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Il piano casa deroga anche alla previsione urbanistica a verde privato

10 Lug 2014
10 Luglio 2014

Un soggetto aveva  presentato al Comune una istanza ai sensi della legge regionale n. 13/2011 (secondo Piano casa), al fine di ottenere il permesso di costruire, in ampliamento della propria casa di abitazione, un ulteriore appartamento da destinare a sua volta ad abitazione, ampliamento che sarebbe stato realizzato sull’area contermine, avente destinazione urbanistica F5 – Verde privato. Il Comune, dopo aver richiesto una serie di integrazioni documentali (debitamente eseguite dall’interessata), ha opposto il diniego, rilevando l’inaccoglibilità della richiesta in quanto la prima casa di  abitazione ricade in ZTO C1S/19 e l’ampliamento della stessa sarebbe avvenuto in un ambito, classificato come ZTO F5 (verde privato), nel quale è vietato ogni intervento, così concretando (sempre secondo il Comune) l’ipotesi di cui al l’art. 9, comma q), lettera c) della legge regionale n. 14/2009 e smi.  Secondo il Comune, la previsione urbanistica relativa all’area sulla quale sarebbe stato previsto l’ampliamento della prima casa di abitazione, darebbe luogo ad una particolare disciplina di protezione che, impedendo ogni intervento costruttivo – sia ex novo che in ampliamento – non renderebbe possibile nella specie l’applicazione della normativa regionale sul Piano Casa.

Il TAR Veneto, con la sentenza n. 877 ha, però, accolto il ricorso, smentendo la tesi del Comune.

Scrive il TAR: "Invero, non possono in alcun modo essere condivise le argomentazioni difensive svolte dall’amministrazione comunale, che pretende di far assurgere a vincolo di sostanziale protezione, così come richiamato dall’art,. 9, comma q), lettera c) della legge regionale, la sola previsione urbanistica dettata per l’area de qua delle vigenti n.t.a (art. 24). Infatti, detta previsione ha il solo valore di indicare per l’area de qua una determinata previsione urbanistica, assegnandole la relativa classificazione, ma detta previsione assume portata generale, come tale derogabile ai sensi e per gli effetti della normativa regionale sul Piano Casa, la quale, come noto, favorisce gli interventi di ampliamento della prima abitazione, anche in deroga alle previsioni contenute negli strumenti urbanistici comunali.  L’invocato regime di protezione non può quindi essere individuato nel caso di specie, tenuto conto altresì del costante insegnamento che individua tale eventualità con riferimento a singoli edifici, soggetti a specifici gradi di protezione in ragione del loro particolare pregio ovvero, sulla base di espressa e motivata previsione, con riferimento ad ambiti dotati di particolare pregio (ad esempio, sotto il profilo storico o paesaggistico). Poiché dette particolari condizioni non sussistono nel caso di specie, così come peraltro confermato dalla stessa amministrazione comunale, la quale con la delibera consiliare n. 50 del 29.11.2011 (mai revocata sul punto), ha espressamente ritenuto di escludere dagli interventi eseguibili in applicazione della normativa sul Piano Casa le zone F, eccezion fatta per le zone F5, risulta evidente l’illegittimità del diniego opposto. Né può valere l’assunto difensivo di parte resistente che – invocando il punto 1 della lettera A) dell’allegato alla delibera C.C. n. 50/2011 – intende escludere l’applicazione delle disposizioni ivi dettate alle prime case di abitazione, tenuto conto del fatto che comunque troverebbe applicazione, così come ivi parimenti disposto, la disciplina di cui alla L.r. 14/2009 e quindi dei medesimi principi sopra richiamati. Da ultimo, va altresì osservato come il richiamo alla diversa ipotesi di cui alla lettera d) del medesimo art.9, non solo non risulta conferente (non trattandosi di un vincolo di inedificabilità ai sensi dell’art. 33 della legge 47/85), ma soprattutto trattasi di un profilo che non è stato indicato a fondamento del diniego opposto e che, pertanto, costituisce un’inammissibile integrazione della motivazione". 

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 877 del 2014

La circolare sul piano casa approvata dalla 2^ Commissione Consiliare (molto diversa dalla precedente)

04 Lug 2014
4 Luglio 2014
In data 2 luglio 2014 la II Commissione Consiliare ha approvato il testo della circolare sul piano casa, molto diverso da quelli precedenti (che dovrà essere poi recepita con DGRV).
 
Il testo è reperibile al seguente link:
 

Classificazione delle strutture ricettive alberghiere

16 Giu 2014
16 Giugno 2014

Sul Bur n. 59 del 13/06/2014 è stata pubblicata la DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE n. 807 del 27 maggio 2014
Classificazione delle strutture ricettive alberghiere. Nuova disciplina per le procedure, la documentazione e i
requisiti di attribuzione del livello e categoria ai sensi degli articoli 29, 31, 32, 33 e 34 della legge regionale 14 giugno
2013, n. 11 "Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto".Deliberazione n.10/CR dell'11 febbraio 2014.

La delibera provvede a definire il quadro complessivo dei requisiti strutturali e di servizio per la classificazione delle strutture ricettive alberghiere in seguito a quanto stabilito dalla nuova legge regionale n. 11/2013, in materia di turismo.

DGRV_807_2014-Classificazione strutture alberghiere

NB: dalla data di pubblicazione nel BUR del presente provvedimento, sono abrogate - ai sensi dell'articolo 51, comma 3, della legge regionale n. 11/2013 - le seguenti disposizioni della legge regionale n. 33/2002 limitatamente alle strutture ricettive alberghiere:

-      l'articolo 4, comma 1, lettera e) limitatamente al numero 41;

-      gli articoli 22, 23, 24, nonché gli articoli da 32 a 43;

-      gli allegati contraddistinti con le lettere da B a E;

-      gli allegati H, I e Q.

Il TAR Veneto continua a ribadire che il piano casa deroga alla distanza dai confini

30 Mag 2014
30 Maggio 2014

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 589 del 2014, che riconferma la sua giurisprudenza, secondo la quale il piano casa deroga alla distanza dai confini.

La fattispecie esaminata riguarda il secondo piano casa, in presenza di una deliberazione consiliare che imponeva il rispetto delle distanze dai confini anche per la prima casa di abitazione.

sentenza TAR Veneto 589 del 2014

La Corte dei Conti del Veneto sui compensi per il piano degli interventi

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Pubblichiamo  il parere della Corte dei Conti del Veneto sulla applicazione dei compensi per gli atti di pianificazione, ai sensi dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n.163/2006. La Corte esamina il collegamento tra l'atto di pianificazione e la successiva realizzazione dell'opera pubblica.

Dati Deliberazione

: SRCVEN/319/2014/PAR
: 2102-19/05/2014-SRCVEN
: Sezione Controllo Regione Veneto
: Attivita' consultiva ai sensi dell'art. 7, co. 8, l. 131/2003 (pareri)
:
: 29/04/2014
: 14/05/2014
: IAFOLLA CLAUDIO
 
: Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla applicazione dei compensi per atti di pianificazione ai sensi dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n.163/2006 e, in particolare, se la redazione di un Piano degli Interventi con il recupero e la valorizzazione delle aree a vincolo decaduto e delle aree di trasformazione delle frazioni possa rientrare nel novero degli atti di pianificazione comunque denominati previsti dalla norma; e se l'incentivo possa essere corrisposto oltre che ai dipendenti in possesso delle specifiche competenze tecniche professionali, anche a dipendenti che partecipino alla redazione del piano a vario titolo (urbanisti, avvocati, agronomi, geologi, informatici, geometri, periti, disegnatori).
geom. Daniele Iselle
 
 

TAR Veneto:come si interpreta la norma del PTRC in materia di salvaguardia dell’Architettura del 900

26 Mag 2014
26 Maggio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 704 del 2014. 

Scrive il TAR: "....Preliminarmente ritiene il Collegio che sia fondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso formulata dalla difesa della Regione.

In particolare, la disciplina normativa delle “Architetture del Novecento”, fra le quali viene elencata la “Manifattura Tabacchi”, è contenuta nell’art. 62 delle n.t.a. del PTRC, il cui comma 3, per quanto qui interessa, stabilisce che: “I Comuni in sede di redazione dei propri strumenti di pianificazione provvedono ad implementare l’elenco (degli edifici e sistemi del Novecento) mediante un tavolo di concertazione a regia regionale nonché ad attivare specifiche e differenziate politiche locali di salvaguardia, valorizzazione e recupero, che valorizzino gli elementi architettonici, gli apparati decorativi e i caratteri insediativi”. Mentre al successivo comma 4 si adotta una misura di salvaguardia del seguente tenore: “fino all’adeguamento degli strumenti di pianificazione comunale per gli edifici e sistemi di cui al comma 1, fatti salvi quelli già disciplinati con finalità di salvaguardia dalla vigente pianificazione comunale, è vietata la demolizione e l’alterazione significativa dei valori architettonici, costruttivi e tipologici”.

Ciò premesso, la difesa della Regione ha correttamente osservato che tale ultima norma (comma 4), diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non pregiudica, di per sé, la realizzazione dei progetti di recupero e valorizzazione già previsti dagli strumenti di pianificazione comunale, in quanto tali progetti siano finalizzati alla tutela e alla salvaguardia degli edifici rientranti nelle “Architetture del Novecento”.

Ed infatti, ha evidenziato la resistente, l’individuazione, da parte della Regione, in sede di variante al PTRC, degli edifici e/o sistemi di edifici rientranti nelle “Architetture del Novecento”, è diretta ad identificare manufatti rilevanti per la ricchezza di relazioni che instaurano con i loro contesti, per il rapporto con il territorio, potendo comprendere sia fabbricati sottoposti a vincolo monumentale o urbanistico, da tutelare, recuperare e conservare, sia fabbricati privi di valore storico-architettonico e quindi da considerare anche ai fini di una possibile demolizione in funzione della salvaguardia, valorizzazione e riconversione dell’intero complesso individuato.

Di qui, in ragione della mancanza di una lesione attuale degli interessi della ricorrente, la dedotta inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse.

Ed invero le osservazioni della difesa regionale appena riportate, e la valutazione, anticipata da questo Collegio nell’ordinanza cautelare, per cui le previsioni del piano relative alle “Architetture del 900” abbiano caratteri di generalità ed astrattezza, trovano conferma in alcuni passaggi della relazione illustrativa di cui all’allegato B della delibera n. 427 del 10 aprile 2013.

Infatti, da tale relazione ne emerge che lo scopo della variante, con riferimento alle “Architetture del 900”, è quella d’individuare solo delle linee generali per la salvaguardia e la valorizzazione di alcuni manufatti del Novecento, manufatti fino ad ora sprovvisti di alcuna tutela specifica, sebbene dotati di un certo valore storico e architettonico che si vuole ora riconoscere. In particolare, in tale relazione si sottolinea più volte che l’obiettivo del progetto non è quello di tutelare singoli elementi di pregio architettonico e urbanistico, ma di mirare “al riconoscimento del ruolo da essi rivestito nel conferire qualità e identità al territorio veneto contemporaneo”. Quindi tali manufatti e sistemi di edifici sono tutelati non tanto per il loro pregio intrinseco, quanto “per la ricchezza di relazioni che instaurano con i loro contesti”, ed in quanto, nel loro complesso o nell’interrelazione con il territorio, generano “veri e propri nuovi paesaggi”.

Ancora si evidenzia nella relazione illustrativa che “l’insieme delle schedature realizzate costituisce non un punto di arrivo ma piuttosto un punto di partenza. Questa prima selezione di manufatti andrà infatti integrata dagli enti locali territoriali, che potranno fare ulteriori segnalazioni e proporre politiche articolate mirate alla salvaguardia e valorizzazione”. Inoltre, anche la pianificazione paesaggistica regionale d’Ambito “sarà l’occasione per una definizione maggiormente dettagliata dei progetti individuati”.

D’altro canto, si è detto, come nel comma 3 dell’art. 62 delle n.t.a. del PTRC, si rimetta ai Comuni il compito di “attivare specifiche e differenziate politiche locali di salvaguardia, valorizzazione e recupero di tali manufatti”.

Pertanto, applicando tali concetti e tali previsioni normative alla fattispecie in esame, ne deriva che:

a) il complesso industriale della “Manifattura Tabacchi” non è oggetto, da parte della delibera impugnata, di una diretta e specifica disciplina delle forme di tutela, valorizzazione e riqualificazione, rientrando, invece, nell’ambito di un progetto, non ancora definito, di tutela del patrimonio novecentesco, al quale sono chiamati a partecipare, sin dalla fase formativa, anche i Comuni; ed essendo, poi, la modulazione delle concrete politiche di salvaguardia e valorizzazione e la definizione di progetti maggiormente dettagliati, rimessa alla discrezionalità di quest’ultimi o dei Piani Paesaggistici d’Ambito;

b) in ogni caso, oggetto di tale tutela non sono individualmente i singoli edifici che compongono la “Manifattura Tabacchi”, ed i magazzini di stoccaggio in particolare, ma questa genericamente nel suo insieme, per la sua capacità di conferire “qualità e identità al territorio veneto contemporaneo”, e di interagire con il contesto urbano di riferimento, generando un “nuovo paesaggio”.

Coerentemente con tale assetto normativo e progettuale, la misura di salvaguardia di cui al comma 4 dell’art. 62 delle n.t.a. della delibera impugnata, a differenza delle tipiche misure di salvaguardia urbanistiche, vieta la demolizione e l’alterazione significativa degli edifici e dei sistemi di edifici identificati “fino all’adeguamento degli strumenti di pianificazione comunale”.

Ciò vuol dire che tale misura di salvaguardia, anziché imporre al Comune l’obbligo di soprassedere al rilascio di permessi di costruire in contrasto con il piano paesaggistico e fino all’approvazione del medesimo, rimanda sin da subito all’amministrazione locale, sia la definizione di una disciplina di dettaglio, con ampia discrezionalità circa la modulazione del grado e dell’intensità della tutela degli edifici e dei sistemi di edifici, sia la successiva attività di valutazione in ordine alla concreta compatibilità di ciascun progetto edilizio con gli obiettivi di valorizzazione del patrimonio novecentesco interessato.

Pertanto, nel caso di specie, allo stato, nulla esclude che il Comune, sulla base della successiva evoluzione procedimentale della fase attuativa della delibera regionale e nell’esercizio della propria residua discrezionalità, possa alla fine giungere a ritenere - in sintonia con gli interessi della ricorrente - compatibile, con gli obiettivi di conservazione e di valorizzazione del complesso industriale della “Manifattura Tabacchi”, anche la demolizione dei magazzini di stoccaggio, se considerati, quest’ultimi, di per sé stessi privi di valore storico-architettonico ed ininfluenti sul valore identitario del complesso industriale.

Ne deriva che la delibera della giunta regionale in oggetto, al momento, non è di ostacolo alla realizzazione delle previsioni del P.I. e del progetto presentato dalla ricorrente, e non essendo quindi attualmente lesiva, potrà essere eventualmente impugnata, quale atto presupposto, solo in esito all’applicazione che di essa ne faccia il Comune nella fase attuativa.

In conclusione, il ricorso deve essere giudicato inammissibile per difetto d’interesse...".

geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto n. 704 del 2014

le serre una volta esaurita la finalità per la quale sono state realizzate, devono essere rimosse e non è ammesso un diverso utilizzo

22 Mag 2014
22 Maggio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 584 del 2014.

Si legge nella sentenza: "4. Altrettanto censurabile è l’argomentazione, contenuta nel terzo motivo, diretta a sostenere l’inesistenza del contestato mutamento di destinazione d’uso e, ciò, contestualmente alla dedotta carenza di un’idonea motivazione circa l’interesse pubblico esistente a superare un presunto affidamento ingenerato nei ricorrenti.

4.1 L’esame del provvedimento impugnato consente di smentire le argomentazioni di parte ricorrente. In primo luogo va rilevato come la Regione Veneto abbia accertato (come è evincibile dal provvedimento impugnato) la non conformità delle opere interne esistenti con le concessioni edilizie n. 97/122 e 99/144, difformità queste ultime verificate anche per quanto attiene il permesso di costruire n.10/002.

4.2 Per quanto attiene detto ultimo titolo abilitativo va rilevato, sin d’ora, come la demolizione sia una conseguenza diretta di quanto previsto dal comma 6 dell’art. 44 della L. reg.11/2004 e dalla successiva Delibera di Giunta regionale n. 172/2010. In particolare l’art. 44 comma 6 sopra citato, disciplina quest’ultima che costituisce il fondamento per il rilascio del permesso di costruire n. 10/002, prevede il potere della Giunta regionale di individuare “le caratteristiche costruttive e le condizioni da rispettare per l'installazione delle serre tunnel di cui al presente comma”.

4.3 In ossequio a detta disposizione la Delibera di Giunta n. 172/2012 ha previsto che “le serre una volta esaurita la finalità per la quale sono state realizzate, devono essere rimosse e non è ammesso un diverso utilizzo né il cambio di destinazione d’uso del relativo volume/superficie”. Ne consegue che la legislazione regionale ha attribuito ad una successiva delibera il potere di disciplinare le “condizioni da rispettare per l’installazione”, delibera che a sua volta ha esplicitamente sancito l’obbligo della rimozione delle serre tutte le volte che ne sia cessato l’uso in relazione al quale le stesse erano state realizzate. In considerazione della vigenza della normativa sopra richiamata è del tutto evidente che l’Amministrazione comunale non poteva che disporre la demolizione della serra di cui ora si tratta e, ciò, nel momento in cui si era accertato l’avvenuto mutamento di destinazione d’uso e lo svolgimento di un’attività di vendita di piante all’ingrosso. 

4.4 Si consideri, ancora, che l’ordinanza impugnata ha evidenziato la violazione dell’art. 26 punto 3 delle vigenti NTO del Piano di
intervento, rilevando sia la violazione dei parametri di superficie che potrebbero essere dedicati alla vendita al minuto su dette aree sia,  ancora, la violazione del limite delle distanze dai confini di proprietà e, ciò, contestualmente alla realizzazione di opere interne. Ne consegue come deve ritenersi configurata la fattispecie del mutamento di destinazione d’uso con opere che, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale richiede l’emanazione di un correlato permesso di costruire.

4.5 Ciò premesso va comunque evidenziato che il mutamento di destinazione d’uso di cui si tratta doveva considerarsi soggetto a
permesso di costruire anche considerando come in conseguenza di detta variazione si era determinato un incremento del carico urbanistico, da ricondurre all’ampiezza e alla prevalenza (circa il 70% di quella complessiva) della superficie destinata alla vendita all’ingrosso".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 584 del 2014

Piano casa e incentivi fiscali

20 Mag 2014
20 Maggio 2014

Dalla lettura del combinato disposto degli artt. 3, c. 3 e 7 c. 1 ter della L. R. Veneto n. 14/2009 appare evidente che se un soggetto privato intenda demolire e ricostruire un edificio ante 1967, usufruendo contestualmente dell’ampliamento concesso dalla presente legge regionale, non è dovuto al Comune né il pagamento del contributo di costruzione connesso all’abitazione già esistente (e mai dovuto perché ante 1967) né il pagamento del contributo di costruzione dell’ampliamento.

Premesso che l’art. 3 c. 2 recita: “Gli interventi di cui al comma 1 finalizzati al perseguimento degli attuali standard qualitativi architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza, sono consentiti in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali, ivi compresi i piani ambientali dei parchi regionali. La demolizione e ricostruzione, purché gli edifici siano situati in zona territoriale omogenea propria, può avvenire anche parzialmente e può prevedere incrementi del volume o della superficie:

a) fino al 70 per cento, qualora per la ricostruzione vengano utilizzate tecniche costruttive che portino la prestazione energetica dell’edificio, come definita dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 “Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia” e dal decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2009, n. 59 “Regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia” e successive modificazioni, alla corrispondente classe A;

b) fino all’80 per cento, qualora l’intervento comporti l’utilizzo delle tecniche costruttive di cui alla legge regionale 9 marzo 2007, n. 4 “Iniziative ed interventi regionali a favore dell’edilizia sostenibile”. A tali fini la Giunta regionale integra le linee guida di cui all’articolo 2 della legge regionale 9 marzo 2007, n. 4 , prevedendo la graduazione della volumetria assentibile in ampliamento in funzione della qualità ambientale ed energetica dell’intervento”, la soluzione esposta deriva dalla semplice applicazione dell’art l’art. 7, c. 1 ter secondo cui: “Le riduzioni di cui ai commi 1 e 1 bis si intendono riferite:

a) nel caso previsto dagli articoli 2 e 3 ter al volume o alla superficie ampliati;

b) nel caso previsto dagli articoli 3 e 3 quater al volume ricostruito e alla nuova superficie comprensivi dell’incremento”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Le specifiche forme di tutela previste dal c.d. Piano Casa non necessitano di una motivazione puntuale?

19 Mag 2014
19 Maggio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 07 aprile 2014 n. 1610, con riferimento ad una questione edilizia relativa al c.d. Piano Casa della Regione Sardegna, sembra affermare in generale che, laddove le diverse leggi regionali volte ad incentivare il settore edilizio prevedano la possibilità di tutelare in modo specifico delle zone e/o degli edifici, l’ente non abbia l’obbligo di motivare in modo dettagliato questa scelta.

Nel caso de quo, l’art. 5, c. 6 bis della L. R. Sardegna n. 21/2011 (c.d. Piano Casa) prevedeva che: “Nelle zone urbanistiche omogenee B i comuni individuano, con apposita deliberazione del consiglio comunale adottata entro il termine perentorio di novanta giorni, singoli immobili ovvero ambiti di intervento nei quali limitare o escludere, in ragione di particolari e specificate qualità storiche, architettoniche o urbanistiche, gli interventi di demolizione e ricostruzione. Nel corso di tale termine le istanze di demolizione e ricostruzione riguardanti edifici compresi nelle zone urbanistiche omogenee B non sono ricevibili. Trascorso il termine di novanta giorni senza che il comune abbia adottato la deliberazione, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono ammessi nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 8”.

Alla luce di ciò il Collegio giunge a ritenere che: “L’appello in esame controverte della legittimità di un diniego di premesso edilizio, per un intervento di demolizione e ricostruzione di un immobile urbano, con ampliamento sulla base delle disposizioni regionali per la Sardegna, applicative del c.d.”piano casa” (l.r. n.4/2009 e delibera c.r. n. 16/2012) ed ulteriori deroghe di altezza e distanze al piano urbanistico. Dopo aver pedissequamente riprodotto i motivi formulati in primo grado, il ricorso in esame passa ad esporre i motivi d’appello su cui si sostiene.

1.- Il primo contrasta la sentenza impugnata ove, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il TAR ha ravvisato (nella limitazione recata dalla delibera consiliare n. 16/2012 attuativa della legge regionale ed applicata dal Comune) la giustificazione nell’esigenza di assicurare un’armonica edificazione ed un corretto inserimento degli interventi nel tessuto urbanistico esistente; sostiene invece la ricorrente che tali esigenze non possono impedire la deroga agli strumenti urbanistici comunali prevista dalle disposizioni del piano casa, se non vengano specificate quali sono le qualità urbanistiche di determinate zone e che si intende tutelare. Emergerebbe pertanto il vizio di difetto di motivazione a carico della soluzione negativa data dal Comune di Cagliari, in applicazione delle cennate disposizioni, a maggior ragione ove si consideri il parere positivo espresso dalla Sovrintendenza (n.7651/2011) e che, ad avviso dell’appellante, non lasciava ulteriori spazi alla discrezionalità del Comune. Tale orientamento non può essere condiviso .

Premette il Collegio, su un piano generale, che la disposizione gravata opera in un contesto che presenta un chiaro carattere normativo in materia urbanistica e che di conseguenza sfugge alle prescrizioni motivazionali ai sensi degli arrt. 3 e 13 della legge n. 241/1990. Il che certamente non indica che la discrezionalità pianificatoria sia esente da ogni criteri di coerenza e logicità ma semplicemente che essa può determinare, senza dettagliate giustificazioni, compressioni delle facoltà edificatorie che possano coerentemente disporsi in forza dalle norme urbanistiche locali, regionali e statali. Orbene, la collocazione dell’area interessata dall’intervento in controversia (pur nella sua sitenticità, evidenziata dal medesimo TAR) è sufficientemente chiara nel precludere gli interventi di demolizione e ricostruzione in ampliamento ove essi prevedano anche deroghe posizionali e dimensionali rispetto alle norme del piano urbanistico (e nella fattispecie si rilevano difformità del proposto intervento in tema di distacchi dal confine strada e dal confine laterale e sull'altezza complessiva dell'edificio). Ciò chiarito, ai fini di conseguire un livello sufficiente, non occorreva che la motivazione in esame si richiamasse alla sussistenza di interessi di natura storico o architettonica di particolare rilevanza, ma era sufficiente che il provvedimento facesse riferimento a una esigenza di tipo semplicemente urbanistico (del resto anch’essa presente nella disposizione in parola) , qual è indubbiamente quella di assicurare un sviluppo edilizio ordinato perchè svolgentesi secondo linee e parametri (altezze, distanze interedilizie e stradali) essenzialmente omogenei. Contrasta perciò con la delibera consiliare n.16/2012, ad avviso del Collegio, un progetto che assolvendo già ad una finalità di forte impatto derogatorio in tema di indici volumetrici (soprattutto in caso di demolizioni e ricostruzioni) , aggiunga deroghe ad altezze e distanze in zone in cui queste presentino sufficiente omogeneità. Ed invero tale quadro sarebbe certamente del tutto sconvolto ove in intere zone fossero consentiti interventi di demolizione e ricostruzione non solo in ampliamento ma anche in deroga ad altezze e distanze (tra edifici e strade) originariamente previste e rispettate dal piano regolatore; così operando, infatti, ciascun edificio potrebbe essere non solo ricostruito con ampliamento, ma anche in una sua nuova nuova e del tutto diversa posizione rispetto a quella degli altri. Scenario certo interessante , ma indubbiamente non rispondente ad alcun tipo di ordinato e coerente sviluppo edilizio”.

Che sia possibile estendere le considerazioni di cui supra anche alle specifiche forme di tutela previste dagli artt. 2 e 9, c. 1, lett. c) della L. R. Veneto n. 14/2009?

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 1610 del 2014

Il TAR Veneto si allinea al CdS: negli accordi art. 6 deve sussistere una stretta correlazione tra l’intervento edilizio e la localizzazione dello standard perequativo

13 Mag 2014
13 Maggio 2014

Segnaliamo in materia di perequazione la sentenza del TAR Veneto n. 590 del 2014, che mette  un paletto a una figura che, peraltro, non smette di sollevare in molti interpreti perplessità anche di ordine generale. 

Scrive il TAR: "2. Ciò premesso è possibile concentrarsi sull’esame del merito del ricorso, rilevando sin d’ora come risulti fondato il primo motivo, laddove si sostiene il venire in essere di un illegittimità derivata, riconducibile all’illegittimità degli atti impugnati nel ricorso RG 896/2011, limitatamente a quanto successivamente disposto dalla sentenza n. 616/2014 del Consiglio di Stato.

2.1 Con detta pronuncia si è, infatti, sancita l’illegittimità del Piano degli Interventi nella parte in cui aveva posto a carico dell’impresa controinteressata una modalità di perequazione che prevedeva la realizzazione di una piazza (denominata Piazza della Vittoria), posta in una località non immediatamente contigua all’intervento oggetto del accordo pubblico – privato di cui all’App 16.

Si era così disposta non solo l’illegittimità in parte qua del primo Piano degli Interventi, ma soprattutto l’illegittimità dell’App 16, approvata dapprima con la delibera del Consiglio comunale n. 07 del 23/02/2011 e poi recepita nel PI n. 2.

2.2 Risultano, infatti, condivisibili le osservazioni cui è pervenuto il Consiglio di Stato nella pronuncia sopra citata, laddove si è evidenziata l’esistenza di un quadro giurisprudenziale diretto a rilevare una stretta correlazione tra l’intervento edilizio e la localizzazione dello standard.

Si è ritenuto, pertanto, che la previsione contenuta nell’App 16 contrasta con il criterio di radicamento territoriale degli standard sopra evidenziato, circostanza suscettibile di determinare un effettivo contrasto degli atti impugnati con il primo ricorso, e con quello ora sottoposto al presente Collegio, con l'art. 46 delle norme tecniche del PAT con consequenziale declaratoria di illegittimità in parte qua.

2.3 Nella rimanente parte della pronuncia il Consiglio di Stato ha, inoltre, confermato le conclusioni cui era giunto questo Tribunale che aveva ritenuto di rigettare i motivi ulteriori, mediante i quali si era proposta l’impugnazione avverso il primo piano degli interventi.

2.4 Va rilevato come sussista una stretta correlazione tra il procedimento che ha portato all’approvazione del primo Piano degli interventi, nella parte in cui approva l’App 16 e, ancora, le delibere in questa sede impugnate nella parte in cui anche queste ultime ritengono di confermare le statuizioni in precedenza espresse e con riferimento all’accordo pubblico - privato oggetto dell’App.

2.5 Questo Collegio ritiene infatti, di condividere le conclusioni cui è giunta la pronuncia del Consiglio di Stato n. 616/2014 nella parte in cui ha, altresì, rigettato l’eccezione di improcedibilità che, a sua volta, aveva come presupposto proprio l’avvenuta emanazione degli atti relativi al Piano degli Interventi n. 2 ora impugnati.

2.6 Al fine di accogliere la censura di illegittimità derivata risulta, infatti, dirimente constatare che la delibera n. 15 del 2012 di adozione del Piano degli Interventi n. 2 sancisce, espressamente, che quest’ultima “recepisce il piano degli interventi vigenti conseguentemente le previsioni urbanistiche rimangono sostanzialmente invariate” e che, ancora, “per quanto riguarda la variante approvata dal consiglio comunale con la deliberazione n. 7 del 23/02/2011 su proposta della ditta Cama, si confermano i contenuti della predetta deliberazione, conformandoli al presente piano degli interventi”.

2.7 L’espressa dizione diretta a confermare i contenuti di un provvedimento ora in parte annullato, deve ritenersi inequivocabile diretta ad includere, nell’ambito del Piano degli Interventi ora impugnato, i contenuti dell’App 16 nella parte in cui quest’ultimo comprende, ancora, la realizzazione di Piazza della Vittoria, opera la cui previsione era stata ritenuta essere in violazione dei principi in materia di standard e di perequazione urbanistica.

2.8 A fronte del dato letterale presente nella delibera n. 15/2012 si deve ritenere come le delibere relative al Piano degli Interventi n. 2, per quanto attiene i contenuti dell’App 16, si pongano nell’ambito di un unico segmento procedimentale, finalizzato a reintrodurre una determinata pianificazione urbanistica di un’area ben individuata.

2.9 Detto segmento procedimentale, pur essendo stato inserito nell’ambito di un nuovo - e più ampio - procedimento di approvazione di un nuovo Piano degli Interventi, si è concluso con l’adozione di un atto confermativo che, in quanto tale, ha inteso riprodurre le medesime previsioni urbanistiche di un atto in precedenza annullato.

2.10 E’ la stessa Amministrazione comunale a ricordare le circostanze in relazione alle quali era maturata l’esigenza di approvare nuovamente l’App. 16, esigenza venuta in essere al fine di consentire all’Amministrazione comunale, per il tramite del Consiglio comunale, di approvare, specificatamente e sul punto, l’oggetto dell’accordo di cui si tratta.

2.11 Si consideri ancora, come detta illegittimità sia stata immediatamente eccepita dalla ricorrente all’atto di proposizione del ricorso, facendo un espresso rinvio a tutti i vizi in precedenza dedotti.

E’ evidente che in quella fase il ricorrente non conosceva, ancora, gli esiti della sentenza del Consiglio di Stato che ha poi individuato quell’unico vizio suscettibile di annullare l’App. 16.

2.11 Sostenere, come fanno le parti resistenti, che sussisteva un onere di indicare espressamente il vizio di invalidità derivata così come poi accolto dal Consiglio di Stato, non tiene conto delle peculiarità della fattispecie in esame e, nel concreto, avrebbe l’effetto di porre nel nulla la stessa pronuncia del Consiglio di Stato n. 616/2014, legittimando il comportamento dell’Amministrazione comunale diretto ad emanare un nuovo provvedimento che sostanzialmente ricomprende i vizi del precedente.

2.12 Si consideri, ancora, che il Piano degli Interventi n. 2, nella parte in cui conferma le previsioni dell’App. 16 in precedenza annullate, risulterebbe comunque nullo ab origine laddove, e nel momento in cui, sia possibile accertare il passaggio in giudicato della sentenza n. 616/2014.

Sul punto, infatti, risulterebbe applicabile l’art. 21 septies della L. n. 241/90 che, unitamente ad un costante orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Puglia Bari Sez. I, 06-11-2013, n. 1506), ha ravvisato l’applicazione di detto istituto nell’ipotesi in cui l’Amministrazione “cerchi di realizzare il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo giustificano…”.

2.13 E’, inoltre, necessario considerare come, nelle successive memorie, l’Amministrazione comunale ha riferito di aver attivato il procedimento di esecuzione della sentenza n.616/2014 al fine di modificare gli oneri perequativi contenuti nelle delibere impugnate con il ricorso RG 896/2011.

2.14 Con riferimento a detta circostanza non si comprende come sia possibile attivare un procedimento diretto a rideterminare la perequazione urbanistica in precedenza disposta e nel contempo sostenere, nel presente giudizio, la legittimità di quel provvedimento che pure contiene l’esecuzione delle opere ritenute illegittime.

2.15 In considerazione di quanto sopra esplicitato è, pertanto, possibile ritenere che la già accertata illegittimità del contenuto dell’App. 16 a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 616/2014 ha l’effetto di determinare l’illegittimità derivata, seppur anche qui in parte qua, dei provvedimenti di adozione e approvazione del PI n. 2 in questa sede impugnati".

Geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto 590 del 2014

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