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Art. 38 ptrc e vas: convegno a Spinea giovedì 31 ottobre 2013

10 Ott 2013
10 Ottobre 2013

L’assessorato all’urbanistica del comune di Spinea organizza, il prossimo 31 ottobre, un incontro durante il quale verranno illustrati i recentissimi provvedimenti regionali in ambito urbanistico in materia di articolo 38 del Ptrc e in materia di Vas.

La prima parte della mattinata verrà dedicata ai criteri di applicazione del nuovo articolo 38 del Ptrc “Aree afferenti ai caselli autostradali, agli accessi alla rete primaria, alle superstrade e alle stazioni SFMR”. L’arch. Alberto Miotto della Direzione pianificazione territoriale e strategica della Regione Veneto   illustrerà i criteri di applicazione delle misure di salvaguardia.

La seconda  parte della mattinata sarà dedicata alla Vas. La dirigente del settore regionale – dott. avv. Paola Noemi Furlanis – illustrerà il nuovo provvedimento regionale contenente le linee di indirizzo applicative, relativamente alla valutazione ambientale strategica, in seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 58/2013 e chiarirà le nuove modalità e i criteri operativi che dovranno applicarsi in relazione ai diversi livelli di pianificazione (Prg, Pat, Pi, Pua, ecc.).

La parte conclusiva della giornata seminariale sarà poi dedicata al dibattito  e alla risposta ai quesiti.

L’incontro si svolgerà dalle 9.00 alle 13.00 presso la sala municipale del comune di Spinea.

Un dottore agronomo è competente a sottoscrivere progetti edilizi?

09 Ott 2013
9 Ottobre 2013

La sentenza n. 4854 del 2013 del Consiglio di Stato decide un ricorso presentato  dall’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Bari avverso un provvedimento col quale il Dirigente del Comune ha respinto una domanda avente ad oggetto il rilascio di un titolo edilizio richiesto dalla Cantina Cooperativa Coltivatori Diretti di Barletta per la costruzione di un frantoio oleario, in quanto il relativo progetto era stato redatto da un dottore agronomo. Il ricorrente Ordine ha dedotto l’avvenuta violazione dell’art. 2, lett. d), della L. 7 gennaio 1976 n. 3, recante l’ordinamento della professione di dottore agronomo, laddove si stabiliscono le competenze proprie di tale categoria di professionisti, menzionando – tra l’altro - “la progettazione... ed il collaudo dei lavori relativi alle costruzioni rurali e di quelli attinenti alle industrie agrarie e forestali”.

In primo grado il TAR aveva ritenuto dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto proposto dall'ordine professionale e non dal professionista interessato.

Il Consiglio di Stato riforma la decisione, precisando che: "La tesi del giudice di primo grado è – viceversa – smentita da esplicita e del tutto unanime giurisprudenza formatasi sul punto in discussione, secondo la quale gli Ordini professionali hanno legittimazione a difendere in sede giurisdizionale gli interessi della categoria di soggetti di cui abbiano la rappresentanza istituzionale qualora si tratti della violazione di norme poste a tutela della professione stessa, o allorché si tratti comunque di conseguire determinati vantaggi - sia pure di carattere strumentale - giuridicamente riferibili alla intera categoria, con il limite (che qui non rileva) derivante dal divieto di occuparsi di questioni relative ad attività non soggette alla disciplina o potestà degli Ordini medesimi (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2010 n. 8006; cfr., altresì, la decisione n. 8404 resa sempre dalla Sez. V); ossia, detto altrimenti, sussiste nel nostro ordinamento la legittimazione di un Ordine professionale a tutelare anche in via contenziosa l’interesse collettivo dei professionisti suoi iscritti in modo generale e indistinto (così Cons. Stato, Sez. II, 24 gennaio 2011 n. 2783). Nel caso in esame, quindi, non è ravvisabile – a differenza di quanto affermato dal giudice di primo grado – una sostituzione processuale da parte dell’Ordine nei riguardi della posizione del singolo professionista, per certo preclusa a’ sensi dell’art. 81 c.p.c., ma è sussiste – anche al di là della lesione arrecata sia alla sfera dell’interesse individuale del progettista, sia alla sfera del committente dell’opera, i quali peraltro liberamente non hanno ritenuto di tutelarsi in sede giudiziale – un concomitante e del tutto autonomo interesse dell’Ordine a veder assicurata l’applicazione delle disposizioni normative che disciplinano la competenza professionale dei suoi iscritti - anche se materialmente non coinvolti nel presente procedimento giudiziale – proprio in quanto soggetto ex lege esponenziale di tutti gli iscritti medesimi. Tale interesse alla decisione del ricorso perdura anche allorquando – come, per l’appunto, nel caso di specie – l’annullamento dell’atto impugnato non può dispiegare effetti concreti ma è apprezzabile comunque la perdurante lesività dell’atto stesso per il credito, il prestigio e l’estimazione sociale della parte ricorrente, ossia allorquando comunque persistano come fatti storici valutazioni e giudizi negativi su qualità e capacità della parte medesima (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 30 luglio 2002 n. 4076 e Sez. V, 5 marzo 2001 n. 1250). Nel caso di specie, è indiscutibile la permanenza a tutt’oggi dell’interesse dell’Ordine a rimuovere ope iudicis un provvedimento che, se considerato nel suo intrinseco contenuto, si pone come non corretta valutazione dell’idoneità professionale non solo – contingentemente - del dott. Cassandro ma di qualsivoglia iscritto all’Ordine professionale degli agronomi se chiamato a progettare un frantoio, configurandosi quindi come un precedente ostativo – anche perché reiterabile dallo stesso Comune, nonchè da altre pubbliche amministrazioni - per le opportunità professionali di tutti i suoi iscritti.
4.3. Premesso ciò, il ricorso proposto in primo grado va accolto, in quanto – come detto innanzi - l’art.2, lett. d), della L. 7 gennaio 1976 n. 3, recante l’ordinamento della professione di dottore agronomo, riconduce testualmente alla relativa competenza professionale anche “la progettazione... ed il collaudo dei lavori relativi alle costruzioni rurali e di quelli attinenti alle industrie agrarie e forestali”. A suo tempo questo stesso giudice ha già avuto modo di affermare la legittimità di un titolo edilizio per la realizzazione di un complesso industriale per la lavorazione di carni suine e di pollame su progetto redatto da un dottore agronomo, posto che la disposizione testè riportata consente la prestazione professionale di quest’ultimo relativamente alle industrie, tra le quali devono essere annoverate le “industrie agrarie” e, quindi, il complesso in questione, essendo indubitabile che nella disposizione medesima il termine “industria” è sempre usato nel senso tecnico-giuridico di attività diretta alla produzione di beni o di servizi di cui all’art. 2195, n. 1 c. c. e che l’opera in questione è – per l’appunto - relativa ad industria agraria (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 29 ottobre 1992 n. 1078). Lo stesso ragionamento non può - quindi - non valere anche per la realizzazione di un frantoio, trattandosi parimenti di “industria agraria” nel senso ora descritto. Va comunque precisato che se il progetto eventualmente fuoriesce dai caratteri propri della semplice edilità e richiede, ad esempio, opere di “conglomerato cementizio semplice od armato, la cui stabilità possa comunque interessare la incolumità delle persone”, la competenza professionale spetta inderogabilmente, a’ sensi del tuttora vigente art. 1, primo comma, del R.D.L. 16 novembre 1939 n. 2229, agli ingegneri e agli architetti iscritti ai relativi albi, “nei limiti delle rispettive attribuzioni, ai sensi della L. 24 giugno 1923 n. 1395 e del R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537, sull’esercizio delle professioni di ingegnere e di architetto, e delle successive modificazioni” (cfr. ivi; cfr., altresì, sul punto, ad es., Cassazione civ., Sez. II, 2 settembre 2011 n. 18038)".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4854 del 2013

 

Anche il provvedimento c.d. “di secondo grado” in astratto richiede l’avviso di avvio del procedimento ma tale avviso può sempre essere surrogato

09 Ott 2013
9 Ottobre 2013

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4855 del 2013 si occupa della decadenza di un titolo edilizio, in relazione alla quale esamina la questione della necessità dell'avviso di avvio del procedimento sotto due profili.

In primo luogo il Consiglio di Stato precisa che tale avviso è richiesto anche per i provvedimenti c.d. di "secondo grado" (quelli incidenti su posizioni giuridiche del suo destinatario originate da un provvedimento precedentemente adottato in suo favore). In secondo luogo il Consiglio di Stato ribadisce che l'avviso di avvio del procedimento non va inteso come un formalismo da applicare in modo meccanico.

Si legge, infatti, nella sentenza: "4.2. Innanzitutto, per quanto attiene ai motivi dedotti da Ste.Ros. in ordine all’asseritamente avvenuta violazione degli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990 sia con riguardo al difetto di motivazione della sentenza impugnata per quanto attiene alla valutazione delle relative censure formulate nel primo grado di giudizio, sia sotto il profilo della violazione dei principi di diritto che assistono l’annullamento degli atti di secondo grado, il Collegio ribadisce – concordando sul punto con il contenuto della sentenza impugnata – che le norme dettate in tema di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate in via del tutto meccanica e a fini meramente strumentali, essendo esse deputate non solo ad una funzione difensiva a favore del destinatario dell’atto conclusivo del procedimento, ma anche a formare nell’Amministrazione procedente una più completa e meditata volontà e dovendosi, comunque, ritenere che il vizio derivante dall’omissione di comunicazione non sussista nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto o manchi l’utilità della comunicazione all’azione amministrativa (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 20 giugno 2012 n. 3595). Segue dunque ciò, anche in dipendenza dei principi stabiliti dall’art. 21- octies della L. 241 del 1990, che non può configurarsi la violazione di tale obbligo di comunicazione nel caso in cui il soggetto inciso sfavorevolmente da un provvedimento non dimostri che, ove fosse stato reso edotto dell’avvio del procedimento , sarebbe stato in grado di fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare in modo diverso le scelte dell’Amministrazione procedente dell’azione amministrativa (cfr. ibidem). Nel caso di specie assume pertanto valore dirimente la circostanza che Ste.Ros. non dimostra che l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento n. 13120 dd. 5 novembre 2002 di decadenza della concessione edilizia n. 1650/98 dd. 18 marzo 1998 le ha precluso di dedurre nel procedimento medesimo a propria difesa elementi decisivi e tali dunque da indurre l’Amministrazione Comunale ad un diverso apprezzamento della fattispecie; né va sottaciuto che parimenti non sussiste la violazione dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 se l’interessato ha comunque avuto aliunde informazione dell’avvio del procedimento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2011 n. 5032), come nell’ipotesi – qui, per l’appunto, sussistente – nella quale la relativa conoscenza proviene all’interessato medesimo dalla sussistenza di un contenzioso con l’amministrazione sul punto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2001 n. 2884). Il Collegio non sottace che l’anzidetto provvedimento recante la pronuncia di decadenza della concessione si configura come provvedimento c.d. “di secondo grado”, in ordine al quale la regola generale di per sé impone l’inoltro dell’avviso dell’avvio del relativo procedimento in quanto incidente su posizioni giuridiche del suo destinatario originate da un provvedimento precedentemente adottato in suo favore (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 29 luglio 2003 n. 3169); ma anche in tale evenienza l’inoltro medesimo non è ritenuto necessario se risulta che l’interessato ha comunque avuto aliunde la relativa informazione (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 26 ottobre 2006, n. 6413; Sez. V, 18 novembre 2004,n. 7553 e 22 gennaio 2003 n. 243)".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4855 del 2013

La collocazione nel territorio pianificato delle opere di urbanizzazione secondaria necessita di una specifica destinazione dell’area su cui esse devono sorgere

08 Ott 2013
8 Ottobre 2013

Lo precisa il Consiglio di Stato nella sentenza n. 4445 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "...4.2. Come detto innanzi, Agorà ha dedotto nel primo grado di giudizio e puntualmente reiterato anche innanzi a questo giudice d’appello la censura dell’assenza, nell’ambito della vigente strumentazione urbanistica primaria del Comune di Roccabascerana, di un vincolo preordinato all’esproprio idoneo alla realizzazione dell’opera in questione e incidente sul proprio fondo, posto che le particelle catastali apprese al fine della realizzazione dell’edificio scolastico risultano incluse in zona “CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”.

Tale censura è fondata.

A tale riguardo nella sentenza impugnata si legge – come rilevato innanzi – che “la certificazione versata in atti, precisa all’art. 19 delle N.T.A. che la summenzionata zona CP1 riguarda aree di espansione residenziale pubblica, già destinata a tale scopo dal Piano per l’edilizia Economica e Popolare vigente e Nuovo Piano di Zona redatto ai sensi e per gli effetti della L. 14 maggio 1981 n.219 e del D.L.vo 30 marzo 1990 n. 76, escludendo, dunque, l’uso promiscuo pubblico-privato, per cui su tali aree esiste un vincolo preordinato all’espropriazione imposto dal vigente P.R.G. definitivamente approvato con decreto del Presidente della Provincia di Avellino n. 6/04 bis del 10 marzo 2006, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 18 del 18 aprile 2006. Né l’opera si pone in variante allo strumento urbanistico, attesa la sua destinazione ad attrezzature e servizi, per cui la pretesa violazione della procedura di variante semplificata, ex art. 19 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, risulta malamente invocata”.

Le affermazioni del giudice di primo grado travisano la situazione di fatto e risultano infondate per quanto attiene alla configurazione giuridica della situazione medesima.

Le particelle catastali di proprietà di Agorà assoggettate nella specie ad espropriazione (nn. 1008, 1009 e 672 del Foglio 13) sono indubitabilmente incluse dal vigente P.R.G. del Comune di Roccabascerana in zona “CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”, destinata alla realizzazione di edilizia residenziale, sia pure esclusivamente ad iniziativa pubblica.

L’opera pubblica realizzata dal Comune è – viceversa – un edificio scolastico, la cui collocazione non è prevista in tale zona.

Dalla lettura della sentenza di primo grado parrebbe di intendere che la destinazione dell’area ad edilizia residenziale pubblica potrebbe nella specie consentire l’utilizzazione del relativo vincolo di esproprio anche per realizzare una scuola, verosimilmente in quanto “attrezzatura” o “servizio” riconducibile all’urbanizzazione secondaria, trattandosi di servizio sociale a supporto di un insediamento abitativo.

In effetti, l’art. 4, secondo comma, lett. a) e b) della L. 29 settembre 1964 n. 847, come introdotto dall’art. 44 della L. 22 ottobre 1971 n. 865 e in parte sostituito dall’art. 17 della L. 11 marzo 1988 n. 67, menziona tra le opere di urbanizzazione secondaria gli “asili nido e scuole materne”, nonché le “scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo”.

Ma, se le opere di urbanizzazione primaria (cfr. l’anzidetto art. 4, primo comma: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione e spazi di verde attrezzato) sono ovunque realizzabili proprio in quanto essenziali per le fondamentali esigenze della collettività, la collocazione nel territorio pianificato delle opere di urbanizzazione secondaria necessita di una specifica destinazione dell’area su cui esse devono sorgere, ed a tal fine per ampia parte dell’elencazione contenuta nel secondo comma dell’art. 4 della L. 847 del 1964 si impone, quindi, la previa destinazione dell’area del relativo insediamento a zona F ( “parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”: cfr. art. 2 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444).

Ciò non è avvenuto per il caso di specie; e – come rettamente dedotto da Agorà – risulta conseguentemente omesso l’apposito procedimento di cui all’art. 9, comma 5, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il quale – per l’appunto – nel testo modificato per effetto del D.L.vo 27 dicembre 2002 n. 302, dispone che “nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all’esproprio, il Consiglio comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la Regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del Consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia”.

L’accoglimento di tale censura risulta assorbente e determina la caducazione dell’intero procedimento ablatorio, impedendo in particolare che all’approvazione del progetto dell’opera disposto con la deliberazione consiliare n. 16 dd. 12 maggio 2009 possa riconoscersi anche il valore di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera medesima...".

sentenza CDS 4445 del 2013

Differenza tra restauro/risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia

08 Ott 2013
8 Ottobre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4863 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Orbene, la differenza tra restauro e risanamento conservativo, da un lato, e ristrutturazione edilizia dall'altro, risiede essenzialmente nella  conservazione formale e funzionale dell'organismo edilizio che connota il primo rispetto alla seconda. Ne consegue che è consentita, negli interventi di restauro e risanamento conservativo, la sostituzione di parti anche strutturali e in generale di elementi costitutivi degli edifici (strutture portanti, pareti perimetrali: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, novembre 2012, n. 5818, vedi anche Sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4694), e quindi anche un rinnovo sistematico e globale purché nel rispetto degli elementi essenziali tipologici, formali e strutturali (Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2981). Orbene, nel caso di specie deve recisamente escludersi che i profili segnalati dall'appellante, già ricorrente in primo grado, connotino l'intervento quale ristrutturazione edilizia, e ciò sia con riferimento lavori relativi al "....camino situato all'interno dell'edificio..." (pag. 3 dell'appello), sia con riguardo alla realizzazione a piano terra, già destinato a negozi, di "locali passanti" ed anche delle opere ai due piani superiori intese alla realizzazione di destinazioni d'uso abitative compatibili (pag. 15-16 dell'appello), peraltro volte a ripristinare quelle originarie  (l'appellante stessa rileva a pag. 14 dell'appello che ai piani superiori vi erano alloggi poi trasformati in depositi a servizio dei negozi sottostanti). Ne consegue che l'intervento assentito con la concessione edilizia n. 165/95 del 13 dicembre 1995 non contrasta con l'invocata normativa tecnica attuativa, che comunque non può modificare la individuazione tipologica di cui all'art. 31 comma 1 lettere c) e d) della legge n. 457/1978".

sentenza CDS 4863 del 2013

Il c.d. sotterramento delle opere abusive non equivale alla loro demolizione

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, con la sentenza del 18 settembre 2013 n. 4345, chiarisce che il ripristino dello stato dei luoghi, conseguente all’ordine di demolizione di un’opera abusiva, non può essere realizzato con il c.d. “sotterramento” dell’abuso: “Come accertato dalla CTU, l’abuso non è stato demolito ma semplicemente “riempito” di terreno, approfittando della circostanza che si tratta di un volume interrato. Orbene, non può assolutamente condividersi la tesi di parte ricorrente, secondo cui il riempimento del volume con terreno sarebbe equivalente alla rimozione dell’abuso, perché renderebbe il volume inutilizzabile.

Ciò, in primo luogo, perché il d.P.R. n. 380/2001 prevede la sanzione della “rimozione”, o della “demolizione”, o del “ripristino dello stato dei luoghi” (art. 31). Sono termini che intendono, con tutta evidenza, l’eliminazione dell’opera abusiva, ed esigono che lo stato dei luoghi debba tornare com’era prima della realizzazione dell’abuso. Il riempimento con terreno di un volume interrato non può essere equiparato ad una “rimozione”, e men che meno ad una demolizione o ad un ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, occorre considerare che il riempimento del volume con terreno non determina affatto l’inutilizzabilità definitiva dell’opera: i ricorrenti ben potrebbero, in futuro, rimuovere il terreno e recuperare la possibilità di utilizzo del volume; ed è per questo che occorre la demolizione vera e propria dell’abuso.

Sul punto, occorre anche disporre la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, per le determinazioni di competenza. Infatti, il verificatore, nella relazione depositata in data 04.07.2012, ha affermato che “il villino risulta rimosso e lo stato dei luoghi ripristinato”, affermazione che, come successivamente accertato, non risponde a verità”.

 Nella medesima sentenza si evidenzia, altresì, che occorre il Permesso di Costruire laddove la recinzione determini una trasformazione radicale dello stato dei luoghi: “Anche per quanto concerne l’istallazione dell’inferriata, la censura secondo cui tale intervento non necessita del permesso di costruire non può essere accolta. Infatti, per costante giurisprudenza di questo Tribunale, è richiesto il permesso di costruire quando la recinzione determina un’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo (Tar Campania, Napoli, sez. VII, n. 4261/2012). Nel caso di specie, come si evince dal provvedimento impugnato, è stata istallata un’inferriata su m.l. 30 su un muro, sicché anche tale intervento era subordinato al previo rilascio del permesso di costruire”.

Infine, per quando concerne la decadenza dell’ordine di demolizione in seguito alla presentazione dell’istanza di sanatoria, i Giudici affermano che: “Il ricorso non può essere accolto neanche per quanto concerne l’ordine di demolizione degli abusi per i quali erano state presentate le due istanze di condono. Infatti, è ben vero che, per costante giurisprudenza, l’ordinanza di demolizione è illegittima se adottata dopo la presentazione della domanda di condono atteso che l'Amministrazione comunale, prima di ordinare la demolizione delle opere eseguite, avrebbe dovuto esaminare detta domanda. Tale orientamento, tuttavia, non si applica nei casi in cui manchino, in modo evidente, i presupposti per l’ammissibilità della domanda medesima. Infatti l’obbligo di riesaminare l’abusività delle opere provocato dalla domanda di condono ha senso solo in presenza di un intervento astrattamente sanabile, ossia quando per effetto della formazione di un nuovo provvedimento esplicito (di accoglimento o di diniego), da qualificare come atto non meramente confermativo, risulterebbe definitivamente vanificata l’operatività dell’impugnato provvedimento demolitorio (T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 03 maggio 2005, n. 745)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Napoli n. 4345 del 2013

E’ inderogabile il divieto di costruzione a meno di 10 metri dai corsi d’acqua ex art. 96 comma 1, lettera f) del R.D. 523/1904

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Il Tar Lombardia - Brescia, sez. II, con la sentenza n. 814 del 2 ottobre 2013 ha ribadito il carattere inderogabile del divieto di costruzione a meno di 10 metri dai corsi d’acqua ex art. 96 comma 1, lettera f) del R.D. 523/1904 (Testo unico sulle opere idrauliche). Il TAR afferma che il divieto opera anche in relazione alle domande di sanatoria, con la conseguenza che la prassi dell’Autorità deputata alla tutela del vincolo idraulico (Genio Civile) di rilasciare permessi in sanatoria non appare suffragata né dalla legge né dalla giurisprudenza. Ciononostante si deve dare atto che il rilascio di “autorizzazioni idrauliche in sanatoria” risolverebbe non pochi problemi pratici; non è, infatti, infrequente che, in occasione di un intervento di ristrutturazione, il proprietario scopra che il suo edificio è sorto (magari in epoca remota, ma comunque successiva al 1904) all’interno della fascia  di rispetto dei 10 metri dal corso d’acqua e non sappia più quale santo invocare.

La norma suddetta risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l'inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (T.A.R. Toscana, sez. III – 8/3/2012 n. 439). In assenza di elementi a suffragio dell’applicazione della deroga contenuta nella lett. F del citato art. 96, ne consegue tra l’altro che nessuna opera realizzata in violazione della norma de qua può essere sanata e altresì – come affermato nella già citata sentenza di questo T.A.R. n. 1231/2011, "che è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso che, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto, trova applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree (da ultimo: TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981)".”

avv. Marta Bassanese

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Atto di segnalazione AVCP n. 4, del 25 settembre 2013 “Redazione degli atti di pianificazione e riconoscimento dell’incentivo ex art. 92, comma 6, del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163”

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Pubblichiamo l'atto di segnalazione della AVCP n. 4, del 25 settembre 2013, riguardante “Redazione degli atti di pianificazione e riconoscimento dell’incentivo ex art. 92, comma 6, del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163”.

Nelle premesse di tale atto si legge che: "L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nell’esercizio del potere di segnalazione al Governo ed al Parlamento di cui all’art. 6, comma 7, lett. f), del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (di seguito Codice), intende formulare alcune osservazioni in relazione alla disciplina recata dall’art. 92 dello stesso decreto legislativo, rubricato “Corrispettivi, incentivi per la progettazione e fondi a disposizione delle stazioni appaltanti”. Tale disposizione statuisce, al comma 6, che “Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.  In merito alla norma sopra riportata questa Autorità e la Corte dei conti hanno reso pronunce non pienamente conformi (come si illustrerà di seguito) in ordine alla tipologia di atti di pianificazione in relazione ai quali l’amministrazione interessata può riconoscere i compensi incentivanti, ivi previsti, al personale interno che li ha redatti.  Pertanto sono pervenute numerose richieste di chiarimenti in materia da parte degli operatori del settore (incluse associazioni di categoria), con particolare riferimento alla pianificazione urbanistica. Stante il tenore letterale della norma, che non consente la chiara individuazione degli atti di pianificazione in relazione ai quali è possibile corrispondere l’incentivo de quo al personale incaricato della redazione degli stessi, ed al fine di dirimere il contrasto interpretativo in materia, si pone dunque l’esigenza di un intervento di modifica o di integrazione dell’art. 92, comma 6, del Codice nel senso di seguito indicato".

Segnalazione AVCP n. 4 del 2013

Martedì 8 ottobre udienza pubblica in Corte Costituzionale sull’impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri della L.R. 50/2012 sul commercio

04 Ott 2013
4 Ottobre 2013

  Reg. ric. n. 36 del 2013 n° parte 1 pubbl. su G.U. del 10/04/2013 n. 15

per Regione Veneto:

Bruno BAREL

Ezio ZANON

Daniela PALUMBO

Andrea MANZI

 Ricorrente

Presidente del Consiglio dei Ministri

Resistenti

Regione Veneto

Oggetto:
Commercio - Norme della Regione Veneto - Esercizi di vicinato - Apertura, modificazioni di superficie, mutamento di settore merceologico, trasferimento di sede e subingresso - Assoggettamento a SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) da presentarsi allo sportello unico per le attività produttive (SUAP) - Ricorso del Governo - Denunciato esonero dalla verifica di assoggettabilità a VAS (valutazione ambientale strategica) per le varianti conseguenti a procedura di SUAP afferenti a strutture di vendita - Contrasto con le norme statali - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 17.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s).

Commercio - Norme della Regione Veneto - Medie strutture di vendita - Apertura, modificazioni di superficie, mutamento di settore merceologico, trasferimento di sede, subingresso - Assoggettamento ad autorizzazione rilasciata dallo sportello unico per le attività produttive (SUAP) ovvero, a seconda del tipo di attività e della superficie di vendita superiore o meno a 1.500 mq, a SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) da presentarsi al SUAP - Ricorso del Governo - Denunciato esonero dalla verifica di assoggettabilità a VAS (valutazione ambientale strategica) per le varianti conseguenti a procedura di SUAP afferenti a strutture di vendita - Contrasto con le norme statali - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 18.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s).

Commercio - Norme della Regione Veneto - Grandi strutture di vendita - Apertura, modificazioni di superficie, mutamento di settore merceologico, trasferimento di sede, subingresso - Assoggettamento ad autorizzazione rilasciata dallo sportello unico per le attività produttive (SUAP) ovvero, nei casi di riduzione di superficie, mutamento del settore merceologico, modifica della ripartizione e subingresso, a SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) da presentarsi al SUAP - Ricorso del Governo - Denunciato esonero dalla verifica di assoggettabilità a VAS (valutazione ambientale strategica) per le varianti conseguenti a procedura di SUAP afferenti a strutture di vendita - Contrasto con le norme statali - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 19.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s).

Commercio - Norme della Regione Veneto - Grandi strutture di vendita - Requisiti urbanistici e ambientali - Prevista applicazione della normativa sulla VIA (valutazione di impatto ambientale) limitatamente alle grandi strutture aventi superficie di vendita compresa tra 2.501 e 8.000 mq ovvero superiori a 8.000 mq, rispettivamente assoggettate alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, o screeening, ed alla procedura di VIA propriamente detta - Indiscriminata esenzione dalla verifica di assoggettabilità a VIA per tutte le strutture con superfici di vendita da 150 a 2.500 mq nei comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti e da 250 a 2.500 mq nei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti - Ricorso del Governo - Denunciata illegittima restrizione del campo di applicazione della VIA - Contrasto con le norme statali - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 22.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s).

Commercio - Norme della Regione Veneto - Strutture di vendita a rilevanza regionale - Assoggettamento dei relativi interventi edilizi ad un accordo di programma ai sensi dell'art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, anche in variante ai piani territoriali - Ricorso del Governo - Denunciata possibilità che l'accordo di programma determini deroghe ulteriori rispetto alle varianti agli strumenti urbanistici contemplate dal predetto art. 34 - Contrasto con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 26.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s); d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 135 e 143.

Norme impugnate

Num. Art. Co. Nesso  
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 17   
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 18   
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 19   
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 22   
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 26   

Parametri costituzionali

Num. Art. Co. Nesso  
Costituzione 117  (collegamento a Normattiva)

Udienza Pubblica del 08/10/2013 rel. CARTABIA

ricorso Corte Costituzionale legge regionale veneta commercio

La prescrizione degli interessi moratori connessi agli oneri di urbanizzazione

04 Ott 2013
4 Ottobre 2013

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 05 settembre 2013 n. 4462, si occupa degli interessi moratori collegati agli oneri di urbanizzazione.

I Giudici di Palazzo Spada confermano la sentenza appellata del T.A.R. Campania, Salerno, n. 2599/2003, ove si era affermato che: “il termine di prescrizione per gli oneri di urbanizzazione è di dieci anni ed “inizia il suo corso soltanto nel momento in cui è previsto l’adempimento della relativa obbligazione e quindi . . . dalla data di rilascio del provvedimento concessorio”, mentre per il costo di costruzione decorre dallo scadere di sessanta giorni dalla data di ultimazione delle opere”, e che: “gli interessi dovuti, da qualificarsi moratori “perché fissati convenzionalmente per l’ipotesi di ritardo nell’adempimento dell’obbligazione”, sono “maturati via via, di giorno in giorno, fino a che non è intervenuta la prescrizione del credito” e anche per essi il termine di prescrizione è decennale, non potendosi applicare il termine quinquennale poiché “essendo il credito principale unico e da estinguersi in un’unica soluzione, anche gli interessi moratori . . . per la loro natura di credito accessorio e in difetto di una pattuizione che ne prevedesse una corresponsione periodica, sono risultati soggetti al medesimo regime del credito cui afferivano”:

- infine “l’obbligazione di interessi è si collegata con vincolo di accessorietà all’obbligazione principale, ma solo nel momento genetico, cosicché una volta sorta le sue vicende risultano indipendenti da quelle dell’obbligazione principale”.

La sentenza in esame approfondisce tali considerazioni asserendo che: “Il Collegio rileva che gli interessi moratori, quali sono quelli oggetto di pattuizione intervenuta tra le parti, non costituiscono esclusivamente “frutto civile” (ex art. 820, comma terzo, c.c.), quali gli interessi su capitali, dovuti per effetto del godimento che altri abbia del denaro, ovvero sono l’effetto di una “produzione di pieno diritto” afferente a crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro (ex art. 1282 c.c.).

La funzione degli interessi moratori convenzionalmente pattuiti è (anche) quella di determinazione convenzionale dell’entità del risarcimento del danno derivante da ritardo nell’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore (art. 1224, comma secondo). Tale determinazione ha carattere esaustivo, senza che il creditore possa richiedere – anche mediante prova di un danno di entità patrimoniale maggiore – ulteriori somme a titolo di risarcimento del danno per la predetta causale.

In definitiva, per effetto della pattuizione degli interessi moratori, al verificarsi dell’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria, e fintanto che questo perdura, il creditore “originario” diviene altresì titolare di un ulteriore diritto di credito (alla percezione degli interessi moratori), derivante dall’inadempimento; ed il termine di prescrizione di tale diritto non può che decorrere dal momento del prodursi di tale “fatto”, e fintanto che questo non viene a cessare con l’adempimento dell’obbligazione principale.

In altre parole, l’obbligazione principale costituisce il “presupposto” dell’obbligazione accessoria costituita dal pagamento degli interessi moratori, ma – occorre precisare - tale “accessorietà” attiene al necessario collegamento con detta obbligazione, sia in quanto l’esistenza di questa è il presupposto dell’obbligazione degli interessi; sia in quanto il quantum della prima costituisce il parametro di calcolo della misura (in percentuale) degli stessi interessi moratori.

In questo senso deve essere intesa (e dunque condivisa) l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale il vincolo di accessorietà all’obbligazione principale sussiste solo “nel momento genetico”.

Si intende cioè affermare che tale “momento genetico” non deve essere inteso come quello di insorgenza (e dunque di conseguente “indissolubilità”) di entrambe le obbligazioni, posto che la prima nasce da propria fonte, che può essere il contratto, ovvero, come nel caso di specie, l’esercizio di potestà pubbliche, mentre la seconda, pur trovando nella medesima fonte della prima la propria previsione, nasce dall’inadempimento di quella.

Tale “momento genetico” deve essere invece inteso come momento di collegamento strutturale tra le due obbligazioni, trovando la seconda nella prima obbligazione la propria “ragion d’essere” e il presupposto della determinazione della propria misura.

Ciò chiarito e posto che la fonte ed il momento di insorgenza dell’obbligazione accessoria diverge da quello dell’obbligazione principale, non può che essere condiviso quanto affermato dal I giudice in ordine al fatto che “una volta sorta le sue vicende risultano indipendenti da quelle dell’obbligazione principale”, di modo che il regime di prescrizione (e la decorrenza del relativo termine) sono del tutto autonomi.

Ciò comporta che la intervenuta prescrizione del diritto di credito afferente all’obbligazione principale non comporta (né comunque rileva) ai fini della prescrizione dell’obbligazione accessoria.

Alle considerazioni sinora esposte, occorre ancora aggiungere che – contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante – non può trovare applicazione, con riferimento agli interessi moratori, il termine di prescrizione quinquennale.

Ed infatti, se gli interessi moratori costituiscono il risultato di una determinazione convenzionale del risarcimento del danno dovuto al creditore per le conseguenze derivanti dall’inadempimento, e dunque costituiscono l’oggetto di un (autonomo) diritto di credito, essi non possono rientrare nella eccezionale previsione dell’art. 2948 n. 4 c.c..

Ciò in quanto essi hanno natura affatto particolare e non costituiscono somma da pagarsi periodicamente, poiché la “periodicità” (ossia il riferimento temporale ad anno), rappresenta non già un termine di pagamento, quanto un momento di determinazione, convenzionalmente definito, della misura del risarcimento del danno derivante da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 4462 del 2013

 

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