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Come si calcolano gli oneri concessori per le sale cinematografiche

10 Ott 2013
10 Ottobre 2013

Si occupa della questione la sentenza del Consiglio di  Stato n. 4859 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: " 2.1) L'art. 20 del d.l. 14 gennaio 1994, n. 26, convertito con modificazioni nella legge 1° marzo 1994, n. 153 (recante "Interventi urgenti in favore del cinema") -nel quadro di disposizioni tese ad agevolare "...la trasformazione, la ristrutturazione e l'adeguamento strutturale e tecnologico delle sale esistenti anche ai fini del rispetto della normativa sulla sicurezza dei locali di pubblico spettacolo e di quella sull'abolizione delle barriere architettoniche, nonché per l'installazione e la ristrutturazione di impianti e di servizi accessori alle sale, per l'installazione di casse automatiche computerizzate, per la realizzazione di nuove sale, per il ripristino di sale non più in attività e per l'acquisto dei locali per l'esercizio cinematografico e per i servizi connessi.." (comma 1)-, ha previsto, al comma 7, che: "Ai fini del rilascio delle concessioni edilizie, la volumetria necessaria per la realizzazione di sale cinematografiche non concorre alla determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli oneri di concessione". L'ambito della fattispecie agevolativa deve essere, pertanto, raccordato all'identificazione tipologica del suo oggetto, come enucleabile anzitutto dall'art. 2 comma 8 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n.28 (recante "Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137"), a tenore del quale: " Per sala cinematografica si intende qualunque spazio, al chiuso o all'aperto, adibito a pubblico spettacolo cinematografico". Peraltro, il successivo art. 22, nel demandare alle Regioni di disciplinare "...le modalità di autorizzazione alla realizzazione, trasformazione ed adattamento di immobili da destinare a sale ed arene cinematografiche, nonché alla ristrutturazione o all'ampliamento di sale e arene già in attività, anche al fine di razionalizzare la distribuzione sul territorio delle diverse tipologie di strutture cinematografiche..", al comma 2 ha dettagliato la descrizione tipologica delle aree destinate a pubblici spettacoli cinematografici, tra le quali, per quanto qui interessa, alla lettera c) ha incluso anche le "... multisala, (ossia) l'insieme di due o più sale cinematografiche adibite a programmazioni multiple accorpate in uno stesso immobile sotto il profilo strutturale, e tra loro comunicanti".

2.2) Orbene, il Collegio condivide anzitutto il rilievo del giudice amministrativo partenopeo in ordine alla estraneità alla fattispecie agevolativa di tutti gli spazi della c.d. bouvette, ossia delle aree destinate alla somministrazione e al consumo di alimenti e bevande, nonché delle aree destinate a uffici o attività di ristorazione e giochi elettronici, posto che essi riguardano l'esercizio di attività non strettamente inerenti all'attività di pubblico spettacolo cinematografico. Né in senso diverso può assumere rilievo l'invocato d.m. 29 settembre 1998, n. 391 ("Regolamento recante disposizioni per il rilascio di autorizzazione per l'apertura di sale cinematografiche, ai sensi dell'articolo 31 della l. 4 novembre 1965, n. 1213, e successive modificazioni"), che attiene ai requisiti richiesti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle sale e che impone lo svolgimento di "...almeno due servizi complementari in favore degli spettatori, tra quelli indicati dal decreto 30 ottobre 1996, n. 683..." (art. 3 comma 1 lettera e), e quindi ammette, tra gli altri, anche la vendita e somministrazione "durante lo svolgimento dello spettacolo" di  "dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria; frutta secca; cereali soffiati; prodotti derivanti da sfarinati, diversi dal pane e dalle paste alimentari pastigliaggi" o "bevande" (art. 1 comma 1, rispettivamente lettere c) e d) del d.m. 30 ottobre 1996, n. 683 ("Regolamento riguardante la disciplina di commercio nelle sale cinematografiche").
2.3) Al contrario, non possono essere esclusi dal calcolo della volumetria, a differenza di quanto opinato dal giudice amministrativo partenopeo, gli spazi adibiti a parcheggio. Nel caso di specie, il complesso, come pure evidenziato in sentenza (pag. 4), consta di cinque blocchi con undici sale cinematografiche, nei quali sono localizzate aree destinate a uffici, ristoro, attività ricreative, al servizio del complesso delle quali è stato realizzato un parcheggio interrato e un parcheggio di superficie. Poiché non sussiste, né è stato comprovato, un vincolo d'asservimento esclusivo degli spazi a parcheggio alla sola attività di spettacolo cinematografico, non può invocarsi una relazione di pertinenzialità tra i parcheggi e le sale cinematografiche che consenta di includere i primi nella fattispecie agevolativa.
2.4) In funzione dell'inesistenza di un vincolo di pertinenzialità esclusiva con l'attività di pubblico spettacolo cinematografico non possono nemmeno escludersi dal computo della volumetria i c.d. spazi "promiscui", ossia ingressi, uscite, atrii, servizi igienici, salvo che non ne sia possibile una delimitazione fisica e strutturale tale da renderli funzionali ai soli spettatori delle proiezioni cinematografiche. Il criterio individuato dal primo giudice di una "percentuale di utilizzo", secondo quanto esattamente osservato dal Comune di Napoli appellante, è effettivamente generico e praticamente inattuabile, proprio perché trattasi di spazi "promiscui", e quindi funzionali, in misura indeterminabile, sia alle esigenze dell'attività di pubblico spettacolo cinematografico sia a tutte le altre diverse attività esercite nel compendio immobiliare".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4859 del 2013

Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivita’ culturali e del turismo – Modifiche al Codice dei Beni Culturali

10 Ott 2013
10 Ottobre 2013

 Testo del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, coordinato con la la legge di conversione 7 ottobre 2013, n. 112, recante: "Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo"

Art. 2 bis  - Modifiche all'articolo  52  del  codice  dei  beni  culturali  e  del paesaggio

  1. All'articolo 52 del codice dei beni culturali e  del  paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono  apportate le seguenti  modificazioni:
  a) dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:
  «1-bis. Fermo  restando  quanto  previsto  dall'articolo  7-bis,  i comuni, sentito il soprintendente, individuano altresi' i  locali,  a chiunque appartenenti, nei quali si svolgono attivita' di artigianato tradizionale e altre attivita' commerciali tradizionali, riconosciute quali espressione dell'identita' culturale collettiva ai sensi  delle convenzioni UNESCO di cui al medesimo  articolo  7-bis,  al  fine  di assicurarne apposite forme di promozione e salvaguardia, nel rispetto della liberta' di iniziativa economica di cui all'articolo  41  della Costituzione»;
  b)  la  rubrica  e'  sostituita  dalla  seguente:  «Esercizio   del commercio  in  aree  di  valore  culturale  e  nei   locali   storici tradizionali». ))

(( Art. 3 ter  Disposizioni per la valorizzazione dei siti UNESCO

  1. All'articolo 4, comma 1, della legge 20 febbraio 2006, n. 77,  e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

  a) alla lettera c), dopo la parola: «realizzazione,» e' inserita la seguente: «anche»;
  b) la lettera d) e' sostituita dalla seguente: «d) alla riqualificazione e alla valorizzazione dei  siti  italiani inseriti nella  lista  del  "patrimonio  mondiale"  sotto  la  tutela
dell'UNESCO,  nonche'  alla   diffusione   della   loro   conoscenza;
nell'ambito delle istituzioni scolastiche la valorizzazione si  attua anche attraverso il sostegno ai viaggi di istruzione e alle attivita' culturali delle scuole.». ))

(( Art. 3 quater Autorizzazione paesaggistica

   1. All'articolo  146,  comma  4,  del  codice  di  cui  al  decreto legislativo 22 gennaio  2004,  n.  42,  e  successive  modificazioni, l'ultimo periodo e' sostituito dal seguente: «I lavori  iniziati  nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro, e  non  oltre,  l'anno  successivo  la  scadenza  del quinquennio medesimo».

  2. All'articolo 30, comma 3, del decreto-legge 21 giugno  2013,  n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  98, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «E' altresi' prorogato  di tre anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in  corso  di efficacia alla data di entrata in vigore della legge  di  conversione del presente decreto.». ))

(( Art. 4 bis  Decoro dei complessi monumentali ed altri immobili

   1. All'articolo 52 del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:

  «1-bis. Al fine di contrastare l'esercizio,  nelle  aree  pubbliche aventi  particolare  valore  archeologico,   storico,   artistico   e paesaggistico,  di  attivita'  commerciali  e  artigianali  in  forma ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi  altra  attivita'  non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio  culturale,  con particolare riferimento alla necessita' di assicurare il  decoro  dei complessi monumentali e degli altri immobili  del  demanio  culturale interessati da flussi turistici  particolarmente  rilevanti,  nonche' delle aree a essi contermini,  le  Direzioni  regionali  per  i  beni culturali e paesaggistici  e  le  soprintendenze,  sentiti  gli  enti locali, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli  usi  da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di  tutela  e  di valorizzazione, comprese le forme di  uso  pubblico  non  soggette  a concessione di uso individuale, quali le  attivita'  ambulanti  senza posteggio,  nonche',  ove  se  ne  riscontri  la  necessita',   l'uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio  di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico.». ))

Art. 7  Misure urgenti per la promozione della musica di  giovani  artisti  e compositori emergenti, (( nonche' degli eventi  di  spettacolo  dal  vivo di portata minore. ))

(( 8-bis. Al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di  cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, sono apportate  le  seguenti modificazioni:

  a) all'articolo 68, primo comma, e' aggiunto, in fine, il  seguente periodo: «Per eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che  si svolgono entro le  ore  24  del  giorno  di  inizio,  la  licenza  e' sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attivita' di  cui all'articolo 19 della legge 7  agosto  1990,  n.  241,  e  successive modificazioni, presentata  allo  sportello  unico  per  le  attivita' produttive o ufficio analogo»;

  b) all'articolo 69, primo comma, e' aggiunto, in fine, il  seguente periodo: «Per eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che  si svolgono entro le  ore  24  del  giorno  di  inizio,  la  licenza  e' sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attivita' di  cui all'articolo  19  della  legge  n.  241  del  1990,  presentata  allo sportello unico per le attivita' produttive o ufficio analogo»;

    c) all'articolo 71, primo comma, dopo la parola:  «licenze»  sono aggiunte le  seguenti:  «e  le  segnalazioni  certificate  di  inizio attivita'». ))

 

 


Art. 38 ptrc e vas: convegno a Spinea giovedì 31 ottobre 2013

10 Ott 2013
10 Ottobre 2013

L’assessorato all’urbanistica del comune di Spinea organizza, il prossimo 31 ottobre, un incontro durante il quale verranno illustrati i recentissimi provvedimenti regionali in ambito urbanistico in materia di articolo 38 del Ptrc e in materia di Vas.

La prima parte della mattinata verrà dedicata ai criteri di applicazione del nuovo articolo 38 del Ptrc “Aree afferenti ai caselli autostradali, agli accessi alla rete primaria, alle superstrade e alle stazioni SFMR”. L’arch. Alberto Miotto della Direzione pianificazione territoriale e strategica della Regione Veneto   illustrerà i criteri di applicazione delle misure di salvaguardia.

La seconda  parte della mattinata sarà dedicata alla Vas. La dirigente del settore regionale – dott. avv. Paola Noemi Furlanis – illustrerà il nuovo provvedimento regionale contenente le linee di indirizzo applicative, relativamente alla valutazione ambientale strategica, in seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 58/2013 e chiarirà le nuove modalità e i criteri operativi che dovranno applicarsi in relazione ai diversi livelli di pianificazione (Prg, Pat, Pi, Pua, ecc.).

La parte conclusiva della giornata seminariale sarà poi dedicata al dibattito  e alla risposta ai quesiti.

L’incontro si svolgerà dalle 9.00 alle 13.00 presso la sala municipale del comune di Spinea.

Un dottore agronomo è competente a sottoscrivere progetti edilizi?

09 Ott 2013
9 Ottobre 2013

La sentenza n. 4854 del 2013 del Consiglio di Stato decide un ricorso presentato  dall’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Bari avverso un provvedimento col quale il Dirigente del Comune ha respinto una domanda avente ad oggetto il rilascio di un titolo edilizio richiesto dalla Cantina Cooperativa Coltivatori Diretti di Barletta per la costruzione di un frantoio oleario, in quanto il relativo progetto era stato redatto da un dottore agronomo. Il ricorrente Ordine ha dedotto l’avvenuta violazione dell’art. 2, lett. d), della L. 7 gennaio 1976 n. 3, recante l’ordinamento della professione di dottore agronomo, laddove si stabiliscono le competenze proprie di tale categoria di professionisti, menzionando – tra l’altro - “la progettazione... ed il collaudo dei lavori relativi alle costruzioni rurali e di quelli attinenti alle industrie agrarie e forestali”.

In primo grado il TAR aveva ritenuto dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto proposto dall'ordine professionale e non dal professionista interessato.

Il Consiglio di Stato riforma la decisione, precisando che: "La tesi del giudice di primo grado è – viceversa – smentita da esplicita e del tutto unanime giurisprudenza formatasi sul punto in discussione, secondo la quale gli Ordini professionali hanno legittimazione a difendere in sede giurisdizionale gli interessi della categoria di soggetti di cui abbiano la rappresentanza istituzionale qualora si tratti della violazione di norme poste a tutela della professione stessa, o allorché si tratti comunque di conseguire determinati vantaggi - sia pure di carattere strumentale - giuridicamente riferibili alla intera categoria, con il limite (che qui non rileva) derivante dal divieto di occuparsi di questioni relative ad attività non soggette alla disciplina o potestà degli Ordini medesimi (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2010 n. 8006; cfr., altresì, la decisione n. 8404 resa sempre dalla Sez. V); ossia, detto altrimenti, sussiste nel nostro ordinamento la legittimazione di un Ordine professionale a tutelare anche in via contenziosa l’interesse collettivo dei professionisti suoi iscritti in modo generale e indistinto (così Cons. Stato, Sez. II, 24 gennaio 2011 n. 2783). Nel caso in esame, quindi, non è ravvisabile – a differenza di quanto affermato dal giudice di primo grado – una sostituzione processuale da parte dell’Ordine nei riguardi della posizione del singolo professionista, per certo preclusa a’ sensi dell’art. 81 c.p.c., ma è sussiste – anche al di là della lesione arrecata sia alla sfera dell’interesse individuale del progettista, sia alla sfera del committente dell’opera, i quali peraltro liberamente non hanno ritenuto di tutelarsi in sede giudiziale – un concomitante e del tutto autonomo interesse dell’Ordine a veder assicurata l’applicazione delle disposizioni normative che disciplinano la competenza professionale dei suoi iscritti - anche se materialmente non coinvolti nel presente procedimento giudiziale – proprio in quanto soggetto ex lege esponenziale di tutti gli iscritti medesimi. Tale interesse alla decisione del ricorso perdura anche allorquando – come, per l’appunto, nel caso di specie – l’annullamento dell’atto impugnato non può dispiegare effetti concreti ma è apprezzabile comunque la perdurante lesività dell’atto stesso per il credito, il prestigio e l’estimazione sociale della parte ricorrente, ossia allorquando comunque persistano come fatti storici valutazioni e giudizi negativi su qualità e capacità della parte medesima (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 30 luglio 2002 n. 4076 e Sez. V, 5 marzo 2001 n. 1250). Nel caso di specie, è indiscutibile la permanenza a tutt’oggi dell’interesse dell’Ordine a rimuovere ope iudicis un provvedimento che, se considerato nel suo intrinseco contenuto, si pone come non corretta valutazione dell’idoneità professionale non solo – contingentemente - del dott. Cassandro ma di qualsivoglia iscritto all’Ordine professionale degli agronomi se chiamato a progettare un frantoio, configurandosi quindi come un precedente ostativo – anche perché reiterabile dallo stesso Comune, nonchè da altre pubbliche amministrazioni - per le opportunità professionali di tutti i suoi iscritti.
4.3. Premesso ciò, il ricorso proposto in primo grado va accolto, in quanto – come detto innanzi - l’art.2, lett. d), della L. 7 gennaio 1976 n. 3, recante l’ordinamento della professione di dottore agronomo, riconduce testualmente alla relativa competenza professionale anche “la progettazione... ed il collaudo dei lavori relativi alle costruzioni rurali e di quelli attinenti alle industrie agrarie e forestali”. A suo tempo questo stesso giudice ha già avuto modo di affermare la legittimità di un titolo edilizio per la realizzazione di un complesso industriale per la lavorazione di carni suine e di pollame su progetto redatto da un dottore agronomo, posto che la disposizione testè riportata consente la prestazione professionale di quest’ultimo relativamente alle industrie, tra le quali devono essere annoverate le “industrie agrarie” e, quindi, il complesso in questione, essendo indubitabile che nella disposizione medesima il termine “industria” è sempre usato nel senso tecnico-giuridico di attività diretta alla produzione di beni o di servizi di cui all’art. 2195, n. 1 c. c. e che l’opera in questione è – per l’appunto - relativa ad industria agraria (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 29 ottobre 1992 n. 1078). Lo stesso ragionamento non può - quindi - non valere anche per la realizzazione di un frantoio, trattandosi parimenti di “industria agraria” nel senso ora descritto. Va comunque precisato che se il progetto eventualmente fuoriesce dai caratteri propri della semplice edilità e richiede, ad esempio, opere di “conglomerato cementizio semplice od armato, la cui stabilità possa comunque interessare la incolumità delle persone”, la competenza professionale spetta inderogabilmente, a’ sensi del tuttora vigente art. 1, primo comma, del R.D.L. 16 novembre 1939 n. 2229, agli ingegneri e agli architetti iscritti ai relativi albi, “nei limiti delle rispettive attribuzioni, ai sensi della L. 24 giugno 1923 n. 1395 e del R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537, sull’esercizio delle professioni di ingegnere e di architetto, e delle successive modificazioni” (cfr. ivi; cfr., altresì, sul punto, ad es., Cassazione civ., Sez. II, 2 settembre 2011 n. 18038)".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4854 del 2013

 

Anche il provvedimento c.d. “di secondo grado” in astratto richiede l’avviso di avvio del procedimento ma tale avviso può sempre essere surrogato

09 Ott 2013
9 Ottobre 2013

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4855 del 2013 si occupa della decadenza di un titolo edilizio, in relazione alla quale esamina la questione della necessità dell'avviso di avvio del procedimento sotto due profili.

In primo luogo il Consiglio di Stato precisa che tale avviso è richiesto anche per i provvedimenti c.d. di "secondo grado" (quelli incidenti su posizioni giuridiche del suo destinatario originate da un provvedimento precedentemente adottato in suo favore). In secondo luogo il Consiglio di Stato ribadisce che l'avviso di avvio del procedimento non va inteso come un formalismo da applicare in modo meccanico.

Si legge, infatti, nella sentenza: "4.2. Innanzitutto, per quanto attiene ai motivi dedotti da Ste.Ros. in ordine all’asseritamente avvenuta violazione degli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990 sia con riguardo al difetto di motivazione della sentenza impugnata per quanto attiene alla valutazione delle relative censure formulate nel primo grado di giudizio, sia sotto il profilo della violazione dei principi di diritto che assistono l’annullamento degli atti di secondo grado, il Collegio ribadisce – concordando sul punto con il contenuto della sentenza impugnata – che le norme dettate in tema di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate in via del tutto meccanica e a fini meramente strumentali, essendo esse deputate non solo ad una funzione difensiva a favore del destinatario dell’atto conclusivo del procedimento, ma anche a formare nell’Amministrazione procedente una più completa e meditata volontà e dovendosi, comunque, ritenere che il vizio derivante dall’omissione di comunicazione non sussista nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto o manchi l’utilità della comunicazione all’azione amministrativa (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 20 giugno 2012 n. 3595). Segue dunque ciò, anche in dipendenza dei principi stabiliti dall’art. 21- octies della L. 241 del 1990, che non può configurarsi la violazione di tale obbligo di comunicazione nel caso in cui il soggetto inciso sfavorevolmente da un provvedimento non dimostri che, ove fosse stato reso edotto dell’avvio del procedimento , sarebbe stato in grado di fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare in modo diverso le scelte dell’Amministrazione procedente dell’azione amministrativa (cfr. ibidem). Nel caso di specie assume pertanto valore dirimente la circostanza che Ste.Ros. non dimostra che l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento n. 13120 dd. 5 novembre 2002 di decadenza della concessione edilizia n. 1650/98 dd. 18 marzo 1998 le ha precluso di dedurre nel procedimento medesimo a propria difesa elementi decisivi e tali dunque da indurre l’Amministrazione Comunale ad un diverso apprezzamento della fattispecie; né va sottaciuto che parimenti non sussiste la violazione dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 se l’interessato ha comunque avuto aliunde informazione dell’avvio del procedimento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2011 n. 5032), come nell’ipotesi – qui, per l’appunto, sussistente – nella quale la relativa conoscenza proviene all’interessato medesimo dalla sussistenza di un contenzioso con l’amministrazione sul punto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2001 n. 2884). Il Collegio non sottace che l’anzidetto provvedimento recante la pronuncia di decadenza della concessione si configura come provvedimento c.d. “di secondo grado”, in ordine al quale la regola generale di per sé impone l’inoltro dell’avviso dell’avvio del relativo procedimento in quanto incidente su posizioni giuridiche del suo destinatario originate da un provvedimento precedentemente adottato in suo favore (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 29 luglio 2003 n. 3169); ma anche in tale evenienza l’inoltro medesimo non è ritenuto necessario se risulta che l’interessato ha comunque avuto aliunde la relativa informazione (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 26 ottobre 2006, n. 6413; Sez. V, 18 novembre 2004,n. 7553 e 22 gennaio 2003 n. 243)".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4855 del 2013

La collocazione nel territorio pianificato delle opere di urbanizzazione secondaria necessita di una specifica destinazione dell’area su cui esse devono sorgere

08 Ott 2013
8 Ottobre 2013

Lo precisa il Consiglio di Stato nella sentenza n. 4445 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "...4.2. Come detto innanzi, Agorà ha dedotto nel primo grado di giudizio e puntualmente reiterato anche innanzi a questo giudice d’appello la censura dell’assenza, nell’ambito della vigente strumentazione urbanistica primaria del Comune di Roccabascerana, di un vincolo preordinato all’esproprio idoneo alla realizzazione dell’opera in questione e incidente sul proprio fondo, posto che le particelle catastali apprese al fine della realizzazione dell’edificio scolastico risultano incluse in zona “CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”.

Tale censura è fondata.

A tale riguardo nella sentenza impugnata si legge – come rilevato innanzi – che “la certificazione versata in atti, precisa all’art. 19 delle N.T.A. che la summenzionata zona CP1 riguarda aree di espansione residenziale pubblica, già destinata a tale scopo dal Piano per l’edilizia Economica e Popolare vigente e Nuovo Piano di Zona redatto ai sensi e per gli effetti della L. 14 maggio 1981 n.219 e del D.L.vo 30 marzo 1990 n. 76, escludendo, dunque, l’uso promiscuo pubblico-privato, per cui su tali aree esiste un vincolo preordinato all’espropriazione imposto dal vigente P.R.G. definitivamente approvato con decreto del Presidente della Provincia di Avellino n. 6/04 bis del 10 marzo 2006, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 18 del 18 aprile 2006. Né l’opera si pone in variante allo strumento urbanistico, attesa la sua destinazione ad attrezzature e servizi, per cui la pretesa violazione della procedura di variante semplificata, ex art. 19 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, risulta malamente invocata”.

Le affermazioni del giudice di primo grado travisano la situazione di fatto e risultano infondate per quanto attiene alla configurazione giuridica della situazione medesima.

Le particelle catastali di proprietà di Agorà assoggettate nella specie ad espropriazione (nn. 1008, 1009 e 672 del Foglio 13) sono indubitabilmente incluse dal vigente P.R.G. del Comune di Roccabascerana in zona “CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”, destinata alla realizzazione di edilizia residenziale, sia pure esclusivamente ad iniziativa pubblica.

L’opera pubblica realizzata dal Comune è – viceversa – un edificio scolastico, la cui collocazione non è prevista in tale zona.

Dalla lettura della sentenza di primo grado parrebbe di intendere che la destinazione dell’area ad edilizia residenziale pubblica potrebbe nella specie consentire l’utilizzazione del relativo vincolo di esproprio anche per realizzare una scuola, verosimilmente in quanto “attrezzatura” o “servizio” riconducibile all’urbanizzazione secondaria, trattandosi di servizio sociale a supporto di un insediamento abitativo.

In effetti, l’art. 4, secondo comma, lett. a) e b) della L. 29 settembre 1964 n. 847, come introdotto dall’art. 44 della L. 22 ottobre 1971 n. 865 e in parte sostituito dall’art. 17 della L. 11 marzo 1988 n. 67, menziona tra le opere di urbanizzazione secondaria gli “asili nido e scuole materne”, nonché le “scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo”.

Ma, se le opere di urbanizzazione primaria (cfr. l’anzidetto art. 4, primo comma: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione e spazi di verde attrezzato) sono ovunque realizzabili proprio in quanto essenziali per le fondamentali esigenze della collettività, la collocazione nel territorio pianificato delle opere di urbanizzazione secondaria necessita di una specifica destinazione dell’area su cui esse devono sorgere, ed a tal fine per ampia parte dell’elencazione contenuta nel secondo comma dell’art. 4 della L. 847 del 1964 si impone, quindi, la previa destinazione dell’area del relativo insediamento a zona F ( “parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”: cfr. art. 2 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444).

Ciò non è avvenuto per il caso di specie; e – come rettamente dedotto da Agorà – risulta conseguentemente omesso l’apposito procedimento di cui all’art. 9, comma 5, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il quale – per l’appunto – nel testo modificato per effetto del D.L.vo 27 dicembre 2002 n. 302, dispone che “nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all’esproprio, il Consiglio comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la Regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del Consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia”.

L’accoglimento di tale censura risulta assorbente e determina la caducazione dell’intero procedimento ablatorio, impedendo in particolare che all’approvazione del progetto dell’opera disposto con la deliberazione consiliare n. 16 dd. 12 maggio 2009 possa riconoscersi anche il valore di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera medesima...".

sentenza CDS 4445 del 2013

Differenza tra restauro/risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia

08 Ott 2013
8 Ottobre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4863 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Orbene, la differenza tra restauro e risanamento conservativo, da un lato, e ristrutturazione edilizia dall'altro, risiede essenzialmente nella  conservazione formale e funzionale dell'organismo edilizio che connota il primo rispetto alla seconda. Ne consegue che è consentita, negli interventi di restauro e risanamento conservativo, la sostituzione di parti anche strutturali e in generale di elementi costitutivi degli edifici (strutture portanti, pareti perimetrali: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, novembre 2012, n. 5818, vedi anche Sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4694), e quindi anche un rinnovo sistematico e globale purché nel rispetto degli elementi essenziali tipologici, formali e strutturali (Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2981). Orbene, nel caso di specie deve recisamente escludersi che i profili segnalati dall'appellante, già ricorrente in primo grado, connotino l'intervento quale ristrutturazione edilizia, e ciò sia con riferimento lavori relativi al "....camino situato all'interno dell'edificio..." (pag. 3 dell'appello), sia con riguardo alla realizzazione a piano terra, già destinato a negozi, di "locali passanti" ed anche delle opere ai due piani superiori intese alla realizzazione di destinazioni d'uso abitative compatibili (pag. 15-16 dell'appello), peraltro volte a ripristinare quelle originarie  (l'appellante stessa rileva a pag. 14 dell'appello che ai piani superiori vi erano alloggi poi trasformati in depositi a servizio dei negozi sottostanti). Ne consegue che l'intervento assentito con la concessione edilizia n. 165/95 del 13 dicembre 1995 non contrasta con l'invocata normativa tecnica attuativa, che comunque non può modificare la individuazione tipologica di cui all'art. 31 comma 1 lettere c) e d) della legge n. 457/1978".

sentenza CDS 4863 del 2013

Il c.d. sotterramento delle opere abusive non equivale alla loro demolizione

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, con la sentenza del 18 settembre 2013 n. 4345, chiarisce che il ripristino dello stato dei luoghi, conseguente all’ordine di demolizione di un’opera abusiva, non può essere realizzato con il c.d. “sotterramento” dell’abuso: “Come accertato dalla CTU, l’abuso non è stato demolito ma semplicemente “riempito” di terreno, approfittando della circostanza che si tratta di un volume interrato. Orbene, non può assolutamente condividersi la tesi di parte ricorrente, secondo cui il riempimento del volume con terreno sarebbe equivalente alla rimozione dell’abuso, perché renderebbe il volume inutilizzabile.

Ciò, in primo luogo, perché il d.P.R. n. 380/2001 prevede la sanzione della “rimozione”, o della “demolizione”, o del “ripristino dello stato dei luoghi” (art. 31). Sono termini che intendono, con tutta evidenza, l’eliminazione dell’opera abusiva, ed esigono che lo stato dei luoghi debba tornare com’era prima della realizzazione dell’abuso. Il riempimento con terreno di un volume interrato non può essere equiparato ad una “rimozione”, e men che meno ad una demolizione o ad un ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, occorre considerare che il riempimento del volume con terreno non determina affatto l’inutilizzabilità definitiva dell’opera: i ricorrenti ben potrebbero, in futuro, rimuovere il terreno e recuperare la possibilità di utilizzo del volume; ed è per questo che occorre la demolizione vera e propria dell’abuso.

Sul punto, occorre anche disporre la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, per le determinazioni di competenza. Infatti, il verificatore, nella relazione depositata in data 04.07.2012, ha affermato che “il villino risulta rimosso e lo stato dei luoghi ripristinato”, affermazione che, come successivamente accertato, non risponde a verità”.

 Nella medesima sentenza si evidenzia, altresì, che occorre il Permesso di Costruire laddove la recinzione determini una trasformazione radicale dello stato dei luoghi: “Anche per quanto concerne l’istallazione dell’inferriata, la censura secondo cui tale intervento non necessita del permesso di costruire non può essere accolta. Infatti, per costante giurisprudenza di questo Tribunale, è richiesto il permesso di costruire quando la recinzione determina un’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo (Tar Campania, Napoli, sez. VII, n. 4261/2012). Nel caso di specie, come si evince dal provvedimento impugnato, è stata istallata un’inferriata su m.l. 30 su un muro, sicché anche tale intervento era subordinato al previo rilascio del permesso di costruire”.

Infine, per quando concerne la decadenza dell’ordine di demolizione in seguito alla presentazione dell’istanza di sanatoria, i Giudici affermano che: “Il ricorso non può essere accolto neanche per quanto concerne l’ordine di demolizione degli abusi per i quali erano state presentate le due istanze di condono. Infatti, è ben vero che, per costante giurisprudenza, l’ordinanza di demolizione è illegittima se adottata dopo la presentazione della domanda di condono atteso che l'Amministrazione comunale, prima di ordinare la demolizione delle opere eseguite, avrebbe dovuto esaminare detta domanda. Tale orientamento, tuttavia, non si applica nei casi in cui manchino, in modo evidente, i presupposti per l’ammissibilità della domanda medesima. Infatti l’obbligo di riesaminare l’abusività delle opere provocato dalla domanda di condono ha senso solo in presenza di un intervento astrattamente sanabile, ossia quando per effetto della formazione di un nuovo provvedimento esplicito (di accoglimento o di diniego), da qualificare come atto non meramente confermativo, risulterebbe definitivamente vanificata l’operatività dell’impugnato provvedimento demolitorio (T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 03 maggio 2005, n. 745)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Napoli n. 4345 del 2013

E’ inderogabile il divieto di costruzione a meno di 10 metri dai corsi d’acqua ex art. 96 comma 1, lettera f) del R.D. 523/1904

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Il Tar Lombardia - Brescia, sez. II, con la sentenza n. 814 del 2 ottobre 2013 ha ribadito il carattere inderogabile del divieto di costruzione a meno di 10 metri dai corsi d’acqua ex art. 96 comma 1, lettera f) del R.D. 523/1904 (Testo unico sulle opere idrauliche). Il TAR afferma che il divieto opera anche in relazione alle domande di sanatoria, con la conseguenza che la prassi dell’Autorità deputata alla tutela del vincolo idraulico (Genio Civile) di rilasciare permessi in sanatoria non appare suffragata né dalla legge né dalla giurisprudenza. Ciononostante si deve dare atto che il rilascio di “autorizzazioni idrauliche in sanatoria” risolverebbe non pochi problemi pratici; non è, infatti, infrequente che, in occasione di un intervento di ristrutturazione, il proprietario scopra che il suo edificio è sorto (magari in epoca remota, ma comunque successiva al 1904) all’interno della fascia  di rispetto dei 10 metri dal corso d’acqua e non sappia più quale santo invocare.

La norma suddetta risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l'inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (T.A.R. Toscana, sez. III – 8/3/2012 n. 439). In assenza di elementi a suffragio dell’applicazione della deroga contenuta nella lett. F del citato art. 96, ne consegue tra l’altro che nessuna opera realizzata in violazione della norma de qua può essere sanata e altresì – come affermato nella già citata sentenza di questo T.A.R. n. 1231/2011, "che è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso che, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto, trova applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree (da ultimo: TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981)".”

avv. Marta Bassanese

tar brescia 814_2013

Atto di segnalazione AVCP n. 4, del 25 settembre 2013 “Redazione degli atti di pianificazione e riconoscimento dell’incentivo ex art. 92, comma 6, del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163”

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Pubblichiamo l'atto di segnalazione della AVCP n. 4, del 25 settembre 2013, riguardante “Redazione degli atti di pianificazione e riconoscimento dell’incentivo ex art. 92, comma 6, del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163”.

Nelle premesse di tale atto si legge che: "L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nell’esercizio del potere di segnalazione al Governo ed al Parlamento di cui all’art. 6, comma 7, lett. f), del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (di seguito Codice), intende formulare alcune osservazioni in relazione alla disciplina recata dall’art. 92 dello stesso decreto legislativo, rubricato “Corrispettivi, incentivi per la progettazione e fondi a disposizione delle stazioni appaltanti”. Tale disposizione statuisce, al comma 6, che “Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.  In merito alla norma sopra riportata questa Autorità e la Corte dei conti hanno reso pronunce non pienamente conformi (come si illustrerà di seguito) in ordine alla tipologia di atti di pianificazione in relazione ai quali l’amministrazione interessata può riconoscere i compensi incentivanti, ivi previsti, al personale interno che li ha redatti.  Pertanto sono pervenute numerose richieste di chiarimenti in materia da parte degli operatori del settore (incluse associazioni di categoria), con particolare riferimento alla pianificazione urbanistica. Stante il tenore letterale della norma, che non consente la chiara individuazione degli atti di pianificazione in relazione ai quali è possibile corrispondere l’incentivo de quo al personale incaricato della redazione degli stessi, ed al fine di dirimere il contrasto interpretativo in materia, si pone dunque l’esigenza di un intervento di modifica o di integrazione dell’art. 92, comma 6, del Codice nel senso di seguito indicato".

Segnalazione AVCP n. 4 del 2013

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