622).

Ciò comporta che, anche in difetto di una statuizione espressa nella disciplina speciale di gara, l’inosservanza della prescrizione che impone l’indicazione preventiva dei costi di sicurezza aziendali implica la sanzione dell’esclusione, perchè l’offerta avanzata è incompleta proprio in relazione ad un elemento essenziale, tale da impedire alla stazione appaltante un adeguato controllo sull’affidabilità dell’offerta stessa (Consiglio di Stato, sez. III, 2 dicembre 2011, n. 6380)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 301 del 2014

Ancora sugli oneri per la sicurezza

13 Mar 2014
13 Marzo 2014

Anche nella sentenza n. 299 del 05 marzo 2014 il T.A.R. Veneto, sez. I, riconferma l’obbligatorietà di indicare gli oneri da rischio specifico sia negli appalti di forniture e/o servizi sia negli appalti di lavori: “che l’art. 86, III comma bis e l’art. 26, VI comma del DLgs n. 81/2008 dispongono, con identica formulazione, che “gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente….al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”;

che le predette norme sono estremamente chiare nella loro prescrizione, e coinvolgono ogni tipo di appalto;

che, peraltro, è pacifico orientamento di questo Tribunale (cfr., da ultimo, sez. I, 10.12.2013 n. 1388 e 8.8.2013 n. 1050) - da cui non si rinvengono, allo stato, elementi per discostarvisi - che le imprese partecipanti ad una gara d’appalto, sia essa di servizi o di forniture o di lavori (cfr. a tal proposito, da ultimo, CdS, III, 23.1.2014 n. 348 che, analogamente, non distingue tra le varie tipologie di gara), devono necessariamente includere nell’offerta, opportunamente scorporati onde consentire l’esatta valutazione della congruità dell’offerta stessa, oltre agli oneri di sicurezza da interferenza, anche gli importi relativi agli oneri di sicurezza da rischio specifico (o aziendali), la cui misura può variare in relazione al contenuto dell’offerta economica: di questi oneri l’ordinamento prevede, infatti, l’indicazione con norme immediatamente precettive (cfr. i citati artt. 86, III comma bis del DLgs n. 163/2006 e 26, VI comma del DLgs n. 81/2008) e tali da eterointegrare, in virtù del loro carattere imperativo (in ragione degli interessi di ordine pubblico che tutelano, in quanto poste a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori), l’eventuale omissione o la diversa regolamentazione contenuta nella legge di gara;

che tale orientamento risulta condiviso anche dall’AVCP, secondo cui “la mancata indicazione preventiva dei costi per la sicurezza rende l’offerta incompleta sotto un profilo particolarmente pregnante, alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti, impedendo alla pubblica amministrazione un adeguato controllo sulla affidabilità della stessa: in altri termini, l’offerta economica priva dell’indicazione degli oneri di sicurezza manca di un elemento essenziale e costitutivo, con conseguente applicazione della sanzione dell’esclusione dalla gara anche in assenza di una specifica previsione in seno alla lex specialis, attesa la natura immediatamente precettiva della disciplina contenuta nelle norme citate, idonea ad eterointegrare le regole procedurali” (cfr. il parere 9/05/2013 n.77);

che, relativamente agli appalti di lavori pubblici, la quantificazione rimessa al piano di sicurezza e coordinamento di cui all’art. 100 del DLgs n. 81/2008, predisposto dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 131 del codice non può, invero, che riferirsi agli oneri di sicurezza per le interferenze, e ciò sia perché detti oneri sono necessariamente individuati dall’Amministrazione, sia perché essi soggiaciono – ferma la possibilità di integrazione migliorativa - al divieto di compressione;

che, dunque, gli oneri di sicurezza costituiscono un elemento essenziale dell’offerta, sicchè la loro omessa indicazione è vicenda ricompresa nell’elenco delle cause specifiche di esclusione previste dall’art. 46, I comma bis del Dlgs 163/2006: né potrebbe ricorrersi al potere di soccorso, in quanto tale ulteriore fase presuppone, in ogni caso, che l’offerta economica sia completa nei suoi elementi essenziali (elementi tra i quali vanno appunto annoverati, come si è detto, i costi relativi alla sicurezza); talchè se si consentisse l'integrazione postuma, in sede di verifica dell'anomalia, di un'offerta originariamente incompleta, si determinerebbe una lesione della par condicio tra i concorrenti (cfr. CdS, III, 23.1.2014 n. 348 cit.);

che, dunque, per le suesposte considerazioni il ricorso è fondato e va accolto, in quanto l’aggiudicataria non ha indicato nell’offerta gli oneri per la sicurezza da rischio specifico: con conseguente annullamento degli atti impugnati e risarcimento del danno in forma specifica, in favore della ricorrente, mediante subentro nell’aggiudicazione della gara”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 299 del 2014

Modifiche organizzative e conferimento incarichi interinali nell’ambito del Dipartimento Difesa del Suolo e Foreste. (ex Genio Civile ora Sezione bacino idrografico Adige Po – Sezione di Verona)‏

13 Mar 2014
13 Marzo 2014

Sul Bur n. 28 del 11 marzo 2014 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 125 del 11 febbraio 2014, recante "Modifiche organizzative e conferimento incarichi interinali nell'ambito del Dipartimento Difesa del Suolo e Foreste".

DGRV 125 del 2014

 

Come e quando si perfeziona la notificazione ex art. 140 c.p.c. (per gli espropri)

13 Mar 2014
13 Marzo 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 1024 del 2014.

Scrive il Giudice: "Preliminare ed assorbente appare il motivo d’appello con il quale è dedotta erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui ha ritenuto tardiva l’impugnazione del decreto di esproprio n. 2 del 28/09/2009. Il provvedimento sarebbe stato conosciuto solo a seguito di accesso agli atti in data 9/3/2010. La notifica effettuata da messo comunale in data 9/10/2009, in applicazione dell’art. 140 cpc., non sarebbe valida, in quanto: a) la raccomandata sarebbe stata spedita all’indirizzo di residenza anagrafica e non al domicilio, ben conosciuto dall’amministrazione; b) la raccomandata spedita ex art. 140 cpc, a seguito della temporanea assenza constata in occasione dell’accesso del  messo, non sarebbe stata mai consegnata, essendo stata restituita al mittente con la scritta “irreperibile”. La giurisprudenza avrebbe chiarito che ai fini della validità della notifica è invece necessaria la prova della ricezione della seconda raccomandata. Il motivo non è fondato. E’ pur vero che l’art. 140 cpc è stato oggetto di una pronuncia della Corte Costituzionale (3/2010) che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. Tuttavia la pronuncia non giova all’appellante poiché nel caso di specie, dopo il vano tentativo del messo comunale, la raccomandata è stata spedita dal messo e recapitata dall’agente postale all’indirizzo del destinatario, anche se, neanche questa volta il destinatario era presente, sicchè la raccomandata è stata restituita al mittente. Si vuol cioè dire che, ne caso di specie, non è in discussione il principio della spedizione, atteso che il ricorso sarebbe tardivo anche se si prendesse quale dies a quo della conoscenza quello successivo al decorso dei 10 gg dalla spedizione. L’appellante è conscio di questa circostanza ed infatti focalizza le sue argomentazioni difensive sul valido decorso dei 10 gg ai fini della presunzione di legale conoscenza (che denomina, in realtà impropriamente “compiuta giacenza”), ritenendo che ove la raccomandata sia restituita immediatamente dall’agente postale al  mittente, e non trattenuta in giacenza presso l’ufficio postale per almeno 10 gg. la presunzione di legge non scatti. La tesi non può essere condivisa. La Corte costituzionale, laddove ha ritenuto inidoneo ai fini della notifica il principio della spedizione, ha esteso la presunzione di legale conoscenza, prevista per le notifiche per posta ex art. art. 8 della legge n. 890 del 1982 e succ. mod. anche alla fase “postale” della notifica ex art. 140 cpc. Il risultato è, nel caso di specie, che la notifica deve ritenersi perfezionata nei dieci giorni dalla spedizione della raccomandata. Null’altro. Non può ulteriormente pretendersi che debba essere provata anche l’effettiva ricezione, né che debba essere riportata, sull’avviso di ricevimento della raccomandata non potuta recapitare per assenza del destinatario, anche la scritta “compiuta giacenza”, secondo un non ammissibile processo di tendenziale e totale equiparazione del disposto dell’art 140 cpc a quello di cui art. 8 della legge n. 890 del 1982. La scritta “compiuta giacenza” (e la sottostante giacenza presso l’ufficio postale) è piuttosto necessaria per gli atti giudiziari notificati a mezzo posta poiché in quel caso il plico contenente l’atto è detenuto dall’ufficio postale, ed al notificante è data notizia di una attività (quella di spedizione della “seconda” raccomandata) che è svolta dall’agente postale ed esula dalla sfera di conoscenza del primo. Nel 140 cpc invece la raccomandata è fatta dallo stesso ufficiale giudiziario o messo che ha tentato senza successo la consegna a mani. Egli ben sa quando ha spedito e quanto si deve conseguentemente  ritenere prodotto l’effetto della presunta conoscenza ritenuto comunque applicabile dalla Corte Costituzionale. Piuttosto, ai fini della presunzione legale di conoscenza, ed alla luce della ratio che ha ispirato la sentenza 3/2010 della Corte costituzionale è necessario avere prova (non già della consegna ma) del fatto che la raccomandata è effettivamente giunta al recapito del destinatario, e che non si sia invece smarrita o finita erroneamente presso altro recapito. E la prova è raggiunta a mezzo della produzione dell’avviso di ricevimento, sia esso sottoscritto dal destinatario (o persone abilitate) sia esso annotato dall’agente postale in ordine all’assenza di quest’ultimo. Siffatta disciplina non è del resto irragionevole ove si consideri che a differenza delle notifiche a mezzo posta, il 140 cpc contempla un primo tentativo di accesso da parte dell’ufficiale giudiziario (quindi non una semplice raccomandata) nonché il successivo deposito di copia nella casa comunale, ed avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell'abitazione o dell'ufficio o dell'azienda del destinatario. Era invece irragionevole la coincidenza degli effetti della notifica con la semplice spedizione della raccomandata, ma a tale aporia ha posto rimedio la Corte costituzionale imponendo che la decorrenza degli effetti si abbia al momento del recapito della raccomandata o comunque decorsi 10 giorni dalla spedizione. La previsione di tale ultima presunzione è stata in particolare giustificata, nel ragionamento della Corte, nel bilanciamento tra le esigenze di certezza nella individuazione della data di perfezionamento del procedimento notificatorio, di celerità nel completamento del relativo iter e di effettività delle garanzie di difesa e di contraddittorio, nei termini già operati dall’art. 8 della legge n. 890 del 1982. Tornando al caso in esame, la raccomandata è stata spedita dal messo comunale in data 9/10/2009 e restituita dall’agente postale per constatata assenza del destinatario, indi la notifica si è perfezionata, per il destinatario il 29/10/2009, decorsi 10 giorni dalla spedizione. I motivi aggiunti sono stati notificati il 2 aprile 2010, ictu oculi dopo lo scadere del termine decadenziale. Prive di pregio, in proposito, sono le ulteriori considerazioni circa la divergenza fra il domicilio (asseritamente conosciuto dall’amministrazione) e la residenza anagrafica. L’amministrazione ha dimostrato, non solo che la residenza è stata storicamente sempre la medesima, ma anche che il diverso indirizzo indicato dall’appellante quale effettivo domicilio, è stato in passato utilizzato per la notifica di precedenti atti amministrativi dello stesso procedimento, con identici esiti di irreperibilità".

sentenza CDS 1024 del 2014

Pubblico e privato nel governo del territorio: seminario per gli architetti 28 marzo 2014

13 Mar 2014
13 Marzo 2014

La fondazione e l'Ordine degli architetti di Venezia hanno organizzato per il giorno 28 marzo 2014 il seminario di cui all'avviso allegato, che  è aperto solo agli architetti e consente di ottenere crediti formativi

PROGRAMMA def. PubblicoPrivato

Il vincolo aeroportuale è rispettato dai Comuni?

12 Mar 2014
12 Marzo 2014

L’art. 707, c. 5, del Codice della Navigazione, come modificato dal D. Lgs. 09.05.2005 n. 96, recita: “Al fine di garantire la sicurezza della navigazione aerea, l'ENAC individua le zone da sottoporre a vincolo nelle aree limitrofe agli aeroporti e stabilisce le limitazioni  relative agli ostacoli per la navigazione aerea ed ai potenziali pericoli per la stessa,  conformemente alla normativa tecnica internazionale. Gli enti locali, nell'esercizio delle  proprie competenze in ordine alla programmazione ed al governo del territorio,  adeguano i propri strumenti di pianificazione alle prescrizioni dell'ENAC.

Il personale incaricato dall'ENAC di eseguire i rilievi e di collocare i segnali può  accedere nella proprietà privata, richiedendo, nel caso di opposizione dei privati, l'assistenza della forza pubblica.

Le zone di cui al primo comma e le relative limitazioni sono indicate dall'ENAC su apposite mappe pubblicate mediante deposito nell'ufficio del comune interessato.

Dell'avvenuto deposito è data notizia, entro dieci giorni, mediante avviso inserito nel Bollettino ufficiale della regione interessata. Il comune interessato provvede inoltre a darne pubblicità ai singoli soggetti interessati, nei modi ritenuti idonei.

Nelle direzioni di atterraggio e decollo possono essere autorizzate opere o attività compatibili con gli appositi piani di rischio, che i Comuni territorialmente competenti adottano, anche sulla base delle eventuali direttive regionali, nel rispetto del regolamento dell’ENAC sulla costruzione e gestione degli aeroporti, di attuazione dell’Annesso XIV ICAO.

Per gli aeroporti militari le funzioni di cui al presente articolo sono esercitate dal Ministero della difesa e disciplinate con decreto del Ministro della difesa”.

 A tal fine il Regolamento per la costruzione e l’esercizio degli aeroporti - II Edizione - Emendamento n. 8 del 21.12.2011, adottato dall’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (E.N.A.C.), per quanto ivi interessa, al Capitolo 9 del Paragrafo 6 prevede che: “6.6 Prescrizioni per la redazione del piano di rischio

Fermo restando il mantenimento delle edificazioni e delle attività esistenti sul territorio, per i nuovi insediamenti sono applicabili i seguenti indirizzi, in termini di contenimento del carico antropico e di individuazione delle attività compatibili, che i Comuni articolano e dettagliano nei piani di rischio in coerenza con la propria regolamentazione urbanistico – edilizia.

  • Zona di tutela A: è da limitare al massimo il carico antropico. In tale zona non vanno quindi previste nuove edificazioni residenziali. Possono essere previste attività non residenziali, con indici di edificabilità bassi, che comportano la permanenza discontinua di un numero limitato di persone.
  • Zona di tutela B: possono essere previsti una modesta funzione residenziale, con indici di edificabilità bassi, e attività non residenziali, con indici di edificabilità medi, che comportano la permanenza di un numero limitato di persone.
  • Zona di tutela C: possono essere previsti un ragionevole incremento della funzione residenziale, con indici di edificabilità medi, e nuove attività non residenziali.
  • Zona di tutela D: in tale zona, caratterizzata da un livello minimo di tutela e finalizzata a garantire uno sviluppo del territorio in maniera opportuna e coordinata con l’operatività aeroportuale, va evitata la realizzazione di interventi puntuali ad elevato affollamento, quali centri commerciali, congressuali e sportivi a forte concentrazione, edilizia intensiva, ecc...

Nelle zone di tutela A, B e C vanno evitati:

-        insediamenti ad elevato affollamento, quali centri commerciali, congressuali e sportivi a forte concentrazione, edilizia intensiva, ecc... ;

-        costruzioni di scuole, ospedali e, in generale, obiettivi sensibili;

-        attività che possono creare pericolo di incendio, esplosione e danno ambientale.

I piani di rischio sono redatti sulla base dei piani di sviluppo aeroportuali; in mancanza di tali piani, il piano di rischio è redatto sulla base della situazione attuale.

Nella redazione dei piani di rischio i Comuni possono adattare il perimetro e l’estensione delle zone di tutela sulla base della configurazione del territorio”.

 Alla luce della citata normativa appare evidente che le Amministrazioni comunali devono contemperare le indicazioni contenute nel Regolamento, ovvero l’esigenza di garantire la sicurezza e l’incolumità pubblica, con le proprie esigenze pianificatorie e la propria normativa urbanistico-edilizia, come conferma la sentenza del T.A.R. Trentino-Alto Adige, Bolzano, sez. I, 12.09.2011 n. 312, ove si legge che: “Ciò significa che nel predisporre il Piano di rischio occorre considerare non solo la lunghezza della pista, ma anche la tipologia di traffico che opera sullo scalo aeroportuale, al fine di poter adottare misure di tutela connesse alle effettive potenzialità di rischio. Si deve, anche, tener presente che il piano di rischio è inteso alla salvaguardia dell'interesse pubblico della tutela del volo ed è, quindi, improntato al principio di precauzione, al fine di evitare incidenti in un'attività potenzialmente pericolosa; con la conseguenza che, al fine di valutare la legittimità delle previsioni del Piano, occorre aver riguardo al principio che l'interesse pubblico de quo deve essere salvaguardato in via prioritaria” ed ancora: “Occorre, innanzitutto, precisare che il Regolamento, al paragrafo 6.6 del capitolo 9, stabilisce espressamente che "per i nuovi insediamenti sono applicabili i seguenti indirizzi in termini di contenimento del carico antropico e di individuazione delle attività compatibili, che i Comuni articolano e dettagliano nei piani di rischio in coerenza con la propria regolamentazione urbanistico-edilizia"; da ciò consegue che le "attività compatibili" vanno valutate con la finalità di limitare il carico antropico e che queste, conseguentemente, a seconda della diversa tipologia, determinano un differente carico antropico, in termini quantitativi. Quanto sopra viene confermato dall'art. 707, comma 5, del codice della navigazione, che, con riferimento ai "Vincoli della proprietà privata", statuisce che: "Nelle direzioni di atterraggio e decollo possono essere autorizzate opere o attività compatibili con gli appositi piani di rischio, che i Comuni territorialmente competenti adottano, anche sulla base delle eventuali direttive regionali, nel rispetto del regolamento dell'ENAC sulla costruzione e gestione degli aeroporti, di attuazione dell'Annesso XIV ICAO"”.

Per quanto concerne l’iter che il Comune deve seguire per adottare il Piano di rischio, il paragrafo 6.7 del Capitolo 9 del Regolamento per la costruzione e l’esercizio degli aeroporti – II Edizione – Emendamento n. 8 del 21.12.2011, stabilisce che: “6.7 Adozione dei piani di rischio

Il piano di rischio è redatto dal Comune il cui territorio è interessato dalle zone di tutela e, qualora tali zone interessino i territori di più Comuni, il piano è redatto in maniera coordinata.

L’ENAC, ricevuto il piano di rischio dai Comuni, esprime il proprio parere sulla base di valutazioni di tipo aeronautico.

Nelle proprie valutazioni l’ENAC tiene conto dei dati aeronautici che caratterizzano l’aeroporto nello scenario attuale e futuro così come delineato nel piano di sviluppo segnalando le eventuali esigenze di adeguamento.

I cambiamenti significativi di tali parametri, se hanno impatto sui piani di rischio adottati, sono comunicati dall’ENAC ai Comuni al fine di valutare le ricadute sul territorio e di procedere all’eventuale aggiornamento del piano”.

 Alla luce di ciò la giurisprudenza ha affermato che, fermo restando l’obbligo dell’ente comunale di adottare il Piano di Rischio, se sono le altre Amministrazioni pubbliche coinvolte a non partecipare “sollecitamente” e “tempestivamente” all’adozione definitiva del Piano, al Comune è precluso rilasciare dei titoli edilizi nelle aree che saranno soggette al (futuro) vincolo aeroportuale. Sul punto infatti si legge che: “Pertanto, come eccepito dal Comune e non contestato dalle altre parti, l’Amministrazione comunale ha fatto quanto era nelle sue competenze per l’adozione del piano, per cui non le si può addebitare alcuna inerzia.

Allo stato risultano viceversa inadempienti le altre Amministrazioni chiamate dal legislatore a partecipare al procedimento per l’adozione dello strumento urbanistico.

Ne consegue, per converso, che la parte ricorrente dovrà compulsare, con gli strumenti assicurati dall’ordinamento (in particolare, con l’azione di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a.) le altre Amministrazioni, il cui contributo decisionale è necessario per l’adozione del piano di rischio in questione.

Non possono essere accolte neanche le censure avverso il provvedimento sub b), atteso che – come correttamente eccepito dall’ENAC - in mancanza del piano di rischio, e quale che sia la causa della mancata approvazione dello stesso, le attività edilizie non possono essere autorizzate.

Per questo motivo, non può essere accolta neanche la domanda finalizzata ad ottenere la condanna del Comune di Napoli al rilascio del permesso di costruire; fermo restando l’obbligo delle autorità amministrative competenti ad adottare il predetto piano” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 27.02.2014, n. 1215).

 Per completezza espositiva si sottolinea che, con riferimento agli artt. 714 e ss. del Codice della Navigazione ante la riforma del D. Lgs. n. 96/2005, la giurisprudenza ha affermato che spetti al Comune verificare il rispetto del vincolo aeroportuale: “Non può certamente condividersi quanto affermato dalla ricorrente e cioè che il Comune non fosse tenuto a considerare la sussistenza del vincolo aeroportuale: l'art. 715 ter cod. nav. attribuisce, difatti, proprio al Comune la custodia delle mappe ministeriali e, quindi, certamente, anche il compito di assicurarne il rispetto” (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17.01.2011, n. 89).

Nella medesima sentenza i Giudici statuiscono che vi è l’onere per il privato di impugnare immediatamente il vincolo di inedificabilità assoluta previsto dalla mappe aeroportuali atteso che: “Il Collegio non condivide neppure le conclusioni che la ricorrente trae dai precedenti giurisprudenziali richiamati circa il valore unicamente ricognitivo del vincolo derivante dalla legge e, dunque, non costitutivo. Tutte le sentenze citate dalla ricorrente hanno ad oggetto fattispecie nelle quali, a fronte della pretesa di ricondurre unicamente alle mappe aeroportuali previste il sorgere del vincolo aeroportuale, hanno affermato l'irrilevanza della mancata emanazione del decreto ministeriale di approvazione ed esecutività delle mappe contenenti le zone soggette a limitazione, ex art. 715 quater cod.nav., in quanto le limitazioni e i vincoli alla proprietà privata nelle fasce circostanti gli aeroporti, stabilite dagli articoli 714 e 715 cod.nav., hanno come unico presupposto di operatività l'esistenza di un aeroporto, sicché la mancata emanazione di un nuovo decreto ministeriale di approvazione delle mappe non può condizionare l'esistenza del vincolo (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 15 maggio 1998, n. 995; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 12 marzo 1992, n. 76; Tar Aosta, 12 febbraio 2006, n. 12). In nessuna pronuncia viene però affermata l'irrilevanza di un vincolo risultante dalle mappe. Né dal principio, accolto nelle pronunce richiamate dalla ricorrente - secondo cui la mancata emanazione del decreto ministeriale di approvazione delle mappe non condiziona l'esistenza del vincolo, derivando tale vincolo già dalla legge - può certo inferirsi la natura meramente dichiarativa dei vincoli previsti dalle mappe ministeriali. Le mappe ministeriali sono, al contrario, indubbiamente lesive, in quanto con esse vengono concretamente apposti i vincoli aeroportuali previsti dagli artt. 714 e ss. cod. nav., tant'è che la legge prevedeva una serie di garanzie procedimentali per la loro adozione. Alle medesime conclusioni era già giunto il Consiglio di Stato, con la sentenza sez. VI, n. 35/1994, richiamata dalla stessa ricorrente. Questa pronuncia precisa, invero, che il d.m. con il quale vengono determinate la direzione e la lunghezza di atterraggio ai sensi dell'art. 714 bis, in quanto atto meramente prodromico, non è immediatamente impugnabile per la sua attuale mancanza di lesività (Cons. Stato, sez. IV, 18.10.1967 nn. 485 e 487) in quanto gli elementi che deve determinare non consentono di individuare in concreto i vincoli, le limitazioni ed i divieti cui le zone che circondano gli aeroporti debbono essere sottoposte ai fini della sicurezza del traffico aereo. Del resto - prosegue il Consiglio di Stato - "la concreta individuazione dei vincoli, delle limitazioni e dei divieti in argomento è disciplinata dal seguito procedimentale, che prevede la redazione di una mappa provvisoria, il deposito della mappa stessa presso il Comune interessato, il decorso di un termine dilatorio per la presentazione di osservazioni ed opposizioni e, infine, l'assunzione del d.m. conclusivo della procedura. Quest'ultimo vincolo, immediatamente impugnabile per la sua attuale lesività, costituisce le limitazioni, i vincoli ed i divieti in argomenti, prevede il diritto dei proprietari di essere indennizzati in caso di demolizione di costruzioni preesistenti e prevede la sanzione dell'abbattimento senza indennizzo per i manufatti successivamente realizzati in contrasto con le sue statuizioni". Laddove nell'approntare le mappe dell'aeroporto di Linate - ponendo l'area in questione in zona rossa - il Ministero per i trasporti non avesse applicato correttamente le previsioni di cui agli artt. 714 e ss. cod. nav. era onere della ricorrente proporre opposizione, nelle forme previste nell'avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 252 del 22 settembre 1976, oppure ricorso giurisdizionale avverso tale atto. Ciò comporta che le censure volte ad affermare, in questa sede, l'insussistenza del vincolo aeroportuale - e, in particolare, la circostanza che l'area sarebbe esterna alle direzioni di atterraggio e di decollo e che dunque ricadrebbe non nel vincolo di cui all'art. 715 bis ma in quello previsto dall'art. 715 c. 4 - sono inammissibili, non avendo la ricorrente proposto impugnazione avverso l'atto di apposizione del vincolo di inedificabilità assoluta sull'area di sua proprietà, adottato ai sensi dell'art. 715 ter cod. nav. È, difatti, pacificamente inammissibile l'impugnazione giurisdizionale di un provvedimento amministrativo che rimetta in discussione la legittimità del provvedimento definitivo presupposto, divenuto inoppugnabile”.

In considerazione di ciò il T.A.R. Lombardia ritiene legittimo l’annullamento d’ufficio della concessione edilizia rilasciata dal Comune in un’area soggetta al vincolo aeroportuale di inedificabilità assoluta: “L'intervento di questi organi comunali è da ritenersi sufficiente a garantire il rispetto delle forme procedimentali in considerazione delle ragioni di ordine esclusivamente giuridico per le quali l'amministrazione ha deciso di annullare l'ufficio il titolo edilizio e comunque - per quanto riguarda il principale motivo di annullamento, legato alla esistenza del vincolo aeroportuale - della non necessità di un coinvolgimento dell'E.n.a.c., attesa la competenza del solo Comune a valutare il rispetto delle mappe ministeriali adottate ai sensi dell'art. 715 ter ed il carattere assoluto del vincolo aeroportuale esistente sull'area, quale risultante dalla mappa dei vincoli relativa all'aeroporto di Linate, approvata con d.m. 28 luglio 1976, e come accertato in sede penale”.  

dott. Matteo Acquasaliente

Regolamento per la costruzione e l'esercizio degli aeroporti

TAR Milano n. 89 del 2011

TAR Bolzano n. 312 del 2011

TAR Napoli n. 1215 del 2014

Occorre l’autorizzazione agli scarichi per gli edifici costruiti prima della L. 319 del 1976?

12 Mar 2014
12 Marzo 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n.  1023 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "La disciplina autorizzatoria degli scarichi è stata introdotta dall’art.9 della legge 319/76, quindi è pacifico che al momento della costruzione dell’edificio di cui si discute essa non fosse ancora esistente. In via transitoria la normativa ha previsto l’obbligo di autorizzazione solo per gli scarichi degli insediamenti produttivi anche se antecedenti, mentre per gli insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognature ha semplicemente previsto un obbligo di denunzia ( nel caso di specie ottemperato) stabilendo che la relativa disciplina tesa all’adeguamento fosse definita dalle Regioni attraverso l’adozione di “piani di risanamento delle acque”.

In questo quadro normativo, sostenere – come ha fatto il primo giudice - che all’obbligo di denuncia possa sostituirsi, senza bisogno di alcuna espressa previsione, l’obbligo di autorizzazione ove la Regione non proceda alla redazione del Piano di risanamento, è interpretazione che, se da un lato assicura il perseguimento degli obiettivi di salubrità, dall’altro tradisce la lettera della legge ed il principio di affidamento nel disposto legislativo (ne è prova del resto il regolamento da ultimo approvato dalla Regione Puglia, 12 dicembre 2011, n. 26, il quale all’art.7 prescrive un obbligo di adeguamento degli impianti già esistenti  non recapitanti nella rete fogniaria, entro due anni dalla sua entrata in  vigore). Piuttosto deve affermarsi che per gli scarichi degli insediamenti civili assentiti prima dell’entrata in vigore della legge 319/76 non occorre autorizzazione ex post, essendo già la licenza edilizia comprensiva delle prescrizioni in ordine agli scarichi (questa è del resto la tesi recentemente sostenuta dalla Cassazione, sez. II, 24/11/2008, n. 27895) Ovviamente ciò non significa che l’impianto di smaltimento a dispersione sia conforme o possa essere mantenuto in essere: piuttosto esso deve essere adeguato nei tempi e nei modi previsti dalla normativa regionale primaria e secondaria".

sentenza CDS 1023 del 2014

La responsabilità penale delle imprese: confronto tra le società private e le società partecipate da Enti Locali

12 Mar 2014
12 Marzo 2014
Pubblichiamo in allegato la locandina del Convegno "Officina 231", organizzato dall'Ordine dei Commercialisti di Vicenza, che si svolgerà a Vicenza il 31/03 p.v., a Zanè il 7/05 p.v. e a Bassano del Grappa il 14/05, sul D.Legisl.231/2001, con presentazione di case-reports ( società private, società pubbliche partecipate, enti pubblici economici).
 
Le iscrizioni si effettuano tramite il sito dell'Ordine dei Dottori Commercialisti di Vicenza
 

La tipicità degli strumenti di pianificazione non vale per gli Schemi Direttori

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 il Collegio afferma la legittimità dei c.d. Schemi Direttori previsti dal Piano degli interventi di Vicenza: “5.2 Va, altresì, evidenziato come lo stesso piano rinvii, essenzialmente, ai PUA per quanto concerne la realizzazione degli interventi e, ciò, mediante il ricorso all’istituto della perequazione.

5.3 La previsione degli “schemi direttori”, deve essere interpretata in quanto diretta ad attuare una funzione di coordinamento degli interventi da realizzare, disciplinando nel relativo ambito le prescrizioni contenute nel Piano degli Interventi e, ciò, secondo uno schema, che seppur innovando con le disposizioni sopra citate, non può essere ritenuto in contrasto con le stesse” ed ancora: “6.3 Sul punto va considerato dirimente constatare che lo strumento della “schema Direttore”, coincide sostanzialmente con il contenuto del PUA, assumendo rispetto a detto Piano attuativo una funzione – ulteriore - di coordinamento e di raccordo con gli stessi PUA e, in ciò, senza che per questo sia modificata la ripartizione tra le competenze tra il Consiglio comunale (competente all’approvazione del PI) e, ancora, la Giunta comunale alla quale sono attribuiti i poteri di approvare i singoli PUA” ed ancora: “6.3 Sul punto va considerato dirimente constatare che lo strumento della “schema Direttore”, coincide sostanzialmente con il contenuto del PUA, assumendo rispetto a detto Piano attuativo una funzione – ulteriore - di coordinamento e di raccordo con gli stessi PUA e, in ciò, senza che per questo sia modificata la ripartizione tra le competenze tra il Consiglio comunale (competente all’approvazione del PI) e, ancora, la Giunta comunale alla quale sono attribuiti i poteri di approvare i singoli PUA.

6.4 Va, inoltre, chiarito come l’utilizzo dello strumento dello “schema Direttore” non comporti la violazione del principio di tipicità e nominatività degli strumenti urbanistici, ritenendo come non possa condividersi l’argomentazione di parte ricorrente, in base alla quale, si sarebbe introdotto uno strumento di pianificazione non previsto dalla legislazione nazionale.

6.5 Se, infatti, il principio di “tipicità” sopra ricordato costituisce un dato acquisito per l’ordinamento, va comunque evidenziato come la modifica costituzionale del Titolo V della Costituzione, con l'attribuzione alla competenza concorrente della materia del "governo del territorio", ha determinato come detta tipicità debba essere strettamente verificata sulla base sia, della normativa nazionale sia, ancora, di quella regionale.

6.6 Si è, peraltro già avuto modo di evidenziare come gli “Schemi Direttore” integrano per caratteristiche delle fattispecie analoghe a quelle dei PUA, questi ultimi espressamente disciplinati dalla normativa regionale, assumendo rispetto agli stessi PUA una funzione di precisazione delle prescrizioni del PI e, nel contempo, una finalità ulteriore di raccordo e di coordinamento dei singoli piani attuativi.

6.7 Ne consegue come deve ritenersi ammissibile che l’Amministrazione comunale possa introdurre varianti e modifiche alla disciplina di dettaglio degli strumenti urbanistici a condizione che non si determini una deviazione sostanziale dal modello contenuto nella legislazione nazionale e regionale, avendo a riferimento il rispetto della funzione tipica degli strumenti urbanistici così come individuati dalla stessa legislazione vigente.

6.8 Detta interpretazione trova conferma, a livello costituzionale, e precisamente nell'ultimo comma dell'art. 117 Cost., laddove attribuisce ai Comuni la potestà regolamentare nelle materie di loro competenza”. 

dott. Matteo Acquasaliente

La natura ibrida del Piano degli Interventi

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 il Collegio chiarisce che il P.I. ha la natura mista di atto provvedimentale e normativo: “Costituisce espressione di un principio consolidato (Cons. di Stato sez. IV 19 Febbraio 2010 n. 1004) quello in base al quale lo strumento urbanistico ha natura giuridica di atto complesso, con un contenuto misto di atto normativo e, al tempo stesso, di provvedimento amministrativo.

E’, allora, evidente che in conseguenza di detta natura provvedimentale risultava integrata la fattispecie di cui all’art. 15 sopra citato legittimando l’acquisizione del parere della Commissione Territorio”. 

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC