Tag Archive for: Diritto

La declassificazione delle strade non statali e delle piazze spetta alle regioni

29 Mag 2014
29 Maggio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 2447, relativa a un caso nel quale un comune aveva annullato in via di autotutela i provvedimenti coi quali era stata disposta la cessione a un privato di una porzione di una piazza.

Si legge nella sentenza: "8.2. Con il secondo motivo (pagine 8 – 9 del ricorso di primo grado), si lamenta la violazione dell’art. 13, co. 5, cod. str. nella parte i cui stabilisce che alla declassificazione delle strade provvedano direttamente gli enti proprietari <<...quando le stesse non possiedono più le caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali di cui all’art. 2, comma 2>>; si deduce che solo le strade e non le piazze rientrano nel fuoco della norma sancita dal menzionato art. 2, co. 2, cod. str..

8.2.1. Il motivo è infondato.                                        

8.2.1. E’ pacifica la sussistenza dei vizi di legittimità in relazione ai quali il comune ha proceduto in autotutela atteso che:

a) la norma (art. 12, l. n. 126 del 1958) invocata dal commissario straordinario per procedere alla declassificazione era stata abrogata da alcuni anni;

b) la norma non è stata riprodotta nel nuovo codice della strada che, sul punto, ha innovato attribuendo la competenza alla classificazione e declassificazione delle strade statali al Ministero dei lavori pubblici (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), mentre per tutte le altre strade, incluse quelle comunali, la competenza è stata affidata alle regioni (come emerge dal tenore letterale delle norme sancite dai commi 8 e 9 del su menzionato art. 2, cod. str.); l’art. 13, co. 5, cit. inserito in un contesto affatto diverso (la costruzione e gestione delle strade), ha introdotto una eccezione al regime delle competenze delineato dalle  precedenti norme, di stretta interpretazione e fondata sulla ricorrenza di presupposti fattuali che non si sono minimamente verificati (la perdita, da parte della piazza “Giochi della gioventù”, delle caratteristiche costruttive tecniche e funzionali che la qualificano come strada urbana comunale);

c) ai fini della classificazione e declassificazione delle strade, le definizioni di cui all’art. 2, co. 2 e 3, cod. str., non impediscono di
ricomprendere le piazze nella nozione di strada a mente del comma 1 del medesimo articolo secondo cui: <<1. Ai fini dell’applicazione del presente codice si definisce <<strada>> l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali>>; tanto emerge, in prospettiva sistematica, anche dalla norma sancita dall’art. 190, co. 3,  cod. str. - che, nel disciplinare la circolazione dei pedoni, vieta loro di <<… attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli attraversamenti pedonali..>> - specie se letta in correlazione con quanto stabilito dall’art. 1, co. 1 e 2, cod. str. - secondo cui <<1. La sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato. 2. La circolazione dei pedoni, dei veicoli, e degli animali sulle strade è regolata dalle norme del presente codice…>> - e dall’art. 22, co. 3, l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F (disposizione non abrogata, ed espressamente mantenuta in vita dal d.lgs. n. 179 del 2009), il quale include tra le strade comunali, fra l’altro, anche le piazze; in armonia con il delineato quadro normativo si colloca la consolidata giurisprudenza, che individua a tutti i fini (civili, penali, tributari) la nozione di strada in senso ampio, facendo leva sulla caratteristica della destinazione ad uso pubblico (cfr., fra le tante, Cass. pen., sez. IV, 17 dicembre 2010, n. 2582; Cass. sez. trib., 6 agosto 2009, n. 18052; Cass. civ., sez. II, 25 giugno 2008, n. 17350; sez. II, 7 aprile 2006, n. 8204);

d) è pacifico che piazza “Giochi della gioventù” (apparteneva e) appartiene al demanio comunale, (era ed) è aperta al pubblico transito, (era ed) è classificata come strada ai sensi dell’art. 2 cod. str., come del resto riconosciuto espressamente dalla stessa ditta Cost nella domanda di alienazione".

sentenza CDS 2447 del 2014

La Corte dei Conti del Veneto sui compensi per il piano degli interventi

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Pubblichiamo  il parere della Corte dei Conti del Veneto sulla applicazione dei compensi per gli atti di pianificazione, ai sensi dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n.163/2006. La Corte esamina il collegamento tra l'atto di pianificazione e la successiva realizzazione dell'opera pubblica.

Dati Deliberazione

: SRCVEN/319/2014/PAR
: 2102-19/05/2014-SRCVEN
: Sezione Controllo Regione Veneto
: Attivita' consultiva ai sensi dell'art. 7, co. 8, l. 131/2003 (pareri)
:
: 29/04/2014
: 14/05/2014
: IAFOLLA CLAUDIO
 
: Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla applicazione dei compensi per atti di pianificazione ai sensi dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n.163/2006 e, in particolare, se la redazione di un Piano degli Interventi con il recupero e la valorizzazione delle aree a vincolo decaduto e delle aree di trasformazione delle frazioni possa rientrare nel novero degli atti di pianificazione comunque denominati previsti dalla norma; e se l'incentivo possa essere corrisposto oltre che ai dipendenti in possesso delle specifiche competenze tecniche professionali, anche a dipendenti che partecipino alla redazione del piano a vario titolo (urbanisti, avvocati, agronomi, geologi, informatici, geometri, periti, disegnatori).
geom. Daniele Iselle
 
 

L’asservimento di un’area determina una inedificabilità perpetua

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Il T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, nella sentenza del 13 maggio 2014 n. 223, si occupa dell’asservimento delle aree chiarendo che: “come è noto (Cons. St., sez. V, 27 giugno 2011, n. 3823) - l’asservimento di un fondo ad un altro, in caso di edificazione di quest’ultimo, provocando la perdita definitiva ed irrevocabile delle potenzialità edificatorie dell’area asservita, crea una relazione pertinenziale, che costituisce una qualità oggettiva del fondo asservito. Permanendo a tempo indeterminato, tale asservimento continua pertanto a seguire il fondo anche nei successivi trasferimenti a qualsiasi titolo intervenuti in epoca successiva, essendo opponibile ai terzi e a chiunque ne sia il proprietario.

In definitiva, l’inedificabilità dell’area asservita o accorpata ovvero la sua avvenuta utilizzazione a fini edificatori, costituisce una qualità obiettiva del fondo e produce l’effetto di impedirne l’ulteriore edificazione oltre i limiti consentiti, a nulla rilevando che manchino specifici negozi giuridici privati diretti all’asservimento o che l’edificio insista su una parte del lotto catastalmente divisa. Con la conseguenza che non possono mai essere assentiti titoli edilizi in caso di esaurimento della volumetria assentibile (cfr. T.A.R. Salerno sez. I, 16 aprile 2013, n. 890, T.A.R. Bari, sez. III, 9 gennaio 2013, n. 11, e T.A.R. Catanzaro, sez. I, 8 novembre 2012, n. 1064)” e che: “il vincolo di asservimento, costituendosi per effetto del rilascio del titolo edilizio e non necessitando di atto negoziale ad effetti obbligatori o reali, aveva determinato l’inedificabilità dell’area e tale inedificabilità era destinata a permanere a tempo indeterminato e come tale era opponibile anche ai terzi acquirenti; né l’erroneo rilascio di certificati di destinazione urbanistica avrebbe potuto legittimare il rilascio di un titolo edilizio su un fondo, in realtà, privo di capacità edificatoria”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Pescara n. 223 del 2014

Quando un comitato è legittimato a tutelare gli interessi diffusi in materia ambientale

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 591 del 2014.

Scrive il TAR: "Al riguardo va premesso che, sulla falsariga di quanto costantemente ritenuto relativamente alle associazioni ambientaliste, “…l'esplicita legittimazione, ai sensi del citato art. 13 L. 8 luglio 1986 n. 349, delle associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all'azione giudiziale non esclude, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in ambito territoriale ben circoscritto, e ciò anche per i meri comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio. Altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all'ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione, in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste espressamente legittimate per legge. Detto altrimenti, le previsioni normative citate hanno creato un criterio di legittimazione "legale", che è destinato ad aggiungersi a quelli in precedenza elaborati dalla giurisprudenza per l'azionabilità in giudizio dei c.d. interessi diffusi e non li sostituisce.  Ne consegue che il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso” (così, C.d.S., IV, 23.5.2011, n. 3107). Sulla scorta dei richiamati principi, così come riconosciuti ed elaborati dalla giurisprudenza, è necessario valutare nel caso di specie se il Comitato ricorrente sia effettivamente riconducibile a tali ipotesi, ovvero sia qualificabile quale ente esponenziale di interessi diffusi, non del tutto occasionali, e risulti portatore di un interesse proprio, distinto da quello dei singoli aderenti, nonché di un interesse che non sia in contrasto con quello degli appartenenti alla medesima categoria dallo stesso rappresentata. La tutela degli “interessi diffusi” è infatti estesa anche ai comitati solo in casi specifici e limitati, onde evitare che soggetti portatori di meri interessi di fatto possano introdurre una sorta di azione popolare che, pacificamente, se non in ipotesi del tutto eccezionali, non è ammessa dal nostro ordinamento. Va quindi richiamato e condiviso l’orientamento formatosi sul punto che non riconosce, nel giudizio amministrativo, la legittimazione ai comitati organizzati in forma associativa temporanea e con scopo specifico limitato, che nella sostanza si traducono nella proiezione di fatto di interessi dei singoli partecipanti, che inevitabilmente, come già ricordato, finiscono per tradursi in una sorta di azione popolare, non ammessa in linea generale dall’ordinamento, in quanto privi del carattere di enti esponenziali portatori in via continuativa di interessi diffusi radicati nel territorio. Se quindi, è necessario rilevare in capo al comitato una posizione giuridica concretamente lesa dal provvedimento impugnato, è quindi indispensabile che sia riconoscibile e riconducibile al comitato stesso un interesse proprio, attuale e concreto all’annullamento dell’atto impugnato. Simili requisiti non sono rinvenibili nel caso di specie per quanto riguarda il Comitato per la legalità, il quale, così come si ricava agevolmente dalla documentazione in atti, è stato costituito ad hoc al fine della proposizione del ricorso giurisdizionale davanti al TAR, peraltro al solo dichiarato fine di tutelare la posizione dei propri aderenti, costituiti tuttavia da una limitata porzione dei cacciatori che utilizzano l’area interessata. Invero, come si legge nell’atto costitutivo (cfr. doc. n. 2 di parte ricorrente), il Comitato spontaneo risulta avere i seguenti scopi : “ * tutelare gli interessi ed i diritti dei cacciatori associati, anche attraverso la proposizione di ricorso giurisdizionale al TAR Veneto; * quant’altro necessario al fine di ottenere che la Provincia di Verona concluda senza ritardo il procedimento di rinnovo delle concessioni e dia esecuzione alle revoche al consenso sopra citate”. Le suddette dichiarazioni di intenti (che, per inciso, auspicano proprio quel rinnovo da parte della Provincia delle concessioni qui contestato) palesano il carattere meramente provvisorio del comitato stesso,  limitato alla proposizione dell’azione giurisdizionale a tutela di interessi facenti capo ai soli iscritti e non a tutela di interessi diffusi, di cui non appare portatore, così rivelando la sua natura temporanea e strumentale, che certamente non può essere ricondotta alle particolari ipotesi, riconosciute dalla giurisprudenza, di soggetti legittimati alla tutela di interessi generalizzati e diffusi sul territorio. L’eccepita inammissibilità è altresì rilevabile sotto un ulteriore profilo, parimenti evidenziato dalle resistenti, profilo che investe la stessa conflittualità interna del ricorso, in quanto il gravame, così come proposto dal comitato ricorrente, non è rivolto a tutelare l’intera categoria dei cacciatori, bensì unicamente gli aderenti, in tal modo ponendosi in conflitto con gli altri cacciatori che esercitano l’attività venatoria all’interno dell’azienda, senza nulla opporre al riguardo. Poiché, così postulando, il comitato ricorrente viene ad opporre, nella sostanza, cacciatori contro altri cacciatori, ne risulta l’inammissibilità anche sotto tale profilo del ricorso proposto dal suddetto Comitato per la legalità, alla stregua dei principi generali dettati in materia con riguardo alla legittimazione ad agire degli enti collettivi a tutela dei propri aderenti, legittimazione che viene meno ogni qual volta si profili un contrasto di interessi fra gli appartenenti alla stessa categoria tutelata. Ciò è quanto si verifica nel caso in esame, come correttamente rilevato dalla difese resistenti, in quanto nell’ambito dell’unica categoria generale dei cacciatori, si pongono in posizione di potenziale conflittualità i cacciatori ammessi all’ATC1 e quelli appartenenti alla Azienda controinteressata.  Per detti motivi, assorbite le ulteriori eccezioni dedotte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 591 del 2014

Chi è legittimato a rappresentare l’Associazione Libera Caccia?

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 591 del 2014.

Si legge nella sentenza: "Preliminarmente il Collegio deve valutare la fondatezza dell’eccezione  preliminare sollevata da entrambe le difese resistenti circa l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione dei ricorrenti. Ritiene il Collegio che l’eccezione, distintamente formulata per ciascuno dei due ricorrenti, sia fondata e meritevole di accoglimento per le seguenti motivazioni. Per quanto riguarda l’Associazione Libera Caccia, il ricorso risulta proposto dalla Sezione Provinciale di Verona, in persona del Presidente provinciale pro tempore, sig. Attilio Marangoni. Orbene, premesso che le associazioni fra cacciatori riconosciute dal Ministero dell'Agricoltura come associazioni venatorie agli effetti dell'art. 86 T.U. 5 giugno 1939 n. 1016, modificato dall'art. 35 L. 2 agosto 1967 n. 799, quale è l’Associazione Libera Caccia, sono legittimate, in virtù della particolare posizione loro riconosciuta dall'ordinamento, a tutelare gli interessi legittimi dei cacciatori, nel caso di specie, sulla base di quanto disciplinato dallo Statuto della medesima associazione, non è rinvenibile in capo al Presidente Provinciale, in questo caso della Sezione di Verona, alcun potere rappresentativo dell’Associazione e quindi difetta in capo all’attuale ricorrente la legittimazione, in virtù della carenza dei poteri rappresentativi, a proporre il ricorso in esame. Infatti, in base allo statuto il solo soggetto cui è attribuita la rappresentanza dell’Associazione, evidentemente anche delle sue articolazioni provinciali, è il Presidente dell’Associazione a livello nazionale, nessun altro potere essendo stato attribuito ai Presidenti  provinciali, né essendo stata conferita alcuna delega da parte del Presidente nazionale a quello provinciale, qui ricorrente. Per dette ragioni, per quanto riguarda la ricorrente Sezione provinciale di Verona, difetta il potere rappresentativo e quindi risulta inammissibile il ricorso da questa proposto".

sentenza TAR Veneto 591 del 2014

La Regione può fissare discrezionalmente i tetti di spesa degli ospedali privati

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 692, si occupa della DGRV n. 832 del 15.05.2012 con la quale sono state fissate per l’anno 2012 i criteri per la determinazione dei volumi di attività e dei tetti di spesa degli erogatori ospedalieri privati equiparati e non equipararti al pubblico per la definizione degli accordi di cui all’art. 8 quinquies del D. Lgs. n. 502/1992.

A tal proposito si legge: “Va premesso che il legislatore con gli artt. 32, comma 8, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, 12, comma 3, del Dlgs 23 dicembre 1992, n. 502 e 39 del Dlgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come è stato rimarcato anche dalla più recente giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 12 aprile 2012, n. 3; id. 2 maggio 2006, n. 8; Consiglio Stato, sez. V, 25 gennaio 2002, n. 418; Corte Cost. 26 maggio 2005, n.200; id. 28 luglio 1995, n. 416; id. 23 luglio 1992, n. 356), ha disposto che, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema.

Le deliberazioni impugnate costituiscono espressione di tale potere programmatorio che si identifica nella fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni e nella determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni.

Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, posto che deve bilanciare interessi diversi e per certi versi contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono secondo una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l'assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico.

Ciò premesso, in ordine al dedotto difetto di motivazione, va osservato che la deliberazione con la quale sono stati fissati i criteri e determinati i volumi di attività e i tetti di spesa degli erogatori ospedalieri privati, non necessita di una specifica motivazione oltre quella che può ricavarsi dai criteri generali, perché, essendo un atto a contenuto generale, soggiace all’art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (mentre costituisce un atto plurimo solo per quanto attiene alla determinazione dei budget riconosciuti ai singoli operatori: cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 2 maggio 2006, n. 8; Tar Lazio, Roma, Sez. III, 5 aprile 2006, n. 2427).

Orbene, il Collegio ritiene che la deliberazione e gli atti dalla stessa richiamati (in particolare il nuovo Piano regionale socio sanitario approvato con la deliberazione della Giunta regionale n. 15/DDL del 26 luglio 2011), contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, rechino una sufficiente indicazione degli obiettivi, delle linee di indirizzo e dei criteri generali seguiti nell’impostazione della programmazione regionale, in ordine ai profili oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti.

Infatti la deliberazione sottolinea che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli; che vi è la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dai soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti effettuati in termini finanziari ed organizzativi; che è necessario tener conto delle peculiarità che caratterizzano le singole realtà locali.

Il Piano socio sanitario regionale 2012 - 2016 (adottato con la deliberazione della Giunta regionale n. 15/DDL del 26 luglio 2011 ed in seguito divenuto la legge regionale 29 giugno 2012, n. 23), a sua volta, con riguardo all’ospedalità privata accreditata, nell’ambito del paragrafo 3.2.3, afferma che ad essa va riconosciuto un ruolo di supporto al sistema pubblico, e che l’assistenza ospedaliera privata, in quanto parte del sistema complessivo, deve considerarsi complementare all’offerta pubblica.

Pertanto il Collegio, rilevata l’esistenza di tali riferimenti nella deliberazione e negli atti programmatori da essa richiamati, ritiene che tali elementi costituiscano una sufficiente indicazione dei criteri generali adottati nell’individuazione dei tetti e dei budget”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 692 del 2014

I diritti dell’uomo e le sentenze dei giudici

27 Mag 2014
27 Maggio 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 2482/2014 è un esempio di come, partendo da temi specialistici e un po' limitati (l'accessione invertita e l'acquisizione sanante), si possa giungere a questioni di fondo dell'ordinamento, di rilievo quasi filosofico ( insomma, quelle cose che piacciono a Dario Meneguzzo).

In sintesi, questa la vicenda decisa dal Consiglio di Stato:

- Una signora subisce un procedimento espropriativo di alcuni suoi terreni (per realizzarvi una strada che corre all'esterno dell'abitato di Castelfranco Veneto).

- Ottiene nel 2009 dal Tar Veneto una sentenza ( 2173/2009) che annulla gli atti della procedura espropriativa, e in particolare i provvedimenti di proroga della dichiarazione di pubblica utilità.

- Conseguentemente, il Tar Veneto dispone che l'Anas "dovrà provvedere alla regolarizzazione dell'attuale situazione, tenendo conto sia dell'annullamento degli atti di proroga della dichiarazione di pubblica utilità testé disposto, sia, ovviamente, dell'avvenuta acquisizione delle aree di cui trattasi al patrimonio pubblico disponibile per accessione invertita…"

- Il riferimento all'accessione invertita contenuto nella sentenza del 2009 è da considerarsi fuori del tempo. L'accessione invertita era già stata censurata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ed era già stata superata dall'articolo 43 del testo unico delle espropriazioni (allora vigente), che prevedeva l'acquisizione sanante: insomma, se un'amministrazione, per regolarizzare l'occupazione di un'area, deve assumere un atto di acquisizione sanante, vuol dire che non è già diventata proprietaria di quell'area in virtù dell'accessione invertita.

- La sentenza del 2009 passa in giudicato ma non ha esecuzione (l'Anas cioè non risarcisce alcun danno per accessione invertita), e nel 2012 la signora si rivolge nuovamente al Tar per l'ottemperanza.

- Il Tar Veneto (con sentenza 500/2013) accoglie il suo ricorso per l'ottemperanza, statuendo però che l'Anas - anziché risarcire il danno per l'accessione invertita - debba portare a termine un procedimento di acquisizione sanante (ex art. 42 bis, nel frattempo entrato in vigore). E forse si tratta del tentativo del Tar Veneto, in sede di ottemperanza, di "correggere il tiro" rispetto alla propria precedente pronuncia, che aveva fatto applicazione di un istituto superato.

- La signora non condivide questa posizione - evidentemente, circostanze fattuali la inducono a preferire l'accessione invertita - e impugna al Consiglio di Stato la sentenza del Tar.

- Il Consiglio di Stato, dunque, con la sentenza che ti allego, le dà ora pienamente ragione.

- E' vero, dice il Consiglio di Stato, che l'accessione invertita è "del tutto superata". Però "diverso è invece il caso in cui la fattispecie traslativa sia conseguenza di una vicenda complessa, come quella attuale, in cui vi è il passaggio in giudicato di una sentenza che ha statuito espressamente in tal senso…".

- Così dunque conclude il Consiglio di Stato: "essendovi stata l'acquisizione alla mano pubblica dell'area, stante il giudicato caduto sulla sentenza del Tar Veneto, sezione prima, n. 2173 del 9 luglio 2009 a proposito di tale profilo, appare del tutto inconferente l'applicazione dell'istituto dell'acquisizione sanante di cui all'art. 42 bis del Tuespr., atteso che l'area è già di proprietà dell'Anas".

Ora, se nel caso concreto la pronuncia del Consiglio di Stato è quella voluta da chi ha subito l'occupazione delle sue aree, va bene così.
Ma il tema è tutt'altro che scontato.
Davvero la forza del giudicato prevale sul fatto che la normativa applicata è contraria ai diritti dell'uomo? Perché questa è, nella sostanza, la statuizione del Consiglio di Stato.
Se l'affermazione non sembra particolarmente problematica in tema di accessione invertita, lo può diventare in altri casi.
Davvero vale il giudicato se ha ad oggetto altre situazioni contrarie ai diritti dell'uomo?
Gli esempi vengono alla mente in quantità.
Si pensi, per andare all'estremo, a un giudicato formatosi su fattispecie di discriminazioni palesemente in contrasto con i diritti dell'uomo, perché basate su religione, colore della pelle, preferenze sessuali. E se la sentenza passata in giudicato avesse statuito che i gay o le persone di colore non possono entrare in un locale pubblico?

avv. Stefano Bigolaro

Sentenza TAR Veneto n. 500 del 2013

sentenza CDS 2482 del 2014

La diffida a ridurre le emissioni rumorose non è autonomamente impugnabile

27 Mag 2014
27 Maggio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 693, si occupa dei piani di classificazione acustica che i Comuni devono adottare in base alla Legge n. 447/1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico) e dei connessi provvedimenti comunali. In particolare la diffida finalizzata ad imporre il rispetto dei limiti legai previsti dalla L: n. 447/1995 e dal D.P.C.N. 14.11.1997 non è un provvedimento direttamente lesivo e, dunque, autonomamente impugnabile, atteso che: “In relazione al primo profilo va infatti rilevato che effettivamente l’atto impugnato, in base ad una corretta qualificazione che tenga conto del suo effettivo contenuto e di quanto dispone, nonché delle caratteristiche che presenta nella sua concreta attuazione (cfr. ex pluribus Consiglio di Stato, Sez. V, 19 novembre 2012, n. 5848; Tar Lazio, Latina, Sez. I, 22 ottobre 2012, n. 791; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 14 novembre 2011, n. 8828), è privo di autonoma lesività, perché non è un atto sussumibile entro quelli contemplati dall’art. 9 della legge 20 ottobre 1995, n. 447, ma si sostanzia in una mera diffida a rispettare i limiti di legge, che in quanto tale è priva di effetti costitutivi e pertanto non è autonomamente impugnabile (cfr. Consiglio Stato, Sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6079; Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 30 ottobre 2001 n. 783), ed è stata emessa nell’esercizio degli ordinari poteri di vigilanza di cui all’art. 6 e all’art. 14, comma 2, della legge 20 ottobre 1995, n. 447, di competenza del dirigente, per le ipotesi non caratterizzate dal presupposto dell’urgenza che perseguono lo scopo di far rientrare le fonti di inquinamento entro i parametri di legge (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 10 settembre 2009, n. 5420).

Una tale conclusione è avvalorata da profili di carattere letterale, dato che non vi è la comminazione di conseguenze pregiudizievoli in caso di mancata osservanza del contenuto monitorio dell’atto.

Infatti vi è solo l’indicazione della possibile adozione di provvedimenti di cui all’art. 9 della legge 20 ottobre 1995, n. 447, in caso di pericolo immediato per la salute pubblica, e l’espressa attribuzione all’atto della valenza di cui all’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 693 del 2014

Nella S.C.I.A. in sanatoria opera il silenzio-assenso

27 Mag 2014
27 Maggio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 31 marzo 2014 n. 1534, si occupa della S.C.I.A. edilizia in sanatoria stabilendo che se l’Amministrazione comunale non inibisce l’intervento entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, l’abuso edilizio si intende sanato: “5. Come risulta dall’esposizione in fatto, l’appellante incidentale ha prodotto copia della segnalazione certificata di inizio attività (ai sensi della L.R. 18 febbraio 2004, n. 1, come modificata e integrata dalla L.R. 16 settembre 2011, n.8), presentata al Comune di Perugia in data 19 dicembre 2012, a sanatoria dell’abuso oggetto dell’ordine di demolizione impugnato in primo grado.

Non è stato contestato dal Comune di Perugia che sia effettivamente decorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della predetta s.c.i.a senza che sia stato adottato (e comunicato) alcun provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività proprio ai sensi dell’art. 21, comma 12, della citata L.R. n. 1 del 2004: a ciò consegue che sussiste un titolo abilitativo, sia pur in sanatoria, dell’attività edilizia, originariamente abusiva.

Sotto tale profilo deve rilevarsi che la presentazione della s.c.i.a. (e la conseguente avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria) costituisce in realtà ammissione dell’abuso edilizio commesso, avendo quella segnalazione certificata carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità di fatti attestati e a produrre, con l’inutile decorso del tempo per l’emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una eventuale diversa volontà delle parti (Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2086 per un’ipotesi analoga in tema di condono edilizio ex lege 28 febbraio 1985, n. 47)”.

Ciò determina una sopravvenuta carenza d’interesse da parte dell’Amministrazione a coltivare il ricorso perché: “Ciò posto, essendo stato sanato l’abuso che aveva legittimato l’emanazione dell’ordine di demolizione oggetto di controversia, deve essere dichiarata l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’originario ricorso proposto in primo grado, essendo venute meno nelle more del giudizio le condizioni dell’azione che, com’è noto, devono persistere per tutto il giudizio”.

Alla luce di ciò si evince che, se per il Permesso di costruire in sanatoria vige la regola del silenzio-rigetto o silenzio-diniego, ex art. 36, c. 3 del D.P.R. n. 380/2001, laddove l’Amministrazione non si pronunci entro sessanta giorni dalla richiesta (per il permesso), nella S.C.I.A. in sanatoria, al contrario, vige il principio del silenzio-assenso (nei 30 giorni). Ovviamente ritengo che sia sempre fatto salvo, in ambedue le ipotesi, il potere di autotutela dell’Amministrazione. 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 1534 del 2014

Decreto Ministeriale 22 maggio 2014 “Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale”

27 Mag 2014
27 Maggio 2014

Sul sito del MISE (http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/dgsaie/ambiti/norme.asp) è stata pubblicata la seguente informativa:

 "...Approvazione del documento “Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale” del 7 aprile 2014.

Con Decreto Ministeriale 22 maggio 2014 è stato approvato il documento MISE Linee guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale del 7 aprile 2014 ai sensi dell'articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 e dell’articolo 1, comma 16, del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni in legge 21 febbraio 2014, n. 9.

Tabella Excel Foglio riassuntivo calcolo valore di rimborso..."

Dalle linee guida si evince che:

 "...In conformità con l’articolo 15, comma 5, del DLgs. 164/2000 e s.m.i. e con l’articolo 5, commi 2 e 4, del regolamento criteri di gara, le specifiche metodologie previste nei singoli contratti di concessione vigenti e stipulati precedentemente all’11 febbraio 2012 prevalgono su quanto contenuto nelle presenti Linee Guida, con le limitazioni previste nell’articolo 5 del regolamento criteri di gara e nel capitolo 2 del presente documento.

 Le Linee Guida si applicano ai seguenti casi:

 a. casi di cui all’articolo 5, comma 3, del regolamento criteri di gara, cioè i casi in cui è prevista alla scadenza naturale della concessione la devoluzione onerosa di una porzione di impianto al gestore entrante, la cessazione del servizio è anticipata rispetto alla scadenza naturale (inclusi i casi in cui non è previsto un termine di scadenza) e per cui:

i. i documenti contrattuali, stipulati prima dell’11 febbraio 2012, non prevedano alcuna previsione metodologica o la prevedano solo per alcuni aspetti del calcolo del valore di rimborso; in questo ultimo caso le Linee guida si applicano per gli aspetti metodologici non previsti o per l’applicazione operativa degli aspetti metodologici generali;

ii. gli atti integrativi, stipulati successivamente all’entrata in vigore del Dlgs. 164/2000 (21 giugno 2000), presentino solo un valore, anche se indicizzato, senza specificare la metodologia dettagliata applicata;

iii. i documenti contrattuali, per la valutazione del valore di rimborso, facciano riferimento generico all’articolo 24, comma 4, del regio decreto 2578/1925 o indichino genericamente che la valutazione debba essere effettuata a prezzi di mercato, senza fornire la metodologia dettagliata. A tale categoria appartengono i casi in cui un accordo successivo al 20 giugno 2000 ha sostituito gli atti precedenti in cui era definita la scadenza naturale e gli atti di concessione vigenti, stipulati prima dell’11 febbraio 2012, prevedono una metodologia riconducibile ai criteri di cui all’articolo 24, comma 4, del regio decreto 2578/1925;

b. casi in cui gli atti di concessione ancora in vigore prevedano alla scadenza naturale la devoluzione gratuita al Comune dell’intero impianto o di una sua porzione, ma in cui la cessazione effettiva del servizio è anticipata per disposizioni di legge; in particolare nei due seguenti sottocasi:

i. gli atti di concessione prevedono l’applicazione del regio decreto n.2578/1925 in caso di cessazione anticipata del servizio (caso in cui si applica il secondo periodo dell’articolo 5, comma 14, lettera a, del regolamento criteri di gara);

ii. gli atti di concessioni non riportano alcuna modalità di calcolo in caso di cessazione anticipata del contratto rispetto alla scadenza naturale (caso in cui si applica l’articolo 5, comma 14, lettera b, del regolamento criteri di gara);

c. casi di cui all’articolo 5, comma 1, del regolamento criteri di gara, cioè i casi di cessazione del servizio alla scadenza naturale o successivamente, per cui gli atti di concessione ancora in vigore prevedano esplicitamente, come modalità di calcolo del rimborso alla scadenza naturale dell’affidamento, l’applicazione dei criteri di cui all’articolo 24, comma 4, del regio decreto n.2578/1925.

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Ai sensi dell’articolo 5, comma 4, del regolamento criteri di gara, nei casi in cui gli atti di concessione vigenti, stipulati prima dell’11 febbraio 2012, riportano previsioni solo su aspetti particolari per il calcolo del valore di rimborso (ad esempio, prezziario da utilizzare, vite utili per il calcolo del degrado, o altri dettagli metodologici) le Linee Guida si applicano per gli elementi non definiti in tali atti.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 1, comma 16, del DL 145/2013 in tutti i casi si applica la detrazione dei contributi privati e, pertanto, si applicano in tutti i casi le modalità previste nel paragrafo 17.1 e nel paragrafo 3 dell’Allegato 2, limitatamente al trattamento dei contributi privati.

Nei casi non previsti sopra, qualora i documenti contrattuali facciano riferimento all’applicazione di un prezzario regionale, di una provincia autonoma o della CCIAA provinciale, senza specificarne le modalità applicative, valgono comunque le previsioni contenute nelle Linee Guida per l’utilizzo del prezzario. In particolare, in tale caso si applica quanto previsto nel capitolo 7, per le spese generali e l’utile di impresa, e quanto previsto nei paragrafi 8.2.3.3 e 8.3.2.2 e nell’allegato 1, per la priorità nella scelta della voce, contenuta nel prezzario di riferimento, da utilizzare per una determinata lavorazione relativa a scavi, rinterri e ripristini, per la scelta dei materiali di rinterro e rinfianco tubazioni e per la identificazione di voci di prezzo non idonee a rappresentare la lavorazione per la realizzazione di reti di distribuzione del gas. Anche per quanto riguarda la fornitura e installazione di componenti specifici della distribuzione del gas, inclusa la fornitura e la posa delle tubazioni interrate, valgono, nel suddetto caso, le previsioni contenute nelle Linee guida e non le voci di prezzo del prezzario, in quanto, come evidenziato al capitolo 4, la maggior parte dei prezzari non forniscono voci di costo adeguate alla realizzazione di condotte di notevoli estensioni, quali le reti di distribuzione del gas naturale.

Le Linee Guida non si applicano a valutazioni del valore di rimborso a regime, a cui si applica la metodologia della regolazione tariffaria, ai sensi dell’articolo 14, comma 8, del DLgs. 164/00, come modificato dall’articolo 24, comma 1, del DLgs 93/2011.

La Parte II, riguardante la valutazione del valore di ricostruzione a nuovo dei cespiti, non si applica agli impianti con prima metanizzazione dopo l’anno 2000, che sono stati realizzati con l’ausilio di finanziamenti pubblici e per cui le condizioni di posa e di accessibilità non si siano modificate. Per tali casi, ai sensi dell’articolo 5, comma 6, ultimo periodo, del regolamento criteri di gara, il valore di ricostruzione a nuovo è determinato utilizzando direttamente i costi effettivamente sostenuti, aggiornati con il deflatore degli investimenti fissi lordi. In questo ultimo caso è comunque applicabile la Parte III delle Linee Guida per il trattamento del degrado dei cespiti e del trattamento dei contributi pubblici e privati. 

geom. Daniele Iselle

 

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