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La Regione Veneto salva tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan e case mobili

30 Set 2013
30 Settembre 2013

Sul Bur n. 82 del 27/09/2013 è stata pubblicata la legge regionali n. 24 del 24 settembre 2013, recante "Misure di semplificazione per la realizzazione di strutture ricettive all'aperto", che sostanzialmente salva i campeggi e strutture simili dalle previsioni di cui all'articolo 41, comma 4, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (che li sottoponeva a titoli edilizi).

La legge stabilisce che:

"Art. 1
Realizzazione di strutture ricettive all'aperto
1. In relazione all'articolo 3, comma 1, lettera e.5), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia" e successive modificazioni, nel testo aggiunto dall'articolo 41, comma 4, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 "Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia", convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, per la realizzazione delle opere di strutture ricettive all'aperto, e in particolare per la collocazione e la installazione di allestimenti mobili, continua a trovare  applicazione l'articolo 30 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 "Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo" e successive modificazioni."

Ricordiamo che il comma 6 dell'art. 30 della legge regionale n. 33/2002 stabilisce che:

"6. Gli allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili e relative pertinenze ed accessori sono diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e se collocati, anche in via continuativa, in strutture turistiche ricettive all'aperto regolarmente autorizzate, non sono soggetti a, permesso di costruire, dichiarazione di inizio attività (DIA) o ad autorizzazioni e comunicazioni previste a fini edilizi da strumenti urbanistici o edilizi. A tal fine i predetti allestimenti devono:

a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione;
b) non possedere alcun collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento".

Legge Regionale 24 del 24 settembre 2013

Governo delle attività economiche e del territorio al tempo della crisi: Università di Verona, venerdì 04 ottobre 2013,

30 Set 2013
30 Settembre 2013

L'evento in oggetto si svolgerà Venerdì 4 Ottobre 2013 presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università di Verona (Via C. Montanari, 9).

L'evento è accreditato da Ordini e Collegi professionali di Architetti, Avvocati, Geometri ed Ingegneri. L'iscrizione e la partecipazione (fino ad esaurimento posti) sono gratuiti

Iscrizioni tramite e-mail a euroverona@gmail.com oppure via fax allo 045 4853185.

EVR_Seminario di Studi Urbanistici-Programma2013_Incontro_04_OTT

Secondo Strasburgo se il comune è insolvente paga lo Stato

27 Set 2013
27 Settembre 2013

La condizione di dissesto dell'ente locale coincide con una situazione di crisi finanziaria particolarmente grave. Si tratta della condizione “strutturalmente deficitaria”, di cui all'art. 242, comma 1, del t.u.e.l., che ricorre quando l'ente presenta “gravi e incontrovertibili condizioni di squilibrio”, rilevabili mediante parametri obiettivi risultanti da apposita tabella allegata al certificato sul rendiconto della gestione del penultimo esercizio precedente quello di riferimento. Il t.u.e.l. prevede due possibili presupposti che determinano il dissesto finanziario, infatti, l'art. 244, comma 1, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 recita: “Si ha stato di dissesto finanziario se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all'art. 193, nonché con le modalità di cui all'art. 194 per le fattispecie ivi previste”. Per comprendere in che cosa consistano i presupposti del dissesto si può far ricordare il testo del d.p.r. 24 agosto 1993, n. 378, adottato in esecuzione al decreto legge n. 8 del 1993, nel quale è detto che “il mancato assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili” risulta qualora l'ente, “pur riducendo tutte le spese relative a servizi non indispensabili”, non è in condizione “di assicurare il pareggio economico del bilancio di competenza”, “a causa di elementi strutturali”. La situazione di insolvenza ricorre, invece, allorché l'ente abbia debiti “liquidi ed esigibili” che “non trovino valida copertura finanziaria (…) con mezzi di finanziamento autonomi dell'ente senza compromettere lo svolgimento delle funzioni e dei servizi indispensabili”.

Rilevate tali situazioni, si esclude alcuna discrezionalità nella declaratoria del dissesto dell'ente: il quale, in presenza di dati obiettivi, è obbligato a dichiararla. In presenza di una delle condizioni indicate dall'art. 244, il Consiglio dell'ente è, dunque, tenuto a dichiarare lo stato di dissesto, con delibera irrevocabile, motivata anche con riguardo alla valutazione delle cause dello stato di dissesto. La delibera con cui si dichiara il dissesto, a cui va allegata la relazione dettagliata dell'organo di revisione economico finanziaria che analizza le cause che hanno provocato il dissesto, deve essere trasmessa, entro cinque giorni, al Ministero dell'interno ed alla procura regionale della Corte dei conti ed è poi pubblicata per estratto nella Gazzetta Ufficiale a cura del Ministero dell'interno insieme al decreto del Presidente della Repubblica di nomina dell'organo straordinario di liquidazione. La dichiarazione di dissesto produce tre ordini di effetti:

1)      In primo luogo, risultano interessanti le conseguenze relative agli Amministratori dell’ente locale, le quali sono limitate a quelli che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni da loro prodotti, con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario.

2)       Le conseguenze sui creditori operano fin dall'inizio riguardano i rapporti obbligatori rientranti nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione e consistono nella cristallizzazione dei debiti dell'ente, che non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria, nonché nell'estinzione delle procedure esecutive in corso, con conseguente inefficacia dei pignoramenti eventualmente eseguiti, e nell'impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti dell'ente.

3)      La dichiarazione di dissesto ha effetti ,poi, sulla disciplina da applicare alla gestione durante il periodo intercorrente tra tale dichiarazione e l'approvazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. L'ente si trova sottoposto ad una sorta di stato di tutela e la sua autonomia non gode più delle garanzie costituzionali a causa del cattivo uso che è stato fatto di tale autonomia, cosi, le spese sono circoscritte a quelle relative ai servizi ritenuti indispensabili dallo Stato.

Il 24 settembre 2013, la Corte di Strasburgo, sezione seconda ha definito il ricorso nr. 43870/04, stabilendo che, nel caso in cui i Comuni Italiani siano insolventi, sarà lo Stato Italiano a pagare i loro debiti. Nelle sue osservazioni, il Governo ha descritto come il fallimento di un Amministrazione locale viene determinato da una “'Dichiarazione di insolvenza” (Stato di Dissesto), con la necessità di soddisfare e risanare finanziariamente la comunità colpita, al pari essenzialmente alle procedure concorsuali ordinarie ( con tanto di condicio creditorum). Tuttavia, a differenza di una società privata, - proseguiva il Governo - la comunità locale in mora non cessa di esistere e deve continuare a svolgere i suoi compiti istituzionali. Si deve pertanto disporre delle risorse necessarie, perciò il blocco delle funzioni deve essere limitato al periodo antecedente la dichiarazione di insolvenza (cioè i crediti precedenti al 31 dicembre dell'anno precedente la dichiarazione di fallimento) e non si estende alle operazioni finanziarie posteriori.La Corte ritiene, però, che la mancanza di una risorsa comune non può giustificare l’omissione di adempiere agli obblighi di una sentenza definitiva nei proprio confronti (v., mutatis mutandis, Ambruosi v Italia, no. 31227/96, § § 28-34, 19 ottobre 2000 e Burdov, citata sopra, § 41) . La Corte tiene a sottolineare che si tratta, nel caso de quo di un debito di un ente locale, quindi un organo dello Stato, in virtù di una decisione giudiziaria che condannava al pagamento dei danni. Questo aiuta a differenziare questo caso dalla precedente v. Finlandia, citata dal Governo, dove vi era stato lo sviluppo di un credito nei confronti di un individuo, e come il caso Koufari e ADEDY c. Grecia ((decisione), n 57665/12 e 57657/12, § § 31-50, 7 maggio 2013), dove vi era una questione di politica sociale per ridurre una retribuzione ed una pensione.

In conclusione la Corte ha dichiarato:

-          che vi è stata una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n ° 1 alla Convenzione;

-          che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;

-          che non vi è alcuna necessità di esaminare la denuncia ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione

-          che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diviene definitiva in conformità con l'articolo , 44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi:. ± 50 000 (50.000 €), più qualsiasi tassa che può essere addebitabile come tassa per il materiale e morale danni, 5 000 EUR (cinquemila euro), più qualsiasi tassa che può essere addebitabile ad imposta da parte del richiedente, costi e spese a partire dalla scadenza del termine fino al versamento, tali somme devono essere versate su un interesse semplice ad un tasso pari al il tasso di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;.

-          rigetta la domanda di equa soddisfazione in applicazione dell'articolo 77 § § 2 e 3 del regolamento.

dott.sa Giada Scuccato

La distanza di cui all’art.9 comma 1 punto 3 del DM 1444/1968 si applica anche quando uno solo dei fabbricati si trovi in zona C

27 Set 2013
27 Settembre 2013

Lo specifica la sentenza del TAR Veneto n. 1105 del 2013,

Scrive il TAR: "3. E’, infatti, infondato anche il secondo motivo alla base del ricorso, nell’ambito del quale si sostiene la violazione dell’art.9 comma 1 punto 3 del DM 1444/1968, nella parte in cui sancisce, per quanto concerne le zone C), la necessità che si rispetti la distanza pari al fabbricato più alto.
3.1 Non è condivisibile, sul punto, l’interpretazione della norma sopra citata posta in essere dalla parte ricorrente, in base alla quale la distanza pari al fabbricato più alto costituirebbe limite da applicare solo qualora entrambi gli edifici si trovino in Z.T.O. "C" e, non, anche nella diversa ipotesi - corrispondente al caso di specie -, in cui uno soltanto dei fabbricati si trovi in zona "C" e l'altro incida, invece, in una zona completamente diversa.
3.2 La semplice lettura della disposizione sopra citata evidenzia come la distanza in questione debba necessariamente riferirsi al caso in cui il fabbricato “erigendo” incida sulla zona C e, ciò, senza che sia possibile desumere dalla norma stessa l’intento del Legislatore di introdurre una qualche differenzazione di disciplina rispetto all’ipotesi attinente al caso di specie. E’ del tutto evidente che considerare ammissibile l’interpretazione di parte ricorrente porterebbe a disciplinare in modo diverso situazioni  analoghe, rendendo ammissibile l’applicazione del diverso limite della distanza dei 10 metri, di cui al punto 2 dello stesso art. 9, nell’ipotesi in cui il fabbricato principale sia situato su un’area diversa da quello da realizzare".

sentenza TAR Veneto 1105 del 2013

E’ legittimo il diniego fondato su ragioni diverse da quelle contenute nel preavviso di diniego di cui all’art. 10 bis, l. n. 241/1990?

26 Set 2013
26 Settembre 2013

Dice di si la sentenza del TAR Veneto n. 1105 del 2013.

Scrive il TAR: "E’ principio ormai consolidato della giurisprudenza (per tutti T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 04-02-2013, n. 336) quello in base al quale “non costituisce apprezzabile violazione procedurale l'ipotesi in cui il preavviso di diniego di cui all'art. 10 bis, l. n. 241/1990 non presenti una delle contestazioni trasfuse, poi, nell'atto impugnato a fondamento del rigetto, ove quest'ultimo sia autonomamente supportato da valide e diverse motivazioni, tali da sostenerlo a prescindere dalla illegittimità delle ragioni in esso trasfuse per la prima volta”.
2.1 Si consideri, ancora, che secondo quanto affermato da un altrettanto recente e costante orientamento (Cons. Stato Sez. IV, 20-02-2013, n. 1056) è necessario adottare un’interpretazione dell’art. 10 bis non formalistica, dovendosi invece avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio subito dalla ricorrente.
2.2 Così è nel caso di specie, laddove il provvedimento di rigetto risulta essenzialmente fondato sulla violazione della distanza minima dei fabbricati, circostanza quest’ultima che risulta dirimente al fine di sancire la legittimità del provvedimento ora impugnato".

sentenza TAR Veneto 1105 del 2013

I consiglieri comunali assenteisti possono anche trovare un TAR benevolo

26 Set 2013
26 Settembre 2013

Segnaliamo sulla questione della decadenza dei consiglieri comunali assenteisti la sentenza del TAR Veneto n. 1131 del 2013, che richiede il rispetto di una procedura molto rigorosa.

Scrive il TAR: "che, inoltre, l’assemblea non ha richiesto nell’immediatezza, ovvero nella seduta successiva, contezza dell’assenza, così alimentando e giustificando l’ambigua prassi della giustificazione automatica delle assenze, formalmente risolta soltanto dopo che il rappresentante comunale aveva cumulato il numero di assenze tali da comportare un sua destituzione dalla carica, carica che, in quanto espressione della volontà dei cittadini del comune resistente poteva e doveva essere revocata, invece, soltanto dopo aver appurato in modo palese ed incontrovertibile la sussistenza di una nolontà del ricorrente nell’espletamento del mandato rappresentativo ed una sua reale disaffezione al ruolo ricoperto.

Tale omissione non può essere superata, ex post, attraverso mere contestazioni formali svolte nei confronti del ricorrente e con la contestuale ingiunzione a giustificare tali assenze.

E’ principio generale dell’ordinamento quello per cui le contestazioni del fatto illecito in genere, devono avvenire in un termine ravvicinato; nel caso di specie la normativa interna prevede la decadenza dalla carica dopo cinque assenze nell’arco dell’anno, mentre l’amministrazione ha atteso che il ricorrente incorresse in nove assenze prima di formulare la relativa contestazione, così da pregiudicare anche la sua difesa.

Il difetto di tale momento di trasparenza e la procrastinazione della contestazione ha, conseguentemente, compromesso la successiva valutazione del comportamento del ricorrente da parte dell’organo comunale in termini di obiettività e trasparenza.

Di contro, il comportamento assunto dallo stesso Ente, proprio alla luce delle esposte considerazioni, si appresta, invece, ad ambigue interpretazioni, non ultime quelle di interessate e soggettive determinazioni estranee ai motivi ed alle ragioni normativamente previste per la decadenza dalla carica dei rappresentati i cittadini.

Per tali motivi il Tribunale annulla il Provvedimento di decadenza adottato nei confronti del ricorrente ed i conseguenti provvedimenti connessi".

sentenza TAR Veneto 1131 del 2013

CIVIT: Indicazioni in ordine alla pubblicazione degli atti di governo del territorio (art. 39 del d.lgs. n. 33/2013)‏

26 Set 2013
26 Settembre 2013

Si informa che il CIVIT, in data 17/09/2013, ha espresso le allegate indicazioni in ordine alla pubblicazione degli atti di governo del territorio (art. 39 del d.lgs. n. 33/2013): "la Commissione ha espresso l’avviso che: le amministrazioni siano tenute a pubblicare gli atti di governo del territorio vigenti, ancorché approvati precedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013. Per gli strumenti adottati successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, la pubblicità degli atti approvati è condizione per l’acquisizione di efficacia degli stessi, secondo quanto previsto dall’art. 39, c. 3, del medesimo decreto".

Parere Civit pubblicazione atti governo territorio_17-09-2013

Il CIVIT è la Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche.

Il suo sito internet è  http://www.civit.it/

SUAP: Linee guida e criteri per l’omogenea redazione della convenzione di cui all’art. 5, comma 3, legge regionale 55/2012 ed adozione schemi di modulistica in attesa di approvazione definitiva

25 Set 2013
25 Settembre 2013

Sul seguente link sono scaricabili le "Linee guida e criteri per l'omogenea redazione della convenzione di cui all'art. 5, comma 3, legge regionale 55/2012 ed adozione schemi di modulistica" adottate dalla Giunta Regionale e all'esame della seconda commissione della Giunta Regionale.

http://web.consiglioveneto.it/commissioni/secondacommissione/allegati/PGR429tp.pdf

L’installazione dei cartelloni pubblicitari lungo le strade richiede (sempre) il Permesso di Costruire?

25 Set 2013
25 Settembre 2013

La nozione legale di pubblicità si ricava dal D. Lgs. n. 74/2002 (“Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa”), secondo cui la pubblicità è connotata da “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi” (cfr. art. 2, c. 1, lett. a)).

Tale nozione è ritenuta valida anche per definire la pubblicità sulle strade.

 Nello specifico, per “manufatto pubblicitario” si intende ogni forma di comunicazione al pubblico realizzata sulla strada (o nelle sue pertinenze di servizio) oppure in terreni privati ed idonea ad essere percepita dagli utenti della strada.

Tra questi mezzi pubblicitari alcuni possono presentare grandi dimensioni, quali le insegne di esercizio (scritte in caratteri alfanumerici, completate eventualmente da simboli e da marchi, realizzate e supportate con materiali di qualsiasi natura, installate nella sede dell’attività cui si riferiscono o nelle pertinenze accessorie alle stesse) ed i cartelli (manufatti bidimensionali supportati da un’idonea struttura di sostegno, con una sola o entrambe le facce finalizzate alla diffusione di messaggi pubblicitari o propagandistici, sia direttamente, sia tramite sovrapposizione di altri elementi, quali manifesti, adesivi o altro).

Chiarita la natura dei “manufatti pubblicitari”, quale provvedimento amministrativo è necessario per l’installazione dei cartelli pubblicitari lungo le strade?

 Premesso che la materia è disciplinata da un coacervo di disposizioni (D. Lgs. 285/1992 (“Nuovo Codice della Strada”), D.P.R. 495/1992 (“Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice della Starda”), D. Lgs. n. 42/2004 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”), da una interpretazione puramente letterale delle norme si ricava che, ex art. 23, c. 4, C.d.S.: “La collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell'ente proprietario della strada nel rispetto delle presenti norme. Nell'interno dei centri abitati la competenza è dei comuni, salvo il preventivo nulla osta tecnico dell'ente proprietario se la strada è statale, regionale o provinciale”.

Assodato ciò, quali valutazioni implica tale autorizzazione e, soprattutto, di quale titolo edilizio consiste?

Per quanto concerne il primo quesito, si sottolinea che tale autorizzazione implica un forte potere discrezionale dell’ente proprietario della strada in quanto: “I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative al perseguimento di quell’obiettivo (sentenza Sezione 20/04/2011 n. 593; TAR Toscana, sez. III – 11/06/2004 n. 2047);

II) la valutazione della pericolosità dei cartelli pubblicitari è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi logici (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 07/07/2008 n. 2886);

III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore, con una scelta perfettamente legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli individui: infatti il valore dell’iniziativa economica privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il valore superiore della salute individuale e collettiva, al quale è garantita la massima protezione (cfr. sentenze Sezione 28/02/2008 n. 174; 27/11/2008 n. 1702; 05/03/2009 n. 529);

IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze della produzione e del commercio (di cui la pubblicità stradale è una componente), consumando in misura proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano (TAR Brescia – 06/09/2004 n. 1013)” (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 20.11.2012, n. 1816).

 Inoltre, analizzando l’autorizzazione in modo più approfondito, si nota che è molto più simile ad una concessione di suolo pubblico: “Il Collegio ha già affermato con precedenti pronunce che l’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia (TAR Calabria, Catanzaro, I sezione 14.02.2012, n. 183; 31.12.2011 n. 1675).

Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere sicuramente caratterizzato da profili di discrezionalità, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia-Brescia, Sez. I 28.02.2008 n. 174).

Siffatto potere, inerente alla ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione (conf.: Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).

Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.

Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.

In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.

Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio- assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n. 408)” (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.07.2012, n. 716).

Per quanto riguarda il titolo edilizio, invece, la giurisprudenza ritiene necessario il Permesso di Costruire, ex art. 10 D.P.R. 380/2001, laddove il cartellone pubblicitario presenti notevoli dimensioni e sia infisso stabilmente al suolo, mentre negli altri casi è sufficiente la S.C.I.A. ex art. 19 l. 241/1990: “Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.

Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.

Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..

Per quanto concerne la formazione del silenzio-assenso invocato dalla ricorrente osserva il Collegio che la collocazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico implica necessariamente un formale provvedimento di concessione del bene pubblico, non essendo configurabile la formazione di un titolo abilitativo tacito attraverso il silenzio-assenso sulla domanda di installazione (cfr. TAR Milano Lombardia sez. IV, 23.01.2009 n. 208)” (ex multis T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.07.2012, n. 716; Id., 14.02.2012, n. 186; Tribunale di Pescara, 12.07.2012, n. 909; Cass. pen., sez. III, 06.12.2010, n. 43249; Id., 15.01.2004, n. 5328; Cons. Stato, sez. V, 11.05.2008, n. 10840; Id., 17.05.2007, n. 2497).

In realtà, il Ministero dei Lavori pubblici sembra richiedere sempre il Permesso di Costruire per gli interventi de quibus: l’art. 23, c. 10, C.d.S., infatti, prevede che: “Il Ministro dei lavori pubblici può impartire agli enti proprietari delle strade direttive per l'applicazione delle disposizioni del presente articolo e di quelle attuative del regolamento, nonché disporre, a mezzo di propri organi, il controllo dell'osservanza delle disposizioni stesse”.

In applicazione di ciò, il Ministero delle Infrastruttura e dei Trasporti, con il parere del 05.10.2011 prot. n. 4928, ha affermato che le autorizzazioni ex art. 26 C.d.S. – quindi anche quelle di cui si discorre – non sono attratte dalla S.C.I.A. ex art. 19 l. 241/1990 perché: “nel merito, l’attuale art. 19 della Legge 241790, riformata di recente con la Legge 122/2010 e legge 106/2011, definisce la S.C.I.A. “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria...”. Le autorizzazioni e le concessioni rilasciate ai sensi dell’art. 26 del Codice sono riferite a norme generali riguardanti la costruzione o la tutela delle strade, per cui a parere dello scrivente Ufficio, trattasi di atti che non possono essere sostituiti dalla S.C.I.A. poiché sono di fatto atti rilasciati dalle amministrazioni (in questo caso l’ente proprietario della strada o da altro ente da quest’ultimo delegato o dall’ente concessionario) preposte alla pubblica sicurezza e/o alla cittadinanza. Si evidenzia infine che l’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni deve effettuare una valutazione preventiva e eventualmente dettare delle prescrizioni in merito alle autorizzazioni da concedere, che il ricorso alla S.C.I.A. non consentirebbe dia attuare”.  

dott. Matteo Acquasaliente

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TAR Catanzaro n. 716 del 2012

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ministero_trasporti_parere_05102011_4928_prot

Prorogato il piano faunistico-venatorio del Veneto

25 Set 2013
25 Settembre 2013

 Il Piano Faunistico Venatorio è il più importante strumento di programmazione e pianificazione in materia di gestione del territorio a fini faunistici. In Italia la pianificazione faunistico-venatoria viene attuata, in accordo con la Legge  157/92, attraverso la realizzazione e l’applicazione dei Piani Faunistico-Venatori (P.F.V.)  demandati alle Regioni e alle Province per il territorio di propria competenza.
Il Piano faunistico venatorio regionale del VENETO, sulla base dei criteri dettati dall'art. 10 della Legge 157/92, è approvato dal Consiglio regionale su proposta della Giunta regionale ed ha validità di cinque anni, come previsto dall'art. 8 della Legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50. Il Piano, corredato dalla relativa cartografia e dal regolamento di attuazione, ha i seguenti contenuti e finalità:
-attuazione della pianificazione faunistico venatoria mediante il coordinamento dei Piani provinciali (adeguato, ove necessario, ai fini della tutela degli interessi ambientali e di ogni altro interesse regionale);
-criteri per l'individuazione dei territori da destinare alla costituzione delle Aziende faunistico venatorie, delle Aziende agri-turistico-venatorie e dei Centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale;
-schema di Statuto degli Ambiti territoriali di caccia;
-   indice di densità venatoria minima e massima per gli Ambiti territoriali di caccia;
-  modalità di prima costituzione dei Comitati direttivi degli Ambiti territoriali di caccia e dei Comprensori alpini, loro durata, norme relative alla loro prima elezione e rinnovo;
-criteri e modalità per l'utilizzazione del fondo regionale per la prevenzione ed i danni prodotti dalla fauna selvatica e nell'esercizio dell'attività venatoria, previsto dall'art. 28 della L.R. 50/93;
-  disciplina dell'attività venatoria nel territorio lagunare vallivo;
-criteri per l'assegnazione del contributo ai proprietari e conduttori di fondi rustici ai fini dell'utilizzo degli stessi nella gestione programmata della caccia, di cui al comma 1 dell'art. 15 della Legge 157/92.
Il Piano faunistico venatorio regionale è stato approvato con Legge Regionale n. 1 del 5.1.2007 (BUR n. 4 del 9.1.2007), modificata dall'ultima DGR n. 2463 del 4/08/2009, avente ad oggetto il periodo 2007/2012  ed avente validità quinquennale. Con la Legge Regionale n. 1 del 1.2.2013  la validità del Piano Faunistico venatorio regionale è stata rideterminata al 30.9.2013.
Il 18 settembre 2013, è stato approvato il “: Progetto di legge n. 376 - Rideterminazione del termine di validità del piano faunistico-venatorio regionale approvato con legge regionale 5 gennaio 2007, n. 1” . Nella relazione si legge: “Con leggi regionali 24 febbraio 2012, n. 8 e 1° febbraio 2013, h. 1 il Consìglio regionale ha disposto rideterminazioni dei termini di validità del piano faunistico venatorio regionale 2007-2012 approvato con legge regionale 1/2007, aggiornando il termine di validità di cui trattasi sino al 30 settembre 2013. Dette proroghe dì validità si rendevano necessarie in relazione alle incombenze connesse ali 'espletamento della procedura dì valutazione ambientale strategica (VAS) applicata al PFVR ed ai correlati piani faunistìco-venatorì provinciali, secondo un articolato ed innovativo approccio metodologico in grado di affrontare contestualmente, nell'ambito di detto procedimento valutativo, a due livelli di pianificazione faunìstico-venatoria che in tal modo trovavano finalmente composizione funzionale a fronte di una incerta definizione dei rapporti di interdipendenza, così come appare dalla lettura degli articoli 8 e 9 della legge regionale 50/1993”. L'articolo 1, del progetto di legge approvato, stabilisce che la validità del piano vigente è prorogata al 10 febbraio 2014.
Dopo un complesso lavoro di preparazione e coordinamento avviato, con la sottoscrizione di uno specifico protocollo d'intesa, a giugno 2011, la Regione e le Province del Veneto sono pervenute all'adozione delle rispettive proposte di Piano faunistico-venatorio per il periodo 2014-2019. Detti Piani faunistico-venatori propongono, ognuno per le parti di propria competenza, gli elementi di pianificazione territoriale, di programmazione e regolamentazione delle attività venatorie e di gestione ambientale e della fauna sulla base di obiettivi strategici ambientali e gestionali condivisi.
L'insieme dei Piani costituisce un assetto complessivo che, per la prima volta, viene presentato ai portatori di interesse e al pubblico generico prima della loro formale approvazione, secondo quanto previsto dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS).
Sul punto seguirà una nota sulle proposte relative alla Provincia di Vicenza.

dott.sa Giada Scuccato

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