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Nel caso di contrasto tra il Piano commerciale e il Piano regolatore, quale prevale?

22 Ott 2012
22 Ottobre 2012

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5343 del 2012 esamina un caso nel quale il Comune ha negato la costruzione di un supermercato in una zona che il PRG qualifica come "area per servizi", stabilendo che  "“ tali zone comprendono tutte le aree per i servizi della residenza previsti dal D,.M. 2.4.1968 e sono destinate alla realizzazione di attrezzature per l’istruzione (scuola d’obbligo) , attrezzature per attività collettive , a verde pubblico attrezzato e a parcheggi”, con la possibilità di interventi da parte dei privati mediante la stipula di una convenzione con il Comune per le modalità di uso delle attrezzature .

Il Consiglio di Stato, dopo avere chiarito che "il progettato supermercato non è sussumibile nella categoria delle attrezzature per attività collettive", aggiunge: "Parte appellante sostiene poi che l’assentibilità urbanistica del progettato intervento deriverebbe dalla normativa recata sul punto dal Piano commerciale, approvato dal Comune di Ostuni con deliberazione consiliare n.48 del 20 dicembre 2006, nella parte in cui è prevista la possibilità di localizzazione di medie strutture di vendita nelle aree previste nei vigenti strumenti urbanistici “con destinazione a servizi di interesse generale o collettivo” .
L’argomentazione non coglie nel segno.
Le previsioni di un piano commerciale devono avvenire ed attuarsi in conformità e comunque in coerenza con le scelte di pianificazione territoriale recate dallo strumento urbanistico disciplinante i vari modi di utilizzo del territorio, inclusi quelli relativi al commercio , di guisa che la disciplina urbanistica deve essere la prima ad essere tenuta in considerazione al fine di valutare l’assentibilità di un’attività commerciale ( Cons. Stato Sez. IV 27 aprile 2004 n.2521; idem 8 maggio- 7 giugno 2005 n.2928) .
Ora, avuto riguardo alla sovraordinazione del procedimento di verifica urbanistica rispetto a quello dell’autorizzazione commerciale, si deve tener conto, in sede di verifica di compatibilità commerciale di un insediamento, delle scelte di pianificazione urbanistica, sicchè in applicazione di tale regola , nella specie la localizzazione di strutture di carattere comune prevista per la zona G1 dal citato art.20 delle NTA del PRG nei sensi limitativi sopra esposti, è comunque preclusiva dell’assentibilità della progettata struttura di vendita, senza che la norma commerciale possa derogare a tale previsione.
Se così non fosse si arriverebbe ad ammettere una portata innovativa e/o modificativa delle previsioni urbanistiche ad opera di un regolamentazione, quella commerciale , che per principio si pone in posizione recessiva, nel senso che la pianificazione commerciale è subordinata a quella urbanistica e comunque rientra nell’orbita di quest’ultima nel senso che con questa deve necessariamente armonizzarsi.
Insomma , come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ( Sez. VI 10 aprile 2012 n.2060; Sez. V 28 maggio 2009 ; Sez. IV 5 agosto 2005 n. 419 ), le prescrizioni contenute nei piani urbanistici in ragione dell’interesse pubblico tutelato impediscono di attribuire prevalenza al piano commerciale rispetto a quello urbanistico e se così è, la previsione recata dal citato art.20 delle NTA del PRG di Ostuni costituisce circostanza di fatto e di diritto giustificativa del diniego di autorizzare sia sotto il profilo urbanistico che, conseguentemente, sotto l’aspetto commerciale la struttura di vendita di che trattasi".

sentenza CDS 5343 del 2012

Utilizzabilità nel giudizio amministrativo o ai fini della emanazione di un provvedimento di una CTU svolta in un processo civile

19 Ott 2012
19 Ottobre 2012

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza 17 maggio 2012 n. 2847, sancisce espressamente che il giudice amministrativo può utilizzare le prove, ammesse e prodotte tra le medesime parti – ma anche tra parti diverse – in un altro processo, al fine di accertare l’esistenza di un abuso edilizio: nello specifico ritiene “inaccoglibili” le censure dedotte da parte appellante in quanto “fondate su una asserita acritica utilizzazione da parte del primo giudice di elementi probatori acquisiti nell'ambito di altri procedimenti intercorsi tra l'appellante e l'appellato, anche e soprattutto laddove si spingono a sostenere l'asserita inutilizzabilità degli elaborati peritali ivi formati nell'odierno giudizio”.

La sentenza de qua ammette la piena utilizzazione della CTU disposta nell’ambito del giudizio civile ancora pendente tra le parti, nonché dell’elaborato redatto dal CTU nel corso del giudizio penale, conformandosi a quanto in precedenza già affermato dal Supremo Consesso Amministrativo: “il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse e può, quindi, avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata”(Cons. Stato, sez. V, 19.01.2009, n. 223) ed in precedenza ribadito anche dalla Cassazione (Cass. civile, sez. II, 19.09.2000, n. 12422)

La sentenza in esame, ancora, sembra indicare il modus procedendi che il giudice amministrativo deve seguire per valutare adeguatamente tali risultanze probatorie: “Sotto altro profilo, il primo giudice non ha affatto acriticamente recepito le indicazioni probatorie contenute negli elaborati resi dai consulenti tecnici d'ufficio nominati sia in sede di giudizio civile che dal pubblico ministero in sede penale” (...) “Dette risultanze sono state accuratamente vagliate dal primo giudice”.

Anche la P.A. può utilizzare e porre alla base di un proprio provvedimento le risultanze di una CTU.

Segnaliamo, peraltro, che la recente sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, n. 1109 del 06.08.2012 (si veda in questa blog il post del 10 settembre 2012) annulla un provvedimento amministrativo di demolizione di opere eseguite in assenza di un permesso di costruire dacché “il provvedimento ora impugnato è unicamente fondato sui risultati di una consulenza tecnica d’ufficio, posta in essere nell’ambito di un distinto e differente giudizio civile instaurato dai ricorrenti” e ancora “sul punto deve verificarsi l’esistenza di un costante orientamento che, in materia istruttoria del procedimento, obbliga l’Amministrazione allo svolgimento di una corretta attività propedeutica e di verificazione dei fatti in causa, attività assolutamente non delegabile ad altre strutture o giudicati peraltro tutt’ora in corso di svolgimento”.”

Lo stesso T.A.R. Veneto quindi, pur riconoscendo che la CTU prodotta dal controinteressato e riguardante il connesso e pendente processo civile, possa chiarire la natura di abuso edilizio dell’opera in esame, ritiene non sufficiente l’istruttoria svolta dall’ente in quanto “l'Amministrazione si è limitata a rappresentare ed a porre a fondamento della determinazione assunta, esclusivamente, quegli elementi contenuti nella consulenza tecnica riferita al diverso giudizio, senza procedere ad un'adeguata valutazione e fondamento degli stessi”.

Va segnalato, peraltro, che la CTU era stata svolta in un processo civile nel quale era parte sia il Comune sia l’autore del presunto abuso, i quali erano assistiti dai rispetti consulenti tecnici di parte, cosicchè le risultanze della CTU sono apparse al Comune sufficienti ai fini dell’emanazione del provvedimento poi annullato dal TAR.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 2847 del 2012

Come influisce il preavviso di ricorso sulle impugnazioni in materia di appalti (male, ovviamente)

18 Ott 2012
18 Ottobre 2012

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 1278 del 2012, riguardante il preavviso di ricorso in materia di appalti, istituto che, visto quello che dice il TAR, sarebbe molto meglio abolire.

Scrive il TAR: "Consta dagli atti di causa che la parte ricorrente, in data 23 dicembre 2011, pervenuta alla parte resistente in data 27 dicembre 2011, ha manifestato l'intenzione – invero inizialmente solo la capo gruppo della costituita ATI - di proporre ricorso avverso l’aggiudicazione... In primo luogo deve osservarsi che l’attivazione della indicata procedura deflattiva non costituisce un requisito di procedibilità del ricorso.
Invero essa impedisce, anche per la parte ricorrente, unicamente l’adozione delle conseguenze negative di cui al 5° comma dell’art. 243 bis citato.
Ad ogni modo, però, una volta attivata tale procedura, il ricorrente è obbligato a contestare le negative determinazioni, espresse o tacite, al riguardo assunte dalla stazione appaltante, nel termine decadenziale di trenta giorni...Ciò detto, recita il 4° comma dell'articolo citato : “ La stazione appaltante. Entro quindici giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela”.
Or bene, ritiene il Collegio, che l'incombente imposto alla stazione appaltante dopo l’istanza del ricorrente per la definizione della controversia, comporta la necessità, per quest’ultima, di formulare le proprie determinazioni nel termine perentorio indicato ( quindici giorni) proprio perchè tale fase procedimentale ha la precipua ed esclusiva funzione deflattiva del preannunciato conflitto e, pertanto, deve essere svolta e definita nei tempi rapidi imposti dal rito accelerato di cui al D.Lgs citato.
Consentire alla stazione appaltante di estendere, oltre i tempi normativamente previsti, l'utilizzazione di tale strumento, significherebbe snaturarne la funzione e le precipue finalità dell’istituto.
Non solo. Proprio per determinare tempi certi ed obiettivi della peculiare sub procedimento, il legislatore ha previsto che tale determinazione sia comunicata agli istanti.
Ciò significa che trascorsi i quindici giorni previsti dalla norma senza che la comunicazione sia pervenuta al richiedente l'autotutela, la stazione appaltante perde il diritto di manifestare ed assumere le determinazioni deflattive dell’instaurando conflitto, incorrendo, come detto, nelle conseguenze di cui al comma 5° dell'articolo citato. Ogni eventuale e successivo intervento sull’aggiudicazione dovrà conformarsi, pertanto, esclusivamente ai canoni formali di cui all’art. 21 quinques, 21 sexies, 21 nonies della L.241/91.
Pertanto, proprio per tali finalità di rapida definizione della controversia, il legislatore ha equiparato l'inerzia della stazione appaltante al diniego di autotutela.
Ne consegue che ogni ulteriore e tardiva espressione della stazione appaltante circa la fondatezza o meno della richiesta di autotutela è, nel contesto procedimentale già avviato dalla preannunciata intenzione di proporre ricorso avverso l'assegnazione del lavoro o del servizio, tanquam non essent.
E’, inoltre, irrilevante che la determinazione negativa assunta dalla stazione appaltante sia stata pubblicata negli organi ufficiali della stessa, perché è necessario che il provvedimento, nei termini perentori indicati dalla legge, deve essere comunicato all'interessato.
Di contro è obbligo del ricorrente quello di impugnare, contestualmente al ricorso principale, ovvero con motivi aggiunti, anche la tacita manifestazione di volontà nel consueto termini di trenta giorni che decorrono dalla comunicazione della determinazione, ovvero dallo spirare dei quindici giorni previsti dal comma 4 dell'art. 243 bis D.Lgs 163/2006".

Se il preavviso di ricorso aveva funzione deflattiva e alla fine comporta che, invece di un ricorso, bisogna farne due (pagando anche due volte il contributo unificato di 4000 euro), bisogna pregare Dio che il legislatore non si sogni più di introdurre istituti deflattivi.

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 1278 del 2012

Il Sindaco firma il mandato all’avvocato senza bisogno della deliberazione di giunta, salvo che lo statuto preveda diversamente

18 Ott 2012
18 Ottobre 2012

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5277 del 2012 si occupa, tra l'altro, dell'organo comunale legittimato a firmare la procura all'avvocato per agire o resistere in giudizio.

Il Consiglio di Stato precisa che la competenza spetta al Sindaco e che non è necessaria la preventiva deliberazione della Giunta, salvo che lo Statuto comunale non preveda diversamente (per esempio che occorreatale deliberazione oppure che firmino i dirigenti).

Si legge nella sentenza: "Quanto poi alla asserita illegittimità del mandato conferito dal Sindaco all’avv. Cerceo il 12.3.2009, in assenza della esplicita autorizzazione della Giunta, che sarebbe tuttora richiesta dallo Statuto, in primo luogo è da ritenere che, a seguito della modifica statutaria mediante l’inserimento della disposizione secondo la quale “i dirigenti sono competenti alla promozione delle liti e alla resistenza alle stesse” sia venuta meno, per incompatibilità tra la nuova disposizione (il citato art. 44, comma 6 bis) e la precedente, vale a dire l’art. 38/s) dello statuto, proprio quest’ultima disposizione la quale, in base a quanto afferma la difesa dell’appellato, richiedeva che la Giunta autorizzasse il Sindaco a promuovere o a resistere alle liti. Si tratta, del resto, di atto gestionale e tecnico che non richiede più l’autorizzazione giuntale. A questo proposito la Corte suprema di Cassazione (sent. n. 21330 del 2006) ha avuto occasione di statuire che “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco: quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo V della Parte II cost. dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, nonché di quelle introdotte dalla l. 5 giugno 2003 n. 131, con ripercussioni anche sull'impianto del d. lgs. 18 agosto 2000 n. 267, il cui art. 50, peraltro, indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza”.
Inoltre, “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione” (Cass. civ. n. 13968/10).

sentenza CDS 5277 del 2012

La domanda di sanatoria ex art 36 DPR 380/2001 può essere presentata una sola volta

17 Ott 2012
17 Ottobre 2012

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5256 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "l’art. 36, d.P.R. n. 380/2001 prevede che i responsabili degli abusi “…possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
Il chiaro riferimento al singolare dell’istanza dimostra all’evidenza, a giudizio del collegio, che vi è una sola possibilità di istanza di conformità.
Pertanto una volta notificato il precedente diniego di conformità, la presentazione di una nuova identica istanza per i medesimi immobili abusivi non può di per sé determinare, sul piano procedimentale alcun dovere della P.A. di pronunciarsi e, di conseguenza, non ha neppure alcun effetto processuale nel giudizio di impugnativa delle sanzioni. L’indirizzo giurisprudenziale concernente i rapporti tra ordine di demolizione e richiesta di accertamento di conformità invocato dall’appellante non può, cioè, applicarsi in tutti i casi in cui il privato abbia già presentato una prima istanza e questa sia stata respinta.
Come esattamente rilevato dalla difesa dell’Amministrazione, se così non fosse, al costruttore abusivo basterebbe presentare una successiva indefinita serie di domande senza soluzione di continuità per paralizzare indefinitamente l’azione sanzionatoria dell’Amministrazione.
Dato che il provvedimento impugnato in primo grado scaturiva proprio dalla precedente istanza del proprietario odierno appellante, l’interessato aveva già consumato la possibilità offerta dalla legge per gli immobili de quo".

sentenza CDS 5256 del 2012

Another brick in the wall?

16 Ott 2012
16 Ottobre 2012

Promemoria per chi pianifica la nostra vita in comune, provincia, regione e a Roma, prima che vangano creati altri buchi nell'edificio della nostra storia e della nostra civiltà : "La politica ha smarrito il senso del passato; perché nei suoi attori e nei suoi istituti - come del resto in tanta parte del Paese - si è spenta ogni idea d'Italia e della sua storia; di che cosa sia l'Italia. Distruggere un paesaggio o deturpare una piazza; lasciare che biblioteche, archivi, musei, siti archeologici si sperdano e di fatto muoiano o cadano in rovina; accettare che nomi e luoghi antichi del lavoro e dell'industriosità italiana siano acquisiti dall'estero; consentire che il sistema d'istruzione escluda sempre più dai suoi programmi interi segmenti della cultura nazionale (a cominciare dalla lingua); è questo il vuoto che abbiamo creato" (Ernesto Galli della Loggia - Corriere della Sera del 16 ottobre 2012).

Ovviamente non tutto il passato è buono e da conservare: per esempio, possiamo migliorare ancora molto sul rispetto sostanziale delle persone e delle loro tante diversità, considerandole ricchezze e non problemi.

Ma quello che è buono è anche straordinariamente bello e importante (paesaggio, piazze, biblioteche, archivi, musei, siti archeologici, lavoro, istruzione, lingua, cucina e molto altro).

Può essere utile dirlo in inglese?

Dario Meneguzzo

Il TAR Lazio boccia la sospensiva nel ricorso della Provincia di Rovigo sul riordino delle province

16 Ott 2012
16 Ottobre 2012

La Provincia di Rovigo ha impugnato davanti al TAR del Lazio la deliberazione del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012, recante "Determinazione dei criteri per il riordino delle Province, a norma dell'articolo 17, comma 2, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95", pubblicata in Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 171 del 24 luglio 2012.

Il TAR, con l'ordinanza n. 3668 del giorno 11 ottobre 2012 ha respinto la sospensiva, dicendo che: "impregiudicata ogni questione di carattere pregiudiziale, che non sono ravvisabili i paventati profili di immediata lesività dell’atto impugnato. Esso costituisce infatti il primo segmento di una sequenza procedimentale che, a termini dell’art. 17 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, se anche tendenzialmente conformata dai criteri previsti nell’atto stesso (comma 3), è destinata a concludersi con un provvedimento di natura legislativa (comma 4), il quale, fermi naturalmente i limiti costituzionali, è per definizione libero nel contenuto e nel fine".

Leggendo tra le righe, sembra di capire che il TAR non ravvisi neanche profili di illegittimità costituzionale nella riforma delle province  in cantiere.

ordinanza TAR Lazio 3668 del 2012

Revoca incarico: se il direttore dei lavori non è un dipendente pubblico, la controversia spetta al giudice ordinario

16 Ott 2012
16 Ottobre 2012

La controversia avente ad oggetto l’impugnazione della determinazione dirigenziale che revoca il conferimento dell’incarico professionale di direzione dei lavori ad un soggetto esterno all’amministrazione comunale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

Ciò è quanto afferma il T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 10 ottobre 2012, n. 1816 precisando che: “il conferimento, da parte di un ente pubblico, di incarico ad un professionista non inserito nella struttura organica dell’ente medesimo e che mantenga la propria autonomia e l’iscrizione al relativo albo è funzionale all’instaurazione di un rapporto di lavoro autonomo”.

Il T.A.R. si allinea così al pacifico indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione (sezioni unite 3 luglio 2006 n. 15199 e 3 gennaio 2007 n. 4), condiviso anche dal Consiglio di Stato (sez. V, 12 giugno 2009, n. 3737) e dal C.G.A. (sentenza n. 390 del 6 maggio 2008): “il conferimento da parte di un ente pubblico di incarico a un professionista non inserito nella struttura organica dell’ente medesimo (e che mantenga, pertanto, la propria autonomia e l’iscrizione al relativo albo) costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di semplice autonomia privata, ed è funzionale all’instaurazione di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione - da ricondurre pur sempre al lavoro autonomo - pur nell’ipotesi in cui la collaborazione assuma carattere continuativo, e il professionista riceva direttive e istruzioni dall’ente, onde anche la successiva delibera di revoca dell’incarico riveste natura non autoritativa ma di recesso contrattuale, con conseguente attribuzione della controversia al giudice ordinario”.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 10.10.2012 n. 1816

L’origine della tutela dell’affidamento in materia di abusi edilizi

15 Ott 2012
15 Ottobre 2012

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 10 ottobre 2012, n. 1255, si sofferma sul c.d. principio di tutela dell’affidamento: il titolare di un’immobile abusivo può contestare l’ordine di demolizione impartito dall’Amministrazione, se questa da anni/decenni sia sciente dell’abuso edilizio realizzato e, ciò nonostante, non si sia attivata celermente.

A tal fine il T.A.R. indica “la necessità di verificare l’esistenza di alcuni presupposti, precisamente riconducibili sia all’avvenuto accertamento che gli abusi siano stati eseguiti in un periodo molto risalente sia, ancora, alla constatazione circa l’effettiva inerzia dell’Amministrazione (inerzia che presuppone una conoscenza dell’abuso) e, in ultimo, del nesso causale tra l’inerzia e l’affidamento ingenerato nei confronti del privato”.

L'origine di tale principio è da rinvenire nella pronunzia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 19 maggio 1983, n. 12, la quale, dopo aver affermato la natura vincolata del potere-dovere sanzionatorio in materia di abusi edilizi (scrivendo che: " Mentre originariamente esso era stato configurato come un potere squisitamente discrezionale, rimesso interamente, come chiaramente si desume dall'uso del verbo "può", all'apprezzamento che di volta in volta il Sindaco ritenesse di dover esprimere, successivamente esso ha assunto la configurazione di potere-dovere dello stesso Sindaco di reprimere gli abusi edilizi, ordinandone la demolizione e la rimessione in pristino ogni qual volta le opere poste in essere fossero risultate sfornite dell'autorizzazione o in contrasto con esse"), si sofferma poi sull’interesse pubblico oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione. Su questo punto, la A.P. scrive che tale interesse: "mentre si esplica in ampia dimensione nella fase di programmazione dell'assetto territoriale, nella fase che qui si considera”(quella dell'accertamento dell'abuso e di irrogazione della sanzione ) “in ossequio all'esigenza di conformarsi alle scelte in precedenza operate e di realizzarle, non è di regola tenuta a riproporsi con particolari valutazioni per la repressione degli illeciti edilizi accertati", essendo ex se sufficiente l’abusività dell’opera.

L’Adunanza prevede un temperamento di quanto appena esposto laddove l'opera eseguita in assenza di titolo abilitativo sia comunque conforme allo strumento pianificatorio comunale ovvero se "l'inerzia dell'Amministrazione in presenza dell'abuso perpetrato dal privato” (...) è “protratta per un lasso di tempo molto rilevante”. A riguardo il Consiglio di Stato asserisce che "il lunghissimo decorso del tempo senza che l'Amministrazione si sia comunque preoccupata di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto violata” (...) “impone che l'eventuale iniziativa demolitoria abbisogni di essere sorretta da motivazioni più adeguate, rispetto a quella che si riferisca alla semplice constatazione dell'abusività dell'opera".

Emerge chiaramente che l’affidamento creato nel privato può essere superato dall’Amministrazione solamente con una attenta e specifica motivazione indicante le prevalenti ragioni pubblicistiche che determinano la demolizione dell’abuso edilizio realizzato.

Il principio così enucleato è ancora costantemente affermato: “Il principio, secondo cui l’ingiunzione demolitoria, come atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell'opera senza titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), è in linea di principio sufficientemente motivata con l’affermazione dell'accertata abusività dell'opera, viene derogato nel caso in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale sussiste un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all'entità ed alla tipologia dell'abuso, il pubblico interesse - evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità - idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato” (Cons. Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3270).

dott. Matteo Acquasaliente

Adunanza Plenaria 19.05.1983 n. 12

Il decreto legge 174 del 2012 rafforza i controlli sugli enti locali

15 Ott 2012
15 Ottobre 2012

E' entrato in vigore il giorno 11 ottobre 2012 il decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante "Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti terrioriali"

L'articolo 3 del decreto contiene rilevanti novità in materia di controllo negli enti locali e una forma di "protezione" del responsabile del servizio finanziario.
Segnaliamo che sul Portale del Tecnico Pubblico Lombardo (vedi link a lato), in data 11.10.2012, sono state pubblicate alcune appassionate note sul tema.

 

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