Tag Archive for: Veneto

Secondo il TAR Brescia il seminterrato ha la vocazione a diventare moschea

06 Giu 2013
6 Giugno 2013

Anche i seminterrati possono avere una loro vocazione, almeno secondo il TAR Brescia. 

La questione nasce in riferimento al divieto di effettuare attività di culto e di preghiera presso un locale seminterrato, emanato da un Comune lombardo  a carico di una associazione culturale islamica.

Il Comune deduceva che il locale, legittimamente adibito a sede dell’associazione ricorrente, sarebbe in fatto utilizzato come sede dedicata di culto islamico (ovvero a moschea), uso per il quale, a differenza che per la sede di una associazione, sarebbe richiesto il permesso di costruire, ai sensi dell’art. 52 comma 3 ter della l.r. Lombardia 12/2005, nella specie mancante.

Secondo il TAR Lombardia, sede Brescia, sentenza n. 522 del 29 maggio 2013, però “il Comune è senz’altro titolare dell’astratto potere di sanzionare l’uso di un locale difforme dalla destinazione, ma che nel caso di specie l’uso difforme non può essere identificato con il mero fatto che nel locale si svolga la preghiera, del venerdì o di altra ricorrenza. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza già richiamata e che qui si riproduce –in tal senso C.d.S., sez. IV, 28 gennaio 2011, n°683- e dalla prassi, che pure si torna a citare – in tal senso il parere al Ministero dell’Interno espresso il 27 gennaio 2011 dal Comitato per l’Islam italiano- per ravvisare la presenza di una moschea in senso rilevante per le norme edilizie e urbanistiche sono necessari due requisiti, l’uno intrinseco, dato dalla presenza di determinati arredi e paramenti sacri, l’altro estrinseco, dato dal dover accogliere “tutti coloro che vogliano pacificamente accostarsi alle pratiche cultuali o alle attività in essi svolte” e “consentire la pratica del culto a tutti i fedeli di religione islamica, uomini e donne, di qualsiasi scuola giuridica, derivazione sunnita o sciita, o nazionalità essi siano”(così il parere stesso)”.

Il Collegio continua scrivendo che: “una chiesa consacrata nei termini della religione cattolica, e anche di altri culti, può esistere anche all’interno di una proprietà privata -come nel caso delle cappelle gentilizie, di conventi o di istituti, dove è ben possibile dir regolarmente Messa- ma non assume rilievo urbanistico edilizio sin quando non permetta il libero accesso dei fedeli. Pertanto, l’uso incompatibile potrebbe verificarsi nel caso in cui l’accesso per la libera attività di preghiera fosse non riservato ai membri dell’associazione, ma indiscriminato, perché è in quest’ultimo caso che si verifica l’aumento di carico urbanistico da valutare in sede di rilascio del permesso di costruire, fermo che ciò dovrebbe essere in concreto accertato dall’autorità, attraverso una corretta e completa istruttoria.”

Se da un punto di vista formale il ragionamento del Collegio non incontra ostacoli, nella sostanza però a me sembra che vi sia una differenza essenziale tra le chiese (cattoliche o islamiche) nate come chiese e le moschee sorte come nel caso di specie. Da decenni, le chiese, gli istituti, i conventi citati nella sentenza sorgono, anche, su terreni privati, ma nascono con lo specifico scopo e la destinazione d’uso propria degli istituti di culto

Diversamente, le moschee “improvvisate” di cui al caso di specie, non nascono come luoghi di culto in senso stretto, ma vengono adibite all’interno di luoghi più o meno consoni allo scopo religioso. A volte sono seminterrati di magazzini riadattati a luogo di culto (si ricorda il caso di Legnano ove la Giunta ha ordinato la chiusura del centro anche per motivi di sicurezza, scelta poi appoggiata dal Tar), altre volte sono case private (come nel caso di Giussano ove il Consiglio di Stato ha ritenuto che le attività svolte all’interno di un centro di culto islamico sono equiparabili ad una moschea e per questo necessitano di concessioni e autorizzazioni, permessi che garantiscono di avere i servizi per garantire l’ordine pubblico, come parcheggi per non creare problemi ai residenti della zona).

dott.sa Giada Scuccato

sentenza TAR Brescia 522 del 2013

 

Il T.A.R. Veneto solleva la questione di legittimità costituzionale delle norma statale che attribuiscono al Comune il potere di istituire e localizzare le nuove farmacie

06 Giu 2013
6 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nell’ordinanza n. 713 del 17 maggio 2013, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, c. 1, secondo periodo della legge n. 475 del 1968, nel testo introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11 del D.L. n. 1 del 2012, come convertito dalla legge n. 27 del 2012, e la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, c. 2, del D. L. n. 1 del 2012 come convertito dalla legge n. 27 del 2012, per contrasto con il principio di sussidiarietà verticale e di libertà d’iniziativa economica di cui agli artt. 41, 97 e 118 Cost., in quanto verrebbe illegittimamente attribuita al Comune la competenza per l’istituzione e la localizzazione delle nuove sedi farmaceutiche.

In particolare il T.A.R. afferma che: “Il collegio ritiene che non sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 (secondo periodo del primo comma) della legge n° 475 del 1968, nel testo introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012. come convertito dalla legge n° 27 del 2012 e la questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012. come convertito dalla legge n° 27 del 2012.

Tali articoli hanno introdotto il nuovo potere del comune di identificare le zone nelle quali collocare le nuove farmacie, in modo che sia assicurato il rapporto, stabilito dal secondo comma dell’art. 1 della legge n° 475 del 1968 (nel testo introdotto dall’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012 convertito dalla legge n° 27 del 2012) di una farmacia ogni 3.300 abitanti.

Tale potere comunale, introdotto dall’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012, ha abrogato le disposizioni che prevedevano la formazione e la revisione periodica delle piante organiche comunali delle farmacie ad opera di un’autorità sovracomunale (così Consiglio di Stato III n° 1858 del 2013).

In particolare nella regione Veneto è stato abrogato, per effetto dell’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012, l’art. 14 della legge regionale n° 78 del 1980 nella parte in cui attribuisce alla giunta regionale le funzioni amministrative concernenti la formazione e la revisione della pianta organica delle farmacie.

L’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012 ha attribuito ai comuni un potere di regolazione del settore farmaceutico in ambito comunale.

Tale potere regolatorio è caratterizzato da un ampio margine di discrezionalità.

Sotto tale profilo non appare idoneo a delimitare la discrezionalità il parametro numerico (contenuto nel secondo comma dell’art. 1 della legge n° 475 del 1968) di una farmacia ogni 3.300 abitanti, perché tale parametro numerico non è riferito alla popolazione di ciascuna zona nella quale deve essere collocata una farmacia, ma al rapporto tra il numero totale delle farmacie da collocare nel territorio comunale ed il numero totale degli abitanti del comune. Tale profilo è reso infatti evidente dal primo periodo del primo comma dell’art. 2 della legge n° 475 del 1968, secondo cui non ogni singola zona, ma ogni comune, nel suo complesso, deve avere un numero di farmacie in rapporto a quanto disposto dall’art. 1 (ossia una farmacia ogni 3.300 abitanti).

L’art. 2 della legge n° 475 del 1968 stabilisce che il potere di zonizzazione attribuito al comune è vincolato ai seguenti scopi:

- assicurare un’equa distribuzione sul territorio;

- garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate.

Tali obiettivi, pur vincolanti, tuttavia non sono idonei ad assicurare un’imparziale zonizzazione delle farmacie, perché il comune ha comunque la facoltà di identificare zone, ciascuna con popolazione diversa (pur nel rispetto del parametro medio di una farmacia ogni 3.300 abitanti), in modo che restino favoriti i titolari delle farmacie per le cui zone è stato previsto un maggior numero di abitanti e dunque un più ampio bacino d’utenza.

Si deve al riguardo inoltre ed a maggior ragione considerare che la titolarità delle farmacie può essere stata assunta dal comune, così come effettivamente è avvenuto nel comune di Treviso.

La circostanza che il comune abbia assunto la titolarità di farmacie può indurre il comune stesso a disegnare la zonizzazione comunale delle farmacie in modo tale da favorire le farmacie comunali, assicurando alle stesse un bacino d’utenza maggiore rispetto alle farmacie non comunali. In tal caso non si ha solo una disciplina inidonea ad assicurare un esercizio imparziale del potere regolatorio di zonizzazione, ma un vero e proprio conflitto d’interessi precedente all’esercizio del potere regolatorio.

I limiti posti dal legislatore all’esercizio della discrezionalità, anche considerando i pareri non vincolanti che devono essere richiesti nel procedimento, non sono sotto tale profilo idonei ad assicurare il perseguimento del carattere di imparzialità del potere regolatorio.

Il conflitto d’interessi sussiste anche quando, come nel caso di specie, il comune sia socio minoritario di una società di gestione del servizio farmaceutico. Infatti anche in tal caso il minore o maggiore fatturato della farmacia determina un minore o maggiore beneficio economico a favore del comune, essendo anche il socio comune beneficiario degli utili d’impresa e dell’eventuale aumento di valore che l’azienda presentasse nel corso dell’esercizio”.

dott. Matteo Acquasaliente

 TAR Veneto ordinanza n. 713 del 2013

Regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici in vigore dal 4-6-2013‏

06 Giu 2013
6 Giugno 2013

Sulla GU n.129 del 4-6-2013 è stato pubblicato il DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 16 aprile 2013, n. 62 "Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. (13G00104)".

Il regolamento entra in vigore il 4-6-2013.

Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici

Come si misurano le aree destinate a parcheggio?

05 Giu 2013
5 Giugno 2013

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 28 maggio 2013 n. 2916, si occupa della delimitazione degli spazi adibiti a parcheggi confermando il ragionamento del giudice di prime cure, ossia che per delimitare tali zone bisogna escludere le aree di accesso e di manovra, detrarre le porzioni che non sono utilizzabili per la loro forma, per le ridotte dimensioni ovvero per il loro difficile accesso.

In particolare il Consiglio di Stato esclude che possa avere valore normativo la circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 3210 del 28 ottobre 1967 - applicativa dell’art. 41 sexies della legge n. 1150/1942 - secondo cui gli spazi per parcheggi devono intendersi “gli spazi necessari tanto alla sosta quanto alla manovra ed all’accesso dei veicoli”, e che gli spazi per parcheggi devono essere previsti considerando non solo il dato “quantitativo” e dimensionale, ma anche il dato funzionale dell’area, in applicazione dell’art. 18 della legge 765/1967 secondo cui: “nelle nuove costruzioni ed anche nelle arre di pertinenza delle costruzione stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni  10 metri cubi di costruzioni”.

Invero nella sentenza si legge che: “In disparte lo studio del Consiglio nazionale del notariato, che ha un interesse dottrinario, ma non ha alcun valore normativo (ed è anche abbastanza fonte di perplessità il fatto che esso sia stato esibito in giudizio), va escluso parimenti che possa avere tale valore la circolare ministeriale (che, peraltro, in argomento si esprime in maniera molto netta, affermando che per spazi per parcheggi devono intendersi “gli spazi necessari tanto alla sosta quanto alla manovra ed all'accesso dei veicoli”), atteso che è pacifico in giurisprudenza che le circolari amministrative, in quanto atti di indirizzo interpretativo, non sono vincolanti per i soggetti estranei all'amministrazione, mentre per gli organi destinatari esse sono vincolanti solo se legittime, e ciò in quanto le circolari amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici periferici ovvero sottordinati, e non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all'amministrazione, ben potendo quindi essere disapplicate anche d'ufficio dal giudice investito dell'impugnazione dell'atto che ne fa applicazione (Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010 n. 7521; id., sez. IV, 21 giugno 2010, n. 3877).

L’unico elemento di valore normativo è quindi quello contenuto nella legge urbanistica, che tuttavia al citato art. 41 sexies prevede unicamente il quantum e la finalità di tali spazi, senza precisare il modus del calcolo delle aree. Si legge, infatti, nel citato articolo, come aggiunto dall’articolo 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 e successivamente sostituito dall’articolo 2 della legge 24 marzo 1989, n. 122:

“Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione”.

Se quindi non si rinviene nell’ordinamento un elemento cogente che possa permettere la scelta in favore di un’interpretazione piuttosto che di un'altra, esistono invero più decisioni di questo Consiglio che hanno sottolineato l’esistenza di uno stretto collegamento tra, da un lato, gli obblighi normativi che impongono la predisposizione di aree a servizio dei manufatti realizzati e, dall’altro, la concreta possibilità di fruizione di tali spazi. Si è così delineata una lettura orientata in senso teleologico delle disposizioni di tutela, specialmente in materia di standard urbanistici.

In tale ratio, si collocano decisioni che hanno negato la sufficienza di un parcheggio collocato in area non fruibile (e dove la fruibilità era collegata non a valutazioni normative ma fattuali, poiché il “terreno pertinenziale destinato a parcheggio deve ragionevolmente intendersi come condizione necessaria per la migliore fruizione del parcheggio medesimo da parte di tutti coloro che intendono comodamente accedervi con i propri mezzi di locomozione per poi uscire con i relativi acquisti più o meno ingombranti e/o pesanti da collocare su tali mezzi”, Consiglio di Stato, sez. V, 25 giugno 2010 n. 4059); oppure decisioni che hanno evidenziato i pericoli legati alla smaterializzazione degli standard (evidenziando come “la monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della qualità di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area”, Consiglio di Stato, sez. IV, 4 febbraio 2013 n. 644).

È pertanto sulla scorta di questa interpretazione della disciplina vigente che deve ritenersi fondata la decisione del giudice di prime cure, e quindi non per un’improbabile compatibilità con la circolare dell’allora Ministero dei Lavori Pubblici 28 ottobre 1967, n. 3210, come evidenziato dal T.A.R., quanto per la stretta connessione della sentenza con la ratio della legge, ratio che risulterebbe invece violata qualora la norma fosse intesa in senso meramente quantitativo, come voluto dalle parti appellanti.

Infatti, qualora si potessero individuare gli standard costruttivi in ragione del solo dato dimensionale, verrebbe conseguentemente posto in ombra il dato funzionale, ossia la destinazione concreta dell’area, come voluta dal legislatore. Soddisfacendo gli standard con la messa a disposizione di aree non utilizzabili in concreto (ossia, seguendo l’indicazione del T.A.R., utilizzando “le porzioni che non sono utilizzabili, per forma o per le ridotte dimensioni, ovvero perché eccedenti un posto macchina standard ma insufficienti per realizzarne un altro, ovvero infine per il difficile accesso”), la norma di garanzia verrebbe frustrata, atteso che il citato art. 41 sexsies della legge urbanistica non contempla un nudo dato quantitativo, ma un dato mirato ad uno scopo esplicito, atteso che essa impone dapprima la riserva di “appositi spazi per parcheggi”, provvedendo poi a quantificarla “in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione”.

dott. Matteo Acquasaliente

Consiglio di Stato n. 2916 del 2013

 

Le imprese non possono presentare varianti progettuali diverse da quelle previste dalla lex specialis

05 Giu 2013
5 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 28 maggio 2013 n. 777, dichiara che l’impresa deve essere esclusa dalla gara laddove presenti delle varianti progettuali non contemplate dalla lex specialis: “Ad avviso del Collegio siffatta previsione, ancorché non sia stata espressamente presidiata dalla sanzione dell’esclusione dalla gara, deve comunque essere intesa, sul piano logico-formale, nel senso che la proposizione di varianti non tassativamente contemplate nell’elenco predisposto dalla stazione appaltante debba necessariamente comportare l’esclusione dalla competizione del concorrente che non si sia uniformata alle prescrizioni contenute nel bando.

Sarebbe, infatti, inutiliter data l’espressa elencazione nel disciplinare di gara delle varianti proponibili, se in caso di presentazione di varianti diverse da quelle contemplate nella lex specialis la commissione non escludesse l’impresa che le abbia proposte, e ciò per la decisiva considerazione che è stata la stessa stazione appaltante ad autovincolarsi valutando ex ante che l’opera sia realizzata con le precise caratteristiche definite in sede di progettazione esecutiva (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 25 settembre 2008, n. 2090).

Ed invero, ammettere che la commissione possa derogare ex post a quanto stabilito nel bando e nel disciplinare di gara, equivarrebbe a consentire un’inammissibile violazione del principio dell’affidamento e della par condicio, avuto riguardo ai concorrenti che invece si sono attenuti alle prescrizioni del bando formulando un’offerta conforme alle previsioni del progetto esecutivo (ex multis, T.A.R. Piemonte, sez. I, 16 novembre 2009, n. 2553)”.

Di conseguenza: “Alla luce delle richiamate coordinate giurisprudenziali tale soluzione progettuale avrebbe dovuto essere sanzionata con l’esclusione dalla gara dell’offerta vincitrice in considerazione del fatto che, oltre a determinare una diversa e inammissibile configurazione dei ponti facenti parte dell’opera viaria in questione, ha consentito una cospicua riduzione delle quantità di acciaio (circa 200.000,00 Kg) previste dal progetto esecutivo predisposto dalla stazione appaltante permettendo così alla società controinteressata di giovarsi di una artificiosa riduzione dei costi, e di alterare l’esito della procedura in violazione del richiamato principio di par condicio dei partecipanti alla selezione (cfr. Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2010, n. 743; Cons. St., sez. V, 11 luglio 2008, n. 3481)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 777 del 2013

Il segretario comunale responsabile anticorruzione è incompatibile con la carica di responsabile disciplinare

05 Giu 2013
5 Giugno 2013

La legge anticorruzione (n. 190 del 6 novembre 2012, in G. U. 13 novembre 2012, entrata in vigore il 28 novembre 2012) entra nel nostro ordinamento con l’obiettivo di la prevenire e la reprimere il fenomeno della corruzione attraverso un approccio multidisciplinare, nel quale gli strumenti sanzionatori si configurano solamente come alcuni dei fattori per la lotta alla corruzione e all’illegalità nell’azione amministrativa. In specifico si pongono a sostegno del provvedimento legislativo motivazioni di trasparenza e controllo proveniente dai cittadini e di adeguamento dell’ordinamento giuridico italiano agli standards internazionali. La relazione illustrativa precisa come la corruzione porti danni alla credibilità che si traducono in danni di ordine economico, dal momento che disincentiva gli investimenti anche stranieri, frenando di conseguenza lo sviluppo economico.

Tale norma prevede un sistema nazionale anticorruzione strutturato con al vertice l'Autorità nazionale anticorruzione e formato, poi, da una serie di organi fra loro coordinati, con vari compiti e responsabilità in grado di svolgere attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.

Un ruolo centrale è affidato dalla legge al Dipartimento della funzione pubblica, mentre, nelle pubbliche amministrazioni statali dovrà essere individuato, di norma tra i 2 dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio, il responsabile della prevenzione della corruzione. Negli enti locali, il responsabile della prevenzione della corruzione è individuato, di norma, nel segretario, salvo diversa e motivata determinazione (art. 1, comma 7).

Riguardo ai compiti che la legge attribuisce al responsabile della prevenzione della corruzione si impongono da subito almeno un paio di considerazioni. Su  proposta del  responsabile entro il 31 gennaio di ogni anno, l’Ente Locale “adotta il piano triennale di prevenzione della corruzione, curandone la trasmissione al Dipartimento della funzione pubblica. L'attività di elaborazione  del  piano  non  può essere affidata a soggetti estranei  all'amministrazione. Il  responsabile, entro lo stesso termine, definisce procedure appropriate per selezionare e formare, ai sensi del comma 10, i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione. Le attività a rischio di corruzione devono essere svolte, ove possibile, dal personale di cui al comma 11. La mancata predisposizione del piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione e la formazione dei dipendenti costituiscono  elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale”.

Al comma 10 dello stesso articolo 1 si legge: “Il responsabile individuato ai sensi del comma 7 provvede anche: a) alla verifica dell'efficace attuazione del piano e della sua idoneità, nonché a proporre la modifica dello stesso quando sono accertate significative violazioni delle prescrizioni ovvero  quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività dell'amministrazione; b) alla verifica, d'intesa con il dirigente competente, dell'effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito e' piu' elevato il rischio che siano commessi

reati di corruzione; c) ad individuare il  personale  da  inserire nei programmi di formazione di cui al comma 11”.

Alla CIVIT (Commissione Indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche) viene posto un primo quesito sul ruolo del segretario comunale:

“a) essendovi un unico Segretario comunale per più Comuni di ridotte dimensioni, questi debba svolgere l’incarico di responsabile per la prevenzione della corruzione in tutti i suddetti Comuni;

b) il suddetto incarico possa essere svolto, solo per alcuni dei Comuni, da un altro funzionario, non essendovi dirigenti di ruolo di prima fascia, ma titolari di posizioni organizzativa, categoria D, equiparati ai dirigenti dell’art. 109 TUEL;

c) soltanto tale incarico possa essere ricoperto da un soggetto esterno all’ente”.

Risposta:

“La Commissione ha espresso l’avviso che:

a) atteso che la funzione di Segretario generale può essere svolta in più comuni di ridotte dimensioni, allo stesso modo il medesimo Segretario può rivestire anche l’incarico di responsabile per la prevenzione della corruzione negli stessi comuni;

b) laddove ricorrano effettivamente valide ragioni, da indicare analiticamente nel provvedimento di nomina, l’incarico può essere conferito ad altro funzionario. Al riguardo, si deve considerare ha considerato, infatti, che l’art. 1, comma 7, della L. n. 190/2012 prevede che l’organo di indirizzo politico individua, di norma, tra i dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio il responsabile per la prevenzione della corruzione e che, negli enti locali, quest’ultimo è individuato, di norma, nel segretario, salva diversa e motivata determinazione; allo stesso fine, si deve tener conto che nella Circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 1/2013 si sottolinea come la legge non contenga una regola rigida, ma un criterio di preferenza;

c) che l’incarico di responsabile della prevenzione per la corruzione non può essere conferito ad un soggetto esterno all’ente.”

Un secondo quesito, posto sempre nel marzo 2013, recitava:  “se il Segretario comunale, quale responsabile per la prevenzione della corruzione e, al tempo stesso, responsabile dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, versi in situazioni di conflitto di interesse o di incompatibilità.”

Risposta:

“La Commissione ha espresso l’avviso che, anche alla luce di quanto previsto dalla circolare n.1/2013 del Dipartimento della Funzione pubblica, il responsabile della prevenzione della corruzione non può rivestire contemporaneamente il ruolo di responsabile dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, versandosi in tale ipotesi in una situazione di potenziale conflitto di interessi.”

dott.sa Giada Scuccato

CIVIT: Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2013-2015 – pubblicazioni nella sezione trasparenza

05 Giu 2013
5 Giugno 2013

Allegato 1 – lista obblighi di pubblicazione

Allegato 1.1 – nota esplicativa obblighi

Allegato 2 – documento tecnico

Allegato 3 – scheda programma portale

Allegato 4 – monitoraggio OIV avvio ciclo

Allegato 5 – calendario

File zip

Le slides del dott. Rimsky Valvassori sul PAI

04 Giu 2013
4 Giugno 2013

Pubblichiamo le slides del geologo dott. Rimsky Valvassori sul PAI, illustrate durante il convegno del 31 maggio 2013.

I video registrati verranno pubblicati non appena disponibili.

Valvassori-VenetoIus-mag2013_xpdf

Le slides dell’avv. Stefano Bigolaro su trasparenza e pubblicazioni obbligatorie

04 Giu 2013
4 Giugno 2013

Pubblichiamo le slides dell'avv. Stefano Bigolaro sul tema della trasparenza e delle puibblicazioni obbligatorie, illustrate durante il convegno del 31 maggio 2013.

I video registrati verranno pubblicati non appena disponibili.

Trasparenza e pubblicazione obbligatoria

E’ illegittimo il provvedimento in materia paesaggistica emesso dal Responsabile dell’edilizia senza la differenziazione delle funzioni

04 Giu 2013
4 Giugno 2013

Lo specifica la stessa sentenza del TAR Veneto n. 619 del 2013, già allegata al post che precede.

Scrive il TAR: "5. Pur considerando dirimente l’accoglimento dell’eccezione sopra citata va rilevato che il provvedimento impugnato è stato adottato senza rispettare il principio di differenziazione tra l’attività della tutela paesaggistica e l’esercizio delle funzioni amministrative in materia urbanistica-edilizia e, ciò, in violazione delle prescrizioni contenute dalla Delibera di Giunta Regionale n. 835/2010.

5.1 Il provvedimento di cui diniego del nulla osta paesaggistico è stato assunto, infatti, dal Dirigente dell’Area Tecnica del Comune di Sedico al quale competono le funzioni inerenti l’urbanistica, i lavori pubblici, la manutenzione delle infrastrutture e degli edifici, la gestione dell’ecocentro e, in generale, tutte quelle funzioni che inerenti al governo del territorio".

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC