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Anche nel processo amministrativo l’interruzione del processo per morte o perdita di capacità processuale della parte costituita non è automatica

14 Mag 2014
14 Maggio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 1954 del 2014: "3 Altra eccezione di parte appellata riguarda la presunta tardività della riassunzione. 

3a Il decesso del sig. Salvatore Capone, viene dedotto, era stato reso noto già in data 12 novembre 2012 mediante la produzione in giudizio del relativo certificato di morte: sicché il perentorio termine trimestrale per la riassunzione prescritto dall’art. 80, comma 3, C.P.A., sarebbe scaduto sin dal 12 febbraio 2013. Viene fatto altresì notare che il Comune aveva avuto contezza dell’evento ben prima dell’udienza pubblica del 25 giugno 2013 in cui lo stesso aveva formato oggetto di formale dichiarazione, tanto è vero che risaliva al precedente 27 maggio, data anteriore a quella di tale dichiarazione, il decreto n. 47 con il quale il Sindaco aveva già disposto la riassunzione del giudizio e la conferma dell’incarico professionale in capo al difensore inizialmente officiato. E’ infine rappresentato che il Comune, per il fatto di tenere i Registri dello Stato civile, era aborigine a conoscenza dell’intervenuto decesso, risalente al 2 ottobre 2010.

3b Anche questa eccezione è priva di fondamento.

3c In aderenza alla disciplina dettata dall’art. 300 c.p.c. la difesa comunale ha esattamente obiettato:
- che la morte di una parte non determina l’interruzione del giudizio ove l’evento non sia stato dichiarato in udienza dal suo difensore, oppure notificato alle altre parti in causa;
- che, per la stessa ragione, al fine indicato non rileva nemmeno quell’astratta conoscibilità di un decesso, da parte di un Comune, che
potrebbe essere fatta risalire alla tenuta dei registri dello Stato civile;
- che il mero deposito presso la Segreteria della Sezione del relativo certificato di morte, in assenza di qualsivoglia forma di avviso, non vale  ad integrare una comunicazione dell’evento interruttivo alle altre parti, le quali non hanno alcun onere di verifica periodica del contenuto del fascicolo processuale.

3d Va ricordato, infatti, che, mentre l’art. 79, comma 2, C.P.A. stabilisce che “L’interruzione del processo è disciplinata dalle disposizioni del codice di procedura civile”, l’art. 300 c.p.c.. così richiamato, dal canto suo, recita: “Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto …”. Della riassunzione del processo interrotto si occupa invece specificamente l’art. 80 C.P.A., che, nel suo ultimo comma, dispone che il processo debba essere riassunto “…a cura della parte più diligente, con apposito atto notificato a tutte le altre parti, nel termine perentorio di novanta giorni
dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione.”

3e Dal quadro esposto si desume, quindi, che nell'attuale sistema del processo civile ed amministrativo l’interruzione del processo per morte o perdita di capacità processuale della parte costituita non è frutto di un automatismo, ma consegue esclusivamente ad un’apposita dichiarazione fatta dal procuratore della parte stessa (cfr. Corte Cost., 10 aprile 2002, n. 102). Un eventuale evento interruttivo, cioè, per poter assurgere a rilevanza nel processo deve necessariamente essere rilevato nei modi di cui agli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., la cui disciplina è richiamata dall'art. 79, comma 2, C.P.A., ossia mediante dichiarazione o notificazione  dell'evento ad opera del procuratore costituito per la parte colpita dall'evento interruttivo (v. C.d.S., VI, 27 ottobre 2011, n. 5788), forme di comunicazione dell’evento che non ammettono equipollenti: laddove in mancanza di tale dichiarazione o notificazione da parte del difensore della parte colpita il processo prosegue (C.d.S., V, 12 luglio 1996, n. 857; 29 maggio 2000, n. 3090; VI, 10 aprile 2003, n. 1906). Più ampiamente, la dinamica del meccanismo interruttivo è stata nitidamente illustrata dalla giurisprudenza civile nei seguenti termini. “ … l'incidenza dell'evento morte di una parte costituita con procuratore, verificatosi durante il giudizio di primo grado o d'impugnazione è regolata dall'art. 300 cod. proc. civ. e, pertanto, essendo indispensabile e insostituibile ai fini di tale incidenza la comunicazione formale dell'evento da eseguirsi dal procuratore della parte deceduta e non avendo rilevanza la conoscenza che dell'evento stesso le altre parti abbiano avuto eventualmente "aliunde", l'effetto interruttivo delprocesso è prodotto da una fattispecie complessa, costituita dal verificarsi dell'evento o dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fatta dal procuratore alle altre parti. Dichiarazione o notificazione che soltanto il procuratore della parte defunta può discrezionalmente non fare o fare nel momento da lui giudicato più opportuno per provocare l'interruzione del processo, la quale non si verifica in modo automatico come conseguenza diretta ed esclusiva della morte della parte a cui, quindi, deve essere notificato l'atto d'impugnazione, perché considerata ancora in vita nel caso in cui della propria morte il suo procuratore abbia omesso la dichiarazione in udienza o la notificazione alle altre parti” (Cass.civ., II, 5 giugno 1990, n. 5391). 

3f In coerenza con le coordinate esposte, la giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto già modo di stabilire che ove, come nella specie, il difensore della parte colpita dall’evento interruttivo si sia limitata a  depositare in atti una copia del certificato di morte, senza nulla dichiarare ai fini dell'interruzione del processo, non sono con ciò integrati presupposti rilevanti ai fini dell'interruzione ex art. 300 c.p.c., poiché manca una dichiarazione del procuratore costituito o una notificazione dell'evento ai sensi del medesimo articolo (C.d.S., VI, 10 aprile 2003, n. 1906). Analogamente, con la decisione della Sez. IV n. 199 del 30 marzo 1987 è stato deciso che la comunicazione della morte del ricorrente depositata nella segreteria dell'organo giudicante dal procuratore costituito non è idonea ad integrare l'interruzione del processo prevista e disciplinata dall'art. 300 c.p.c., non essendo stata formulata in uno dei due modi previsti tassativamente dalla legge (dichiarazione in udienza o notifica alle altre parti).

3g Quanto precede è ampiamente sufficiente ad escludere che il mero fatto della produzione in giudizio, in data 12 novembre 2012, del
certificato di morte del sig. Salvatore Capone potesse valere a far partire il corso del termine trimestrale prescritto dall’art. 80 C.P.A. ai fini della riassunzione del processo. Non solo, invero, il fatto della relativa produzione documentale non permetteva di perfezionare la fattispecie di un evento interruttivo ai sensi dell’art. 300 c.p.c., giusta quanto fin qui illustrato; ma il fatto medesimo neppure generava una “conoscenza legale dell’evento” stesso, come invece richiesto dall’art. 80 cit. ai fini dell’avvio della decorrenza
del termine perentorio di cui si tratta (“…dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione”). 

3h Sotto quest’ultimo profilo la difesa comunale ha osservato che, a tutto voler concedere, ci si potrebbe al più attendere che un difensore verifichi il contenuto del fascicolo processuale, per accertare l’eventuale produzione documentale avversaria, in concomitanza con il termine di quaranta giorni prima dell’udienza di trattazione prescritto dall’art. 73 C.P.A. per il deposito in giudizio di documenti (ciò che nel caso concreto aveva effettivamente permesso al legale del Comune di avere contezza del decesso, e di informarne l’Amministrazione prima dell’udienza). Anche a voler far decorrere, tuttavia, il termine perentorio per la
riassunzione ancorandolo ipoteticamente a tale data (nella specie, cadente il 15 maggio 2013), la riassunzione operata dal Comune, tenuto conto della sospensione feriale, risulterebbe comunque tempestiva. 

3i Anche l’eccezione di tardività della riassunzione deve dunque essere disattesa".

Dario Meneguzzo - avvocato

E’ valida la notifica fatta al familiare si sia trovato nella casa ed abbia preso in consegna l’atto anche se risulti residente da un’altra parte?

14 Mag 2014
14 Maggio 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1954 del 2014 si occupa, tra l'altro, del concetto di familiare convivente, ai fini della validità delle notificazioni.

Si legge nella sentenza: "Restano da esaminare le eccezioni che riguardano la ritualità delle notifiche dell’atto comunale di riassunzione. Tali eccezioni investono due aspetti distinti.

4a Un primo profilo sollevato riguarda le notifiche dell’atto di riassunzione effettuate, a mezzo posta, ai sigg.ri Pietro e Simone Capone. Queste sarebbero nulle, poiché in entrambi i casi la copia dell’atto giudiziario sarebbe stata consegnata al fratello dei predetti, sig. Capone Giorgio, presso il suo domicilio alla via Ravenna 43. Questi, viene precisato, non conviveva neppure temporaneamente con i fratelli Pietro  e Simone; né del resto una prova della detta convivenza temporanea era stata fornita.

4b In proposito la difesa di parte appellante ha tuttavia fondatamente replicato che dai pertinenti avvisi di ricevimento si desumeva che i relativi plichi erano stati consegnati proprio presso i rispettivi domicilii dei destinatari e non già al civico 43 di via Ravenna, come riferito invece ex adverso con asserto che, figurando contraddetto da risultanze documentali che la giurisprudenza reputa assistite da efficacia probatoria privilegiata (Cass.civ., Sez. I, 22 novembre 2006, n. 24852; Sez. II, 22 aprile 2005, n. 8500), non può che essere giudicato recessivo. Quanto alla circostanza che la consegna del plico sia stata effettuata in entrambi i casi nelle mani del fratello Giorgio, occorre sottolineare che i relativi avvisi di ricevimento, sottoscritti in calce dal consegnatario, definivano il medesimo in entrambi i casi quale “familiare convivente – fratello”. Ciò posto, correttamente la difesa comunale si è richiamata alla
presunzione di convivenza temporanea del familiare nell’abitazione del destinatario, che la giurisprudenza afferma operante per il sol fatto che il familiare si sia trovato nella casa ed abbia preso in consegna l’atto. La presunzione così invocata potrebbe essere vinta solo dalla prova contraria fornita dall’interessato avente ad oggetto la mancanza di alcuna pur temporanea convivenza. Non solo, però, tale prova contraria non è stata fornita; ma la parte costituita non ha nemmeno escluso che il plico sia pervenuto al destinatario. Onde anche questa eccezione risulta infondata. 

4c A conferma dell’inconsistenza dell’eccezione giova riportare l’approfondito quadro della materia recentemente fornito dalla Suprema Corte con la pronuncia della Sez. I, 25 luglio 2013, n. 18085. “E' opportuno riportare, nella parte che qui rileva, la L. n. 892 del 1980, art. 7, commi 1 e 2, che, nel disciplinare le modalità di notificazione a mezzo posta, dispone: L' agente postale consegna il piego nelle mani proprie del destinatario, anche se dichiarato fallito. Se la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l'atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ...". Tra i due requisiti previsti dalla norma, della quale è stata rimarcata la differenza con il disposto di cui all'art. 139 c.p.c., comma 2 (che si limita ad indicare la consegna ad una persona di famiglia, senza alcun accenno al secondo requisito), la giurisprudenza ha ritenuto sussistente un vincolo presuntivo, del primo rispetto al secondo requisito, ritenendo che la notificazione mediante consegna a persona di famiglia richiede che l'atto da notificare sia consegnato a persona che, pur non avendo uno stabile rapporto di convivenza con il notificando, sia a lui legato da vincolo di parentela, che giustifichi la presunzione di sollecita consegna; presunzione superabile da parte del notificando, che assuma di non avere ricevuto l'atto, con la dimostrazione della presenza occasionale e temporanea del familiare consegnatario (così le pronunce 187/2000, 5671/1997, 7371997). Ed ancora più chiaramente, la pronuncia 9928/2001 si è espressa nel senso di ritenere che il disposto normativo, che regolamenta la dazione del piego postale a consegnatari qualificati del destinatario assente, "pone certamente l'esigenza che il familiare sia convivente, anche in termini di assoluta temporaneità, con tale espressione intendendosi un minimo di stabilità della presenza del soggetto- familiare  nell' abitazione del destinatario, che faccia ritenere certa la sollecita consegna del piego. Ma se tale è la formula adottata, è anche palese che il testo non impone alcuna indicazione, nella formula notificatoria, della convivenza, posto che, come più volte da questa Corte precisato, viene instaurata la presunzione della convivenza temporanea del familiare nella abitazione del destinatario per il solo fatto che detto familiare si sia trovato nella casa ed abbia preso in consegna l'atto (Cass. 1843/98 - 7544/97 - 615/95 - 6100/94 - 2348/94), presunzione certamente superabile da prova contraria fornita dall'interessato (e ad oggetto la carenza di alcuna pur temporanea convivenza) e sulla quale il legislatore ha fondato l'ulteriore presunzione normativa, quella di consegna immediata dell'atto al suo destinatario da parte del ridetto familiare" (Cass. civ., Sez. I, n. 18085/2013; la stessa Suprema Corte poco prima, con la decisione della Sez. III, 26 ottobre 2009, n. 22607, aveva svolto considerazioni analoghe).

4d Le notifiche dell’atto di riassunzione effettuate ai sigg.ri Pietro e Simone Capone risultano pertanto immuni dal vizio testé esaminato".

Dario Meneguzzo - avvocato

Convegno sulla microassicurazione

14 Mag 2014
14 Maggio 2014

La Associazione Internazionale di Diritto delle Assicurazioni Sez. Veneto Trentino Alto Adige (AIDA) organizza il convegno sulla "microassicurazione" , presso Auditorium G. Bisoffi Lungadige Cangrande, 16 Verona, 23 maggio 2014, ore 15.00 - 19.00.

La partecipazione al convegno è gratuita e comporta il riconoscimento di tre crediti per la formazione continua. Per le iscrizioni inoltrare la domanda per posta elettronica al seguente indirizzo: aidavenetotrentinoaltoadige@gmail.com

PROGRAMMA CONVEGNO VERONA AIDA VENETO TRENTINO ALTO ADIGE

Il TAR Veneto si allinea al CdS: negli accordi art. 6 deve sussistere una stretta correlazione tra l’intervento edilizio e la localizzazione dello standard perequativo

13 Mag 2014
13 Maggio 2014

Segnaliamo in materia di perequazione la sentenza del TAR Veneto n. 590 del 2014, che mette  un paletto a una figura che, peraltro, non smette di sollevare in molti interpreti perplessità anche di ordine generale. 

Scrive il TAR: "2. Ciò premesso è possibile concentrarsi sull’esame del merito del ricorso, rilevando sin d’ora come risulti fondato il primo motivo, laddove si sostiene il venire in essere di un illegittimità derivata, riconducibile all’illegittimità degli atti impugnati nel ricorso RG 896/2011, limitatamente a quanto successivamente disposto dalla sentenza n. 616/2014 del Consiglio di Stato.

2.1 Con detta pronuncia si è, infatti, sancita l’illegittimità del Piano degli Interventi nella parte in cui aveva posto a carico dell’impresa controinteressata una modalità di perequazione che prevedeva la realizzazione di una piazza (denominata Piazza della Vittoria), posta in una località non immediatamente contigua all’intervento oggetto del accordo pubblico – privato di cui all’App 16.

Si era così disposta non solo l’illegittimità in parte qua del primo Piano degli Interventi, ma soprattutto l’illegittimità dell’App 16, approvata dapprima con la delibera del Consiglio comunale n. 07 del 23/02/2011 e poi recepita nel PI n. 2.

2.2 Risultano, infatti, condivisibili le osservazioni cui è pervenuto il Consiglio di Stato nella pronuncia sopra citata, laddove si è evidenziata l’esistenza di un quadro giurisprudenziale diretto a rilevare una stretta correlazione tra l’intervento edilizio e la localizzazione dello standard.

Si è ritenuto, pertanto, che la previsione contenuta nell’App 16 contrasta con il criterio di radicamento territoriale degli standard sopra evidenziato, circostanza suscettibile di determinare un effettivo contrasto degli atti impugnati con il primo ricorso, e con quello ora sottoposto al presente Collegio, con l'art. 46 delle norme tecniche del PAT con consequenziale declaratoria di illegittimità in parte qua.

2.3 Nella rimanente parte della pronuncia il Consiglio di Stato ha, inoltre, confermato le conclusioni cui era giunto questo Tribunale che aveva ritenuto di rigettare i motivi ulteriori, mediante i quali si era proposta l’impugnazione avverso il primo piano degli interventi.

2.4 Va rilevato come sussista una stretta correlazione tra il procedimento che ha portato all’approvazione del primo Piano degli interventi, nella parte in cui approva l’App 16 e, ancora, le delibere in questa sede impugnate nella parte in cui anche queste ultime ritengono di confermare le statuizioni in precedenza espresse e con riferimento all’accordo pubblico - privato oggetto dell’App.

2.5 Questo Collegio ritiene infatti, di condividere le conclusioni cui è giunta la pronuncia del Consiglio di Stato n. 616/2014 nella parte in cui ha, altresì, rigettato l’eccezione di improcedibilità che, a sua volta, aveva come presupposto proprio l’avvenuta emanazione degli atti relativi al Piano degli Interventi n. 2 ora impugnati.

2.6 Al fine di accogliere la censura di illegittimità derivata risulta, infatti, dirimente constatare che la delibera n. 15 del 2012 di adozione del Piano degli Interventi n. 2 sancisce, espressamente, che quest’ultima “recepisce il piano degli interventi vigenti conseguentemente le previsioni urbanistiche rimangono sostanzialmente invariate” e che, ancora, “per quanto riguarda la variante approvata dal consiglio comunale con la deliberazione n. 7 del 23/02/2011 su proposta della ditta Cama, si confermano i contenuti della predetta deliberazione, conformandoli al presente piano degli interventi”.

2.7 L’espressa dizione diretta a confermare i contenuti di un provvedimento ora in parte annullato, deve ritenersi inequivocabile diretta ad includere, nell’ambito del Piano degli Interventi ora impugnato, i contenuti dell’App 16 nella parte in cui quest’ultimo comprende, ancora, la realizzazione di Piazza della Vittoria, opera la cui previsione era stata ritenuta essere in violazione dei principi in materia di standard e di perequazione urbanistica.

2.8 A fronte del dato letterale presente nella delibera n. 15/2012 si deve ritenere come le delibere relative al Piano degli Interventi n. 2, per quanto attiene i contenuti dell’App 16, si pongano nell’ambito di un unico segmento procedimentale, finalizzato a reintrodurre una determinata pianificazione urbanistica di un’area ben individuata.

2.9 Detto segmento procedimentale, pur essendo stato inserito nell’ambito di un nuovo - e più ampio - procedimento di approvazione di un nuovo Piano degli Interventi, si è concluso con l’adozione di un atto confermativo che, in quanto tale, ha inteso riprodurre le medesime previsioni urbanistiche di un atto in precedenza annullato.

2.10 E’ la stessa Amministrazione comunale a ricordare le circostanze in relazione alle quali era maturata l’esigenza di approvare nuovamente l’App. 16, esigenza venuta in essere al fine di consentire all’Amministrazione comunale, per il tramite del Consiglio comunale, di approvare, specificatamente e sul punto, l’oggetto dell’accordo di cui si tratta.

2.11 Si consideri ancora, come detta illegittimità sia stata immediatamente eccepita dalla ricorrente all’atto di proposizione del ricorso, facendo un espresso rinvio a tutti i vizi in precedenza dedotti.

E’ evidente che in quella fase il ricorrente non conosceva, ancora, gli esiti della sentenza del Consiglio di Stato che ha poi individuato quell’unico vizio suscettibile di annullare l’App. 16.

2.11 Sostenere, come fanno le parti resistenti, che sussisteva un onere di indicare espressamente il vizio di invalidità derivata così come poi accolto dal Consiglio di Stato, non tiene conto delle peculiarità della fattispecie in esame e, nel concreto, avrebbe l’effetto di porre nel nulla la stessa pronuncia del Consiglio di Stato n. 616/2014, legittimando il comportamento dell’Amministrazione comunale diretto ad emanare un nuovo provvedimento che sostanzialmente ricomprende i vizi del precedente.

2.12 Si consideri, ancora, che il Piano degli Interventi n. 2, nella parte in cui conferma le previsioni dell’App. 16 in precedenza annullate, risulterebbe comunque nullo ab origine laddove, e nel momento in cui, sia possibile accertare il passaggio in giudicato della sentenza n. 616/2014.

Sul punto, infatti, risulterebbe applicabile l’art. 21 septies della L. n. 241/90 che, unitamente ad un costante orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Puglia Bari Sez. I, 06-11-2013, n. 1506), ha ravvisato l’applicazione di detto istituto nell’ipotesi in cui l’Amministrazione “cerchi di realizzare il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo giustificano…”.

2.13 E’, inoltre, necessario considerare come, nelle successive memorie, l’Amministrazione comunale ha riferito di aver attivato il procedimento di esecuzione della sentenza n.616/2014 al fine di modificare gli oneri perequativi contenuti nelle delibere impugnate con il ricorso RG 896/2011.

2.14 Con riferimento a detta circostanza non si comprende come sia possibile attivare un procedimento diretto a rideterminare la perequazione urbanistica in precedenza disposta e nel contempo sostenere, nel presente giudizio, la legittimità di quel provvedimento che pure contiene l’esecuzione delle opere ritenute illegittime.

2.15 In considerazione di quanto sopra esplicitato è, pertanto, possibile ritenere che la già accertata illegittimità del contenuto dell’App. 16 a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 616/2014 ha l’effetto di determinare l’illegittimità derivata, seppur anche qui in parte qua, dei provvedimenti di adozione e approvazione del PI n. 2 in questa sede impugnati".

Geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto 590 del 2014

Il Tar Veneto “reintroduce” il parere (facoltativo?) di compatibilità “paesaggistica” sui PUA – ex art. 16 comma 3 della L. n. 1150/1942?‏

13 Mag 2014
13 Maggio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 587 del 2014, in relazione al fatto che la legge regionale veneta non prevede la necessità di tale parere.

Scrive il TAR: "1.4 Va, infatti, considerato che la necessità di richiedere l’autorizzazione paesaggistica nel procedimento diretto all’approvazione di un piano di lottizzazione trova un riscontro positivo sia, nell’art. 16 comma 3 della L. n. 1150/1942 sia, ancora, nell’art. 28 della stessa normativa, disciplina quest’ultima che, per quanto attiene i principi in materia ambientale, non può considerarsi automaticamente superata con l’introduzione della Legge Reg. n. 11/2004.

1.5 Un orientamento giurisprudenziale, seppur non univoco (T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 08-04-2010, n. 1511), ha previsto l’applicabilità dell’art. 28 comma 2 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, ritenendo necessaria una valutazione di compatibilità ambientale nel procedimento di approvazione dei piani di lottizzazione.

Si è affermato che l’art. 28 sopra citato “estende ai piani di lottizzazione la necessità di una valutazione sotto il profilo paesistico indipendentemente dalla presenza di un vincolo paesistico-ambientale. Qualora un tale vincolo sussista, tanto per l'intervento di una dichiarazione di notevole interesse pubblico riferita a un bene determinato (art. 136 e 157 del Dlgs. 42/2004) quanto per effetto della tutela ex lege dei contesti ambientali (art. 142 del Dlgs. 42/2004), è necessaria una vera e propria autorizzazione paesistica, sottoposta all'epoca dei fatti, ossia nel regime transitorio, al potere di annullamento ministeriale ex art. 159 del Dlgs. 42/2004”.

1.6 Si consideri, ancora che, a prescindere dal procedimento di approvazione dei Piani Attuativi disciplinato dagli artt. 19 e 20 della L. Reg. n. 11/2004, deve ritenersi che sussista, comunque, la facoltà del Comune di acquisire il parere di compatibilità paesaggistica e, ciò, anche in considerazione del carattere di atto “presupposto” tipico della valutazione paesaggistica, rispetto al provvedimento abilitativo di competenza dell’Amministrazione comunale.

1.7 Come ha, peraltro, confermato anche la pronuncia sopra citata, nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico – ambientale, l’esercizio del potere da parte della Soprintendenza ha il solo effetto di anticipare l’espressione di una valutazione pur sempre indispensabile e propedeutica all’esecuzione dell’intervento di cui si tratta.

Detta acquisizione preventiva può, altresì, essere iscritta alla richiesta di un apporto collaborativo da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo e, ciò, fermo restando il rispetto dei principi di ripartizione delle competenze nell’emanazione dell’atto definitivo.

1.8 Va, altresì, considerato che un tale modo di operare ha l’effetto di incidere su un piano di economia dei procedimenti, consentendo di non approvare, ai fini edilizi, progetti che non avrebbero alcuna possibilità di superare la prova di conformità paesistica".

Segnaliamo, peraltro,  i precedenti opposti orientamenti espressi sempre del medesimo TAR. 

Sentenza TAR Veneto n. 03285/2010, punto 6:  "Con il settimo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’illegittimità della delibera del Consiglio per violazione dell’art. 16, comma 3, della legge n. 1150/1942 muovendo dall’assunto che il P.U.A. impugnato, nonostante interessi un’area vincolata, non è stato sottoposto all’esame della Soprintendenza competente prima della sua adozione e approvazione.

E, in particolare, dal parere del responsabile dell’Ufficio Pianificazione emergerebbe l’esistenza di una striscia di bosco in prossimità della linea ferroviaria e di un corso d’acqua che interessa una modesta porzione del lato sud est del lotto.

La censura è infondata.

Ai sensi dell’art. 16, comma 3, della legge n. 1150/1942 “I piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico, e alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, sono preventivamente sottoposti alla competente Soprintendenza ovvero al Ministero della pubblica istruzione quando sono approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici.”.

Orbene, il procedimento di adozione e di approvazione dei P.U.A. risulta integralmente disciplinato dalla L.R. n. 11/2004 e conseguentemente non vi è alcuna lacuna nella relativa disciplina tale da richiedere l’applicazione della normativa nazionale.

Del resto tale principio risulta affermato anche nella sentenza del T.A.R. Lombardia – Milano n. 6541/2007, richiamata dai ricorrenti a fondamento della tesi della violazione del citato art. 16, comma 3, della legge n. 1150/1942, laddove la detta pronuncia giustifica l’applicabilità, alla fattispecie sottoposta al suo esame, della soprarichiamata disposizione nazionale relativa alla mancata inclusione della stessa nell'art. 103 della L.R. Lombardia n. 12/2005 (rubricato "disapplicazione di norme statali") tra le normative da disapplicare a seguito della entrata in vigore della legge regionale".

 Sentenza TAR Veneto n. 2223/2006: "Se, invero, può convenirsi con il Comune resistente sulla circostanza che, quanto meno relativamente a determinati aspetti (concernenti il complessivo assetto territoriale risultante dal piano) sarebbe opportuno che l'autorizzazione ambientale accompagnasse anche il piano attuativo, de iure condito deve, tuttavia, ritenersi che la predetta autorizzazione vada rilasciata preventivamente alla concreta realizzazione delle opere, e non già del piano attuativo.

Militano, invero, a favore di tale tesi almeno due considerazioni, una di ordine formale e una di ordine sostanziale.

Di ordine formale è il dato letterale dell’art. 6, u.c. della LR n. 63/94 che, riprendendo e specificando l’inciso contenuto nell’art. 7, II comma della legge n. 1497/39 (“i progetti dei lavori”) – all’epoca dei fatti era vigente l’art. 151, II comma del DLgs n. 490/99 che, con analoga formula, individuava “i progetti delle opere di qualunque genere” -, chiarisce, ove ce ne fosse bisogno (nella comune accezione e nel comune modo di intendere “i progetti dei lavori/delle opere” non possono che riferirsi ai lavori e alle opere da realizzare immediatamente, e non a quelli contenuti in uno strumento programmatorio, che in tal caso sarebbe stato espressamente richiamato), che qualora l’autorizzazione ambientale non sia stata tempestivamente annullata dal Ministero, il Sindaco rilascia la concessione/autorizzazione edilizia: ciò significa, dunque, che l’autorizzazione ambientale precede immediatamente l’autorizzazione a costruire.

Di ordine sostanziale è la considerazione che, una volta assoggettato il piano di lottizzazione ad autorizzazione ambientale ed ottenuta la concessione edilizia per la realizzazione di una determinata costruzione ivi specificamente prevista, in caso di richiesta di variante della costruzione stessa dovrebbe ragionevolmente sottoporsi l’intero piano ad una nuova autorizzazione: atteso, infatti, che non pare esservi titolo per assoggettare ad autorizzazione ambientale la concessione edilizia in variante (stante il mancato assoggettamento di quella originaria e, comunque, la mancata visibilità dell’intero contesto territoriale), si dovrebbe sottoporre ex novo a detta autorizzazione l’intero piano attuativo, al fine di verificare se questo, così modificato, è ancora compatibile con il paesaggio.

Né la diversa tesi del necessario assoggettamento della lottizzazione ad autorizzazione ambientale trova conforto nella giurisprudenza richiamata dal resistente Comune: la sentenza TAR Veneto 16.4.2003 n. 3201- da cui comunque si dissente –, invero, ha fondato le proprie argomentazioni richiamando decisioni del Consiglio di Stato che appaiono inconferenti a risolvere la presente questione. Il parere CdS, II, 2.4.2003 n. 1536/00, infatti, sostiene (tra l’altro) che l’art. 151 impone l’autorizzazione paesistica per tutti gli interventi edilizi - ferma l’esclusione di quelli tassativamente indicati nel successivo art. 152 - in zone vincolate, non soltanto per quelli soggetti a concessione (nella specie trattatavasi di realizzazione di servizi igienici che, essendo pertinenziali alla costruzione principale, erano sottoposti a mera autorizzazione); la sentenza CdS, VI, 14.1.2002 n. 173, invece, afferma che nella Regione Puglia il piano di lottizzazione è assoggettato ad autorizzazione ambientale giusta il puntuale disposto contenuto nell’art. 21, V comma della LR n. 56/80 (ex adverso, dunque, può sostenersi che, mancando nel Veneto una norma altrettanto puntuale – la puntualità, semmai, è di segno opposto -, il PdL è escluso da autorizzazione); la sentenza CdS, VI, 2.3.2000 n. 1095 riguarda il diverso parere previsto dall’art. 28, II comma della legge n. 1150/42; la sentenza CdS, V, 10.2.2000 n. 726, infine, conferma l’incontestata circostanza che, dal momento che l’interesse paesaggistico è funzionalmente differenziato da quello urbanistico, nulla osta che il Comune che abbia approvato un progetto edilizio sotto il profilo urbanistico lo respinga, poi, sotto il profilo ambientale".

Geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto 587 del 2014

Convegno sulla vas‏ dell’Ordine degli Architetti il 23 maggio a Caorle

13 Mag 2014
13 Maggio 2014

Il convegno si prefigge l'obiettivo di spiegare questa complessa e articolata materia affinché venga compresa e valutata l'importanza di un corretto approccio culturale a questi temi. La finalità è quella di spiegare l'importanza di un attento studio ai temi ambientali in relazione  alle diverse e complesse trasformazioni del territorio, cercando di diffondere il principio secondo il quale non si tratta di non un mero obbligo normativo - idea ahimè molto diffusa! - , ma un'occasione indispensabile  per costruire uno sviluppo del territorio sostenibile e per avviare un processo virtuoso di trasformazione dell'ambiente in cui viviamo . Ci aiuteranno, in questo compito, il prof. avv. Paolo Piva che inquadrerà il tema nell'ambito del diritto europeo e nazionale, la prof. Maria Rosa Vittadini che ci spiegherà cos'è effettivamente la Vas dal punto di vista dei contenuti e, infine, l'avv. Paola Noemi Furlanis che, in qualità di dirigente della Direzione Vas-Vinca regionale, ci illustrerà la specifica normativa regionale sull'argomento.
Si tratta di iniziativa organizzata dall' Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Venezia. Agli architetti partecipanti saranno riconosciuti i relativi crediti formativi. Per iscrizioni e informazioni potete contattare l' Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Venezia - Isola del Tronchetto, 14 - 30135 Venezia - Tel. 041.52.03.466 / 041.52.03.818 - Fax 041.52.40.377 - Indirizzo di posta elettronica certificata (PEC): oappc.venezia@archiworldpec.it -

ProgrammaDefinitivo

Studio del Notariato sul trattamento fiscale dopo il D.Lgs. n. 23/2011 della cessione “gratuita” di aree e di opere di urbanizzazione al Comune

12 Mag 2014
12 Maggio 2014

Segnaliamo lo studio n. 248-2014/T del Notariato, relativo alla cessione "gratuita" di aree e di opere di urbanizzazione al Comune (il trattamento fiscale dopo il D.Lgs. n. 23/2011).

Secondo lo studio restano le agevolazioni (imposta di registro fissa ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale) per gli atti di cessione "gratuita" di aree e di opere di urbanizzazione effettuati a favore del Comune, a scomputo dei contributi di urbanizzazione o in esecuzione di convenzioni di lottizzazione, anche se l'art.10, comma 4, D. Lgs. n.23/2011 (in vigore dal 1/1/2014) abbia disposto che "sono soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie" in relazione agli atti a titolo oneroso aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili.

Studio n. 248-2014 - Cessione gratuita di aree (e di opere di urbanizzazione) al Comune - trattamento fiscale dopo il D.Lgs. n. 23-2011

http://www.notariato.it/it/primo-piano/studi-materiali/studi-materiali/diritto-tributario-in-genere/248-14-t.pdf

         

MEPA: quando l’amministrazione è obbligata?

12 Mag 2014
12 Maggio 2014

Confindustria Vicenza organizza un incontro sul MEPA.

L’incontro, fissato per martedì 27 maggio 2014 dalle ore 9 (registrazione partecipanti dalle 8.45) alle ore 13, presso Palazzo Bonin Longare (Corso Palladio 13 – Vicenza), si propone di illustrare alle amministrazioni pubbliche il modo più efficiente per ricercare i prodotti  all’interno del catalogo MEPA, valutando l’effettività dell’obbligo di acquisto sul mercato stesso in luogo dei sistemi tradizionali.

Pubblichiamo il programma e la scheda di adesione

MEPA quando l'amministrazione è obbligata_maggio 2014

Anche per gli enti locali c’è l’obbligo di pagare la tassa di concessione governativa sugli abbonamenti telefonici

12 Mag 2014
12 Maggio 2014

Le SS. UU. della Cassazione, nella sentenza del 02 maggio 2014 n. 9560 affermano che la tassa di concessione governativa sui telefonini non è abrogata ed è dovuta anche dagli enti locali, ai quali non si estende l’esenzione spettante all’Amministrazione dello Stato.

Ecco il passo rilevante delle sentenza: “11. Tanto stabilito, occorre verificare se la tassa in questione pur essendo dovuta, lo sia anche da parte degli enti locali o a quest’ultimi possa intendersi estesa l’esenzione spettante all’Amministrazione dello Stato.

11.1. Alla domanda se agli enti locali spetti l’esenzione dalle tasse di concessione governativa, tra le quali quella qui in esame si annovera, si deve rispondere negativamente in quanto, innanzi tutto, la predetta esenzione non è specificamente prevista dal d.P.R. n. 641 del 1972. In tale decreto l’art. 13-bis, comma 1, nel disciplinare le esenzioni prevede esclusivamente che: “Gli atti e i provvedimenti concernenti le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e le società e associazioni sportive dilettantistiche sono esenti dalle tasse sulle concessioni governative”. E in proposito questa Corte ha stabilito che: “In tema di tassa sulle concessioni governative, le esenzioni previste dall’art. 13 bis, comma primo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, in favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e delle società ed associazioni sportive dilettantistiche non si applicano agli enti pubblici, territoriali e non territoriali, atteso l’espresso disposto dell’art. 1, comma 10, del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, e l’insuscettibilità di applicazione analogica delle norme di esenzione ed agevolazione fiscale” (Cass. n. 8825 del 2012).

11.2. Si tratta dell’applicazione di un principio generale secondo il quale le norme che prevedono trattamenti agevolati in materia tributaria costituiscono una deroga alla regola generale e sono perciò di stretta interpretazione. Ciò, vale a dire l’inammissibilità dell’analogia come strumento di interpretazione delle norme agevolative in materia fiscale, impedisce di dare rilevanza al fatto che l’art. 74 (già 88), comma 1, del TUIR stabilisca l’esenzione dall’IRES per “gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo, le comunità montane, le province e le regioni”.

11.3. Inoltre, e si tratta di un elemento non irrilevante, l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, distingue i Comuni dalle amministrazioni dello Stato, pur attribuendo agli uni e alle altre la natura di amministrazioni pubbliche, impedendone una generalizzata e generalizzabile assimilazione, la quale resta, quindi, soggetta ad una specifica scelta legislativa, nel caso non adottata. Sicché deve escludersi che i Comuni non siano assoggettati alla tassa di concessione governativa in questione”. 

dott. Matteo Acquasaliente

CASS. civ. 2014 n. 9560

In materia di accesso agli atti le ragioni di carattere difensivo prevalgono sulla privacy

12 Mag 2014
12 Maggio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza dl 29 aprile 2014 n. 553, conferma che, in materia di accesso ai documenti amministrativi, le ragioni di carattere “difensivo” prevalgono su quelle connesse alla privacy: “In proposito la questione relativa al diritto d'accesso agli atti ispettivi, contenenti possibili dati riservati o quantomeno sensibili, nonché sulla questione, strettamente connessa alla precedente, relativa al corretto bilanciamento fra i contrapposti diritti costituzionalmente garantiti afferenti alla tutela di interessi giuridici dei soggetti coinvolti ed alla riservatezza delle dichiarazioni rese in sede ispettiva, è stata definita dalla giurisprudenza che ha ritenuto prioritarie le necessità difensive degli istanti, tutelate dall'art. 24 della Costituzione e dal disposto dell'art. 24, comma 7 della L. n. 241 del 1990, nella parte in cui dispone che l'accesso sia garantito "comunque" a chi debba acquisire determinati atti per la cura dei propri interessi giuridicamente protetti (Cons. di Stato, Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1684; 12 dicembre 2012, n. 6380; 9 maggio 2011, n. 2747; 16 dicembre 2010, nn. 9102 e 9103)”.  

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 553 del 2014

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