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Appunti critici dell’urbanista Fernando Lucato sul seminario “La Perequazione: problematiche di diritto civile, amministrativo, costituzionale e tributario”

18 Mar 2014
18 Marzo 2014

Durante il seminario del 14 marzo 2014 a Vicenza, l'avv. Dario Meneguzzo ha esposto la (non nuova) tesi secondo la quale la perequazione (nella forma del contributo imposto) sarebbe illegittima, per violazione del'articolo 23 della Costituzione.

L'urbanista Fernando Lucato risponde   sul punto e volentieri pubblichiamo il suo intervento: "Prima Dario, con qualche ironia, mi ha additato alla vasta platea come “inventore” di procedure sostanzialmente illegali, mettendo in guardia i comuni ad attuarle; poi Roberto ha elencato, in rigoroso ordine alfabetico, qualche luogo del delitto che incidentalmente (dato il pochissimo tempo a disposizione) coincideva con piani dei quali ero stato progettista. Ne è risultata una rappresentazione divertente ma, temo, da un lato non sufficientemente articolata per accennare, almeno, alle diverse problematiche coinvolte; dall’altro ingiustamente riduttiva sul mio ruolo professionale. Per quanto mi riguarda, il percorso di sperimentazione e ricerca sulla “perequazione” ha preso avvio nei primi anni ’90 cercando di formalizzare (con il decisivo contributo dello studio legale Dal Prà di Padova) nel PRG di Altavilla vic.na, quella che fino ad allora era una prassi della concertazione (c.fr. Urbanistica Dossier n. 76- Esperienze venete di perequazione urbanistica- 2005). Un’importante aggiornamento è stato introdotto nella variante al PRG di Montecchio Maggiore, nei primi anni 2000, con la formalizzazione dell’atto unilaterale d’obbligo preventivo (in questo caso con il decisivo apporto dello studio Domenichelli di Padova). Poi ha preso avvio la stagione dei PAT e dei PI generati dalla riforma urbanistica del Veneto, con l’esplosione di procedure, comportamenti e contenuti di piano i più diversi. Si tratta, dunque, di un percorso pluridecennale che si è evoluto all’interno di un quadro normativo in continua trasformazione e tuttora incompleto, transitato dall’urbanistica al governo del territorio, dalla stagione dell’espansione a quella della crisi, costantemente confrontato con le più interessanti esperienze in ambito non soltanto regionale nella consapevolezza delle criticità ma anche dei punti di forza. Tra questi segnalo la ricerca costante nella costruzione di un quadro coerente per il rigore dei contenuti e delle procedure adottate, trasparente e verificabile: caratteristiche, queste, che invece sono spesso  mancate nelle moltissime (brutte) copie generate dal “copia incolla” nei confronti delle quali mi sono talora inutilmente battuto. Per questo mi ha infastidito l’essere stato confuso tra i tanti volenterosi copisti, perché nella mia attività non ho mai fatto un uso approssimativo di termini quali: tornaconto, edilizia di speculazione e di necessità…; e negli elaborati da me prodotti non si troverà mai il passaggio disinvolto dal contributo integrativo misurato sulla plusvalenza del Piano, al prelievo di quota parte del costo di costruzione che rappresenta, invece, un’evidente contraddizione; come non si troverà l’applicazione estemporanea di contributi in relazione alle diverse modalità attuative di piano… Insomma un crescendo di approssimazione, confusione e contraddizioni determinate dall’esigenza di far cassa dei comuni, dall’incompletezza del quadro normativo e, talora, dall’impreparazione tecnico/professionale che si rispecchia anche nella forma e nei contenuti dei piani (come ben denunciato da F. Oliva) e dei quali non mi sento, francamente, il principale responsabile. Se non viene colta nella sua interezza la complessità del processo di Piano all’interno del quale si colloca anche lo strumento perequativo, si rischia di sbagliare obiettivo: non è affatto secondario che la possibilità di monetizzare la plusvalenza sia soltanto una delle modalità previste dal “mio modello perequativo”; il superamento del baratto risponde, infatti, all’esigenza della trasparenza e dell’equità nel concorso alla costruzione della città pubblica (vogliamo confrontarci sugli “abusi” possibili invece dalla spalmatura delle potenzialità edificatorie in ambiti improbabili?). Siete veramente convinti che la recente sentenza del C.di S. su Oderzo, metta in crisi il modello perequativo (oltretutto non quello dei valori ma, piuttosto il modello “Micelli” per ambiti non contigui) o, piuttosto, non si soffermi sul significato degli spazi pubblici (standard) ribadendone il carattere di “rapporto” tra potenzialità edificatoria e corrispondente dotazione pubblica (istruttivo sul tema, andarsi a rileggere la puntuale relazione illustrativa del PRG di Bassano della fine anni ’60, di Mancuso e De Luca). Se è così , finalmente, diventa urgente approfondire, ad esempio, il significato dell’atto di indirizzo di cui all’ art.50lett_h della LR 11/2004 in relazione al dimensionamento dei piani e alla “flessibilità” nella monetizzazione degli standard: temi tutt’altro che nuovi nel quadro legislativo nazionale ma che potrebbero risultare dirompenti per le successive “interpretazioni” regionali e conseguenti contradditorie applicazioni. In conclusione, cari Dario e Roberto, il seminario sulla perequazione mi è parsa un’occasione persa per far chiarezza sul tema: poco tempo, punto di vista parziale, nessun confronto. L’urbanistica è troppo importante per farla fare agli avvocati. La prossima volta con le gambe sotto il tavolo? 

dott. urbanista Fernando Lucato"

Dopo la sentenza del Consiglio di Stato su Oderzo, molte norme perequative dei PAT andranno riscritte?

18 Mar 2014
18 Marzo 2014

Ciao Dario, volevo confermarti, in sintesi, il mio pensiero sull'importanza della recente sentenza del Consiglio di Stato n. 616 del 10 febbraio 2014, emessa sul caso del Comune di Oderzo (sentenza di cui hai già dato notizia su questo sito il 13 febbraio, sotto l’icastico titolo “Il Consiglio di Stato stronca senza perifrasi la perequazione alla veneta con opere fuori ambito”).

Dopo le due pronunce del Consiglio di Stato del 2010 sui PRG di Padova e di Roma (le n. 216 e 4545), che hanno “salvato” quelle due discipline perequative, la sentenza su Oderzo mi sembra un ulteriore passaggio giurisprudenziale di carattere quasi “pretorio” sulla perequazione, a sostituire cioè una legislazione statale mancante sul punto (sto parlando, naturalmente, della perequazione intesa come “ritorno” al Comune – in denaro o opere - di parte del beneficio conseguito dal privato grazie a una scelta pianificatoria).

Nel caso di Oderzo un accordo di pianificazione ex art.6 L.R. 11 aveva recepito una regola perequativa del PAT che prescriveva, in alternativa alla cessione del 50% dell'area, l'obbligo di realizzazione di opere pubbliche di pari valore tra quelle comprese nel programma triennale delle opere pubbliche.

Le censure proposte da un soggetto terzo nei confronti dell'accordo così concluso – e ora accolte dal Consiglio di Stato - riguardano il fatto che le opere da realizzare in base all’accordo fossero “slegate” rispetto all'intervento assentito.

Il Consiglio di Stato, riformando il TAR Veneto, inanella su questo punto una serie di affermazioni di grande chiarezza.

- Ricorda che gli standard devono essere prima di tutto fruibili (non contando solo la quantità, cioè il numero dei loro metri quadri).

- Ricorda che la monetizzazione degli standard non è un fatto solo patrimoniale, perché altrimenti ai Comuni sarebbe consentito conseguire ciò che è utile (cioè la realizzazione o il finanziamento di opere pubbliche) separandolo da ciò che è dannoso, e dunque scaricando su coloro che sono più prossimi all'intervento un peggioramento della loro qualità di vita.

- Ricorda che gli standard devono essere dunque “spazialmente e funzionalmente in prossimità” dell'intervento assentito; altrimenti si determinano effetti perversi, perché mentre in una determinata area del territorio comunale vi sarà (con la realizzazione dell’opera)  un miglioramento della situazione esistente, in un'altra area “avrà luogo un parallelo peggioramento della qualità di vita”.

È davvero un cambio di prospettiva, come ben coglie Ivone Cacciavillaninel suo commento alla sentenza pubblicato su LexItalia: non ci si muove più nell'ottica del “profilo del pubblico interesse di città”, che è una “mera astrazione concettuale”; ci si muove invece, “ecco la novità, dall'angolo visuale dell'utente”, cioè di chi vive in una certa zona (e che ha interessi non identici – e magari contrastanti – con chi vive in un’altra zona).

***

E dunque: la sentenza del Consiglio di Stato su Oderzo non riguarda l'imposizione perequativa, cioè l'esistenza o meno di una base normativa per fondare la perequazione e per disciplinarne il contenuto.

Non riguarda in realtà la perequazione in sé: non è privato che subisce la perequazione a lamentarsene, è un soggetto terzo che impugna un accordo che recepisce la regola perequativa.

La sentenza dà in realtà per presupposto che si possa prevedere nella pianificazione urbanistica la perequazione.

È una sentenza che riguarda gli standard: ma è così forte nelle affermazioni, che incide sulla perequazione (pur se, evidentemente, non definisce ogni cosa).

Chiarisce così che la perequazione non può servire ai Comuni per finanziare o far realizzare opere pubbliche solo perché stanno nella programmazione triennale.

È necessario che ciò che l'amministrazione richiede sia correlato all'intervento che consente. La perequazione può essere quindi la previsione dell'obbligo di cessione di parte dell’area oggetto dell'intervento o di parte di volumi da realizzare, se vi è una motivazione urbanistica che giustifichi tale cessione. Può anche essere prevista nella perequazione un'obbligazione a corrispondere somme di denaro; ma in ogni caso è necessario che si finanzino opere “in prossimità” dell'intervento.

Quello che conta è insomma che vi sia una giustificazione urbanistica specifica per la pretesa di prestazioni perequative con riferimento al singolo intervento: la perequazione serve a ottenere quello che è ritenuto necessario in correlazione con quell'intervento, e che fisicamente dev’essere in prossimità ad esso.

Già che l’imposizione perequativa debba discendere da una specifica motivazione urbanistica che individui certe opere come necessarie all’intervento è concetto che lascia ampi margini di discrezionalità.

Ma, nell’esperienza concreta, molte delle norme vigenti degli strumenti urbanistici veneti impongono la perequazione senza alcuna considerazione urbanistica connessa alle necessità del nuovo insediamento.

In conclusione: mi sembra che dopo la sentenza di Oderzo molte delle norme dei piani veneti sulla perequazione siano divenute censurabili in sede giudiziaria e siano comunque da riscrivere.

 Anzi, non vorrei adesso allargarmi: ma che sia la fine della perequazione come (spesso) l’abbiamo vista fino ad oggi?

Stefano Bigolaro (avvocato)

Elezioni amministrative 2014 nei piccoli comuni e le modifiche del disegno di legge Delrio

18 Mar 2014
18 Marzo 2014

Il prossimo 25 maggio 2014, come molti già sanno, si svolgeranno le elezioni per il Parlamento Europeo.

La data delle elezioni amministrative (sindaco e consiglio comunale) verrà fissata con Decreto del Ministero dell'Interno “non oltre il 55esimo giorno precedente a quello delle votazioni ed è comunicata immediatamente ai prefetti perché provvedano alla convocazione dei comizi” così come stabilito dall’art. 3 L. 7.6.1991 n. 182. Nel turno elettorale del 2014, tale termine coincide con il 30 marzo 2014.

La data verrà resa pubblica dal Prefetto, con manifesto da pubblicarsi 45 giorni prima della data della votazione (art. 18 DPR 16.5.1960 n. 570 e s.m.e.i.).

La presentazione delle candidature alla carica di sindaco e delle liste dei candidati alla carica di consigliere comunale con i Elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale deve essere effettuata dalle ore 8 del 30º giorno alle ore 12 del 29º giorno antecedenti la data della votazione (articoli 28, ottavo comma, e 32, ottavo comma, del d.P.R. n. 570 del 1960 e successive modificazioni). Così, se presumibilmente le elezioni amministrative 2014, coincideranno con le elezioni europee e si terranno solo la domenica 25 maggio 2014, la presentazione delle liste dovrà avvenire tra il 25 e il 26 aprile 2014.

Se, dunque, fino a questo punto della ricostruzione normativa non vi sono dubbi di sorta, diversamente, preoccupa i candidati consiglieri e sindaci dei piccoli comuni, il DDL DELRIO.

Il numero dei candidati, ridefinito in relazione all’articolo 16, comma 17, del decreto- legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, prevede che : “ A decorrere dal primo rinnovo di ciascun consiglio comunale successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto:

a) per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da 6 consiglieri;

b) per i comuni con popolazione superiore a 1.000 e fino a 3.000 abitanti il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da 6 consiglieri ed il numero massimo di assessori è stabilito in due;

c) per i comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000 abitanti il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da 7 consiglieri ed il numero massimo di assessori è stabilito in tre;

d) per i comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 10.000 abitanti il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da 10 consiglieri ed il numero massimo di assessori è stabilito in quattro”.

Il DDL AC 1542, approvato dalla Camera dei Deputati il 21/12/2013, prevede all’art. 18, comma 5, (a seguito dell’emendamento 18.100) una modifica sostanziale della composizione dei consigli Comunali: “All’articolo 16, comma 17, del decreto- legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le lettere a), b), c) e d) sono sostituite dalle seguenti:

a) per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da 10 consiglieri e il numero massimo degli assessori è stabilito in due;

b) per i comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 10.000 abitanti il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da 12 consiglieri ed il numero massimo di assessori è stabilito in quattro.”

Così facendo, quindi, se il disegno di legge Delrio fosse approvato entro i termini per la presentazione delle liste, sarebbero da ridefinire le composizione delle liste in termini molto stretti.

Questo testo di legge, è attualmente in valutazione al Senato sotto il nome di AS 1212, ed è accompagnato da un parere negativo della Corte dei Conti. In questa sede è stato presentato un emendamento che prevede un’ulteriore novità per i comuni di piccoli dimensioni, infatti con l’emendamento n. 21.164, si propone di aggiungere il seguente comma dopo il comma 7 dell’art. 21: «7-bis. Ai comuni con popolazione fino a 5.000 cittadini non si applicano le disposizioni di cui i commi 2 e 3 dell'articolo 51 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267», eliminando così il vincolo del doppio mandato.

Com’è noto il testo licenziato da entrambe le Camere deve essere identico, perciò, qualora venisse modificato, dovrà tornare a Montecitorio. I tempi, tuttavia, sono strettissimi. Affinché le nuove regole abbiano efficacia nella tornata amministrativa del 25 maggio prossimo, infatti, il progetto Delrio dovrebbe essere trasformato in legge e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale entro e non oltre il 10 aprile 2014, ultimo giorno utile per la convocazione dei comizi elettorali (come si scriveva in premessa, avviene 45 giorni prima per mano del Prefetto). Tutto ciò se il Presidente della Repubblica acconsentisse a ritardare la firma del decreto di convocazione del voto fino all’ultimo momento.

Ce la farà il nostro Parlamento ad approvare il ddl Delrio con termini così stretti? Lo scopriremo.

Dott.ssa Giada Scuccato

Progetto di legge della Giunta regionale per la semplificazione e per la normalizzazione delle disposizioni in materia edilizia‏

18 Mar 2014
18 Marzo 2014

PDL n. 421 : Norme per la semplificazione e per la normalizzazione delle disposizioni in materia edilizia

Data di presentazione al consiglio:  05/03/2014 
 
Presentatori
Giunta regionale (primo firmatario) 
Testi disponibili:
Formato pdf  testo presentato (2100 Kb) 

Introduzione della “Diffida amministrativa” nell’esercizio delle funzioni inerenti all’applicazione delle sanzioni amministrative di competenza regionale

18 Mar 2014
18 Marzo 2014

Bur n. 29 del 14 marzo 2014 

LEGGE REGIONALE  n. 10 del 11 marzo 2014

Modifica della legge regionale 28 gennaio 1977, n. 10 "Disciplina e delega delle funzioni inerenti all'applicazione delle sanzioni amministrative di competenza regionale".

 Il Consiglio regionale ha approvato

Il Presidente della Giunta regionale

                                                                                            promulga

la seguente legge regionale:

                                                                                        Art. 1

Introduzione dell’articolo 2 bis recante “Diffida amministrativa” dopo l’articolo 2 della legge regionale 28 gennaio 1977, n. 10 “Disciplina e delega delle funzioni inerenti all’applicazione delle sanzioni amministrative di competenza regionale”

1.    Dopo l’articolo 2 della legge regionale 28 gennaio 1977, n. 10 “Disciplina e delega delle funzioni inerenti all’applicazione delle sanzioni amministrative di competenza regionale” è aggiunto il seguente:

“Art. 2 bis - Diffida amministrativa

1.    Fatta salva la disciplina prevista in normative di settore, ivi comprese quelle sulla sicurezza alimentare e sulla tutela e sicurezza del lavoro, al fine di semplificare il procedimento sanzionatorio e di instaurare un più proficuo rapporto di collaborazione fra amministrazione, cittadini ed imprese, è introdotto, nei settori di cui al comma 2, l’istituto della diffida amministrativa, in luogo dell’immediato accertamento della violazione, qualora questa sia materialmente sanabile entro il termine fissato dal comma 3.

2.    La diffida amministrativa è applicabile nell’ambito di procedimenti sanzionatori disciplinati nei settori riguardanti il commercio, la somministrazione di alimenti e bevande, l’esercizio di attività di artigianato a contatto con il pubblico, il divieto di fumo, nonché nelle fattispecie sanzionatorie previste dai regolamenti comunali.

3.    La diffida amministrativa consiste in un invito rivolto dall’accertatore al trasgressore e all’eventuale responsabile in solido, a sanare la violazione. L’invito è contenuto nel processo verbale di accertamento redatto al termine degli atti di cui all’articolo 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale”, notificato agli interessati ai sensi del successivo articolo 14 e nel quale deve essere indicato il termine, non superiore ai dieci giorni, entro cui uniformarsi alle prescrizioni.

4.    La diffida amministrativa non è rinnovabile, né prorogabile. Essa non opera in caso di attività svolta senza autorizzazione, licenza, concessione, permesso o nulla osta comunque denominato. L’autore della violazione non può essere diffidato nuovamente per un comportamento già oggetto di diffida nei cinque anni precedenti.

5.    Gli enti competenti individuano, nell’ambito dei settori indicati al comma 2, in quali procedimenti introdurre la diffida amministrativa. La Giunta regionale monitora l’applicazione dell’istituto della diffida amministrativa e può dettare specifiche linee guida in materia.”.

                                                                                         Art. 2

                                                                                 Norma transitoria

1.    Continuano ad essere disciplinati dalle disposizioni di cui alla legge regionale 28 gennaio 1977, n. 10 così come vigente prima dell’entrata in vigore della presente legge, i procedimenti afferenti agli atti di accertamento già contestati o notificati alla data di entrata in vigore della presente legge.

                                                                                     Art. 3

                                                                                  Entrata in vigore

1.    La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto.

__________________

 La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione veneta. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione veneta.

 Venezia, 11 marzo 2014

Luca Zaia

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INDICE

 Art. 1 - Introduzione dell’articolo 2 bis recante “Diffida amministrativa” dopo l’articolo 2 della legge regionale 28 gennaio 1977, n. 10 “Disciplina e delega delle funzioni inerenti all’applicazione delle sanzioni amministrative di competenza regionale”

Art. 2 - Norma transitoria

Art. 3 - Entrata in vigore

 (seguono allegati)

LR 10-2014-dati informativi_270446.pdf

La Corte Costituzionale respinge le eccezioni sul piano casa della Sardegna: considerazioni estensibili anche al Veneto?

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 46 del 2014, ha respinto le questioni di costituzionalità riguardanti la legge sarda sul piano casa.

I principi affermati possono valere anche per il Veneto? Probabilmente si, ma bisogna valutare la questione con un po' di attenzione, perchè la Regione Sardegna è a statuto speciale e ha competenza esclusiva in materia urbanistica (a differenza della Regione Veneto, che ha una competenza solo concorrente con quella statale). 

Ma cosa ha detto la Corte?

Per quanto riguarda la lamentata lesione dei poteri dei comuni e lo svuotamento della pianificazione: ".....deve escludersi che la norma censurata violi gli artt. 117 Cost. e 3, primo comma, dello Statuto speciale della Regione Sardegna, in ragione del suo asserito contrasto con il «sistema della pianificazione», che assegna in modo preminente ai Comuni, quali enti locali più vicini al territorio, la valutazione generale degli interessi coinvolti nell’attività urbanistica ed edilizia.

L’art. 117 Cost. – il cui terzo comma attribuisce alle Regioni potestà legislativa concorrente in materia di «governo del territorio» – è parametro, per questo verso, inconferente alla luce della “clausola di maggior favore” dettata dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). L’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto riconosce, infatti, alla Regione Sardegna una autonomia più ampia di quella risultante dalla norma costituzionale generale, attribuendole potestà legislativa primaria, ossia piena, nella materia dell’«edilizia ed urbanistica», entro la quale si colloca la norma censurata.

Quanto, poi, al parametro statutario, anche riconoscendo che il «sistema della pianificazione» – evocato, peraltro, dal rimettente in modo del tutto generico, senza alcun riferimento alle relative fonti normative – assurga a «principio dell’ordinamento giuridico della Repubblica» e ad espressione degli «interessi nazionali», limitando perciò l’esplicazione della competenza legislativa regionale di cui discute, è dirimente il rilievo che il principio in questione non potrebbe ritenersi così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – che è fonte normativa primaria, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti, come quelli di cui si discute.

Al riguardo, deve infatti escludersi che la norma censurata assuma una vera e propria valenza “eversiva” del «sistema di pianificazione», così come sostiene il rimettente. Gli incrementi volumetrici, in deroga agli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici, sono infatti da essa consentiti – in via straordinaria e temporanea e con modalità specifiche, diverse a seconda delle tipologie di fabbricati – solo su edifici già esistenti e che si presuppongono conformi alle predette previsioni urbanistiche (essendo espressamente esclusi, come detto, gli edifici abusivi), nonché alla condizione – verificabile dai competenti organi comunali ai fini dell’eventuale esercizio del potere inibitorio delle opere dopo la presentazione della DIA – che gli incrementi stessi «si inseriscano in modo organico e coerente con i caratteri architettonici del fabbricato esistente» e costituiscano «strumento per la riqualificazione dello stesso in relazione alla tipologia edilizia interessata».

Specifiche ipotesi di interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici sono state e sono, del resto, previste da numerose norme regionali – tanto di Regioni ordinarie che a statuto speciale – anche per finalità diverse dall’attuazione dell’intesa sul «piano casa» (quali, ad esempio, il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti o il sostegno a soggetti portatori di handicap): norme che questa Corte ha ritenuto censurabili non in assoluto, ma ove la deroga investa profili evocativi di specifici titoli di competenza legislativa esclusiva dello Stato, quale, in particolare, la disciplina delle distanze tra i fabbricati posta dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, rientrante nella materia dell’«ordinamento civile» (al riguardo, ordinanza n. 173 del 2011). Ipotesi, questa, non riscontrabile – né dedotta – nel caso in esame.

8.– Considerazioni analoghe valgono anche ad escludere la configurabilità della denunciata violazione degli artt. 117, sesto comma, ultimo periodo, e 118 Cost., per avere la norma censurata «esautorato» i Comuni delle loro competenze in tema di pianificazione urbanistica: materia qualificabile, in assunto, come «funzione fondamentale» dei Comuni stessi e, in quanto tale, oggetto di legislazione esclusiva dello Stato (ai sensi della lettera p dell’art. 117, secondo comma, Cost.).

A prescindere da ogni altro rilievo – e, in particolare, dalla circostanza, trascurata dal rimettente, che lo statuto di autonomia riconosce alla Regione Sardegna potestà legislativa primaria, non solo in materia di «edilizia ed urbanistica», ma anche di «ordinamento degli enti locali» (art. 3, lettera b) e stabilisce, altresì, il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative (art. 6) – non si può comunque addebitare alla norma denunciata, così come ritiene il giudice a quo, di aver “svuotato” le funzioni comunali in tema di pianificazione urbanistica, posto che essa si limita a consentire ampliamenti volumetrici di edifici esistenti ad una certa data in deroga agli indici massimi di fabbricabilità, collegati a specifici presupposti e circoscritti in limiti ben determinati".

Per quanto riguarda la Vas: "9.– Insussistente è anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., connessa, secondo il rimettente, al fatto che la norma denunciata consentirebbe deroghe alla pianificazione comunale anche in assenza della valutazione ambientale strategica (VAS), richiesta dalla direttiva n. 2001/42/CE, recepita con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

Analogamente a quanto già rilevato da questa Corte in ipotesi similari, si deve in effetti escludere che la disposizione censurata eluda la disciplina considerata. Essa regola, infatti, soltanto i profili urbanistici degli interventi di ampliamento, senza recare alcuna clausola di esclusione dell’applicabilità della normativa sulla VAS: normativa che, d’altra parte, essendo di portata generale, trova applicazione nei casi da essa previsti senza necessità di uno specifico richiamo (sentenza n. 168 del 2010, con riferimento alla valutazione di impatto ambientale; con riguardo alla VAS, sentenza n. 251 del 2013)". 

geom. Daniele Iselle

sentenza Corte Costituzionale n. 46 del 2014

Le slides di Travaglini per il convegno del 14 marzo

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

Pubblichiamo le slides del dott. Roberto Travaglini di Confindustria Vicenza, illustrate durante il convegno di Vicenza per i geometri del 14 marzo 2014 su perequazione e titoli edilizi, ringraziando sentitamente l'autore

emozioni

Perequazione_Geometri_14.03.2014

Perequazione_Geometri_14.03.2014

07 Promenade

La_vetrina_dei_titoli_edili_14.03.2014

La_vetrina_dei_titoli_edili_14.03.2014

A proposito di pompeiane e di pertinenze

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 31.10.2013 n. 5265, si sofferma sulla definizione di pompeiana chiarendo che la tettoia è un’opera edilizia ben diversa dalle pompeiane: “Dal punto di vista tecnico-giuridico la pompeiana, a prescindere dai materiali usati e dalle concrete categorie applicative (porticato, pergolato, gazebo, berceau, dehor), è caratterizzata dal dover essere una struttura costruttiva leggera e aperta, la cui copertura (teli, rampicanti, assi distanziate) deve consentire di fare filtrare l’aria e la luce, assolvendo a finalità di ombreggiamento e di protezione nel passaggio o nella sosta delle persone, in soluzione di continuità con lo spazio circostante e senza creare interruzione dimensionale dell’ambiente in cui è installata.

L’aspetto tipico di essa, in sintesi, risiede nella mancanza di pareti e di una copertura integrale assimilabile ad un tetto o solaio, che si viene invece a concretizzare con una copertura impermeabile in polietilene o tegole e quant’altro che la faccia configurare come volume edilizio”.

Inoltre, per quanto il concetto di pertinenza urbanistica evidenzia che: “La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non indurre un ulteriore carico urbanistico e da non avere una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede (Cass. Pen., sez. III, 24 marzo 2010, n. 24241; Cons. Stato, sez. V, 18 aprile 2001, n. 2325; sez. VI, 8 marzo 2000, n. 1174).

Nella specie, l’intervento innovativo contestato dal Comune, non semplicemente conservativo e manutentivo della pompeiana in asserita pertinenza con la villa, viene invece a realizzare una diversa connessione fisica e una mutata strumentalità funzionale, che deve ricondursi non alla nozione di servizio ma a quella di integrazione della diversa attività d’uso cui accede, in quanto tale implicante il previo rilascio del permesso di costruire finalizzato alla nuova essenza configurata dell’immobile (Cons. St., sez. IV, 25 maggio 2011, n. 3134; sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5515).

Deriva da ciò, come sostenuto dal Comune, la trasformazione urbanistica ed edilizia della pompeiana in una struttura (chiosco) permanentemente fissa e coperta a servizio della pizzeria-ristorante, necessitante, alla stregua di pacifica giurisprudenza, del permesso di costruire per le ragioni incrementative prima precisate dell’assetto del territorio” e che: “Nella specie, per stessa ammissione, parte dell’area a verde e del piazzale destinati urbanisticamente a servizio durevole e ornamento dell’edificio principale (tipo villa), è stata trasformata con l’espediente della pompeiana tamponata e coperta da PVC e in un “...chiosco...punto di somministrazione esterno di bevande utilizzato nell’ambito dell’attività...”.

Orbene, una siffatta struttura costituisce opera del tutto nuova per consistenza e funzione ad integrazione della pizzeria-ristorante, la quale ne viene per l’effetto ampliata sia dal punto di vista della volumetria utile, sia della superficie commerciale (Cons. Stato, sez. I, 6 maggio 2013, n. 1193)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 5265 del 2013

Il Consiglio di Stato va per la sua strada sugli oneri specifici

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

Se il T.A.R. Veneto con le sentenze n. 299/2014 e n. 301/2014, commentate nel post del 13 marzo 2014, riteneva di aver chiarito in modo definitivo l’obbligatorietà di indicare i costi da rischio specifico nelle gare pubbliche, il Consiglio di Stato, sez. III, nella sentenza del 04 marzo 2014 n. 1030, sembra pensarla diversamente.

Il Massimo organo della Giustizia Amministrativa, peraltro, non appare particolarmente limpido: all’inizio esclude che vi sia l’obbligo di indicare questi costi per i servizi ricompresi nell’allegato IIB del Codice Appalti mentre, nella parte finale della motivazione, sembra estendere questa regola a tutti gli appalti su servizi e/o forniture: “Sotto un primo profilo va osservato che l’offerta è stata redatta in conformità ad un modello all’uopo predisposto dalla stazione appaltante ed allegato al bando al fine di agevolare ed uniformare la compilazione, da utilizzarsi con carattere di doverosità e non recante, pur nella sua articolazione, alcuno spazio destinato allo scorporo indicazione della voce di spesa in argomento.

Inoltre, come dato atto dal T.A.R. con statuizione non oggetto di contestazione, la procedura concorsuale riguarda un servizio compreso fra quelli elencati all’ allegato II B del d.lgs. n. 163 del 2006 per i quali, ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. medesimo, trovano applicazione gli artt. 65, 68 e 225 del d.lgs. in questione. Ciò esclude che la disciplina di gara possa ricevere, indipendentemente da specifico richiamo in essa, immediata integrazione con le previsioni dettate dall’art. 86 sulla specificazione dei costi di sicurezza afferenti alla prestazione dedotta in rapporto.

La disciplina di gara, non oggetto di impugnazione, ha invero rimesso alla scelta facoltativa della ditta partecipante di predisporre in sede di offerta economica una relazione recante le giustificazioni delle diverse voci di prezzo, comprensive anche del rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza e condizioni di lavori ed, in tale sede, ha fatto richiamo agli artt. 86 ed 87 del d.lgs. n. 163 del 2006 sui poteri di verifica dell’affidabilità e congruità dell’offerta.

Siffatta scelta non è elusiva dalla regola di separazione dei costi di sicurezza da quelli che concorrono nell’offerta economica, ma ne ha solo posticipato la verifica nel procedimento di accertamento della congruità dell’offerta nel suo complesso

Le offerte delle imprese prima e seconda classificata per il lotto 1 sono state redatte conformemente alla regolamentazione di gara e non presentano incertezze nel contenuto quale richiesto dalla disciplina stessa, né violano una previsione del d.lgs. n. 163 del 2006 immediatamente cogente, ove si consideri che la regola di specificazione o separata indicazione dei costi di sicurezza, ai sensi dell’art. 86 del citato d.lgs., opera in via primaria nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di predisposizione delle gare di appalto e di valutazione dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla luce dei criteri di tassatività della cause espulsive previsti dall’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006.

Va quindi confermato l’indirizzo della Sezione in base al quale nel caso di appalti non aventi ad oggetto l'esecuzione di lavori pubblici — nei cui confronti si applica la norma dettata ad hoc dall'art. 131 d.lgs. n 163 del 2006 — ed il cui bando di gara non contenga una comminatoria espressa, l'omessa indicazione nell'offerta dello scorporo matematico degli oneri di sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé l'esclusione dalla gara, ma rileva ai soli fini dell'anomalia del prezzo offerto, nel senso che, per scelta della stazione appaltante, il momento di valutazione dei suddetti oneri non è eliso, ma è posticipato al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta nel suo complesso (Cons. St., sez. III, n. 4070 del 18 ottobre 2013)” (n.d.r. in realtà si tratta della sentenza n. 5070 del 18.10.2013 commentata nel post del 24.10.2013). 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3010 del 2014

Costi da rischio specifico: neanche il pensiero del T.A.R. Napoli concorda con quello del TAR Veneto

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, nella sentenza del 12 marzo 2014 n. 1492, conferma quell’orientamento giurisprudenziale che, seppur non condiviso dal T.A.R. Veneto e da parte del Consiglio di Stato, ritiene che la stazione appaltante non possa legittimamente escludere dalla gara la ditta che non abbia indicato gli oneri di sicurezza aziendale, se sono proprio gli atti di gara a non prevederli: “6. Ritenuto che, conformemente a condivisibile precedente giurisprudenziale, nell'ipotesi in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine all'onere d'indicare, a pena di esclusione, i costi di sicurezza aziendale, l'esclusione della ditta che abbia omesso tale indicazione verrebbe a colpire, in contrasto con i principi di certezza del diritto, di tutela dell'affidamento e del favor partecipationis, i concorrenti che hanno presentato un'offerta perfettamente conforme alle prescrizioni stabilite dal bando e dall'allegato modulo d'offerta, per cui la stazione appaltante, in osservanza del suddetto principio del favor partecipationis, deve ammettere a partecipare alla procedura di evidenza pubblica la medesima ditta (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 22 novembre 2013, n. 1254);

7. Infatti, seppure l’articolo 86, comma 3 bis del decreto legislativo 163 del 2006 obbliga gli enti aggiudicatori a predisporre le gare d’appalto e a valutare l’anomalia delle offerte tenendo conto della congruità e sufficienza, tra l’altro, dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere espressamente indicati nelle offerte, la disposizione normativa individua espressamente come sue destinatarie le stazioni appaltanti che sono pertanto obbligate, innanzitutto, a prevedere, nel disciplinare di gara, che le offerte economiche rechino la espressa indicazione dei costi della sicurezza aziendale; quindi, nell’ambito del procedimento di valutazione della anomalia delle offerte, le stazioni appaltanti dovranno verificare la congruità e l’adeguatezza degli oneri per la sicurezza; la disposizione, peraltro, analogamente alla norma recata dall’articolo 87, comma 4 del medesimo codice, non contempla espressamente l’omessa indicazione, nell’offerta economica, dei costi della sicurezza aziendale tra le cause di esclusione automatiche dalle procedure di affidamento;

8. Ne deriva che, indubbiamente, la mancanza di esplicita previsione nella lettera di invito e nel disciplinare di gara dell’obbligo di indicazione, nell’offerta economica, dei costi per la sicurezza, costituisca violazione degli articoli 86 e 87 del decreto legislativo 163 del 2006 da parte, innanzitutto, della stazione appaltante, responsabile della redazione del bando e del disciplinare di gara;

tale illegittimità, peraltro, non può pregiudicare le ragioni dell’impresa che abbia riposto legittimo affidamento nella regolamentazione della gara disposta dalla stazione appaltante, redigendo un’offerta economica perfettamente conforme a quanto richiesto;

9. L’esclusione di tale impresa, oltre che in violazione del principio del legittimo affidamento, non tiene conto della norma di cui all’articolo 46 comma 1 bis del codice dei contratti pubblici, laddove sono indicate le cause tassative di esclusione;

tra le cause di esclusione, l’articolo 46 comma 1 bis contempla il mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento o da altre disposizioni di legge vigenti;

sebbene una interpretazione estremamente rigorosa, condivisa anche da una parte della giurisprudenza, ritenga che la mancata indicazione dei costi della sicurezza aziendale possa ricadere tra le cause di esclusione tassativamente previste, con implicita integrazione in tal senso del bando, ricorrendo inadempimento alle richiamate prescrizioni del codice, con particolare riferimento agli articoli 86 e 87, a giudizio del Collegio tale interpretazione non può essere condivisa, dovendosi ritenere che il principio della tassatività delle cause di esclusione imponga alle stazioni appaltanti, quantomeno, di indicare espressamente e chiaramente tali cause di esclusione, soprattutto qualora, come nella fattispecie, la causa di esclusione applicata non sia chiaramente e esplicitamente prescritta dalla legge o dal regolamento, ma sia ricavabile, in via interpretativa, da una norma disciplinante la diversa questione della verifica delle anomalie, nell’ambito di una disposizione che individua come destinataria di essa non già l’impresa offerente, bensì la stazione appaltante;

10. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, verificato altresì che, nel caso concreto, l’interpretazione della norma sostenuta dalla commissione di gara ha comportato l’esclusione dalla procedura della quasi totalità delle imprese partecipanti, deve ritenersi che il provvedimento impugnato sia stato adottato in violazione dei principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto”.  

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Napoli n. 1492 del 2014

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