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Sul silenzio-assenso in materia di condono edilizio

10 Dic 2013
10 Dicembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1328 del 2013 si occupa del condono edilizio.

Si legge nella sentenza: "Infondato è infatti il primo motivo, in quanto, sebbene nel provvedimento impugnato sia stata richiamata la più recente normativa in materia di condono, legge 724/94, che espressamente ha previsto la declaratoria di improcedibilità della domanda in caso di mancata presentazione dei documenti richiesti a comprova della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per il conseguimento della sanatoria, con conseguente rigetto dell’istanza, i presupposti di incompletezza della documentazione a corredo riscontrati anche con riferimento alla prima domanda, presentata sotto la vigenza della legge 47/85, hanno legittimamente determinato l’amministrazione a ritenere comunque improcedibile o meglio non accoglibile la prima richiesta di sanatoria. Invero, l'art. 39, co. 4°, della legge n. 724/1994, nel disciplinare il procedimento di sanatoria degli abusi edilizi ivi contemplati, ha previsto, peraltro in applicazione di un principio generale di celerità, economicità ed efficienza, che «la mancata presentazione dei documenti previsti per legge entro il termine di tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per carenza di documentazione». E’ altresì vero che le richiamate disposizioni del citato art. 39 della L. n. 724, introdotte dal comma 37, dell'art. 2, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge, cioè dal 1° gennaio 1997. Tuttavia, è stato efficacemente osservato in fattispecie del tutto analoga a quella in esame, che “..la norma, letta in conformità ai principi costituzionali di buon andamento ed ai principi di completezza sostanziale e temporale di cui all’articolo 2 della legge n. 241 del 1990, secondo il quale il procedimento amministrativo deve concludersi con un provvedimento espresso entro un termine certo e predeterminato, non può certamente significare che i procedimenti di condono edilizio regolati dalle legge anteriore, la n. 47/1985, fossero svincolati da ogni regola temporale e che la richiesta di integrazione documentale costituisse un mero invito privo di qualsivoglia effetto acceleratorio e sanzionatorio nei confronti del destinatario colposamente inadempiente” (C.d.S, Sez. IV, 23.7.2009, n. 4671).  E’ stato cosi osservato che “… per costante giurisprudenza il termine di due anni decorrenti dalla presentazione della domanda di condono per la maturazione del silenzio assenso di cui all’articolo 35 della legge n. 47 presuppone la completezza della documentazione da allegare alla domanda (Cons. St., Sez. IV, 7-4-2006, n. 1910)” e che, pertanto, “..una domanda incompleta e che tale rimanga nonostante le diffide al suo completamento lascerebbe inammissibilmente il procedimento di condono sospeso a tempo indeterminato e a insindacabile scelta dell’interessato” (ibidem). Risulta quindi evidente, in quanto espressione di un principio generale di diritto, che nell’ipotesi in cui, in presenza di una domanda di condono edilizio, l’amministrazione formuli una richiesta di integrazione documentale, avendo riscontrato l’insufficienza della  documentazione prodotta ai fini della definizione della richiesta stessa, la mancata, anche solo parziale, produzione documentale determini la chiusura della pratica e costituisca legittimo motivo di diniego della concessione edilizia in sanatoria. Né in alcun modo può essere invocato al riguardo il silenzio assenso, in quanto è la stessa normativa dettata dalla legge 47/85, art. 35, a stabilire che il decorso di 24 mesi dalla presentazione dell’istanza (nel caso di specie al massimo dal conseguimento dell’autorizzazione da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo) può comportare l’accoglimento per silentium della domanda unicamente nel caso in cui l’interessato abbia provveduto al pagamento delle somme debitamente dovute a conguaglio e alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria per l’accatastamento. Orbene, è incontestato che detta ultima  documentazione, inclusa fra quelle necessarie ai fini del condono, non è stata presentata dal ricorrente, non risultando fra gli atti prodotti in giudizio, né essendo stata effettuata alcuna ulteriore produzione. A tale conclusione è lecito pervenire non solo in base al principio generale per cui il prodursi del silenzio-accoglimento, in ipotesi di richiesta di integrazione documentale rimasta inevasa, è escluso in radice nei casi in cui non sussistano i presupposti che dovrebbero invece ricorrere per legittimare l'adozione del provvedimento positivo, atteso che l'eventuale inerzia dell'Amministrazione nel provvedere sulle domande di sanatoria, non può far guadagnare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di provvedimento espresso (T.A.R. Sicilia, PA, III, n. 730/2012), bensì anche sulla scorta del dettato normativo ed in particolare di quanto stabilito dal disposto di cui all’art. 49 della legge n. 449/97, che facendo espresso riferimento alle disposizioni di cui al quarto comma dell’art. 39 della legge 724/94 e quindi alle conseguenze derivanti dalla mancata presentazione dei documenti, ha puntualmente chiarito che dette previsioni si applicano anche alle domande di condono edilizio presentate ai sensi della legge n. 47/85 per le quali non si sia maturato il silenzio assenso a causa di carenza di documentazione obbligatoria per legge. Poiché, come testè osservato, il caso in esame si attaglia perfettamente a tale ipotesi, non essendosi potuto perfezionare il silenzio assenso per mancanza dei documenti obbligatori per legge (in particolare la richiesta accatastamento), ne consegue la legittimità della declaratoria di improcedibilità anche della domanda presentata ai sensi della legge 47/85 e quindi il conseguente diniego di accoglimento".

sentenza TAR Veneto 1328 del 2013

Non si può scomputare dagli oneri quanto versato a titolo di monetizzazione di standard

09 Dic 2013
9 Dicembre 2013

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Brescia n. 1034 del 2013.

Si legge nella sentenza: "2. Infondato è anzitutto il primo motivo di ricorso, col quale la società ricorrente sostiene, in buona sostanza, di aver titolo per scomputare da quanto dovuto a titolo di contributo spese di urbanizzazione quanto versato a titolo di monetizzazione di standard. In sintesi estrema, il ragionamento che sta alla base della relativa domanda di restituzione del corrispondente importo è il seguente: chi realizza opere di urbanizzazione a propria cura e spese non paga in danaro il contributo per spese di urbanizzazione, perché trasferendo le opere al Comune lo paga in natura per il valore corrispondente. La società ricorrente, in luogo di realizzare opere di urbanizzazione, le ha monetizzate, quindi si è impegnata a pagare il valore corrispondente; ha quindi titolo ad uno sconto di pari importo sul contributo spese di urbanizzazione.
3. Tale ordine di idee, apparentemente convincente, peraltro sta e cade con una premessa non esplicitata, ovvero la natura omogenea delle opere di urbanizzazione e delle aree standard. Solo se si trattasse di entitĂ  omogenee, infatti, si potrebbe sostenere la possibilitĂ  che il valore di entrambe, corrisposto che sia in natura o in danaro, vada a scomputo del contributo del relativo contributo spese di urbanizzazione.
4. Secondo la giurisprudenza, peraltro, la premessa descritta non è corretta. Fra i contributi per spese di urbanizzazione e i contributi dovuti per monetizzazione di aree standard vi è infatti una “diversità ontologica”, nei termini ribaditi da ultimo da C.d.S. sez. IV 8 gennaio 2013 n°32, da cui si cita e che ribadisce un orientamento formatosi, quanto alle sentenze edite, a partire da C.d.S. sez. IV 16 febbraio 2011 n°1013.
5. Infatti, i contributi della prima specie sono dovuti per realizzare dette opere “senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l'area interessata all'imminente trasformazione edilizia”, e quindi, per così dire, a titolo di contributo per i costi generali del Comune; i contributi della seconda specie per contro riguardano “aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all'interno della specifica zona di intervento”, ovvero i costi specifici inerenti all’intervento stesso. In tale ordine di idee, quindi, non vi è giustificazione alcuna a scomputare dai primi l’importo dei secondi, trattandosi di distinti e ugualmente necessari costi che l’amministrazione deve sopportare per la sostenibilità dell’intervento.
6. Né tale ordine di idee, che deriva dalla legge, cioè da fonte di rango superiore, sembra poter essere alterato dal contenuto del punto 10.8 delle NTA di Mantova (cfr. memoria ricorrente 6 novembre 2013 p. 5), che, quand’anche interpretabile nel senso voluto dalla ricorrente riveste al più rango di regolamento subordinato alle fonti primarie".

sentenza TAR Brescia 1034 del 2013

In materiale ambientale non si può motivare dicendo solo che un intervento “per uso di materiali e tipologie non tradizionali” non sarebbe compatibile col vincolo di tutela paesaggistica

09 Dic 2013
9 Dicembre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1329 del 2013 contiene l'ennesima bocciatura di un diniego in materia ambientale, secondo il quale non andavano bene gli oscuri in ferro e gli infissi realizzati ad anta unica, anziché ad anta doppia, in quanto risultavano impiegate metodologie e utilizzati materiali non compatibili con il sito tutelato.

Si legge nella sentenza: "Sussistono, invero, i denunciati vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto sia il provvedimento che ha denegato in parte qua - e specificatamente per quanto riguarda il posizionamento di infissi ad anta unica - sulla base del parere sfavorevole della Commissione di Salvaguardia, l’accertamento di compatibilità paesaggistica, sia il provvedimento che denegato, entro gli stessi limiti, la sanatoria edilizia dei medesimi interventi, non risultano supportati da adeguata motivazione circa le ragioni della ritenuta incompatibilità dell’intervento eseguito dal ricorrente sull’immobile di proprietà e del contrasto con i valori dell’ambito soggetto a tutela. La locuzione utilizzata, secondo la quale gli infissi ad anta unica “…per uso di materiali e tipologie non tradizionali” non sarebbero compatibili col vincolo di tutela paesaggistica e determinerebbero un’alterazione non ammissibile del sito tutelato, risulta infatti del tutto generica ed apodittica, non esternando le ragioni del contrasto rilevato e soprattutto i motivi per i quali l’utilizzo della diversa tipologia degli infissi ad anta unica sia di per sé contraria alla tradizione . Ciò a maggior ragione dovendosi tenere conto della realtà dei luoghi, così come peraltro rappresentata dallo stesso istante in occasione della formulazione delle proprie osservazioni, il quale ha documentato come in moltissimi edifici storici di Venezia, non certo di minor pregio di quello di proprietà, sia stato comunque consentito l’utilizzo di finestre ad anta unica. Sebbene sia vero che l’eventuale irregolarità non sanzionate e presenti, quindi illegittimamente, in altri immobili non possa legittimare ulteriori interventi in contrasto col valore tutelato, è tuttavia indubbio che, proprio per la situazione di fatto, risultava necessario esplicitare con maggior cura le ragioni dell’insanabilità degli interventi eseguiti. Nessun riferimento è stato invero espresso nei provvedimenti impugnati a normative che in qualche modo potessero avallare la ritenuta incompatibilità (invero, il riferimento all’art. 5 delle n.t.a VPRG Città Antica riguardava le altre opere eseguite dal ricorrente), per cui il generico riferimento a tipologie di materiali e a tecniche costruttive tradizionali si esaurisce in una affermazione di principio e quindi carente di supporto motivazionale".

sentenza TAR Veneto 1329 del 2013

Clausole escludenti ed apertura dell’offerta tecnica

09 Dic 2013
9 Dicembre 2013

 Il TAR Veneto, sez. I, nella sentenza del 02 dicembre 2013 n. 1338, si occupa delle c.d. clausole escludenti del bando di gara: “Il Collegio rileva, al riguardo, che la clausola del bando in concreto impugnata con l’aggiudicazione non ha natura “escludente” in quanto, di per sé, non è idonea a impedire una corretta e consapevole elaborazione della propria proposta economica e, conseguentemente, non può considerarsi immediatamente e direttamente lesiva della situazione soggettiva dell’interessato.

Pertanto il Collegio, pur non ignorando le ragioni poste a fondamento dell’indirizzo giurisprudenziale “evolutivo” rispetto all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2003 – fatto proprio dall’ordinanza di rimessione (all’Adunanza medesima) della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 634 del 2013 –, ritiene nondimeno che, al caso di specie, debba farsi applicazione del principio di diritto secondo il quale i bandi, i disciplinari, i capitolati speciali di gara, e le relative lettere di invito vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, in quanto solo in tale secondo momento diventa attuale, e concreto l’interesse ad agire del singolo concorrente.

4.2. Peraltro, proprio tenuto conto della natura formale del vizio, la mancata allegazione da parte della ricorrente di alcun “concreto ingiusto svantaggio” in dipendenza della violazione del principio di trasparenza procedurale derivante dall’apertura in seduta riservata delle offerte tecniche non può determinare l’inammissibilità della doglianza, giacché l’invocata pubblicità anche della seduta prevista per l’apertura delle offerte tecniche risponde all’esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ma anche «dell’interesse pubblico alla trasparenza e all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato» (cfr. punto 5 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 2011)”.

Invece, per quanto riguarda l’apertura delle buste contenenti l’offerta tecnica in seduta privata, il Collegio afferma che: “5. Tanto premesso, l’Amministrazione, sottraendo alla seduta pubblica l’operazione di apertura delle buste recanti l’offerta tecnica, ha agito in violazione di una regola imposta dalla disciplina legale dell’affidamento dei contratti pubblici.

5.1. Ed invero, richiamando sul punto quanto affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 2011, deve osservarsi che anche con specifico riferimento all’apertura della busta dell’offerta tecnica debbano valere i principi comunitari e di diritto interno in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti in quanto la “verifica della integrità dei plichi” non esaurisce la sua funzione nella constatazione che gli stessi non hanno subito manomissioni o alterazioni, ma è destinata a garantire che il materiale documentario trovi correttamente ingresso nella procedura di gara.

Tale operazione, quindi, come per la documentazione amministrativa e per l’offerta economica, costituisce passaggio essenziale e determinante dell’esito della procedura concorsuale, richiedendo pertanto di essere presidiata dalle medesime garanzie, a tutela degli interessi privati e pubblici coinvolti dal procedimento.

5.2. Peraltro lo stesso art. 120, comma 2, del DPR n. 2017 del 2010 (così come modificato dall’art. 12, comma 1, D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 luglio 2012, n. 94), applicabile ratione temporis al caso di specie, prevede espressamente che: «La commissione, anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012, apre in seduta pubblica i plichi contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti. In una o più sedute riservate, la commissione valuta le offerte tecniche e procede alla assegnazione dei relativi punteggi applicando i criteri e le formule indicati nel bando o nella lettera di invito secondo quanto previsto nell’allegato G. Successivamente, in seduta pubblica, la commissione dà lettura dei punteggi attribuiti alle singole offerte tecniche, procede alla apertura delle buste contenenti le offerte economiche e, data lettura dei ribassi espressi in lettere e delle riduzioni di ciascuna di esse, procede secondo quanto previsto dall’articolo 121»”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1338 del 2013

Concessione e riparto di giurisdizione

09 Dic 2013
9 Dicembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 02 dicembre 2013 n. 1341, si occupa del comparto di giurisdizione in materia di concessione, chiarendo che  : “la individuazione della giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo, deve essere elaborata esclusivamente alla stregua del petitum sostanziale (art.7 cpa), così come definito dalle storiche decisioni della Corte di Cassazione (n.2680/1930) e dal Consiglio di Stato (A.P. n. 1/1930), pacificamente e costantemente ribadito dai diversi plessi giurisdizionali ( Cass. Civ. s.u. 26 maggio 2004, n. 10180 e Cons. St., sez. V, 5 giugno 2012, 3298), e recentemente precisato e valorizzato da Corte Costituzionale n. 204/2004 e n.191/2006.

Pertanto è alla luce di tali insegnamenti che il ricorso proposto deve essere affidato all’esclusivo scrutinio del giudice ordinario, atteso che la questione sollevata attiene alla vigenza o meno, nonché alla esatta interpretazione del contratto intervenuto tra le parti e dei conseguenti diritti soggettivi da esso derivati.

In altre parole la natura intrinseca della questione sottoposta al giudizio del Collegio attiene, esclusivamente ad evenienze comunemente definite paritetiche e che, in quanto tali, non involgono punto poteri autoritativi espressi dal concessionario nell’esercizio delle sue funzioni e potestà.

Quindi, per risolvere la questione oggetto del presente scrutinio, è necessario valutare, non già il legittimo utilizzo di potestà pubbliche – che non ci sono state -, bensì stabilire gli esatti termini della vicenda contrattuale intervenuta tra le parti, questione questa che attiene ad aspetti di esclusiva valenza negoziale della vicenda e, quindi, afferenti alla lamentata lesione di diritti soggettivi del ricorrente, che, come è noto, sono affidati allo scrutino del giudice ordinario (Consiglio Stato , sez. V, 19 marzo 2009 , n. 1623)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1341 del 2013

PDL n. 393 : Norme per il recupero di suolo all’uso agricolo e ambientale per lo sviluppo sostenibile del Veneto

06 Dic 2013
6 Dicembre 2013

Pubblichiamo il progetto n. 393 di legge regionale, recante "Norme per il recupero di suolo all'uso agricolo e ambientale per lo sviluppo sostenibile del Veneto" , presentato dalle minoranze al Consiglio regionale il 14 novembre 2013 e assegnato alla II commissione.

testo presentato (254 Kb)

Di seguito ripubblichiamo il testo del disegno di legge presentato dalla Giunta Regionale il 4 novembre 2013.

PDL_consumo_suolo_testo_presentato_04.11.2013

Il testo coordinato e quello confrontato del terzo piano casa

05 Dic 2013
5 Dicembre 2013

Pubblichiamo il testo coordinato del terzo piano casa e il testo confrontato, ringraziando il dott. Luigi Rizzolo per questo ultimo.

Come ci ha segnalato una gentile lettrice, nel testo coordinato che circola (e che inizialmente avevamo pubblicato anche noi) c'è un errore:   l'art. 1 bis comma a) riporta ancora "per almeno i 24 mesi successivi al rilascio del certificato di agibilità", che non c'è nella legge.

Il testo che ora abbiamo pubblicato ha corretto tale l'errore (sperando che non ce ne siano altri...).

Invece ci è stato segnalato che mancava anche il comma 4 dell'art. 3 quater e abbiamo corretto (artigianalmente) anche tale errore.

testo coordinato 3° PIANO CASA

confronto legge 14 e nuovo piano casa

E’ illegittima l’inibitoria di una SCIA oltre il termine e il comune deve pagare le spese processuali e i danni

05 Dic 2013
5 Dicembre 2013

La sentenza del TAR veneto n. 1297 del 2013 riguarda un caso di tardiva inibitoria di una SCIA.

Il TAR annulla la inibitoria e condanna il Comune al pagamento delle spese processuali e al risaricmento dei danni, quantificati in via equitativa in euro 10.000.

Si legge nella sentenza: "il Collegio rileva in via principale la fondatezza del primo motivo, con il quale è stata dedotta l’illegittimità dell’ordine di inibizione dell’attività oggetto della SCIA, in quanto provvedimento assunto pacificamente ed abbondantemente oltre il termine di sessanta giorni stabilito dall’art. 19 L. 241/90 e successive modifiche ed integrazioni; attesa, infatti, la sequenza degli atti e delle comunicazioni intercorse fra l’amministrazione e le istanti, risulta palese che il provvedimento inibitorio è stato assunto fuori termine, da cui la sua illegittimità; invero, una volta che è stata rilevata la presunta illegittimità dell’attività segnalata, non risultando accoglibili le controdeduzioni rese dal legale delle istanti e per loro conto nell’ambito del procedimento, persistendo, nonostante l’assolvimento dell’onere di integrazione documentale, l’esercizio dell’attività segnalata, era doveroso da parte dell’amministrazione, nel rispetto del termine di sessanta giorni (anche da intendere come decorrenti dall’esaurirsi del termine assegnato per completare la documentazione e/o adeguarsi ai rilevi sollevati circa l’uso dell’area), assumere il provvedimento inibitorio; detto adempimento è tuttavia stato assolto tardivamente, in quanto le controdeduzioni di parte istante portano la data del 7 marzo 2013, mentre l’ordine di non proseguire l’attività è staio impartito soltanto il successivo 12 settembre;

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella somma di complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00). Quanto, infine, alla richiesta risarcitoria, ritiene il Collegio che, considerata la tempistica degli eventi e l’immediatezza della presente decisione, possa essere riconosciuto alle ricorrenti il diritto al risarcimento del danno subito per effetto del provvedimento impugnato, nella misura, stabilita in via equitativa, di euro 5.000, 00 (cinquemila/00) per ciascuna delle due ricorrenti, per complessivi euro 10.000,00 (diecimila/00)".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1297 del 2013

Riqualificazione energetica degli edifici: in caso di lavori non conclusi al 31.12.2013, solo le spese giĂ  sostenute beneficiano della detrazione del 65%

05 Dic 2013
5 Dicembre 2013

Pubblichiamo una nota sintetica sulla questione di cui al titolo.

detrazione 65%

Riflessi penali del mancato pagamento dell’IVA

05 Dic 2013
5 Dicembre 2013

Pubblichiamo in allegato una nota di appunto sui riflessi penali del mancato pagamento dell'IVA, ringraziando la SocietĂ  e Professionisti srl di Malo (VI).

omesso versamento IVA

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