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Al convegno Venetoius del 6 dicembre interverranno l’assessore Marino Zorzato e l’arch. Vincenzo Fabris

04 Dic 2013
4 Dicembre 2013

Si informa che al convegno organizzato da Venetoius per il 6 dicembre 2013 a Torri di Quartesolo sul terzo piano casa interverranno e prenderanno la parola anche l'assessore al Territorio e Vicepresidente della Regione Veneto ing. Marino Zorzato e il dirigente dell'urbanistica del Veneto arch. Vincenzo Fabris.

Oneri specifici ed appalto di servizi

04 Dic 2013
4 Dicembre 2013

Anche il T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, con la sentenza del 22 novembre 2013 n. 1254, si occupa dell’annosa questione degli oneri specifici. In particolare, con riferimento alla categoria degli appalti di servizi di cui allegato II del D. Lgs. 16372006, afferma che: “1.1. Osserva il collegio che la censura non può essere condivisa.

1.2. L’appalto di cui si discute rientra, per concorde ammissione delle parti, tra quelli di cui all’allegato II B del Codice dei Contratti, ed in particolare nella categoria n. 23: “Servizi di investigazione e di sicurezza, eccettuati i servizi con furgoni blindati”.

1.3. E’ noto che gli appalti di cui all’allegato II B del Codice dei Contratti sono esclusi dall’applicazione delle norme di dettaglio dello stesso Codice, fatta eccezione per quelle specificamente richiamate dall’art. 20 ma non conferenti al caso in esame (art. 68, specifiche tecniche; art. 65, avviso sui risultati della procedura di affidamento; art. 225, avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Gli stessi appalti, secondo la previsione dell’art. 27 del Codice, sono assoggettati soltanto al rispetto del principi generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità.

1.4. Le norme del Codice dei Contratti Pubblici che prevedono l’obbligo per le stazioni appaltanti di specificare i c.d. “oneri da interferenza” nei bandi di gara e l’obbligo per i concorrenti di specificare i c.d. “oneri da rischio specifico” nelle proprie offerte economiche sono sanciti dall’art. 86 commi 3-bis e 3-ter e dall’art. 87 comma 4 del Codice dei Contratti.

Tali norme, per la loro stretta specificità di dettaglio, sono inidonee ad integrare principi generali, salvo che non si voglia ravvisarne uno in ogni frammento del reticolato normativo del Codice, secondo un ordine di idee che sarebbe, però, incompatibile con la ben diversa logica selettiva sottesa ai suoi articoli 20 e 27.

Non integrando principi generali, le predette norme non sono applicabili - neppure in via di eterointegrazione degli atti di gara - alle procedure che abbiano ad oggetto, come nel caso di specie, servizi di cui all’allegato II B, se non nell’ipotesi in cui la stazione appaltante si sia auto-vincolata ad osservarle richiamandole espressamente nella legge di gara.

1.5. Non è questo il caso, però.

Nel caso di specie, infatti, la legge di gara (art. 1.26 del bando) richiamava esclusivamente l’art. 86 comma 1, in relazione ai casi in cui si sarebbe proceduto alla verifica di anomalia, e l’art. 87 comma 2, in relazione agli elementi che avrebbero potuto costituire oggetto di giustificazione in sede di verifica di congruità.

La legge di gara non richiamava, invece, né l’art. 86 commi 3-bis e 3-ter, né l’art. 87 comma 4, ossia gli unici articoli del Codice dei Contratti conferenti al caso di specie.

Ne consegue che nella gara in esame non era sancito l’obbligo per le imprese concorrenti di indicare già in sede di offerta economica l’importo degli oneri della sicurezza.

Ne consegue ulteriormente che la mancata indicazione degli oneri della sicurezza nell’offerta economica non avrebbe potuto comportare l’esclusione del concorrente, in base al principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 46 comma 1-bis del Codice dei Contratti.

1.6. Tale conclusione, peraltro, non comporta che nelle gare aventi ad oggetto servizi esclusi dall’applicazione del Codice dei Contratti i concorrenti, in mancanza di una previsione specifica della legge di gara, siano esentati dal dovere di indicare gli oneri della sicurezza e dall’osservare le norme in materia di sicurezza sul lavoro: comporta soltanto che, ove la stazione appaltante non si sia auto-vincolata nella legge di gara ad osservare la disciplina di dettaglio dettata dagli art. 86 commi 3-bis e 3-ter e 87 comma 4 del Codice dei Contratti, il concorrente che non abbia indicato gli oneri della sicurezza nella propria offerta, dovrà essere chiamato a specificarli successivamente nell’ambito della fase, eventuale, di verifica della congruità dell’offerta.

In questi termini la Sezione si è già pronunciata con sentenza n. 1376 del 21 dicembre 2012, alle cui più ampie considerazioni si rinvia e dalle quali non v’è motivo per discostarsi (in senso analogo, anche Consiglio di Stato, sez. V, 6 agosto 2012, n. 4510).

1.7. Ai predetti rilievi va aggiunto che, nella fattispecie in esame, neppure il modulo di offerta economica allegato alla lettera di invito contemplava uno spazio per l’indicazione degli oneri di sicurezza, con ciò rafforzando il legittimo affidamento dei concorrenti sulla correttezza di una formulazione dell’offerta economica che non contemplasse anche l’indicazione degli oneri della sicurezza.

Anche su questo punto la Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi, oltre che nel precedente già citato, con sentenza n. 5 del 9 gennaio 2012.

In senso conforme: Consiglio di Stato, sez. V, 6 agosto 2012 n. 4510, in cui si richiama il principio di prevalenza, in tali fattispecie, del favor partecipationis, e, soprattutto, la recentissima pronuncia della stessa Sezione del Consiglio di Stato 24 ottobre 2013 n. 5155, in cui - con affermazione che travalica il ristretto ambito degli appalti esclusi di cui all’allegato II B per estendersi, invece, a qualsivoglia procedura di gara – si afferma che “l’Amministrazione che ricorre a moduli per la stipula di contratti pubblici, allorché vi siano contrasti tra prescrizioni predisposte per la gara, è tenuta al rispetto dei principi di buona fede e affidamento delle imprese nella lex specialis al fine di negare che ciò possa risolversi in un danno per le stesse, attraverso la loro espulsione dalla procedura, ed all’adempimento dell’obbligo di comunicare le cause di invalidità di cui abbia conoscenza, la cui violazione non può essere addossata alla parte privata”.

Se tale principio vale nel caso in cui il modulo di offerta sia difforme dalla legge di gara, come nel caso esaminato dalla sentenza da ultimo citata, a maggior ragione esso deve valere nel caso in cui esso sia invece conforme alla lex specialis, come nel caso in esame (in termini analoghi, e con specifico riferimento all’indicazione degli oneri aziendali per la sicurezza, cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 14 gennaio 2013 n. 145).

1.8. Resta a questo punto da approfondire, secondo l’invito contenuto nell’ordinanza cautelare del giudice di appello, se a diverse conclusioni non debba pervenirsi, sia in applicazione dell’art. 26 comma 6 del D. Lgs. 81/2006 (che, essendo norma di carattere generale applicabile a tutte le gare d’appalto, potrebbe ritenersi applicabile anche ai servizi esclusi dal Codice dei Contratti), sia alla luce del chiarimento reso dalla stazione appaltante in corso di gara.

1.9. Ritiene il collegio che i due profili appena evidenziati non conducano a conclusioni diverse da quelle già rassegnate.

1.10. Quanto al primo di essi, osserva il collegio che nelle procedure aventi ad oggetto gli appalti di cui all’allegato II B, l’obbligo di specificare gli oneri della sicurezza nella offerta economica a pena di esclusione dalla gara non può farsi discendere automaticamente dall’art. 26 comma 6 del D. L.vo 81/08, il quale si limita a prescrivere che gli enti aggiudicatori, “nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte” valutino l’adeguatezza del valore economico al costo del lavoro e della sicurezza: é ben vero che quest’ultimo deve essere “indicato e risultare congruo rispetto all’entità ed alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture”, ma la norma non prescrive affatto che questa indicazione debba essere effettuata, dai partecipanti alla gara, a pena di esclusione nella offerta economica (TAR Piemonte, sez. I, 21 dicembre 2012 n. 1376).

Naturalmente, va ribadito che tale conclusione non equivale ad esentare le imprese concorrenti dall’onere di indicare in gara gli oneri da rischio specifico, ma solo a rimandare l’esposizione di tali oneri nella sede, eventuale, del controllo di anomalia dell’offerta, sede nella quale il concorrente dovrà giustificare la sostenibilità e l’attendibilità della propria offerta economica anche alla luce dell’incidenza sul prezzo offerto degli oneri per la sicurezza, che in tale occasione - ma solo in questa - dovranno essere specificamente indicati.

1.11. Per ciò che attiene al secondo profilo, si osserva quanto segue.

Il chiarimento era del seguente tenore: “ATTENZIONE: OFFERTA ECONOMICA Si ricorda alle ditte che nello schema di offerta dovranno essere evidenziati gli oneri per la sicurezza”.

Esso introduceva un adempimento non previsto dalla legge di gara, e dunque, dovendosi escludere che attraverso un chiarimento la stazione appaltante possa integrare o modificare la legge di gara, è gioco forza interpretare l’apparente contrasto tra le due disposizioni alla luce del principio del favor partecipationis.

D’altra parte, il chiarimento non imponeva l’osservanza del predetto obbligo “a pena di esclusione”, e pertanto non è possibile far discendere dall’inosservanza della prescrizione alcuna conseguenza espulsiva in danno del concorrente, tanto più nel contesto di una procedura in cui, non solo la lexspecialis, ma neppure il modulo di offerta economica allegato alla lettera di invito prevedevano tale indicazione.

Ancora di recente, alcune condivisibili decisioni del giudice amministrativo hanno evidenziato che “nell’ipotesi in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine all’onere d’indicare - a pena di esclusione - i costi di sicurezza aziendale, l’esclusione della ditta che abbia omesso tale indicazione verrebbe a colpire (in contrasto con i principi di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e del favor partecipationis) i concorrenti che hanno presentato un’offerta perfettamente conforme alle prescrizioni stabilite dal bando e dall’allegato modulo d’offerta; legittimamente, pertanto, la stazione appaltante, in osservanza del suddetto principio del favor partecipationis, ammette a partecipare alla procedura di evidenza pubblica la medesima ditta (TAR Bari, sez. II, 22 ottobre 2013 n. 1429).

1.12. La Sezione è consapevole che il tema degli oneri della sicurezza nella gare d’appalto è tuttora oggetto di orientamenti non univoci nella giurisprudenza amministrativa, sia di primo che di secondo grado (e talora anche all’interno della stessa Sezione del giudice d’appello), con effetti che possono talora produrre disorientamento negli operatori e disfunzionalità nel sistema.

Tuttavia, al di là del fatto che, ad un esame più approfondito, talune apparenti divergenze giurisprudenziali sembrano trovare fondamento e giustificazione nelle peculiarità delle singole fattispecie esaminate nelle varie decisioni - e in attesa, in ogni caso, di un opportuno intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria - vi è da osservare che l’orientamento più recente del giudice di appello, che il collegio reputa più ragionevole e decisamente più convincente, è quello efficacemente riassunto da Consiglio di Stato, sez, III, 10 luglio 2013, n. 3706, il quale, anche in riferimento ad appalti di servizi di cui all’allegato II A del Codice dei Contratti, sembra ormai orientato ad escludere che la mancata indicazione degli oneri di sicurezza nell’offerta economica possa comportare ex se l’esclusione del concorrente, potendo l’esclusione conseguire “soltanto all’esito – s’intende, ove negativo, di una verifica più ampia sulla serietà e sulla sostenibilità dell’offerta economica del suo insieme” (in senso analogo, ancora più di recente, Cons. Stato, sez. III, 18 ottobre 2013, n. 5070)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Piemonte n. 1254 del 2013

Costo del lavoro ed appalti

04 Dic 2013
4 Dicembre 2013

Nella medesima sentenza n. 1254/2013, il T.A.R. Piemonte affronta anche la questione relativa al costo del lavoro indicato nell’offerta rispetto a quello risultante dalle tabelle ministeriali di riferimento e che, ex art. 86 D. Lgs. 1563/2006, costituisce un parametro per valutare la congruità dell’offerta: “Al riguardo, giova preliminarmente richiamare l'indirizzo giurisprudenziale - che questa Sezione condivide - secondo cui i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali non costituiscono un limite inderogabile, ma semplicemente un parametro di valutazione della congruità dell'offerta sotto tale profilo, ai sensi dell'art. 86 del decreto legislativo 12 aprile 2006, nr. 163: di modo che l'eventuale scostamento da tali parametri delle relative voci di costo non legittima ex se un giudizio di anomalia, potendo essere accettato quando risulti puntualmente giustificato.

Del pari consolidato è l'indirizzo secondo cui la verifica di anomalia dell'offerta deve avere a oggetto la congruità dell'offerta economica non con riferimento a ciascuna singola voce di essa, ma nella sua interezza e globalità, servendo le giustificazioni dell'impresa, e il contraddittorio che su di esse s'instaura ai sensi del citato art. 86, ad accertare l'effettiva sostenibilità e affidabilità dell'offerta nel suo complesso”.

 Nella stessa sentenza inoltre, per quanto riguarda il requisito della competenza tecnica dei commissari, si afferma che: “Per quanto riguarda il requisito relativo alla competenza tecnica dei singoli commissari, è principio consolidato in giurisprudenza quello per cui il requisito richiesto dall’art. 84 comma 2 del Codice dei Contratti (essere “esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”) debba essere valutato compatibilmente con la struttura degli enti appaltanti, senza esigere, necessariamente, che l’esperienza professionale copra tutti gli aspetti oggetto di gara (Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2012, n. 4836; Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2012, n. 3124; TAR Piemonte, sez. I, n.88/2010)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Piemonte n. 1254 del 2013

Il TAR Veneto fulmina ancora la Soprintendenza che vieta i pannelli solari

04 Dic 2013
4 Dicembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1294 del 2013 annulla un altro parere della Soprintendenza che vieta l'installazione di pannelli solari.

Scrive il TAR: "Ritenuto che la fattispecie in esame sia riconducibile ad analoghe controversie, nelle quali è stato ugualmente censurato il parere sfavorevole espresso dalla Soprintendenza relativamente all’installazione di impianti fotovoltaici, parere espresso con termini e motivazione del tutto identici a quelli qui contestati (“in quanto gli elementi da installare risulterebbero, in ordine alla posizione, alle dimensioni, alle forme, ai cromatismi, al trattamento superficiale riflettente, estremamente stridenti rispetto all’ambito nel quale si collocano e tali da alterare in modo negativo la visione del contesto paesaggistico circostante..”); che, conformemente all’orientamento già manifestato a tale riguardo, il ricorso è meritevole di accoglimento, in quanto la prescrizione contestata risulta viziata da eccesso di potere e difetto di motivazione; che, invero, detta valutazione, pur espressione di un potere di discrezionalità tecnica, risulta del tutto apodittica e generica, in quanto prescinde dall’esprimere un giudizio riferito, in concreto, all’intervento di cui si tratta; che, infatti, nel provvedimento, non solo non vi è nessun riferimento alla metratura o al posizionamento dell’impianto, ma ancora risulta del tutto assente l’individuazione e la menzione di un elemento del paesaggio e dell’ambiente circostante che, in quanto tale, risulterebbe deturpato, o quanto meno pregiudicato, dalla realizzazione dell’impianto di cui si controverte; che quindi non è ammissibile una valutazione astratta e generica non supportata da un’effettiva dimostrazione dell’incompatibilità paesaggistica dell’impianto; che quindi, come già osservato dal Tribunale, cfr. sentenza n. 1104/2013, “Analogamente si è sostenuto che “attualmente la presenza di pannelli sulla sommità degli edifici, pur innovando la tipologia e la morfologia della copertura, non deve più essere percepita soltanto come un fattore di disturbo visivo, ma anche come un'evoluzione dello stile costruttivo accettata dall'ordinamento e dalla sensibilità collettiva). Per negare l'installazione di un impianto fotovoltaico occorre quindi dare prova dell'assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio, cosa che non coincide con la semplice visibilità dei pannelli da punti di osservazione pubblici ( in questo senso anche T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 04-10-2010, n. 3726 e sempre TAR Brescia Sez. I 15 aprile 2009 n. 859)”; per le considerazioni così svolte, il ricorso va accolto e per l’effetto va annullata la condizione imposta dalla Soprintendenza di Verona all’autorizzazione paesaggistica e contenente il divieto alla realizzazione dell’impianto fotovoltaico e/o solare".

sentenza TAR Veneto 1294 del 2013

Il testo del disegno di legge in discussione in questi giorni in parlamento su città metropolitane, province, unione e fusione di comuni

04 Dic 2013
4 Dicembre 2013

Pubblichiamo il testo finale approvato dalla Commissione del disegno di legge in  materia di città metropolitane, province, unione e fusione di comuni, in discussione in questi giorni in parlamento.

DDL_città metropolitane

Il piano campagna coincide con il livello naturale del terreno privo di sistemazioni artificiali

03 Dic 2013
3 Dicembre 2013

 Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 28 novembre 2013 n. 5700, torna ad occuparsi del piano di campagna chiarendo che la c.d quota zero corrisponde al livello del terreno privo di ogni intervento umano: “Orbene, il contrasto inter partes concerne il significato da attribuire all’espressione “dal livello del sito circostante comunque sistemato”: avendo il primo giudice ritenuto che con essa si faccia riferimento a quella che risulti essere la pregressa condizione “naturale” del piano di campagna dal quale muove la misurazione dell’altezza, con rigorosa esclusione di qualsivoglia “sistemazione” artificiale (anteriore o contestuale all’intervento da assentire), mentre l’odierna appellante insiste nell’affermare che l’aggettivo “sistemato” non potrebbe non essere inteso quale indicativo dell’intento di ricomprendere anche la suddette “sistemazioni” artificiali.

Nel caso di specie, premesso che l’edificio oggetto del permesso di costruire insiste su un suolo caratterizzato da plurimi dislivelli e terrazzamenti, il T.A.R. ha rilevato come inammissibilmente l’altezza di alcuni dei box di cui al progetto originariamente assentito era stata calcolata a partire dalla sommità di un “terrapieno artificiale” di altezza superiore di circa mt- 1,5-2 rispetto alla strada preesistente, del quale nello stesso progetto era prevista la realizzazione.

La Sezione, come già anticipato in fase cautelare (cfr. ordinanza nr. 2851 del 2010), condivide appieno tale interpretazione, dal momento che i limiti alle altezze degli edifici previsti dagli strumenti urbanistici non possono variare a seconda della “sistemazione” che il richiedente intende dare al piano di campagna circostante con lo stesso progetto su cui chiede al Comune l’assenso, ma devono essere ancorati a dati certi e oggettivi ricavabili dalla situazione dei luoghi anteriore (cfr. Cons. St., sez. IV, 24 aprile 2009, nr. 2579)”.

 Di conseguenza: “la disposizione dell’art. 7 delle Nta non esonera, ma impone che le misurazioni avvengano da una quota “reale” e non artificialmente creata; che tale non era il ballatoio utilizzato dall’appellata quale quota 0 di partenza, e ciò sarebbe sufficiente a respingere il mezzo di primo grado, essendosi accertato che quella era una quota artificiale; che muovendo dalla quota “0” erano stati largamente superati i limiti di altezza”.

 Nella medesima sentenza il Collegio sembra affermare che, laddove le N.T.A. comunali facciano riferimento al concetto di “strade” per misurare il piano campagna, tale espressione deve ricomprendere non solamente le strade pubbliche, ma anche quelle private.

Nello specifico si legge che: “Invero la tesi secondo cui il verificatore era incorso in un errore, allorché aveva considerato quale quota di riferimento per la misurazione delle altezze, la stradina privata edificata dalla Segeco medesima e posta a sud del corpo di fabbrica D appare indimostrata e non condivisibile, posto che, da un canto, il postulato dal quale essa muove (l’art. 7 delle Nta prevedeva invece che il calcolo delle altezze facesse riferimento a strade pubbliche e non anche private) non è rinvenibile e, per altro verso, la circostanza che della privata stradina fosse priva di marciapiede, non rileva in quanto la richiamata norma di cui all’art. 7 prevede giustappunto che, qualora il marciapiedi manchi, il calcolo della quota debba partire dal livello della strada o piazza”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 5700 del 2013

Il presupposto per applicare l’art. 34 del DPR 380 è che sia oggettivamente impossibile demolire la parte abusiva

03 Dic 2013
3 Dicembre 2013

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 1268 del 2013.

Si legge nella sentenza: "è fondato, in particolare, il primo motivo e, ciò, nella parte in cui si rileva la violazione dell’art. 34 sopra citato, risultando dirimente sul punto l’accertamento della circostanza in base alla quale si rileva come si sia in presenza di un intero fabbricato (quello preesistente) che è del tutto autonomo e distinto dalla nuova costruzione, in proprietà della ricorrente e realizzata sulla base dell’autorizzazione del 1961 sopra ricordata.
6.1 Si consideri, ancora, come l’Amministrazione non abbia dimostrato la pregiudizialità della demolizione rispetto alla parte del fabbricato autorizzato, presupposto quest’ultimo anch’esso indispensabile al fine di applicare la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione. In considerazione di quanto sopra precisato è possibile applicare quell’orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda Cons. Stato Sez. VI, 09-04-2013, n. 1912) che ha sancito che “La previsione normativa di cui all'art. 34, comma secondo, D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) deve essere interpretata - in conformità alla natura di illecito posto in essere ed alla sua valenza derogatoria rispetto alla regola generale posta dal primo comma - nel senso che si applica la sanzione pecuniaria soltanto nel caso in cui sia oggettivamente impossibile procedere alla demolizione. Deve, pertanto, risultare in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso. Né in tale contesto, pertanto, possono assumere rilievo aspetti relativi alla eccessiva onerosità dell'intervento”.
6.2 Un’analoga pronuncia (Cons. Stato Sez. VI, 09-04-2013, n. 1912) ha sancito che “In materia di abusivismo edilizio l'art. 34 d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. Edilizia) deve essere interpretata nel senso che si applica la sanzione pecuniaria soltanto nel caso in cui sia "oggettivamente impossibile" procedere alla demolizione del manufatto abusivo. Deve, pertanto, risultare in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso (Riforma della sentenza del Tar Emilia Romagna, sez. I, 28 novembre 2012, n. 733)”. Ne consegue come, in applicazione dei principi sopra richiamati l’Amministrazione comunale abbia applicato i principi di cui all’art. 34 citato in una fattispecie del tutto esorbitante e differente rispetto a quella disciplinata dalla stessa disposizione".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1268 del 2013

Quando il Comune è tenuto a motivare una ordinanza di demolizione di opere abusive

03 Dic 2013
3 Dicembre 2013

Il TAR Veneto nella sentenza n. 1268 del 2013 ricorda che una ordinanza di demolzione di opere abusive di regola non necessita di motivazione sul pubblico interesse, salvo casi particolari.

Quali?: "necessario premettere come nel corso del procedimento, a fronte delle osservazioni svolte, il legale del Comune aveva riconosciuto che non vi fossero elementi certi per l’accertamento dell’abuso edilizio rilevando come “in ogni caso non vi sarebbe quella particolare motivazione atta a sorreggere la sanzione dell’abuso ad una così lunga distanza temporale dalla sua commissione”. Il provvedimento ora impugnato concludeva, tuttavia, archiviando il procedimento per la contestazione dell’abuso in precedenza avviato e ordinando il pagamento della sanzione pecuniaria sopra ricordata.
8.1 Nel corso del giudizio è stato possibile accertare che l’abuso contestato nel provvedimento impugnato (omessa demolizione in ottemperanza alla prescrizione contenuta nell’Autorizzazione edilizia del 05/10/1961) doveva farsi risalire a più di 50 anni. Sempre in corso di causa si è potuto rilevare la legittimità dell’edificio più risalente, in quanto realizzato prima che l’Amministrazione comunale si dotasse del proprio primo piano di fabbricazione risalente al 1962 e che, ancora, l’abuso contestato doveva ricondursi alla sola violazione dell’autorizzazione sopra citata.
8.2 Ne consegue che proprio in considerazione della complessità della fattispecie, dei dubbi della stessa Amministrazione contenuti nel provvedimento impugnato, non poteva non individuarsi a carico dello stesso Comune di Cadoneghe l’esistenza di un onere di motivazione più intenso, idoneo ad esplicitare l’esistenza dell’interesse pubblico all’erogazione della sanzione pecuniaria, provvedimento quest’ultimo che, pur non disponendo la demolizione, confermava comunque l’esistenza di un abuso e ordinava il pagamento di una sanzione pur alternativa a quella della demolizione.
8.3 Nulla di tutto ciò è possibile evincere dal provvedimento impugnato. Nessuna ragione, argomentazione di sorta, che permetta di desumere i motivi in relazione ai quali si ritiene necessario perseguire un abuso a così considerevole distanza di tempo.
8.4 Questo Collegio è a conoscenza di quell’orientamento giurisprudenziale diretto ad affermare come l’interesse pubblico alla demolizione non necessiti di una specifica motivazione, rilevando il carattere “dovuto” dei provvedimenti sanzionatori.
8.5 Detto orientamento, tuttavia, deve considerarsi recessivo rispetto alla particolarità della fattispecie in esame, laddove si era accertato come l’abuso fosse da circoscrivere ad un periodo così antecedente nel tempo; laddove l’Amministrazione comunale aveva accertato, seppur implicitamente, la legittimità del manufatto originario. 8.6 Tutto queste circostanze avrebbero dovuto determinare l’Amministrazione nel valutare se sussistessero reali ed effettivi motivi per reprimere l’abuso, ragioni di interesse pubblico che evidentemente non avrebbero potuto essere individuate nell’esigenza di preservare la salubrità dei luoghi, esigenza quest’ultima tutelata dall’emanazione dell’Ordinanza n. 4 del 04/05/2011 diretta all’esecuzione delle opere necessarie alla messa in sicurezza dei luoghi.
8.7 Sul punto è possibile applicare quell’orientamento (T.A.R. Sicilia Catania Sez. I Sent., 06-09-2007, n. 1399) diretto a sancire che “Nel sistema sanzionatorio delineato dall'art. 13 L. 6 agosto 1967, n. 765, la scelta della sanzione (demolizione o sanzione pecuniaria) di volta in volta applicabile è di regola sottratta ad una valutazione del pubblico interesse; tale principio subisce però un'attenuazione: a) nell'ipotesi in cui l'attività privata, anche se formalmente in contrasto con l'art. 13, perché priva dell'autorizzazione, risulta comunque conforme allo strumento di pianificazione territoriale comunale e, b), nell'ipotesi in cui l'inerzia del comune di fronte all'abuso perpetrato si sia protratta per un notevole lasso di tempo: in entrambi questi casi non si può infatti dubitare della prevalenza di principi generali di natura diversa da quelli fissati dall'art. 13, con conseguente obbligo per il sindaco di motivare sul pubblico interesse alla demolizione (Consiglio Stato a. plen., 19 maggio 1983, n. 12)”.

avv. Dario Meneguzzo

Info aggiornate sul convegno Venetoius del 6 dicembre 2013 sul terzo piano casa e sull’urbanistica per il commercio

02 Dic 2013
2 Dicembre 2013

In considerazione dell'interventuta approvazione del terzo piano casa da parte del Consiglio Regionale del Veneto, abbiamo ritenuto opportuno ampliare lo spazio dedicato all'esame del terzo piano casa.

Di conseguenza, nella prima parte del convegno, relativa ai rapporti tra urbanistica e commercio, ci saranno le relazioni dell'avv. Guido Zago e dell'arch. Marisa Fantin e un intervento del prof. Bruno Barel e il resto del convegno sarà tutto dedicato al terzo piano casa.

Il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Vicenza riconosce tre crediti formativi alla partecipazione al convegno.

Locandina convegno 6 dicembre 2013

Il terzo piano casa è stato pubblicato sul BUR ed è già entrato in vigore

02 Dic 2013
2 Dicembre 2013

Il terzo piano casa è stato pubblicato sul BUR n. 103 del 30 novembre 2013, come L.R. n. 32 del 29 novembre 2013 ed è già entrato in vigore.

L. R. Veneto 29 novembre 2013 n. 32

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