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Il CDS stronca senza perifrasi la perequazione alla veneta con opere fuori ambito

13 Feb 2014
13 Febbraio 2014

Che la cosiddetta "perequazione" sia una sorta di escrescenza maligna dell'urbanistica a noi è sempre apparso evidente. Ma non tutti lo pensano o, se lo pensano, non lo dicono.   In verità ci risulta difficile non pensare che la perequazione sia diventata una imposta creata illegittimamente dai comuni in violazione dell'articolo 23 della Costituzione (perchè manca una legge statale che la giustifichi).  

Un mezzo passo avanti, però, lo fa il Consiglio di Stato con la sentenza n. 616 del 2014, che stronca duramente una perequazione accettata dal comune di Oderzo. Oggetto del ricorso di un dissenziente erano il P.I. e gli atti presupposti (tra i quali l'accordo di pianificazione ex art. 6 l.r. n. 11/2004),  che hanno modificato la destinazione di un’area da residenziale a commerciale direzionale, rendendo possibile  la realizzazione da parte della controinteressata di un fabbricato ad uso commerciale direzionale, con annessa sistemazione della viabilità contermine, in modo particolare mediante la realizzazione di una rotonda al fine di favorire gli accessi limitrofi. In via perequativa, a fronte della nuova destinazione urbanistica dell’area oggetto dell’accordo, il soggetto privato si impegnava nei confronti dell’amministrazione comunale alla realizzazione degli interventi di sistemazione e riqualificazione di Piazza della Vittoria.

Il Consiglio di Stato ha accolto il motivo di ricorso col quale l ’appellante lamentava la violazione dell’art. 46 delle norme tecniche del PAT, delle linee guida approvate con delibera n. 60 del giorno 8 marzo 2010, nonché eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità, dello sviamento e del difetto di istruttoria. In concreto, l’appellante si doleva della modalità con cui era stato applicato al caso in specie il principio perequativo, atteso che l’accordo intervenuto tra il Comune e la ditta interessata si è fondato sulla disponibilità della società a realizzare a proprie spese, in cambio della variazione della destinazione urbanistica dell’area di interesse, gli interventi di risistemazione di un’area pubblica, ossia piazza della Vittoria, per un importo di circa €. 400.000 Euro, dando vita così ad opere slegate funzionalmente con l’area dell’intervento.

Così il Consiglio di Stato spiega perchè la perequazione non può portare a realizzare opere fuori ambito: " Osserva la Sezione come il tema del rispetto degli standard urbanistici abbia nuovamente assunto di recente un rilievo centrale nell’ambito degli strumenti di governo del territorio. In questo senso, sono riscontrabili non solo interventi normativi (peraltro organizzati secondo prospettive dialetticamente opposte riguardo al tema della loro necessità e cogenza, poiché mirano, da un lato - come nel caso della legge 14 gennaio 2013, n. 10 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” - a marcarne la rilevanza ai fini della qualità di vita urbana e, dall’altro – come con l’introduzione dell’art. 2-bis “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati” nel d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” – a renderne al contrario più flessibile e meno stringente il contenuto), ma anche prese di posizione di questo Consiglio, che non si è sottratto al dovere di esprimere il proprio avviso su un tema così rilevante nella costruzione del tessuto urbanistico. In particolare, questo Giudice ha già delineato una propria linea interpretativa in merito al collegamento tra interventi edilizi e ricerca  degli standard urbanistici e ha così assunto decisioni che hanno, ad esempio, negato la sufficienza di un parcheggio collocato in area non fruibile, dove la fruibilità era collegata non a valutazioni normative, ma fattuali, poiché il “terreno pertinenziale destinato a parcheggio deve ragionevolmente intendersi come condizione necessaria per la migliore fruizione del parcheggio medesimo da parte di tutti coloro che intendono comodamente accedervi con i propri mezzi di locomozione per poi uscire con i relativi acquisti più o meno ingombranti e/o pesanti da collocare su tali mezzi” (Consiglio di Stato, sez. V, 25 giugno 2010 n. 4059); oppure decisioni che hanno evidenziato i pericoli legati alla smaterializzazione degli standard, sottolineando come “la monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della  qualità di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area” (Consiglio di Stato, sez. IV, ord. 4 febbraio 2013 n. 644). Ancora, si è affermato che “qualora si potessero individuare gli standard costruttivi in ragione del solo dato dimensionale, verrebbe conseguentemente posto in ombra il dato funzionale, ossia la destinazione concreta dell’area, come voluta dal legislatore. Soddisfacendo gli standard con la messa a disposizione di aree non utilizzabili in concreto (ossia, seguendo l’indicazione del T.A.R., utilizzando “le porzioni che non sono utilizzabili, per forma o per le ridotte dimensioni, ovvero perché eccedenti un posto macchina standard ma insufficienti per realizzarne un altro, ovvero infine per il difficile accesso”), la norma di garanzia verrebbe frustrata, atteso che il citato art. 41 sexsies della legge urbanistica non contempla un nudo dato quantitativo, ma un dato mirato ad uno scopo esplicito” (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 maggio 13 n. 2916). Come si vede, il quadro complessivo emergente dalla giurisprudenza è quello di una marcata attenzione alla funzione stessa degli standard urbanistici, intesi come indicatori minimi della qualità edificatoria (e così riferiti ai limiti inderogabili di densità edilizia, di rapporti spaziali tra le costruzioni e di disponibilità di aree destinate alla fruizione collettiva) e come tali destinati a connettersi direttamente con le aspettative dei fruitori dell’area interessata. Il che comporta, come già notato dalle decisioni che precedono, come il criterio essenziale di valorizzazione e di decisione sulla congruità dello standard applicato sia quello della funzionalizzazione dello stesso al rispetto delle esigenze della popolazione stanziata sul territorio, che dovrà quindi essere posta in condizione di godere, concretamente e non virtualmente, del quantum di standard urbanistici garantiti dalla disciplina urbanistica. La Sezione non può peraltro esimersi dal notare come la cogenza di questa stretta correlazione spaziale tra intervento edilizio e localizzazione dello standard, correlazione che connota il tema della qualità edilizia, assuma una valenza ancora più marcata nei casi in cui operino strumenti urbanistici informati al principio della perequazione. Infatti, la soluzione perequativa, che tende ad attenuare gli impatti discriminatori della pianificazione a zone, sia in funzione di un meno oneroso acquisto in favore della mano pubblica dei suoli da destinare a finalità collettive, sia per conseguire un’effettiva equità distributiva della rendita fondiaria, si fonda su una serie di strumenti operativi che, letti senza un congruo ancoraggio con le necessità concrete cui si riferiscono, favoriscono astrazioni concettuali pericolose. L’utilizzo di formule retoricamente allettanti (aree di decollo, aree di atterraggio, pertinenze indirette, trasferimenti di diritti volumetrici et similia) non deve fare dimenticare che lo scopo della disciplina urbanistica non è la massimizzazione dell’aggressione del territorio, ma la fruizione, privata o collettiva, delle aree in modo pur sempre coerente con le aspettative di vita della popolazione che ivi risiede. In particolare, l’assenza di una disciplina nazionale sulla perequazione urbanistica (tanto più necessaria dopo che la Corte costituzionale ha affermato, con la sentenza del 26 marzo 2010 n, 121, che le “previsioni, relative al trasferimento ed alla cessione dei diritti edificatori, incidono sulla materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato”, con ciò rendendo dubbia la presenza di discipline regionali emanate prima della fissazione di un quadro organico statale - che non si limiti all’aspetto della mera documentazione della trascrizione dei diritti edificatori, di cui all’art. 5 comma 3 del D.L. 13 maggio 2011, n. 70) dimostra la viva necessità di una disamina concreta delle diverse previsioni adottate negli strumenti urbanistici, al fine di evitare che l’estrema flessibilità delle soluzioni operative adottate dalle singole Regioni si traduca in una lesione di ineliminabili esigenze di salvaguardia dei livelli qualitativi omogenei di convivenza civile (e la riconducibilità dell’attività amministrativa, intesa come “prestazione”, al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, proprio in rapporto a istituti di diritto dell’edilizia, è chiarissima nella giurisprudenza del giudice delle leggi, cfr. Corte Costituzionale, 27 giugno 2012 n. 164). Conclusivamente, la Sezione intende rimanere fedele al suo orientamento che vede lo standard urbanistico collocarsi spazialmente e funzionalmente in prossimità dell’area di intervento edilizio, al fine di legare strettamente e indissolubilmente commoda e incommoda della modificazione sul territorio. Sulla scorta delle coordinate appena indicate, appare del tutto palmare l’inidoneità della soluzione proposta dal Comune, che ha reperito gli standard collegati all’intervento edilizio proposto dalla parte privata appellata acconsentendo alla realizzazione di un’opera pubblica in area non contigua né funzionalmente collegata con quella di riferimento. Infatti, con l’accordo intervenuto tra il Comune e la CAMA s.r.l. si è stabilito che la società, in cambio della variazione della destinazione urbanistica dell’area di interesse, realizzasse a proprie spese gli interventi di risistemazione di un’area pubblica, ossia piazza della Vittoria, per un importo di circa €. 400.000 Euro. Si tratta di un’area collocata in zona non contigua né funzionalmente collegata con il sito dove avverrà la trasformazione urbanistica da residenziale a commerciale. Il primo giudice ha dato atto che le norme tecniche del PAT ammettono il ricorso alla procedura perequativa, disponendo in termini generali che per le aree interessate dalle linee di espansione residenziale la modalità perequativa consiste nella cessione del 50% dell’area che il PI attiverà, da destinare alla dotazione urbanistica o al trasferimento dei crediti edilizi. La stessa disposizione prevede inoltre che, in alternativa alla cessione delle aree e a seguito della valutazione operata da parte dell’amministrazione, potrà essere ammessa la realizzazione di opere di interesse pubblico, laddove l’amministrazione ne ravvisi l’opportunità. Tuttavia, interpretando il contenuto di tale disciplina, ha fondamentalmente scisso i due momenti, affermando che, “se è vero che in linea generale la medesima disposizione delle norme tecniche qui richiamata prevede che ai fini perequativi possano anche essere considerate aree distinte e non contigue, purchèé funzionalmente collegate, è anche vero che detta prescrizione si collega direttamente all’ipotesi ordinaria e cioè a quella per cui la modalità perequativa viene perseguita mediante la cessione di una percentuale delle aree che il PI attiverà. All’ipotesi diversa e derogatoria rispetto a tale previsione, ossia quella consistente nella realizzazione a spese del privato di opere di pubblico interesse, non pare applicabile anche l’invocato requisito della contiguità e funzionalità delle aree, per il semplice motivo che le valutazioni dell’amministrazione (valutazione che, richiamando il termine utilizzato nella stessa disposizione, è di opportunità) possono anche ravvisare l’interesse alla realizzazione di opere in altri ambiti del territorio comunale. In altre parole, una volta ammesso che ai fini della perequazione sia possibile anche compensare il vantaggio ricevuto con la realizzazione di un’opera pubblica, ciò non implica necessariamente che detta opera debba essere unicamente realizzata in aree funzionalmente collegate. In realtà come correttamente indicato nelle linee guida di cui alla delibera di Giunta n. 60/2010, è sufficiente che si tratti di opere rientranti nel programma triennale delle opere pubbliche e quindi che le stesse siano giustificate dalla programmazione comunale e dall’interesse pubblico sotteso alla loro realizzazione.” La Sezione contrasta decisamente tale assunto, proprio nella considerazione che la tipologia di esigenze pubbliche, che giustificano l’inserimento di un’opera nel programma triennale di cui all’art. 128 del codice appalti, non sono sovrapponibili a quelle che animano la disciplina degli standard urbanistici, visti i contesti topograficamente differenziati e gli interessi dimensionalmente distinti che li giustificano. In particolare, la vicenda qui in esame lo dimostra in maniera  lampante come gli interessi privati e pubblici sottesi ai due diversi provvedimenti siano addirittura opposti: infatti, se è vero che in una determinata area cittadina vi sarà un miglioramento della viabilità, è pur vero che in un’altra avrà luogo un parallelo peggioramento della qualità di vita, conseguente alla diversa dislocazione degli interventi edificatori. Il che contrasta con il criterio di radicamento territoriale degli standard sopra evidenziato e rende concreto quel pericolo di miopia concettuale sopra tratteggiato, dove il rispetto della costruzione teorica fa perdere di vista il risultato effettivamente conseguito e il suo impatto sul territorio. E deve essere rimarcato come il ricorso a concetti di più difficile concretizzazione, come appunto quello di interesse pubblico, non deve far dimenticare come questo non abbia una sua connotazione unica e globalizzante, ma sia oggettivamente complesso, frammentato e, nella sua connotazione più utilizzata, quella di interesse pubblico in concreto, sia il frutto di una ponderazione di tutti gli interessi, privati e pubblici, che si equilibrano nel procedimento. Il che rende ragione dell’insidiosità della sovrapposizione (e della ritenuta preminenza) dell’interesse concreto che ha giustificato la redazione di un atto amministrativo, come il piano triennale delle opere pubbliche, rispetto all’altro interesse concreto (ma individuato in generale in previsioni di rango legislativo e regolamentare) che impone il rispetto degli standard urbanistici. Pertanto, in riforma della pronuncia del primo giudice, deve darsi atto dell’effettivo contrasto degli atti gravati con l’art. 46 delle norme tecniche del PAT e delle linee guida approvate con delibera n. 60 del giorno 8 marzo 2010, con consequenziale declaratoria di illegittimità in parte qua".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 616 del 2014

S.O.S. tecnico: quesiti sul piano casa

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Pubblichiamo un esempio di quesiti sul piano casa inviati alla Regione Veneto da un tecnico comunale.

"Venuto a conoscenza che si possono inoltrare in Regione quesiti in merito alla L.R. n. 32/2013 -  Piano Casa 3, formulo i seguenti quesiti:

 1) Nel caso di realizzazione del corpo staccato, ai sensi dell’art. 2 del Piano Casa, la tettoia fotovoltaica è possibile attaccarla al corpo staccato o si può realizzarla solamente in aderenza al fabbricato esistente al 11/07/2009? (Delibera Giunta Regionale 2508/2009)

2) Al fine del versamento del contributo di costruzione dovuto per l’ampliamento di un fabbricato residenziale ai sensi dell’art. 2 comma 5, si può ritenere che nel caso in cui tale ampliamento venga abbinato anche alla realizzazione di una tettoia fotovoltaica ai sensi dell’art. 5, la stessa possa essere anche considerata ai sensi dell’art. 7 comma 1 bis (almeno 3 Kwp), e quindi che per una prima casa d’abitazione il contributo di costruzione non è dovuto?

3) Ai sensi dell’art. 7 della Legge :

  1. “ferma restando l’applicazione dell’articolo 17 del D.P.R. n. 380/2001, per gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 3 ter e 3 quater, il contributo di   costruzione è ridotto …..”

1 bis. “in deroga al comma 1, per gli interventi di cui agli articoli 2,3,3 ter e 3 quater che utilizzano fonti di energia rinnovabile….”

Anche nei successivi commi il rinvio a quanto previsto dall’art. 3 bis non c’è, per tanto risulta che gli interventi previsti dall’art. 3 bis il contributo di costruzione risulta da pagare intero. E’ corretta tale analisi? (manca il riferimento dell’art. 3 bis anche nell’art. 9 comma 7 in merito alla tempistica di presentazione delle istanze).

4) Ai sensi dell’art. 2 comma 1 ultimo periodo “Resta fermo che sia l’edificio che l’ampliamento devono insistere in zona territoriale omogenea propria.”. Si chiede se nel caso di corpo staccato ad uso residenziale sia ammissibile il cambio di zona di P.r.g. o di P.I. rispetto al fabbricato che genera cubatura (da zona agricola a zona edificabile e viceversa).

5) Ai sensi dell’art. 3bis in zona agricola oltre che l’ampliamento di edifici a destinazione residenziale, è consentito ampliare edifici funzionalmente destinati alla conduzione del fondo; si chiede come va dimostrata la funzionalità dell’ampliamento per la conduzione del fondo. Basta la relazione agronomica o ci vuole un Piano Aziendale vistato dall’Ispettorato dell’Agricoltura? Può ampliare un fabbricato agricolo l’Imprenditore Agricolo non a titolo professionale o chiunque sia proprietario di un fabbricato agricolo ma esegua una professione diversa dall’agricoltore?

6) Visto quanto enunciato nell’art. 9 comma 8 bis, si chiede di precisare meglio come va calcolata la deroga dell’altezza del 40% dell’edificio esistente, in rapporto anche all’altezza massima ammissibile degli edifici stabilite nelle Norme Tecniche di Attuazione di P.r.g.  da altrii atti pianificatori Comunali.

7) in merito a quanto previsto dall'art. 9 c. 8 " Sono fatte salve le distanze previste dalla normativa statale vigente".

 Si chiede si si possa costruire sul confine sulla base del principio della prevenzione temporale infatti:

 la legge si ispira al principio della prevenzione temporale (*), desumibile dal combinato disposto degli artt. 873, 874, 875 e 877, secondo il quale il proprietario che costruisce per primo determina, in concreto, le distanze da osservare per le altre costruzioni da erigersi sui fondi vicini. Chi edifica per primo su di un fondo contiguo ad un altro ha una triplice facoltà alternativa:

a) costruire sul confine: di conseguenza il vicino potrà costruire in aderenza o in appoggio (pagando in tale ipotesi, ai sensi dell'art. 874, la metà del valore del muro);

b) costruire con distacco dal confine: e cioè alla distanza di un metro e mezzo dallo stesso o a quella maggiore stabilita dai regolamenti locali; in tal caso il vicino sarà costretto a costruire alla distanza stabilita dal codice civile o dagli strumenti urbanistici locali;

c)costruire con distacco dal confine ad una distanza inferiore alla metà di quella totale prescritta per le costruzioni su fondi finitimi salvo il diritto del vicino, che costruisca successivamente, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando il valore del suolo. In tal caso, il vicino può costruire in appoggio, chiedendo la comunione del muro che non si trova a confine (ed in tale ipotesi deve pagare, ai sensi dell'art. 875, la metà del valore del muro) oppure in aderenza.

(*) E' stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 873, 875 e 877 in riferimento agli artt. 3 e 42 Costituzione, basata sulla presunta lesione del principio di uguaglianza determinata dal principio di prevenzione. Secondo la Corte Costituzionale, il diritto di prevenzione per essere assicurato a ciascuno dei proprietari confinanti non viola il diritto di uguaglianza e, inoltre, l'esercizio della prevenzione, una volta che sia stati concretamente compiuto, dà luogo ad una situazione differenziata rispetto alla precedente tale da giustificare la diversità di disciplina per situazioni diverse (Corte Costituz. 22.3., n. 1905).

Ringraziando per la cortese attenzione, porgo distinti saluti.

        Geom. Seragiotto Tobia – Ufficio Tecnico del Comune di Brendola (Vi)"

Piano casa ter: osservazioni e domande

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014
 
da ieri è attivo questo indirizzo di posta dove potranno essere inviate le osservazioni e le domande sulla legge regionale 8 luglio 2009, n.14, come modificata dalla LR 32/2013, in vista della circolare esplicativa che la Giunta regionale, sentita la Seconda commissione consiliare, dovrà emanare ai sensi dell'art.14, comma 1, LR 32/2013.

Il TAR Veneto dichiara che le deroghe alla distanze dai confini previste dal Piano Casa sono conformi alla Costituzione

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 06 febbraio 2014 n. 151, chiarisce che le norme previste dal c.d. Piano Casa che derogano alla distanza dal confine per la prima casa di abitazione (cfr. art. 8, comma 4 e 5 della Legge Regionale Veneto n. 13/2011 ed art. 2, comma 1, art. 6, comma 1 ed art. 9 comma 5 della Legge Regionale Veneto n. 14/2009) sono conformi alla Costituzione .

Nello specifico si legge che: “Il collegio ritiene che il ricorso sia fondato, non sussistendo ragione di discostarsi dal precedente orientamento che ha portato all’adozione di numerose sentenze che già si sono pronunciate in relazione alla insussistenza di un potere comunale di apportare limiti alle previsioni derivanti dalla legge regionale del cosiddetto secondo piano casa che consentono di derogare a tutte le norme in tema di distanze (diverse da quelle di fonte statale ), poste da fonti locali in materia urbanistico edilizia per quanto concerne gli interventi sulla prima casa di abitazione. In particolare già con la sopra citata sentenza della seconda sezione n.1213 del 2013 è stato espressamente affermato che ciò vale anche per le previsioni che subordinano la facoltà di costruire sul confine al previo consenso del vicino. In senso conforme anche la sentenza numero 835/2013 e numerose altre. Va in proposito rimarcato che, invece, la sentenza numero 1105 del 2012, citata dal resistente comune, non si riferisce ad interventi edilizi concernenti la casa di prima abitazione.

Dato che è incontestato che, nel caso di specie, non viene in questione il rispetto delle distanze tra fabbricati di cui all’articolo 873 del codice civile e al D.M. n. 1444 del 1968 è del tutto evidente la manifesta infondatezza della sollevata eccezione di incostituzionalità della normativa straordinaria e derogatoria di cui al piano casa, che risulta anche irrilevante in causa in punto di fatto, dal momento che è escluso in radice che possa venire in questione la violazione dei principi civilistici”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 151 del 2014

I chiarimenti della regione (FAQ) sull’applicazione delle nuove disposizioni regionali per l’insediamento di medie e grandi strutture di vendita

31 Gen 2014
31 Gennaio 2014
Adeguamento dello strumento urbanistico comunale

D: Il comune che ad oggi non sia dotato di Piano di Assetto del Territorio (PAT) e di Piano degli Interventi (PI) può rimuovere eventuali limitazioni contenute nel proprio strumento urbanistico generale (PRG) al fine di consentire l’insediamento di medie e grandi strutture di vendita nei centri storici ?

R: Sì, il comune ad oggi non dotato di PAT e PI può rimuovere eventuali limitazioni all’insediamento di medie e grandi strutture di vendita all’interno dei centri storici con una variante al vecchio PRG secondo la procedura prevista dall’articolo 50, commi 6, 7 e 8 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 6 (vedasi in tal senso l’articolo 48, comma 7 octies della legge regionale urbanistica 23 aprile 2004, n. 11)

D: Entro quale termine devono essere adeguati gli strumenti urbanistici e territoriali ai criteri del regolamento regionale ?

R: Entro il termine di un anno dalla pubblicazione del regolamento regionale nel Bollettino Ufficiale della Regione, ossia entro il 25 giugno 2014.

D: Cosa accade nelle more dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e territoriali ai criteri fissati dal regolamento regionale oppure in caso di inosservanza del termine di adeguamento ?

R: Il comune non può individuare nuove aree o ampliare le aree esistenti con destinazione commerciale per grandi strutture di vendita o medie strutture con superficie di vendita superiore a mq. 1.500 al di fuori dai centri storici e non può rilasciare l’autorizzazione commerciale in presenza di una variante approvata in violazione del predetto divieto (vedasi in tal senso l’articolo 4, comma 3 della legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50)
 
Perimetrazione del centro urbano e individuazione delle aree dismesse e degradate

D: Ai fini degli adempimenti comunali relativi alla perimetrazione del centro urbano e  all’individuazione delle aree oggetto di riqualificazione urbanistica, è necessaria l’approvazione di una deliberazione del Consiglio comunale oppure è sufficiente una deliberazione della Giunta comunale ?

R: La competenza ad adottare gli adempimenti relativi alla perimetrazione del centro urbano e all’individuazione delle aree oggetto di riqualificazione urbanistica va individuata all’interno della vigente normativa che disciplina l’ordinamento degli enti locali e secondo i rispettivi statuti.
Ciò premesso, trattandosi di adempimenti di carattere ricognitivo volti ad effettuare una fotografia della situazione esistente, può risultare idonea una deliberazione della Giunta comunale, fermo restando che detta deliberazione deve essere preceduta da adeguate forme di pubblicità, come previsto dal regolamento regionale n. 1 del 2013.

D: La perimetrazione del centro urbano e l’individuazione delle aree oggetto di riqualificazione urbanistica, costituiscono variante allo strumento urbanistico ?

R: No. Si tratta di adempimenti necessari ai fini della variante allo strumento urbanistico comunale per la localizzazione degli interventi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 1.500 fuori dei centri storici, ma non costituiscono essi stessi variante.

D: L’individuazione delle aree oggetto di riqualificazione urbanistica può avvenire anche su indicazione del soggetto privato ?

R: Sì, il regolamento regionale prevede che la deliberazione comunale con la quale sono individuate le aree oggetto di riqualificazione urbanistica sia preceduta da adeguate forme di pubblicità che consentano all’amministrazione comunale di acquisire eventuali proposte da parte di soggetti privati.
 
Interventi commerciali in aree per grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 50 del 2012 

D: Cosa s’intende per compatibilità urbanistica per grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 50 del 2012 ?

R: S’intende la previsione urbanistica di aree idonee all’insediamento di grandi strutture di vendita (o parchi commerciali) da parte del PRG oppure da parte del PI alla data del 1 gennaio 2013, data di entrata in vigore della legge regionale n. 50 del 2012.

D: I criteri per la pianificazione locale di cui all’articolo 2 del regolamento regionale debbono essere applicati anche per le aree già idonee all’insediamento di grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale ?

R: I criteri per la pianificazione locale di cui all’articolo 2 del regolamento trovano applicazione ai fini della localizzazione urbanistica di nuove aree per gli interventi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 1.500 da ubicarsi fuori dai centri storici; in caso di interventi in aree urbanisticamente idonee all’insediamento di grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale, la conferenza di servizi in materia di commercio valuta la compatibilità dell’intervento commerciale applicando la cd. “valutazione integrata degli impatti” di cui all’articolo 4 del regolamento regionale.
Rimane inteso, tuttavia, che qualora l’intervento commerciale in aree urbanisticamente idonee per l’insediamento di grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 50 del 2012 non risponda ai criteri di cui alla lettera A.2 dell’articolo 4 del regolamento regionale, si rende necessaria una nuova localizzazione dell’area secondo il criterio dell’approccio sequenziale previsto all’articolo 2 del regolamento medesimo.

Varianti di trasformazione da destinazione agricola a destinazione commerciale

D: Possono essere approvate varianti di trasformazione da destinazione agricola a destinazione commerciale per interventi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 1.500 ?

R: No, tranne che per gli interventi di cui all’articolo 9, comma 2 del regolamento regionale, oggetto di accordi di programma ai sensi dell’articolo 26 della legge regionale n. 50 del 2012 ovvero ai sensi delle vigenti normative regionali, relativi a:
a) varianti funzionali ad un intervento commerciale di ampliamento;
b) varianti funzionali ad interventi commerciali di valorizzazione di complessi sportivi di interesse regionale situati all’interno dei comuni capoluogo.

Accordi di programma per interventi di rilevanza regionale

D: I criteri per l’approccio sequenziale di cui all’articolo 2 del regolamento regionale trovano applicazione anche nelle fattispecie di accordo di programma in variante di cui all’articolo 26 della legge regionale n. 50 del 2012 ovvero ai sensi delle vigenti normative regionali (es. art. 32 della legge regionale n. 35 del 2001)?

R: Sì, detti criteri di cui all’articolo 2 del regolamento regionale si applicano anche agli accordi di programma in variante ai sensi della legge regionale n. 50 del 2012 ovvero ai sensi delle vigenti normative regionali, ad eccezione delle fattispecie previste dall’articolo 9, comma 2 del regolamento regionale ed elencate nella risposta che precede.

Tutela ambientale in tema di medie strutture di vendita

D: Quale effetto si è determinato nell’ordinamento regionale a seguito della sentenza n. 251 del 28 ottobre 2013, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge regionale n. 50 del 2012 in materia di requisiti ambientali delle strutture commerciali ?

R: La Corte Costituzionale, con la citata sentenza, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge regionale n. 50 del 2012 nella parte in cui non prevede l’assoggettamento delle medie strutture di vendita in forma di centro commerciale alla procedura di verifica di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni.
A seguito della citata sentenza non si è verificato alcun effetto nell’ordinamento regionale poiché già con deliberazione n. 575 del 10 maggio 2013, la Giunta regionale aveva emanato alcuni criteri di indirizzo e coordinamento normativo tra le disposizioni regionali e le disposizioni statali in materia di tutela ambientale, precisando in sostanza che le medie strutture di vendita, qualora articolate in forma di centro commerciale, debbano rimanere assoggettate alla procedura di verifica prevista dalla citata normativa statale.

Ultimo aggiornamento: 18/12/2013

DGRV n. 2879 del 30/12/2013: Modifica atti d’indirizzo per la predisposizione del Piano Aziendale ai fini dell’edificabilità del territorio agricolo

31 Gen 2014
31 Gennaio 2014

Sul Bur n. 11 del 28 gennaio 2014 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 2879 del 30 dicembre 2013, recante "Semplificazione dei procedimenti nel Settore primario. Atti di indirizzo ai sensi dell'art. 50, comma 1, lett. d), della LR 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio". Modifiche alla lett. d) "Edificabilità zone agricole", punto 1): "Definizione dei parametri di redditività minima delle imprese agricole sulla base di quanto stabilito dalla Giunta regionale ai sensi dell'articolo 18 della LR 40/2003" e punto 2): "Definizione dei parametri per la redazione e per la valutazione della congruità del piano aziendale di cui all'articolo 44, comma 3.".

Secondo le note per la trasparenza "Il provvedimento, sulla scorta di quanto elaborato dai 2 Gruppi tecnici di semplificazione del settore Primario, 01.217-A e 01.105-N, introduce una modifica del procedimento per l'edificabilità in territorio agricolo in grado di snellire il carico degli oneri documentali che le imprese agricole sono chiamate a compiere per poter edificare, garantendo nel contempo la tutela del territorio rurale".

DGRV 2879 del 2013

Raccolta dei pareri della Corte dei Conti del Veneto sull’applicazione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 (trenta per cento della tariffa professionale per la redazione di un atto di pianificazione)

30 Gen 2014
30 Gennaio 2014
Sezione Controllo Regione Veneto - SRCVEN/382/2013/PAR
Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell _ art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, in particolare:se il riferimento ad "un atto di pianificazione" contenuto al comma 6 dell'art. 92 è da intendersi limitato agli atti che abbiano ad oggetto la pianificazione collegata alla realizzazione di opere pubbliche; se il Piano degli Interventi di cui alla L.R. 11/2004 art. 17, dovendosi rapportare con il Bilancio Pluriennale Comunale, con il programma triennale delle opere pubbliche e con altri strumenti comunali settoriali previsti da leggi statali e regionali possa essere comunque considerato oggetto di pianificazione collegato alla realizzazione di opere pubbliche; se l'attività di redazione di un Piano di cui alla L.R. 11/2004 possa essere affidata in parte al personale interno e in parte attribuita all'esterno riducendo proporzionalmente il premio incentivante attribuito ai dipendenti.
 
Sezione Controllo Regione Veneto - SRCVEN/381/2013/PAR
Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell _ art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 che prevede che il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i dipendenti che lo hanno redatto.
 
Sezione Controllo Regione Veneto - SRCVEN/380/2013/PAR
Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell _ art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 che prevede che il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i dipendenti che lo hanno redatto.
 
Sezione Controllo Regione Veneto - SRCVEN/361/2013/PAR
Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell _ art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, disposizione che prevede che il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i dipendenti che lo hanno redatto, con le modalità ed i criteri previsti nel regolamento in materia approvato dall _ Amministrazione; in particolare se tale dettato riguardi anche la redazione degli atti di pianificazione urbanistica non esclusivamente finalizzati alla realizzazione di un _ opera pubblica, come è stato recentemente confermato dall _ Avcp _ Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture con parere n. AG 22/12 del 21 novembre 2012
 
geom. Daniele Iselle

PTRC: presa d’atto delle valutazioni tecniche per l’analisi delle osservazioni

30 Gen 2014
30 Gennaio 2014

Sul Bur n. 12 del 28 gennaio 2014 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 2610 del 30 dicembre 2013, recante la presa d’atto del parere del Comitato previsto ai sensi dell'art. 27 della L.R. 11/2004 (Allegato A) e della Valutazione Tecnica Regionale n. 66 dell’18 dicembre 2013 (Allegato A1), in ordine a “Valutazioni tecniche per l’analisi delle osservazioni pervenute al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC 2009) - Variante parziale con attribuzione della valenza paesaggistica – DGR n. 427 del 10 aprile 2013. L.R. 23 aprile 2004, n. 11”.

DGRV 2630 del 2013

Piano casa: trovato un accordo tra il Governo e la Regione Veneto per modificare la legge e ridurre l’impugnazione a due questioni marginali

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Il piano casa va avanti e resta applicabile.

Un comunicato di ieri sera del Governo informa che è stato trovato un accordo con la Regione Veneto, la quale si è impegnata a modificare la legge, per eliminare i punti contestati.

L'impugnazione davanti alla Corte Costituzionale rimane per due questioni marginali.

Si possono leggere le modifiche che verranno apportate alla legge nel comunicato allegato.

www.governo.it_Presidenza_Comunicati

Il governo impugna davanti alla Corte Costituzionale il terzo piano casa del Veneto

25 Gen 2014
25 Gennaio 2014

Pubblichiamo il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 46 del 24 gennaio 2014, contenente l'annuncio che il Governo ha deliberato la parziale impugnativa davanti alla Corte Costituzionale  della Legge Regione Veneto n. 32 del 29/11/2013 “ Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia” in quanto contiene disposizioni in contrasto con gli artt. art. 3, 9, 97, 117 comma 1, 117 comma 2, 117, comma 3 (con riferimento alla materia “governo del territorio”) e 118 della Costituzione.

Nel post che precede pubblichiamo un primo commento sulla questione da parte del prof. Alessandro Calegari. 

Delibera Consiglio Ministri 46.2014

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