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La Corte dei Conti del Veneto sui compensi per il piano degli interventi

28 Mag 2014
28 Maggio 2014

Pubblichiamo  il parere della Corte dei Conti del Veneto sulla applicazione dei compensi per gli atti di pianificazione, ai sensi dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n.163/2006. La Corte esamina il collegamento tra l'atto di pianificazione e la successiva realizzazione dell'opera pubblica.

Dati Deliberazione

: SRCVEN/319/2014/PAR
: 2102-19/05/2014-SRCVEN
: Sezione Controllo Regione Veneto
: Attivita' consultiva ai sensi dell'art. 7, co. 8, l. 131/2003 (pareri)
:
: 29/04/2014
: 14/05/2014
: IAFOLLA CLAUDIO
 
: Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla applicazione dei compensi per atti di pianificazione ai sensi dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n.163/2006 e, in particolare, se la redazione di un Piano degli Interventi con il recupero e la valorizzazione delle aree a vincolo decaduto e delle aree di trasformazione delle frazioni possa rientrare nel novero degli atti di pianificazione comunque denominati previsti dalla norma; e se l'incentivo possa essere corrisposto oltre che ai dipendenti in possesso delle specifiche competenze tecniche professionali, anche a dipendenti che partecipino alla redazione del piano a vario titolo (urbanisti, avvocati, agronomi, geologi, informatici, geometri, periti, disegnatori).
geom. Daniele Iselle
 
 

TAR Veneto:come si interpreta la norma del PTRC in materia di salvaguardia dell’Architettura del 900

26 Mag 2014
26 Maggio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 704 del 2014. 

Scrive il TAR: "....Preliminarmente ritiene il Collegio che sia fondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso formulata dalla difesa della Regione.

In particolare, la disciplina normativa delle “Architetture del Novecento”, fra le quali viene elencata la “Manifattura Tabacchi”, è contenuta nell’art. 62 delle n.t.a. del PTRC, il cui comma 3, per quanto qui interessa, stabilisce che: “I Comuni in sede di redazione dei propri strumenti di pianificazione provvedono ad implementare l’elenco (degli edifici e sistemi del Novecento) mediante un tavolo di concertazione a regia regionale nonché ad attivare specifiche e differenziate politiche locali di salvaguardia, valorizzazione e recupero, che valorizzino gli elementi architettonici, gli apparati decorativi e i caratteri insediativi”. Mentre al successivo comma 4 si adotta una misura di salvaguardia del seguente tenore: “fino all’adeguamento degli strumenti di pianificazione comunale per gli edifici e sistemi di cui al comma 1, fatti salvi quelli già disciplinati con finalità di salvaguardia dalla vigente pianificazione comunale, è vietata la demolizione e l’alterazione significativa dei valori architettonici, costruttivi e tipologici”.

Ciò premesso, la difesa della Regione ha correttamente osservato che tale ultima norma (comma 4), diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non pregiudica, di per sé, la realizzazione dei progetti di recupero e valorizzazione già previsti dagli strumenti di pianificazione comunale, in quanto tali progetti siano finalizzati alla tutela e alla salvaguardia degli edifici rientranti nelle “Architetture del Novecento”.

Ed infatti, ha evidenziato la resistente, l’individuazione, da parte della Regione, in sede di variante al PTRC, degli edifici e/o sistemi di edifici rientranti nelle “Architetture del Novecento”, è diretta ad identificare manufatti rilevanti per la ricchezza di relazioni che instaurano con i loro contesti, per il rapporto con il territorio, potendo comprendere sia fabbricati sottoposti a vincolo monumentale o urbanistico, da tutelare, recuperare e conservare, sia fabbricati privi di valore storico-architettonico e quindi da considerare anche ai fini di una possibile demolizione in funzione della salvaguardia, valorizzazione e riconversione dell’intero complesso individuato.

Di qui, in ragione della mancanza di una lesione attuale degli interessi della ricorrente, la dedotta inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse.

Ed invero le osservazioni della difesa regionale appena riportate, e la valutazione, anticipata da questo Collegio nell’ordinanza cautelare, per cui le previsioni del piano relative alle “Architetture del 900” abbiano caratteri di generalità ed astrattezza, trovano conferma in alcuni passaggi della relazione illustrativa di cui all’allegato B della delibera n. 427 del 10 aprile 2013.

Infatti, da tale relazione ne emerge che lo scopo della variante, con riferimento alle “Architetture del 900”, è quella d’individuare solo delle linee generali per la salvaguardia e la valorizzazione di alcuni manufatti del Novecento, manufatti fino ad ora sprovvisti di alcuna tutela specifica, sebbene dotati di un certo valore storico e architettonico che si vuole ora riconoscere. In particolare, in tale relazione si sottolinea più volte che l’obiettivo del progetto non è quello di tutelare singoli elementi di pregio architettonico e urbanistico, ma di mirare “al riconoscimento del ruolo da essi rivestito nel conferire qualità e identità al territorio veneto contemporaneo”. Quindi tali manufatti e sistemi di edifici sono tutelati non tanto per il loro pregio intrinseco, quanto “per la ricchezza di relazioni che instaurano con i loro contesti”, ed in quanto, nel loro complesso o nell’interrelazione con il territorio, generano “veri e propri nuovi paesaggi”.

Ancora si evidenzia nella relazione illustrativa che “l’insieme delle schedature realizzate costituisce non un punto di arrivo ma piuttosto un punto di partenza. Questa prima selezione di manufatti andrà infatti integrata dagli enti locali territoriali, che potranno fare ulteriori segnalazioni e proporre politiche articolate mirate alla salvaguardia e valorizzazione”. Inoltre, anche la pianificazione paesaggistica regionale d’Ambito “sarà l’occasione per una definizione maggiormente dettagliata dei progetti individuati”.

D’altro canto, si è detto, come nel comma 3 dell’art. 62 delle n.t.a. del PTRC, si rimetta ai Comuni il compito di “attivare specifiche e differenziate politiche locali di salvaguardia, valorizzazione e recupero di tali manufatti”.

Pertanto, applicando tali concetti e tali previsioni normative alla fattispecie in esame, ne deriva che:

a) il complesso industriale della “Manifattura Tabacchi” non è oggetto, da parte della delibera impugnata, di una diretta e specifica disciplina delle forme di tutela, valorizzazione e riqualificazione, rientrando, invece, nell’ambito di un progetto, non ancora definito, di tutela del patrimonio novecentesco, al quale sono chiamati a partecipare, sin dalla fase formativa, anche i Comuni; ed essendo, poi, la modulazione delle concrete politiche di salvaguardia e valorizzazione e la definizione di progetti maggiormente dettagliati, rimessa alla discrezionalità di quest’ultimi o dei Piani Paesaggistici d’Ambito;

b) in ogni caso, oggetto di tale tutela non sono individualmente i singoli edifici che compongono la “Manifattura Tabacchi”, ed i magazzini di stoccaggio in particolare, ma questa genericamente nel suo insieme, per la sua capacità di conferire “qualità e identità al territorio veneto contemporaneo”, e di interagire con il contesto urbano di riferimento, generando un “nuovo paesaggio”.

Coerentemente con tale assetto normativo e progettuale, la misura di salvaguardia di cui al comma 4 dell’art. 62 delle n.t.a. della delibera impugnata, a differenza delle tipiche misure di salvaguardia urbanistiche, vieta la demolizione e l’alterazione significativa degli edifici e dei sistemi di edifici identificati “fino all’adeguamento degli strumenti di pianificazione comunale”.

Ciò vuol dire che tale misura di salvaguardia, anziché imporre al Comune l’obbligo di soprassedere al rilascio di permessi di costruire in contrasto con il piano paesaggistico e fino all’approvazione del medesimo, rimanda sin da subito all’amministrazione locale, sia la definizione di una disciplina di dettaglio, con ampia discrezionalità circa la modulazione del grado e dell’intensità della tutela degli edifici e dei sistemi di edifici, sia la successiva attività di valutazione in ordine alla concreta compatibilità di ciascun progetto edilizio con gli obiettivi di valorizzazione del patrimonio novecentesco interessato.

Pertanto, nel caso di specie, allo stato, nulla esclude che il Comune, sulla base della successiva evoluzione procedimentale della fase attuativa della delibera regionale e nell’esercizio della propria residua discrezionalità, possa alla fine giungere a ritenere - in sintonia con gli interessi della ricorrente - compatibile, con gli obiettivi di conservazione e di valorizzazione del complesso industriale della “Manifattura Tabacchi”, anche la demolizione dei magazzini di stoccaggio, se considerati, quest’ultimi, di per sé stessi privi di valore storico-architettonico ed ininfluenti sul valore identitario del complesso industriale.

Ne deriva che la delibera della giunta regionale in oggetto, al momento, non è di ostacolo alla realizzazione delle previsioni del P.I. e del progetto presentato dalla ricorrente, e non essendo quindi attualmente lesiva, potrà essere eventualmente impugnata, quale atto presupposto, solo in esito all’applicazione che di essa ne faccia il Comune nella fase attuativa.

In conclusione, il ricorso deve essere giudicato inammissibile per difetto d’interesse...".

geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto n. 704 del 2014

le serre una volta esaurita la finalità per la quale sono state realizzate, devono essere rimosse e non è ammesso un diverso utilizzo

22 Mag 2014
22 Maggio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 584 del 2014.

Si legge nella sentenza: "4. Altrettanto censurabile è l’argomentazione, contenuta nel terzo motivo, diretta a sostenere l’inesistenza del contestato mutamento di destinazione d’uso e, ciò, contestualmente alla dedotta carenza di un’idonea motivazione circa l’interesse pubblico esistente a superare un presunto affidamento ingenerato nei ricorrenti.

4.1 L’esame del provvedimento impugnato consente di smentire le argomentazioni di parte ricorrente. In primo luogo va rilevato come la Regione Veneto abbia accertato (come è evincibile dal provvedimento impugnato) la non conformità delle opere interne esistenti con le concessioni edilizie n. 97/122 e 99/144, difformità queste ultime verificate anche per quanto attiene il permesso di costruire n.10/002.

4.2 Per quanto attiene detto ultimo titolo abilitativo va rilevato, sin d’ora, come la demolizione sia una conseguenza diretta di quanto previsto dal comma 6 dell’art. 44 della L. reg.11/2004 e dalla successiva Delibera di Giunta regionale n. 172/2010. In particolare l’art. 44 comma 6 sopra citato, disciplina quest’ultima che costituisce il fondamento per il rilascio del permesso di costruire n. 10/002, prevede il potere della Giunta regionale di individuare “le caratteristiche costruttive e le condizioni da rispettare per l'installazione delle serre tunnel di cui al presente comma”.

4.3 In ossequio a detta disposizione la Delibera di Giunta n. 172/2012 ha previsto che “le serre una volta esaurita la finalità per la quale sono state realizzate, devono essere rimosse e non è ammesso un diverso utilizzo né il cambio di destinazione d’uso del relativo volume/superficie”. Ne consegue che la legislazione regionale ha attribuito ad una successiva delibera il potere di disciplinare le “condizioni da rispettare per l’installazione”, delibera che a sua volta ha esplicitamente sancito l’obbligo della rimozione delle serre tutte le volte che ne sia cessato l’uso in relazione al quale le stesse erano state realizzate. In considerazione della vigenza della normativa sopra richiamata è del tutto evidente che l’Amministrazione comunale non poteva che disporre la demolizione della serra di cui ora si tratta e, ciò, nel momento in cui si era accertato l’avvenuto mutamento di destinazione d’uso e lo svolgimento di un’attività di vendita di piante all’ingrosso. 

4.4 Si consideri, ancora, che l’ordinanza impugnata ha evidenziato la violazione dell’art. 26 punto 3 delle vigenti NTO del Piano di
intervento, rilevando sia la violazione dei parametri di superficie che potrebbero essere dedicati alla vendita al minuto su dette aree sia,  ancora, la violazione del limite delle distanze dai confini di proprietà e, ciò, contestualmente alla realizzazione di opere interne. Ne consegue come deve ritenersi configurata la fattispecie del mutamento di destinazione d’uso con opere che, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale richiede l’emanazione di un correlato permesso di costruire.

4.5 Ciò premesso va comunque evidenziato che il mutamento di destinazione d’uso di cui si tratta doveva considerarsi soggetto a
permesso di costruire anche considerando come in conseguenza di detta variazione si era determinato un incremento del carico urbanistico, da ricondurre all’ampiezza e alla prevalenza (circa il 70% di quella complessiva) della superficie destinata alla vendita all’ingrosso".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 584 del 2014

Piano casa e incentivi fiscali

20 Mag 2014
20 Maggio 2014

Dalla lettura del combinato disposto degli artt. 3, c. 3 e 7 c. 1 ter della L. R. Veneto n. 14/2009 appare evidente che se un soggetto privato intenda demolire e ricostruire un edificio ante 1967, usufruendo contestualmente dell’ampliamento concesso dalla presente legge regionale, non è dovuto al Comune né il pagamento del contributo di costruzione connesso all’abitazione già esistente (e mai dovuto perché ante 1967) né il pagamento del contributo di costruzione dell’ampliamento.

Premesso che l’art. 3 c. 2 recita: “Gli interventi di cui al comma 1 finalizzati al perseguimento degli attuali standard qualitativi architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza, sono consentiti in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali, ivi compresi i piani ambientali dei parchi regionali. La demolizione e ricostruzione, purché gli edifici siano situati in zona territoriale omogenea propria, può avvenire anche parzialmente e può prevedere incrementi del volume o della superficie:

a) fino al 70 per cento, qualora per la ricostruzione vengano utilizzate tecniche costruttive che portino la prestazione energetica dell’edificio, come definita dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 “Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia” e dal decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2009, n. 59 “Regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia” e successive modificazioni, alla corrispondente classe A;

b) fino all’80 per cento, qualora l’intervento comporti l’utilizzo delle tecniche costruttive di cui alla legge regionale 9 marzo 2007, n. 4 “Iniziative ed interventi regionali a favore dell’edilizia sostenibile”. A tali fini la Giunta regionale integra le linee guida di cui all’articolo 2 della legge regionale 9 marzo 2007, n. 4 , prevedendo la graduazione della volumetria assentibile in ampliamento in funzione della qualità ambientale ed energetica dell’intervento”, la soluzione esposta deriva dalla semplice applicazione dell’art l’art. 7, c. 1 ter secondo cui: “Le riduzioni di cui ai commi 1 e 1 bis si intendono riferite:

a) nel caso previsto dagli articoli 2 e 3 ter al volume o alla superficie ampliati;

b) nel caso previsto dagli articoli 3 e 3 quater al volume ricostruito e alla nuova superficie comprensivi dell’incremento”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Le specifiche forme di tutela previste dal c.d. Piano Casa non necessitano di una motivazione puntuale?

19 Mag 2014
19 Maggio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 07 aprile 2014 n. 1610, con riferimento ad una questione edilizia relativa al c.d. Piano Casa della Regione Sardegna, sembra affermare in generale che, laddove le diverse leggi regionali volte ad incentivare il settore edilizio prevedano la possibilità di tutelare in modo specifico delle zone e/o degli edifici, l’ente non abbia l’obbligo di motivare in modo dettagliato questa scelta.

Nel caso de quo, l’art. 5, c. 6 bis della L. R. Sardegna n. 21/2011 (c.d. Piano Casa) prevedeva che: “Nelle zone urbanistiche omogenee B i comuni individuano, con apposita deliberazione del consiglio comunale adottata entro il termine perentorio di novanta giorni, singoli immobili ovvero ambiti di intervento nei quali limitare o escludere, in ragione di particolari e specificate qualità storiche, architettoniche o urbanistiche, gli interventi di demolizione e ricostruzione. Nel corso di tale termine le istanze di demolizione e ricostruzione riguardanti edifici compresi nelle zone urbanistiche omogenee B non sono ricevibili. Trascorso il termine di novanta giorni senza che il comune abbia adottato la deliberazione, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono ammessi nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 8”.

Alla luce di ciò il Collegio giunge a ritenere che: “L’appello in esame controverte della legittimità di un diniego di premesso edilizio, per un intervento di demolizione e ricostruzione di un immobile urbano, con ampliamento sulla base delle disposizioni regionali per la Sardegna, applicative del c.d.”piano casa” (l.r. n.4/2009 e delibera c.r. n. 16/2012) ed ulteriori deroghe di altezza e distanze al piano urbanistico. Dopo aver pedissequamente riprodotto i motivi formulati in primo grado, il ricorso in esame passa ad esporre i motivi d’appello su cui si sostiene.

1.- Il primo contrasta la sentenza impugnata ove, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il TAR ha ravvisato (nella limitazione recata dalla delibera consiliare n. 16/2012 attuativa della legge regionale ed applicata dal Comune) la giustificazione nell’esigenza di assicurare un’armonica edificazione ed un corretto inserimento degli interventi nel tessuto urbanistico esistente; sostiene invece la ricorrente che tali esigenze non possono impedire la deroga agli strumenti urbanistici comunali prevista dalle disposizioni del piano casa, se non vengano specificate quali sono le qualità urbanistiche di determinate zone e che si intende tutelare. Emergerebbe pertanto il vizio di difetto di motivazione a carico della soluzione negativa data dal Comune di Cagliari, in applicazione delle cennate disposizioni, a maggior ragione ove si consideri il parere positivo espresso dalla Sovrintendenza (n.7651/2011) e che, ad avviso dell’appellante, non lasciava ulteriori spazi alla discrezionalità del Comune. Tale orientamento non può essere condiviso .

Premette il Collegio, su un piano generale, che la disposizione gravata opera in un contesto che presenta un chiaro carattere normativo in materia urbanistica e che di conseguenza sfugge alle prescrizioni motivazionali ai sensi degli arrt. 3 e 13 della legge n. 241/1990. Il che certamente non indica che la discrezionalità pianificatoria sia esente da ogni criteri di coerenza e logicità ma semplicemente che essa può determinare, senza dettagliate giustificazioni, compressioni delle facoltà edificatorie che possano coerentemente disporsi in forza dalle norme urbanistiche locali, regionali e statali. Orbene, la collocazione dell’area interessata dall’intervento in controversia (pur nella sua sitenticità, evidenziata dal medesimo TAR) è sufficientemente chiara nel precludere gli interventi di demolizione e ricostruzione in ampliamento ove essi prevedano anche deroghe posizionali e dimensionali rispetto alle norme del piano urbanistico (e nella fattispecie si rilevano difformità del proposto intervento in tema di distacchi dal confine strada e dal confine laterale e sull'altezza complessiva dell'edificio). Ciò chiarito, ai fini di conseguire un livello sufficiente, non occorreva che la motivazione in esame si richiamasse alla sussistenza di interessi di natura storico o architettonica di particolare rilevanza, ma era sufficiente che il provvedimento facesse riferimento a una esigenza di tipo semplicemente urbanistico (del resto anch’essa presente nella disposizione in parola) , qual è indubbiamente quella di assicurare un sviluppo edilizio ordinato perchè svolgentesi secondo linee e parametri (altezze, distanze interedilizie e stradali) essenzialmente omogenei. Contrasta perciò con la delibera consiliare n.16/2012, ad avviso del Collegio, un progetto che assolvendo già ad una finalità di forte impatto derogatorio in tema di indici volumetrici (soprattutto in caso di demolizioni e ricostruzioni) , aggiunga deroghe ad altezze e distanze in zone in cui queste presentino sufficiente omogeneità. Ed invero tale quadro sarebbe certamente del tutto sconvolto ove in intere zone fossero consentiti interventi di demolizione e ricostruzione non solo in ampliamento ma anche in deroga ad altezze e distanze (tra edifici e strade) originariamente previste e rispettate dal piano regolatore; così operando, infatti, ciascun edificio potrebbe essere non solo ricostruito con ampliamento, ma anche in una sua nuova nuova e del tutto diversa posizione rispetto a quella degli altri. Scenario certo interessante , ma indubbiamente non rispondente ad alcun tipo di ordinato e coerente sviluppo edilizio”.

Che sia possibile estendere le considerazioni di cui supra anche alle specifiche forme di tutela previste dagli artt. 2 e 9, c. 1, lett. c) della L. R. Veneto n. 14/2009?

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 1610 del 2014

Il TAR Veneto si allinea al CdS: negli accordi art. 6 deve sussistere una stretta correlazione tra l’intervento edilizio e la localizzazione dello standard perequativo

13 Mag 2014
13 Maggio 2014

Segnaliamo in materia di perequazione la sentenza del TAR Veneto n. 590 del 2014, che mette  un paletto a una figura che, peraltro, non smette di sollevare in molti interpreti perplessità anche di ordine generale. 

Scrive il TAR: "2. Ciò premesso è possibile concentrarsi sull’esame del merito del ricorso, rilevando sin d’ora come risulti fondato il primo motivo, laddove si sostiene il venire in essere di un illegittimità derivata, riconducibile all’illegittimità degli atti impugnati nel ricorso RG 896/2011, limitatamente a quanto successivamente disposto dalla sentenza n. 616/2014 del Consiglio di Stato.

2.1 Con detta pronuncia si è, infatti, sancita l’illegittimità del Piano degli Interventi nella parte in cui aveva posto a carico dell’impresa controinteressata una modalità di perequazione che prevedeva la realizzazione di una piazza (denominata Piazza della Vittoria), posta in una località non immediatamente contigua all’intervento oggetto del accordo pubblico – privato di cui all’App 16.

Si era così disposta non solo l’illegittimità in parte qua del primo Piano degli Interventi, ma soprattutto l’illegittimità dell’App 16, approvata dapprima con la delibera del Consiglio comunale n. 07 del 23/02/2011 e poi recepita nel PI n. 2.

2.2 Risultano, infatti, condivisibili le osservazioni cui è pervenuto il Consiglio di Stato nella pronuncia sopra citata, laddove si è evidenziata l’esistenza di un quadro giurisprudenziale diretto a rilevare una stretta correlazione tra l’intervento edilizio e la localizzazione dello standard.

Si è ritenuto, pertanto, che la previsione contenuta nell’App 16 contrasta con il criterio di radicamento territoriale degli standard sopra evidenziato, circostanza suscettibile di determinare un effettivo contrasto degli atti impugnati con il primo ricorso, e con quello ora sottoposto al presente Collegio, con l'art. 46 delle norme tecniche del PAT con consequenziale declaratoria di illegittimità in parte qua.

2.3 Nella rimanente parte della pronuncia il Consiglio di Stato ha, inoltre, confermato le conclusioni cui era giunto questo Tribunale che aveva ritenuto di rigettare i motivi ulteriori, mediante i quali si era proposta l’impugnazione avverso il primo piano degli interventi.

2.4 Va rilevato come sussista una stretta correlazione tra il procedimento che ha portato all’approvazione del primo Piano degli interventi, nella parte in cui approva l’App 16 e, ancora, le delibere in questa sede impugnate nella parte in cui anche queste ultime ritengono di confermare le statuizioni in precedenza espresse e con riferimento all’accordo pubblico - privato oggetto dell’App.

2.5 Questo Collegio ritiene infatti, di condividere le conclusioni cui è giunta la pronuncia del Consiglio di Stato n. 616/2014 nella parte in cui ha, altresì, rigettato l’eccezione di improcedibilità che, a sua volta, aveva come presupposto proprio l’avvenuta emanazione degli atti relativi al Piano degli Interventi n. 2 ora impugnati.

2.6 Al fine di accogliere la censura di illegittimità derivata risulta, infatti, dirimente constatare che la delibera n. 15 del 2012 di adozione del Piano degli Interventi n. 2 sancisce, espressamente, che quest’ultima “recepisce il piano degli interventi vigenti conseguentemente le previsioni urbanistiche rimangono sostanzialmente invariate” e che, ancora, “per quanto riguarda la variante approvata dal consiglio comunale con la deliberazione n. 7 del 23/02/2011 su proposta della ditta Cama, si confermano i contenuti della predetta deliberazione, conformandoli al presente piano degli interventi”.

2.7 L’espressa dizione diretta a confermare i contenuti di un provvedimento ora in parte annullato, deve ritenersi inequivocabile diretta ad includere, nell’ambito del Piano degli Interventi ora impugnato, i contenuti dell’App 16 nella parte in cui quest’ultimo comprende, ancora, la realizzazione di Piazza della Vittoria, opera la cui previsione era stata ritenuta essere in violazione dei principi in materia di standard e di perequazione urbanistica.

2.8 A fronte del dato letterale presente nella delibera n. 15/2012 si deve ritenere come le delibere relative al Piano degli Interventi n. 2, per quanto attiene i contenuti dell’App 16, si pongano nell’ambito di un unico segmento procedimentale, finalizzato a reintrodurre una determinata pianificazione urbanistica di un’area ben individuata.

2.9 Detto segmento procedimentale, pur essendo stato inserito nell’ambito di un nuovo - e più ampio - procedimento di approvazione di un nuovo Piano degli Interventi, si è concluso con l’adozione di un atto confermativo che, in quanto tale, ha inteso riprodurre le medesime previsioni urbanistiche di un atto in precedenza annullato.

2.10 E’ la stessa Amministrazione comunale a ricordare le circostanze in relazione alle quali era maturata l’esigenza di approvare nuovamente l’App. 16, esigenza venuta in essere al fine di consentire all’Amministrazione comunale, per il tramite del Consiglio comunale, di approvare, specificatamente e sul punto, l’oggetto dell’accordo di cui si tratta.

2.11 Si consideri ancora, come detta illegittimità sia stata immediatamente eccepita dalla ricorrente all’atto di proposizione del ricorso, facendo un espresso rinvio a tutti i vizi in precedenza dedotti.

E’ evidente che in quella fase il ricorrente non conosceva, ancora, gli esiti della sentenza del Consiglio di Stato che ha poi individuato quell’unico vizio suscettibile di annullare l’App. 16.

2.11 Sostenere, come fanno le parti resistenti, che sussisteva un onere di indicare espressamente il vizio di invalidità derivata così come poi accolto dal Consiglio di Stato, non tiene conto delle peculiarità della fattispecie in esame e, nel concreto, avrebbe l’effetto di porre nel nulla la stessa pronuncia del Consiglio di Stato n. 616/2014, legittimando il comportamento dell’Amministrazione comunale diretto ad emanare un nuovo provvedimento che sostanzialmente ricomprende i vizi del precedente.

2.12 Si consideri, ancora, che il Piano degli Interventi n. 2, nella parte in cui conferma le previsioni dell’App. 16 in precedenza annullate, risulterebbe comunque nullo ab origine laddove, e nel momento in cui, sia possibile accertare il passaggio in giudicato della sentenza n. 616/2014.

Sul punto, infatti, risulterebbe applicabile l’art. 21 septies della L. n. 241/90 che, unitamente ad un costante orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Puglia Bari Sez. I, 06-11-2013, n. 1506), ha ravvisato l’applicazione di detto istituto nell’ipotesi in cui l’Amministrazione “cerchi di realizzare il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo giustificano…”.

2.13 E’, inoltre, necessario considerare come, nelle successive memorie, l’Amministrazione comunale ha riferito di aver attivato il procedimento di esecuzione della sentenza n.616/2014 al fine di modificare gli oneri perequativi contenuti nelle delibere impugnate con il ricorso RG 896/2011.

2.14 Con riferimento a detta circostanza non si comprende come sia possibile attivare un procedimento diretto a rideterminare la perequazione urbanistica in precedenza disposta e nel contempo sostenere, nel presente giudizio, la legittimità di quel provvedimento che pure contiene l’esecuzione delle opere ritenute illegittime.

2.15 In considerazione di quanto sopra esplicitato è, pertanto, possibile ritenere che la già accertata illegittimità del contenuto dell’App. 16 a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 616/2014 ha l’effetto di determinare l’illegittimità derivata, seppur anche qui in parte qua, dei provvedimenti di adozione e approvazione del PI n. 2 in questa sede impugnati".

Geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto 590 del 2014

Il Tar Veneto “reintroduce” il parere (facoltativo?) di compatibilità “paesaggistica” sui PUA – ex art. 16 comma 3 della L. n. 1150/1942?‏

13 Mag 2014
13 Maggio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 587 del 2014, in relazione al fatto che la legge regionale veneta non prevede la necessità di tale parere.

Scrive il TAR: "1.4 Va, infatti, considerato che la necessità di richiedere l’autorizzazione paesaggistica nel procedimento diretto all’approvazione di un piano di lottizzazione trova un riscontro positivo sia, nell’art. 16 comma 3 della L. n. 1150/1942 sia, ancora, nell’art. 28 della stessa normativa, disciplina quest’ultima che, per quanto attiene i principi in materia ambientale, non può considerarsi automaticamente superata con l’introduzione della Legge Reg. n. 11/2004.

1.5 Un orientamento giurisprudenziale, seppur non univoco (T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 08-04-2010, n. 1511), ha previsto l’applicabilità dell’art. 28 comma 2 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, ritenendo necessaria una valutazione di compatibilità ambientale nel procedimento di approvazione dei piani di lottizzazione.

Si è affermato che l’art. 28 sopra citato “estende ai piani di lottizzazione la necessità di una valutazione sotto il profilo paesistico indipendentemente dalla presenza di un vincolo paesistico-ambientale. Qualora un tale vincolo sussista, tanto per l'intervento di una dichiarazione di notevole interesse pubblico riferita a un bene determinato (art. 136 e 157 del Dlgs. 42/2004) quanto per effetto della tutela ex lege dei contesti ambientali (art. 142 del Dlgs. 42/2004), è necessaria una vera e propria autorizzazione paesistica, sottoposta all'epoca dei fatti, ossia nel regime transitorio, al potere di annullamento ministeriale ex art. 159 del Dlgs. 42/2004”.

1.6 Si consideri, ancora che, a prescindere dal procedimento di approvazione dei Piani Attuativi disciplinato dagli artt. 19 e 20 della L. Reg. n. 11/2004, deve ritenersi che sussista, comunque, la facoltà del Comune di acquisire il parere di compatibilità paesaggistica e, ciò, anche in considerazione del carattere di atto “presupposto” tipico della valutazione paesaggistica, rispetto al provvedimento abilitativo di competenza dell’Amministrazione comunale.

1.7 Come ha, peraltro, confermato anche la pronuncia sopra citata, nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico – ambientale, l’esercizio del potere da parte della Soprintendenza ha il solo effetto di anticipare l’espressione di una valutazione pur sempre indispensabile e propedeutica all’esecuzione dell’intervento di cui si tratta.

Detta acquisizione preventiva può, altresì, essere iscritta alla richiesta di un apporto collaborativo da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo e, ciò, fermo restando il rispetto dei principi di ripartizione delle competenze nell’emanazione dell’atto definitivo.

1.8 Va, altresì, considerato che un tale modo di operare ha l’effetto di incidere su un piano di economia dei procedimenti, consentendo di non approvare, ai fini edilizi, progetti che non avrebbero alcuna possibilità di superare la prova di conformità paesistica".

Segnaliamo, peraltro,  i precedenti opposti orientamenti espressi sempre del medesimo TAR. 

Sentenza TAR Veneto n. 03285/2010, punto 6:  "Con il settimo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’illegittimità della delibera del Consiglio per violazione dell’art. 16, comma 3, della legge n. 1150/1942 muovendo dall’assunto che il P.U.A. impugnato, nonostante interessi un’area vincolata, non è stato sottoposto all’esame della Soprintendenza competente prima della sua adozione e approvazione.

E, in particolare, dal parere del responsabile dell’Ufficio Pianificazione emergerebbe l’esistenza di una striscia di bosco in prossimità della linea ferroviaria e di un corso d’acqua che interessa una modesta porzione del lato sud est del lotto.

La censura è infondata.

Ai sensi dell’art. 16, comma 3, della legge n. 1150/1942 “I piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico, e alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, sono preventivamente sottoposti alla competente Soprintendenza ovvero al Ministero della pubblica istruzione quando sono approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici.”.

Orbene, il procedimento di adozione e di approvazione dei P.U.A. risulta integralmente disciplinato dalla L.R. n. 11/2004 e conseguentemente non vi è alcuna lacuna nella relativa disciplina tale da richiedere l’applicazione della normativa nazionale.

Del resto tale principio risulta affermato anche nella sentenza del T.A.R. Lombardia – Milano n. 6541/2007, richiamata dai ricorrenti a fondamento della tesi della violazione del citato art. 16, comma 3, della legge n. 1150/1942, laddove la detta pronuncia giustifica l’applicabilità, alla fattispecie sottoposta al suo esame, della soprarichiamata disposizione nazionale relativa alla mancata inclusione della stessa nell'art. 103 della L.R. Lombardia n. 12/2005 (rubricato "disapplicazione di norme statali") tra le normative da disapplicare a seguito della entrata in vigore della legge regionale".

 Sentenza TAR Veneto n. 2223/2006: "Se, invero, può convenirsi con il Comune resistente sulla circostanza che, quanto meno relativamente a determinati aspetti (concernenti il complessivo assetto territoriale risultante dal piano) sarebbe opportuno che l'autorizzazione ambientale accompagnasse anche il piano attuativo, de iure condito deve, tuttavia, ritenersi che la predetta autorizzazione vada rilasciata preventivamente alla concreta realizzazione delle opere, e non già del piano attuativo.

Militano, invero, a favore di tale tesi almeno due considerazioni, una di ordine formale e una di ordine sostanziale.

Di ordine formale è il dato letterale dell’art. 6, u.c. della LR n. 63/94 che, riprendendo e specificando l’inciso contenuto nell’art. 7, II comma della legge n. 1497/39 (“i progetti dei lavori”) – all’epoca dei fatti era vigente l’art. 151, II comma del DLgs n. 490/99 che, con analoga formula, individuava “i progetti delle opere di qualunque genere” -, chiarisce, ove ce ne fosse bisogno (nella comune accezione e nel comune modo di intendere “i progetti dei lavori/delle opere” non possono che riferirsi ai lavori e alle opere da realizzare immediatamente, e non a quelli contenuti in uno strumento programmatorio, che in tal caso sarebbe stato espressamente richiamato), che qualora l’autorizzazione ambientale non sia stata tempestivamente annullata dal Ministero, il Sindaco rilascia la concessione/autorizzazione edilizia: ciò significa, dunque, che l’autorizzazione ambientale precede immediatamente l’autorizzazione a costruire.

Di ordine sostanziale è la considerazione che, una volta assoggettato il piano di lottizzazione ad autorizzazione ambientale ed ottenuta la concessione edilizia per la realizzazione di una determinata costruzione ivi specificamente prevista, in caso di richiesta di variante della costruzione stessa dovrebbe ragionevolmente sottoporsi l’intero piano ad una nuova autorizzazione: atteso, infatti, che non pare esservi titolo per assoggettare ad autorizzazione ambientale la concessione edilizia in variante (stante il mancato assoggettamento di quella originaria e, comunque, la mancata visibilità dell’intero contesto territoriale), si dovrebbe sottoporre ex novo a detta autorizzazione l’intero piano attuativo, al fine di verificare se questo, così modificato, è ancora compatibile con il paesaggio.

Né la diversa tesi del necessario assoggettamento della lottizzazione ad autorizzazione ambientale trova conforto nella giurisprudenza richiamata dal resistente Comune: la sentenza TAR Veneto 16.4.2003 n. 3201- da cui comunque si dissente –, invero, ha fondato le proprie argomentazioni richiamando decisioni del Consiglio di Stato che appaiono inconferenti a risolvere la presente questione. Il parere CdS, II, 2.4.2003 n. 1536/00, infatti, sostiene (tra l’altro) che l’art. 151 impone l’autorizzazione paesistica per tutti gli interventi edilizi - ferma l’esclusione di quelli tassativamente indicati nel successivo art. 152 - in zone vincolate, non soltanto per quelli soggetti a concessione (nella specie trattatavasi di realizzazione di servizi igienici che, essendo pertinenziali alla costruzione principale, erano sottoposti a mera autorizzazione); la sentenza CdS, VI, 14.1.2002 n. 173, invece, afferma che nella Regione Puglia il piano di lottizzazione è assoggettato ad autorizzazione ambientale giusta il puntuale disposto contenuto nell’art. 21, V comma della LR n. 56/80 (ex adverso, dunque, può sostenersi che, mancando nel Veneto una norma altrettanto puntuale – la puntualità, semmai, è di segno opposto -, il PdL è escluso da autorizzazione); la sentenza CdS, VI, 2.3.2000 n. 1095 riguarda il diverso parere previsto dall’art. 28, II comma della legge n. 1150/42; la sentenza CdS, V, 10.2.2000 n. 726, infine, conferma l’incontestata circostanza che, dal momento che l’interesse paesaggistico è funzionalmente differenziato da quello urbanistico, nulla osta che il Comune che abbia approvato un progetto edilizio sotto il profilo urbanistico lo respinga, poi, sotto il profilo ambientale".

Geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto 587 del 2014

La Corte Costituzionale sul contenimento della fauna selvatica nei territori preclusi alla attività venatoria nella Regione Veneto

24 Apr 2014
24 Aprile 2014

Con la Sentenza n. 107 del 18 aprile 2014, la Corte Costituzione ha affrontato le questioni di legittimità sollevate dal Presidente del Consiglio dei Ministri in merito ai metodi ecologici di carattere selettivo per il controllo della fauna selvatica nelle zone vietate alla caccia nella Regione Veneto e, ove accertata la loro inefficacia, ai relativi piani di abbattimento.

Nello caso specifico, censurato dal Ricorrente Presidente del Consiglio dei Ministri è “anzitutto, l’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 6 del 2013, perché, in difformità dall’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, non stabilisce che l’inefficacia dei metodi ecologici volti al controllo della fauna debba essere accertata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, prima che si possa procedere con il più invasivo strumento dei piani di abbattimento. L’art. 2, comma 2, della medesima legge regionale, conferisce al Presidente della Giunta regionale un potere sostitutivo, nei confronti degli enti titolari delle funzioni di gestione faunistica, chiamati ad attuare gli interventi di contenimento della fauna. Il ricorrente sostiene che, in tal modo, la legge impugnata ha ampliato le ipotesi di piani di abbattimento, anche con riguardo alle aree naturali protette nazionali e regionali, rispetto alle quali l’art. 21, comma 1, lettera b), della legge n. 157 del 1992, e gli artt. 11, comma 3, lettera a), e 22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), disciplinerebbero una procedura speciale per l’abbattimento selettivo. Infine, l’art. 2, comma 3, della legge impugnata, abilita all’esecuzione dei piani di abbattimento non solo le persone indicate dall’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, ma anche i cacciatori residenti negli ambiti territoriali di caccia”.

La Corte ha stabilito che la questione di illegittimità in merito all’art.2 comma 1, non è fondata in quanto “la censura dell’Avvocatura erariale si basa su un erroneo presupposto interpretativo, posto che nella Regione Veneto è tuttora in vigore l’art. 17, comma 2, della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio). Tale disposizione specifica che, nell’ambito del controllo della fauna selvatica, la Provincia può autorizzare i piani di abbattimento solo se l’Istituto nazionale per la fauna selvatica ha prima verificato l’inefficacia dei metodi ecologici. È perciò chiaro che l’art. 2, comma 1, impugnato, regola la fattispecie unitamente all’art. 17, comma 2, della legge regionale n. 50 del 1993, e dunque, quanto ai poteri dell’ISPRA, in termini del tutto analoghi a quelli dell’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, invocato dalla parte ricorrente”.

In merito all’art. 2 comma 2, il ricorrente sostiene che in tal modo la Regione Veneto ha ampliato le ipotesi di piani di abbattimento nelle aree naturali protette nazionali e regionali, in contrasto con i divieti espressi dall’art. 21, comma 1, lettera b), della legge n. 157 del 1992, e dagli artt. 11, comma 3, lettera a), e 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991, ma ciò non è fondato secondo la Corte. Anche in questo caso, infatti, il ricorso appare infondato perchè “muove dall’erroneo presupposto interpretativo che la norma impugnata estenda, per mezzo del potere sostitutivo, i casi in cui la legislazione permette la caccia al fine di controllare la fauna selvatica. È invece evidente che la sostituzione dell’ente inadempiente potrà venire disposta al solo fine di esercitare una funzione che a quest’ultimo è già attribuita dalla legge, e nel rispetto delle prescrizioni stabilite da quest’ultima. Non è, perciò, ravvisabile alcun margine di contrasto, anche solo potenziale, rispetto ai divieti menzionati dalla difesa erariale.Né la disposizione impugnata consente di ipotizzare, come sembra paventare il ricorrente, che il potere sostitutivo possa venire esercitato rispetto ad ambiti riservati alla competenza dello Stato (sentenza n. 67 del 2013), dato che esso ha espressamente per oggetto gli atti relativi all’attuazione della legge regionale n. 6 del 2013, ovvero un insieme di funzioni imputabili al sistema regionale in ragione dello stesso art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992.”

All’art. 2 comma 3, vengono individuate le persone idonee ad eseguire gli interventi di contenimento della fauna selvatica, aggiungendo all’elenco contenuto nell’art. 17 della legge regionale n. 50 del 1993, anche i cacciatori residenti nei relativi ambiti territoriali di caccia e comprensori alpini, abilitati ai sensi dell’art. 15 della legge regionale n. 50 del 1993. La Corte Costituzionale ha dichiarato fondata la censura mossa dal ricorrente, ove si evidenzia il contrasto di quest’ultima previsione con l’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, a norma del quale i piani di abbattimento devono essere attuati esclusivamente dalle guardie venatorie provinciali, dai proprietari e conduttori dei fondi e dalle guardie forestali e comunali.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Veneto 23 aprile 2013, n. 6 (Iniziative per la gestione della fauna selvatica nel territorio regionale precluso all’esercizio della attività venatoria), limitatamente alle parole «e i cacciatori residenti nei relativi ambiti territoriali di caccia e comprensori alpini e abilitati ai sensi dell’articolo 15 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50», ha invece dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto n. 6 del 2013, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

dott.sa Giada Scuccato

Gli accordi ex art. 6 L. R. Veneto n. 11/2004 rientrano negli accordi integrativi ex art. 11 della L. n. 241/1990

23 Apr 2014
23 Aprile 2014

Nella sentenza del TAR Veneto del 28 marzo 2014 n. 419, con riferimento all’accordo ex art. 6 L. R. Veneto n. 11/2004 secondo cui: “1. I comuni, le province e la Regione, nei limiti delle competenze di cui alla presente legge, possono concludere accordi con soggetti privati per assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico.

2. Gli accordi di cui al comma 1 sono finalizzati alla determinazione di alcune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale ed urbanistica, nel rispetto della legislazione e della pianificazione sovraordinata, senza pregiudizio dei diritti dei terzi.

3. L’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione. L’accordo è recepito con il provvedimento di adozione dello strumento di pianificazione ed è condizionato alla conferma delle sue previsioni nel piano approvato.

4. Per quanto non disciplinato dalla presente legge, trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 11, commi 2 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” e successive modificazioni”, si legge che lo stesso è attratto nella categoria degli accordi integrativi ex art. 11 della L. n. 241/1990: “2.1. L’accordo in questione ha natura di accordo procedimentale, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990 richiamato dal comma 4 dell’art. 6 della L.R. n. 11/2004, ed in particolare di accordo integrativo, essendo finalizzato alla determinazione delle previsioni discrezionali dell’atto di pianificazione urbanistica, ed inserendosi nella serie procedimentale di adozione e di approvazione di tale atto senza concluderla. Tale tipo di accordo, a differenza degli accordi sostitutivi, esaurisce la sua funzione nel momento in cui viene recepito dallo strumento pianificatorio, nella fattispecie dal P.A.T. e poi dal P.I. . Da tale momento in poi varrà la previsione (avente natura di indirizzo, di coordinamento, strategica o operativa) del P.A.T. e del P.I. recettiva e sostitutiva dell’accordo.

2.2. L’accordo procedimentale introdotto dall’art. 6 L.R. n. 11/2004 ha natura strumentale, essendo finalizzato infatti a garantire la condivisione e dunque la concreta attuabilità di alcune scelte urbanistiche, ma una volta che queste ultime sono state adottate con l’approvazione dell’atto di pianificazione e programmazione, per ciò che riguarda l’attuazione di tale scelte riprende vigore il potere discrezionale dell’amministrazione di pianificazione e di programmazione degli interventi attuativi. E tale fase di attuazione delle trasformazioni non è direttamente regolata dall’accordo ex art. 6 che invece ha esaurito la sua efficacia, viceversa saranno le previsioni programmatorie degli strumenti urbanistici generali ad indirizzarla”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 419 del 2014

DGRV recante “Definizione dei requisiti dei cimiteri di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a) della Legge Regionale 4 marzo 2010 n. 18 “Norme in materia funeraria”

22 Apr 2014
22 Aprile 2014

Piani cimiteriali

Ogni Comune è tenuto a predisporre un piano cimiteriale, per i cimiteri esistenti o in progetto, al fine di rispondere alle necessità di sepoltura di cui all’art. 27, comma 2, della lr 18/2010.

I piani cimiteriali sono approvati dal consiglio comunale previo parere dell’Azienda ULSS competente per territorio.

I piani sono aggiornati ogni dieci anni e comunque ogni qualvolta si registrano variazioni rilevanti di elementi presi in esame dal piano stesso.

Le aree cimiteriali e le relative zone di rispetto, come individuate dai piani cimiteriali, sono recepite dallo strumento urbanistico.

Sul Bur n. 41 del 18 aprile 2014, in materia di Sanità e igiene pubblica è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 433 del 04 aprile 2014, recante "Definizione dei requisiti dei cimiteri di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a) della Legge Regionale 4 marzo 2010 n. 18 "Norme in materia funeraria". 

DGRV 433 del 2014

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