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Il fatto che i pannelli fotovoltaici si vedono non è un buon motivo per negarne l’installazione in zona vincolata

01 Ott 2013
1 Ottobre 2013

Lo dice la sentenza del TAR Veneto n. 1104 del 2013.

Scrive il TAR: "1. Il parere vincolante della Soprintendenza, nella parte in cui contiene la prescrizione sopra citata, appare viziato da eccesso di potere e difetto di motivazione. 1.1 La Soprintendenza ha argomentato il proprio parere affermando l’esistenza di un’incompatibilità con il paesaggio “in quanto gli elementi da installare risulterebbero, in ordine alla posizione, alle dimensioni, alle forme, ai cromatismi, al trattamento superficiale riflettente, estremamente stridenti rispetto all’ambito nel quale si collocano e tali da alterare in modo negativo la visione del contesto paesaggistico circostante..”.
1.2 La semplice lettura della motivazione sopra citata consente di rilevare come la valutazione, pur espressione di un potere di discrezionalità tecnica, sia del tutto apodittica e generica, in quanto prescinde dall’esprimere un giudizio riferito, in concreto e all’intervento di cui si tratta.
1.3 Nel provvedimento, non solo non vi è nessun riferimento alla metratura o al posizionamento dell’impianto, ma ancora risulta del tutto assente l’individuazione e la menzione di un elemento del paesaggio e dell’ambiente circostante che, in quanto tale, risulterebbe deturpato, o quanto meno pregiudicato, dalla realizzazione di un impianto la cui ampiezza è, peraltro, circoscritta a soli 40 mq. 1.4 Ne consegue che in mancanza di una valutazione strettamente correlata al caso di specie potrebbe risultare astrattamente ammissibile, sempre e comunque, un giudizio di incompatibilità di una qualunque struttura degli impianti di cui si tratta, suscettibili, in quanto tali e di per sè, di incidere comunque nell’area di riferimento.
1.5 Come correttamente ha rilevato la parte ricorrente un più recente orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 28-01-2013, n. 235), cui questo Collegio ritiene di aderire, ha sancito che “per negare l'installazione di un impianto fotovoltaico sulla sommità di un edificio, bisogna dare la prova dell'assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio, ….”. Non è, pertanto, ammissibile una valutazione astratta e generica non supportata da un’effettiva dimostrazione dell’incompatibilità paesaggistica dell’impianto.
1.6 Analogamente si è sostenuto che “attualmente la presenza di pannelli sulla sommità degli edifici, pur innovando la tipologia e la morfologia della copertura, non deve più essere percepita soltanto come un fattore di disturbo visivo, ma anche come un'evoluzione dello stile costruttivo accettata dall'ordinamento e dalla sensibilità collettiva). Per negare l'installazione di un impianto fotovoltaico occorre quindi dare prova dell'assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio, cosa che non coincide con la semplice visibilità dei pannelli da punti di osservazione pubblici ( in questo senso anche T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 04-10-2010, n. 3726 e sempre TAR Brescia Sez. I 15 aprile 2009 n. 859)”.
2. In considerazione dell’orientamento sopra richiamato il ricorso può, pertanto, essere accolto e può essere annullata la condizione imposta dalla Soprintendenza di Verona all’autorizzazione paesaggistica contenente il divieto alla realizzazione dell’impianto fotovoltaico e/o solare".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1104 del 2013

Pubblicata la legge regionale sui casoti

30 Set 2013
30 Settembre 2013

Sul Bur n. 82 del 27 settembre 2013 è stata pubblicata la legge regionale  n. 23 del 24 settembre 2013, recante "Rideterminazione del termine di validità del piano faunistico-venatorio regionale approvato con legge regionale 5 gennaio 2007, n. 1".

Segnaliamo l'articolo 3:

Art. 3
Disposizioni in materia di appostamenti per la caccia

 

1.    Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 20 bis della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” così come modificato dal presente articolo, sono da considerarsi opere precarie e sono soggetti a DIA gli appostamenti per la caccia agevolmente rimovibili, destinati ad assolvere esigenze specifiche, contingenti e limitate nel tempo e ad essere rimossi al cessare della necessità. Ove tali opere ricadano in aree tutelate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”, le stesse sono assoggettate a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’allegato 1, punto 39, del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 “Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni”.
2.    Sono soggette a semplice comunicazione le opere precarie di cui al comma 1, ove rimosse entro novanta giorni; è in ogni caso fatta salva l’autorizzazione paesaggistica semplificata qualora ricadano in aree tutelate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
3.    I comuni possono determinare le modalità costruttive per gli appostamenti di caccia di cui ai commi 1 e 2, nel rispetto della vigente disciplina in materia edilizia.
4.    Per gli appostamenti di caccia diversi da quelli di cui al presente articolo trovano applicazione le vigenti disposizioni in materia edilizia e paesaggistica.
5.    La DIA di cui al comma 1 e la comunicazione di cui al comma 2 devono essere inoltrate al comune territorialmente competente e, per conoscenza, alla provincia territorialmente competente ai fini della pianificazione faunistico-venatoria.
6.    Il comma 2 dell’articolo 20 bis della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” è così sostituito:

“2.    Le province identificano, d’intesa con gli ambiti territoriali di caccia o i comprensori alpini, le zone in cui possono essere collocati gli appostamenti di cui al comma 1; gli appostamenti collocati al di fuori delle zone individuate dalle province non possono essere utilizzati a fini venatori.”.

7.    La lettera h) del comma 2 dell’articolo 9 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” è così sostituita:

“h)    l’identificazione delle zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi, tenuto conto anche di quelli autorizzati alla data in vigore della legge 157/1992; per gli appostamenti che vengono rimossi a fine giornata di caccia non è previsto l’obbligo della comunicazione al comune territorialmente competente;”.
 

La Regione Veneto salva tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan e case mobili

30 Set 2013
30 Settembre 2013

Sul Bur n. 82 del 27/09/2013 è stata pubblicata la legge regionali n. 24 del 24 settembre 2013, recante "Misure di semplificazione per la realizzazione di strutture ricettive all'aperto", che sostanzialmente salva i campeggi e strutture simili dalle previsioni di cui all'articolo 41, comma 4, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (che li sottoponeva a titoli edilizi).

La legge stabilisce che:

"Art. 1
Realizzazione di strutture ricettive all'aperto
1. In relazione all'articolo 3, comma 1, lettera e.5), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia" e successive modificazioni, nel testo aggiunto dall'articolo 41, comma 4, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 "Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia", convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, per la realizzazione delle opere di strutture ricettive all'aperto, e in particolare per la collocazione e la installazione di allestimenti mobili, continua a trovare  applicazione l'articolo 30 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 "Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo" e successive modificazioni."

Ricordiamo che il comma 6 dell'art. 30 della legge regionale n. 33/2002 stabilisce che:

"6. Gli allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili e relative pertinenze ed accessori sono diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e se collocati, anche in via continuativa, in strutture turistiche ricettive all'aperto regolarmente autorizzate, non sono soggetti a, permesso di costruire, dichiarazione di inizio attività (DIA) o ad autorizzazioni e comunicazioni previste a fini edilizi da strumenti urbanistici o edilizi. A tal fine i predetti allestimenti devono:

a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione;
b) non possedere alcun collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento".

Legge Regionale 24 del 24 settembre 2013

Governo delle attività economiche e del territorio al tempo della crisi: Università di Verona, venerdì 04 ottobre 2013,

30 Set 2013
30 Settembre 2013

L'evento in oggetto si svolgerà Venerdì 4 Ottobre 2013 presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università di Verona (Via C. Montanari, 9).

L'evento è accreditato da Ordini e Collegi professionali di Architetti, Avvocati, Geometri ed Ingegneri. L'iscrizione e la partecipazione (fino ad esaurimento posti) sono gratuiti

Iscrizioni tramite e-mail a euroverona@gmail.com oppure via fax allo 045 4853185.

EVR_Seminario di Studi Urbanistici-Programma2013_Incontro_04_OTT

Secondo Strasburgo se il comune è insolvente paga lo Stato

27 Set 2013
27 Settembre 2013

La condizione di dissesto dell'ente locale coincide con una situazione di crisi finanziaria particolarmente grave. Si tratta della condizione “strutturalmente deficitaria”, di cui all'art. 242, comma 1, del t.u.e.l., che ricorre quando l'ente presenta “gravi e incontrovertibili condizioni di squilibrio”, rilevabili mediante parametri obiettivi risultanti da apposita tabella allegata al certificato sul rendiconto della gestione del penultimo esercizio precedente quello di riferimento. Il t.u.e.l. prevede due possibili presupposti che determinano il dissesto finanziario, infatti, l'art. 244, comma 1, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 recita: “Si ha stato di dissesto finanziario se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all'art. 193, nonché con le modalità di cui all'art. 194 per le fattispecie ivi previste”. Per comprendere in che cosa consistano i presupposti del dissesto si può far ricordare il testo del d.p.r. 24 agosto 1993, n. 378, adottato in esecuzione al decreto legge n. 8 del 1993, nel quale è detto che “il mancato assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili” risulta qualora l'ente, “pur riducendo tutte le spese relative a servizi non indispensabili”, non è in condizione “di assicurare il pareggio economico del bilancio di competenza”, “a causa di elementi strutturali”. La situazione di insolvenza ricorre, invece, allorché l'ente abbia debiti “liquidi ed esigibili” che “non trovino valida copertura finanziaria (…) con mezzi di finanziamento autonomi dell'ente senza compromettere lo svolgimento delle funzioni e dei servizi indispensabili”.

Rilevate tali situazioni, si esclude alcuna discrezionalità nella declaratoria del dissesto dell'ente: il quale, in presenza di dati obiettivi, è obbligato a dichiararla. In presenza di una delle condizioni indicate dall'art. 244, il Consiglio dell'ente è, dunque, tenuto a dichiarare lo stato di dissesto, con delibera irrevocabile, motivata anche con riguardo alla valutazione delle cause dello stato di dissesto. La delibera con cui si dichiara il dissesto, a cui va allegata la relazione dettagliata dell'organo di revisione economico finanziaria che analizza le cause che hanno provocato il dissesto, deve essere trasmessa, entro cinque giorni, al Ministero dell'interno ed alla procura regionale della Corte dei conti ed è poi pubblicata per estratto nella Gazzetta Ufficiale a cura del Ministero dell'interno insieme al decreto del Presidente della Repubblica di nomina dell'organo straordinario di liquidazione. La dichiarazione di dissesto produce tre ordini di effetti:

1)      In primo luogo, risultano interessanti le conseguenze relative agli Amministratori dell’ente locale, le quali sono limitate a quelli che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni da loro prodotti, con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario.

2)       Le conseguenze sui creditori operano fin dall'inizio riguardano i rapporti obbligatori rientranti nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione e consistono nella cristallizzazione dei debiti dell'ente, che non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria, nonché nell'estinzione delle procedure esecutive in corso, con conseguente inefficacia dei pignoramenti eventualmente eseguiti, e nell'impossibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti dell'ente.

3)      La dichiarazione di dissesto ha effetti ,poi, sulla disciplina da applicare alla gestione durante il periodo intercorrente tra tale dichiarazione e l'approvazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. L'ente si trova sottoposto ad una sorta di stato di tutela e la sua autonomia non gode più delle garanzie costituzionali a causa del cattivo uso che è stato fatto di tale autonomia, cosi, le spese sono circoscritte a quelle relative ai servizi ritenuti indispensabili dallo Stato.

Il 24 settembre 2013, la Corte di Strasburgo, sezione seconda ha definito il ricorso nr. 43870/04, stabilendo che, nel caso in cui i Comuni Italiani siano insolventi, sarà lo Stato Italiano a pagare i loro debiti. Nelle sue osservazioni, il Governo ha descritto come il fallimento di un Amministrazione locale viene determinato da una “'Dichiarazione di insolvenza” (Stato di Dissesto), con la necessità di soddisfare e risanare finanziariamente la comunità colpita, al pari essenzialmente alle procedure concorsuali ordinarie ( con tanto di condicio creditorum). Tuttavia, a differenza di una società privata, - proseguiva il Governo - la comunità locale in mora non cessa di esistere e deve continuare a svolgere i suoi compiti istituzionali. Si deve pertanto disporre delle risorse necessarie, perciò il blocco delle funzioni deve essere limitato al periodo antecedente la dichiarazione di insolvenza (cioè i crediti precedenti al 31 dicembre dell'anno precedente la dichiarazione di fallimento) e non si estende alle operazioni finanziarie posteriori.La Corte ritiene, però, che la mancanza di una risorsa comune non può giustificare l’omissione di adempiere agli obblighi di una sentenza definitiva nei proprio confronti (v., mutatis mutandis, Ambruosi v Italia, no. 31227/96, § § 28-34, 19 ottobre 2000 e Burdov, citata sopra, § 41) . La Corte tiene a sottolineare che si tratta, nel caso de quo di un debito di un ente locale, quindi un organo dello Stato, in virtù di una decisione giudiziaria che condannava al pagamento dei danni. Questo aiuta a differenziare questo caso dalla precedente v. Finlandia, citata dal Governo, dove vi era stato lo sviluppo di un credito nei confronti di un individuo, e come il caso Koufari e ADEDY c. Grecia ((decisione), n 57665/12 e 57657/12, § § 31-50, 7 maggio 2013), dove vi era una questione di politica sociale per ridurre una retribuzione ed una pensione.

In conclusione la Corte ha dichiarato:

-          che vi è stata una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n ° 1 alla Convenzione;

-          che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;

-          che non vi è alcuna necessità di esaminare la denuncia ai sensi dell'articolo 13 della Convenzione

-          che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diviene definitiva in conformità con l'articolo , 44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi:. ± 50 000 (50.000 €), più qualsiasi tassa che può essere addebitabile come tassa per il materiale e morale danni, 5 000 EUR (cinquemila euro), più qualsiasi tassa che può essere addebitabile ad imposta da parte del richiedente, costi e spese a partire dalla scadenza del termine fino al versamento, tali somme devono essere versate su un interesse semplice ad un tasso pari al il tasso di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;.

-          rigetta la domanda di equa soddisfazione in applicazione dell'articolo 77 § § 2 e 3 del regolamento.

dott.sa Giada Scuccato

La distanza di cui all’art.9 comma 1 punto 3 del DM 1444/1968 si applica anche quando uno solo dei fabbricati si trovi in zona C

27 Set 2013
27 Settembre 2013

Lo specifica la sentenza del TAR Veneto n. 1105 del 2013,

Scrive il TAR: "3. E’, infatti, infondato anche il secondo motivo alla base del ricorso, nell’ambito del quale si sostiene la violazione dell’art.9 comma 1 punto 3 del DM 1444/1968, nella parte in cui sancisce, per quanto concerne le zone C), la necessità che si rispetti la distanza pari al fabbricato più alto.
3.1 Non è condivisibile, sul punto, l’interpretazione della norma sopra citata posta in essere dalla parte ricorrente, in base alla quale la distanza pari al fabbricato più alto costituirebbe limite da applicare solo qualora entrambi gli edifici si trovino in Z.T.O. "C" e, non, anche nella diversa ipotesi - corrispondente al caso di specie -, in cui uno soltanto dei fabbricati si trovi in zona "C" e l'altro incida, invece, in una zona completamente diversa.
3.2 La semplice lettura della disposizione sopra citata evidenzia come la distanza in questione debba necessariamente riferirsi al caso in cui il fabbricato “erigendo” incida sulla zona C e, ciò, senza che sia possibile desumere dalla norma stessa l’intento del Legislatore di introdurre una qualche differenzazione di disciplina rispetto all’ipotesi attinente al caso di specie. E’ del tutto evidente che considerare ammissibile l’interpretazione di parte ricorrente porterebbe a disciplinare in modo diverso situazioni  analoghe, rendendo ammissibile l’applicazione del diverso limite della distanza dei 10 metri, di cui al punto 2 dello stesso art. 9, nell’ipotesi in cui il fabbricato principale sia situato su un’area diversa da quello da realizzare".

sentenza TAR Veneto 1105 del 2013

E’ legittimo il diniego fondato su ragioni diverse da quelle contenute nel preavviso di diniego di cui all’art. 10 bis, l. n. 241/1990?

26 Set 2013
26 Settembre 2013

Dice di si la sentenza del TAR Veneto n. 1105 del 2013.

Scrive il TAR: "E’ principio ormai consolidato della giurisprudenza (per tutti T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 04-02-2013, n. 336) quello in base al quale “non costituisce apprezzabile violazione procedurale l'ipotesi in cui il preavviso di diniego di cui all'art. 10 bis, l. n. 241/1990 non presenti una delle contestazioni trasfuse, poi, nell'atto impugnato a fondamento del rigetto, ove quest'ultimo sia autonomamente supportato da valide e diverse motivazioni, tali da sostenerlo a prescindere dalla illegittimità delle ragioni in esso trasfuse per la prima volta”.
2.1 Si consideri, ancora, che secondo quanto affermato da un altrettanto recente e costante orientamento (Cons. Stato Sez. IV, 20-02-2013, n. 1056) è necessario adottare un’interpretazione dell’art. 10 bis non formalistica, dovendosi invece avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio subito dalla ricorrente.
2.2 Così è nel caso di specie, laddove il provvedimento di rigetto risulta essenzialmente fondato sulla violazione della distanza minima dei fabbricati, circostanza quest’ultima che risulta dirimente al fine di sancire la legittimità del provvedimento ora impugnato".

sentenza TAR Veneto 1105 del 2013

I consiglieri comunali assenteisti possono anche trovare un TAR benevolo

26 Set 2013
26 Settembre 2013

Segnaliamo sulla questione della decadenza dei consiglieri comunali assenteisti la sentenza del TAR Veneto n. 1131 del 2013, che richiede il rispetto di una procedura molto rigorosa.

Scrive il TAR: "che, inoltre, l’assemblea non ha richiesto nell’immediatezza, ovvero nella seduta successiva, contezza dell’assenza, così alimentando e giustificando l’ambigua prassi della giustificazione automatica delle assenze, formalmente risolta soltanto dopo che il rappresentante comunale aveva cumulato il numero di assenze tali da comportare un sua destituzione dalla carica, carica che, in quanto espressione della volontà dei cittadini del comune resistente poteva e doveva essere revocata, invece, soltanto dopo aver appurato in modo palese ed incontrovertibile la sussistenza di una nolontà del ricorrente nell’espletamento del mandato rappresentativo ed una sua reale disaffezione al ruolo ricoperto.

Tale omissione non può essere superata, ex post, attraverso mere contestazioni formali svolte nei confronti del ricorrente e con la contestuale ingiunzione a giustificare tali assenze.

E’ principio generale dell’ordinamento quello per cui le contestazioni del fatto illecito in genere, devono avvenire in un termine ravvicinato; nel caso di specie la normativa interna prevede la decadenza dalla carica dopo cinque assenze nell’arco dell’anno, mentre l’amministrazione ha atteso che il ricorrente incorresse in nove assenze prima di formulare la relativa contestazione, così da pregiudicare anche la sua difesa.

Il difetto di tale momento di trasparenza e la procrastinazione della contestazione ha, conseguentemente, compromesso la successiva valutazione del comportamento del ricorrente da parte dell’organo comunale in termini di obiettività e trasparenza.

Di contro, il comportamento assunto dallo stesso Ente, proprio alla luce delle esposte considerazioni, si appresta, invece, ad ambigue interpretazioni, non ultime quelle di interessate e soggettive determinazioni estranee ai motivi ed alle ragioni normativamente previste per la decadenza dalla carica dei rappresentati i cittadini.

Per tali motivi il Tribunale annulla il Provvedimento di decadenza adottato nei confronti del ricorrente ed i conseguenti provvedimenti connessi".

sentenza TAR Veneto 1131 del 2013

CIVIT: Indicazioni in ordine alla pubblicazione degli atti di governo del territorio (art. 39 del d.lgs. n. 33/2013)‏

26 Set 2013
26 Settembre 2013

Si informa che il CIVIT, in data 17/09/2013, ha espresso le allegate indicazioni in ordine alla pubblicazione degli atti di governo del territorio (art. 39 del d.lgs. n. 33/2013): "la Commissione ha espresso l’avviso che: le amministrazioni siano tenute a pubblicare gli atti di governo del territorio vigenti, ancorché approvati precedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013. Per gli strumenti adottati successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, la pubblicità degli atti approvati è condizione per l’acquisizione di efficacia degli stessi, secondo quanto previsto dall’art. 39, c. 3, del medesimo decreto".

Parere Civit pubblicazione atti governo territorio_17-09-2013

Il CIVIT è la Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche.

Il suo sito internet è  http://www.civit.it/

SUAP: Linee guida e criteri per l’omogenea redazione della convenzione di cui all’art. 5, comma 3, legge regionale 55/2012 ed adozione schemi di modulistica in attesa di approvazione definitiva

25 Set 2013
25 Settembre 2013

Sul seguente link sono scaricabili le "Linee guida e criteri per l'omogenea redazione della convenzione di cui all'art. 5, comma 3, legge regionale 55/2012 ed adozione schemi di modulistica" adottate dalla Giunta Regionale e all'esame della seconda commissione della Giunta Regionale.

http://web.consiglioveneto.it/commissioni/secondacommissione/allegati/PGR429tp.pdf

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