Author Archive for: SanVittore

Una nuova pianificazione urbanistica non equivale di per sè alla reiterazione del vincolo d’esproprio

20 Mar 2014
20 Marzo 2014

Nella sentenza n. 298/2014 il T.A.R. Veneto afferma che la nuova pianificazione impressa ad un’area non permette di considerare reiterato il vincolo d’esproprio decaduto, atteso che gli strumenti urbanistici non necessitano della stessa motivazione stringente e puntuale necessaria - almeno di regola - per la reiterazione del vincolo: “ora, affermare che vi è continuità tra un vincolo scaduto ed il suo ripristino effettuato con modifiche ed assestamenti (essendo parzialmente diversa sia la localizzazione dell’opera, sia le aree effettivamente asservite) quasi vent’anni dopo mediante una variante generale - è “ius receptum” che un atto di pianificazione generale, tranne i casi di incidenza su posizioni consolidate da giudicati o da convenzioni di lottizzazione, non ha bisogno di una motivazione ulteriore rispetto a quella che si esprime con i criteri posti a sua base -, e che quindi tale ripristino ha bisogno di una adeguata motivazione che faccia escludere il contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei relativi atti, appare quanto meno azzardato, tenuto conto, appunto, del rilievo che assume, onde considerare “reiterato” ai fini della necessità di congrua motivazione, il vincolo imposto “ex novo” dopo molto tempo, durante il quale era inattuale, e per ciò stesso inesistente, l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera. Senza pretermettere che, anche a voler qualificare la nuova imposizione come normale “reitera” di vincolo, la giurisprudenza ritiene che in occasione del primo rinnovo del vincolo è sufficiente richiamarsi alle originarie valutazioni per giustificarne l’ulteriore imposizione (cfr. CdS, Ap, 24.5.2007 n. 7)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 298 del 2014

Il Comune ha l’obbligo di rispondere alle osservazioni connesse al procedimento d’esproprio?

20 Mar 2014
20 Marzo 2014

Nella sentenza n. 298/2014 il T.A.R. Veneto chiarisce che il Comune non ha l’obbligo di controdedurre alle osservazioni pervenute dai privati e connesse al procedimento d’esproprio: “È inammissibile per genericità, e comunque infondata, invece, l’ulteriore doglianza con cui si lamenta la mancata controdeduzione “in modo esaustivo alle osservazioni presentate dalla ricorrente”, nonché la mancata ripubblicazione della variante a seguito dell’accoglimento di alcune osservazioni: inammissibile perchè l’interessata ha omesso di indicare quali sarebbero le proprie osservazioni non esaustivamente controdedotte dal Comune (onde consentire al giudicante il riscontro della fondatezza della censura) e, comunque, infondata perchè le osservazioni presentate ai sensi dell'art. 9 della legge n. 1150 del 1942 hanno natura di meri apporti collaborativi, onde la loro reiezione non richiede una specifica motivazione; quanto, poi, alle osservazioni accolte, non sussiste l'obbligo di ripubblicazione del piano qualora le modifiche conseguentemente apportate non abbiano determinato un mutamento essenziale del suo contenuto, traducendosi in un nuovo progetto di piano (cfr. CdS, IV, 12.2.2013 n. 845): circostanza, questa, che non può essere verificata in difetto di puntuale enucleazione da parte dell’interessata.

4.4.- Né merita accoglimento l’affermazione della ricorrente secondo cui non il Consiglio, ma la Giunta comunale sarebbe competente a controdedurre alle osservazioni.

Poiché, infatti, l'art. 32, II comma, lett. b) della legge n. 142/1990 attribuisce espressamente al Consiglio comunale la competenza in materia di approvazione dei piani territoriali ed urbanistici, rientra parimenti nella competenza dello stesso organo, essendone elemento funzionalmente costitutivo, la formulazione delle controdeduzioni alle osservazioni proposte dagli interessati ai sensi dell'art. 9 della legge n. 1150 del 1942”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Negli espropri non c’è incompatibilità tra il processo civile e quello amministrativo

20 Mar 2014
20 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 298, affronta numerose questioni relative alla reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio.

Per quanto concerne il rapporto tra l’autorità giudiziaria ordinaria e quella amministrativa, il T.A.R. stabilisce che non vi è alcuna incompatibilità tra il processo civile finalizzato ad ottenere un risarcimento del danno per l’illegittimità del vincolo d’esproprio e quello amministrativo volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità dello stesso vincolo: “È infondata l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dal Comune per avere l’interessata investito nel 2006 la Corte d’Appello di Venezia al fine di ottenere la quantificazione di un congruo indennizzo conseguente alla reitera del vincolo, indennizzo che presuppone il riconoscimento della (ovvero l’acquiescenza alla) legittimità del vincolo imposto.

Ai sensi dell’art. 39 del DPR n. 327/2001, infatti, il proprietario deve proporre, a pena di decadenza, l’opposizione all’indennizzo offerto dall’Amministrazione entro il termine di trenta giorni dalla notifica dell'atto di stima: è evidente, pertanto, che il proprietario che avesse impugnato avanti al TAR il vincolo, siccome illegittimo, per ottenere il suo annullamento ed il conseguente risarcimento rischierebbe di perdere sia il risarcimento (qualora il TAR giudicasse legittimo il vincolo imposto), sia l’equo indennizzo (qualora non avesse contestato tempestivamente avanti all’AGO l’indennizzo stesso offerto dall’Amministrazione).

Non è, dunque, la contestualità delle domande (di risarcimento del danno da vincolo illegittimo e, rispettivamente, di indennità da vincolo legittimo) a determinare l’incompatibilità tra i relativi procedimenti, ma soltanto l’eventuale, sopravvenuta decisione in merito ad uno di essi: a tal proposito, va osservato che la Corte d’Appello di Venezia ha sospeso il procedimento azionato avanti ad essa in attesa dell’esito del presente giudizio, in attesa di conoscere, cioè, se il vincolo a cui è stata assoggettata l’area dell’interessata sia legittimo o illegittimo”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Poteri derogatori ai sindaci per gli interventi nelle scuole

20 Mar 2014
20 Marzo 2014

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 22 gennaio 2014 

Definizione di poteri derogatori ai sindaci e ai presidenti delle province interessati che operano in qualità di commissari governativi per l'attuazione delle misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali (14A02228) (GU n. 64 del 18-3-2014)

DPCM 22 gennaio 2014

La variante generale che reitera il vincolo espropriativo non richiede la comunicazione di avvio del procedimento

19 Mar 2014
19 Marzo 2014

Nella sentenza del TAR Veneto  n. 298/2014 il Collegio afferma che, se la reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio avviene con una variante generale al P.R.G. avente un contenuto generale, e dunque con uno strumento di pianificazione, tale circostanza esenta il Comune dal comunicare ai soggetti interessati l’avvio del procedimento per la sua adozione: “L’art. 11, I comma, lett. a) del DPR 327 del 2001 stabilisce che al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio, che risulti dai registri catastali, va inviato l'avviso dell'avvio del procedimento “nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica”.

La norma positivizza l’orientamento giurisprudenziale che riconosceva l’applicazione delle garanzie partecipative esclusivamente ai casi di variante limitata e ad oggetto specifico, di variante, cioè, che riguarda un'area limitata del territorio e si propone la realizzazione di una singola opera pubblica.

Il riconoscimento normativo delle garanzie partecipative è la conseguenza di quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la limitatezza territoriale dell'intervento urbanistico e degli scopi perseguiti impone l'obbligo di una motivazione specifica.

Mentre, invero, il piano regolatore e la variante generale trovano sufficiente motivazione nei criteri posti a base del piano stesso e che sono indicati nella relazione ad esso allegata, in caso di variante parziale il Comune è obbligato ad effettuare una ponderazione comparativa in ordine alla destinazione di zona delle singole aree. La motivazione vale in tal caso a mettere in evidenza le ragioni del mutamento delle originarie valutazioni generali di piano e degli obiettivi da perseguire, in modo che la specifica previsione risulti coerente con le linee di sviluppo dello strumento urbanistico. Spesso, inoltre, quando viene inserito nello strumento urbanistico un vincolo preordinato all'espropriazione che ha per oggetto una singola opera si anticipano scelte discrezionali che sono di regola proprie della pianificazione particolareggiata. Poiché ciò dispensa l'Amministrazione dal dover motivare nella fase attuativa ed in particolare nella dichiarazione di pubblica utilità le scelte discrezionali già effettuate, la giurisprudenza afferma che l'onere della motivazione, ed il contraddittorio, devono risalire al momento in cui tali scelte sono fatte, cioè al momento dell’adozione della variante specifica.

Orbene, nel caso di specie la variante approvata dal Comune, pur non avendo carattere generale, riguarda tuttavia (non già un’unica opera da realizzare sul terreno della ricorrente, ma) una serie di opere, con la conseguenza che non è una variante ad oggetto specifico per la quale si doveva adempiere all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento previsto dal richiamato art. 11, I comma del DPR n. 327/2001.

Né il contraddittorio nella scelta pianificatrice sarebbe necessario ai sensi dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990, poiché, secondo pacifica giurisprudenza, le esigenze di contraddittorio trovano ampio soddisfacimento, in sede di procedimento pianificatorio, negli istituti dell'adozione e pubblicazione dello strumento e delle osservazioni su di esso formulabili dagli interessati (cfr., da ultimo, CdS, IV, 22.11.2013 n. 5547): l’art. 11, V comma del citato DPR n. 327 stabilisce, infatti, che “restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di partecipazione del proprietario dell'area e di altri interessati nelle fasi di adozione e di approvazione degli strumenti urbanistici””.

TAR Veneto n. 298 del 2014

Il silenzio assenso sul condono non si forma se l’area è vincolata e il vincolo vale anche per le opere antecedenti alla sua istituzione

19 Mar 2014
19 Marzo 2014

Lo ribadisce la sentenza del TAR Veneto n. 277 del 2014.

Scrive il TAR: "Va esclusa preliminarmente la fondatezza dei primi due motivi di ricorso, in quanto conformemente al costante orientamento della giurisprudenza la determinazione del silenzio assenso sul condono per decorso dei ventiquattro mesi dalla data dell’istanza, non è sempre invocabile, bensì solo quando le opere risultino eseguite in aree non sottoposte ad alcun vincolo, sia di inedificabilità ex art. 33 della legge n. 47/1985, sia paesaggistico ambientale, e nella fattispecie l’opera abusiva da sanare ricade in una zona sottoposta a vincolo ambientalistico di cui alla legge n. 1497/1939.  Né può assumere rilevanza la circostanza evidenziata in ricorso per cui trattasi di opere antecedenti l’apposizione del vincolo, in quanto – come più volte sottolineato dalla giurisprudenza - deve ribadirsi l'obbligatorietà dell'acquisizione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 47  del 1985. (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 30 giugno 2010, n. 417; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 14 giugno 2010, n. 14166; T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 03 dicembre 2008, n. 2765). Ciò in quanto, anche se l'articolo 32 citato non precisa in quale momento il vincolo debba essere stato imposto perché sorga la necessità di acquisire il suddetto parere, in applicazione del principio tempus regit actum, si ritiene che debba essere applicata la normativa vigente al momento del rilascio della concessione in sanatoria. Peraltro risulta dirimente sul punto la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 20 del 22 luglio 1999, la quale ha enunciato il principio secondo cui “la disposizione dell'art. 32, l. 28 febbraio 1985 n. 47, in tema di condono edilizio, nel prevedere la necessità del parere dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ai fini del rilascio delle concessioni in sanatoria, non reca alcuna deroga ai principi generali e pertanto essa deve interpretarsi nel senso che l'obbligo di pronuncia dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione all'esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca in cui il vincolo medesimo sia stato introdotto. Ciò in quanto tale valutazione corrisponde all'esigenza di vagliare l'attuale compatibilità con il vincolo dei manufatti realizzati abusivamente.” Pertanto, la necessità dell'acquisizione del parere di cui all'articolo 32 esclude che, nella fattispecie oggetto di giudizio, possa conseguentemente ritenersi formato il silenzio-assenso sull'istanza di condono, atteso il parere sfavorevole espresso dalla competente Commissione". 

sentenza TAR Veneto 277 del 2014

Dire che le opere per ubicazione, materiali e tipologia sono in contrasto con l’ambiente tutelato non è una motivazione legittima per negare un condono

19 Mar 2014
19 Marzo 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 277 del 2014 contiene anche un esempio di motivazione illegittima di un diniego di condono edilizio.

Scrive il TAR: "Fondato è invece il motivo con il quale viene dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo della carenza di motivazione. In proposito, deve osservarsi, innanzitutto, che la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l'iter logico-giuridico in base al quale l'amministrazione è pervenuta all'adozione di tale atto nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi, invero, caso per caso in relazione alla tipologia dell'atto considerato (Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938, sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069). Ciò che deve ritenersi necessario perché l'atto non risulti inficiato da censure nella sua parte motiva è che in esso siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile. Ebbene, nella vicenda sottoposta all’esame del Collegio, il Comune di Venezia (Ufficio edilizia privata) ha comunicato al ricorrente che, in esito alla sua domanda di sanatoria edilizia, presentata ai sensi della legge n. 47/1985, la stessa veniva in parte respinta a seguito del parere della Commissione Edilizia Integrata, contraria al mantenimento in opera dei manufatti individuati con le lettere “B” e “C” <<in quanto per ubicazione, materiali e tipologia sono in contrasto con l’ambiente tutelato>>.  Tale motivazione non appare, all’evidenza, idonea a sorreggere in modo puntuale il diniego della domanda di sanatoria. Infatti, in relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico l'Amministrazione è certamente tenuta a motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengono adeguate alle caratteristiche ambientali protette, motivazione questa che deve essere ancor più pregnante nel caso in cui si operi nell'ambito di vincolo generalizzato, onde evitare una generica insanabilità delle opere (cfr. Cons. Stato, VI, 8 maggio 2008, n.2111). Nel caso in esame le ragioni del diniego appaiono, invece, contenute nell’espressione “per ubicazione, materiali e tipologia sono in contrasto con l’ambiente tutelato”, che per il solo riferimento generico alla tipologia della costruzione e alla scelta dei materiali utilizzati nella edificazione, non appare di certo sufficiente a sorreggere il diniego di concessione in sanatoria laddove esso deve esplicare le ragioni di fatto poste alla base dell'atto di diniego, anche per rendere edotto il titolare dell'interesse legittimo di carattere pretensivo sulle circostanze rilevanti nel caso di specie. In definitiva, nel caso in esame il diniego espresso in ordine alla domanda di sanatoria contiene una valutazione apodittica che non appare soddisfare - come evidenziato dal ricorrente in occasione della memoria finale - i requisiti minimali della motivazione, non essendo di certo sufficiente la mera affermazione secondo cui il manufatto in questione mal si inserirebbe nel contesto ambientale per i materiali  utilizzati e la tipologia costruttiva, atteso che nulla viene specificato nel concreto per dimostrare il contrasto con l'interesse ambientale tutelato. Sulla scorta delle predette argomentazioni il ricorso deve, pertanto, essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato".

Dario Meneguzzo (avvocato)

L’art. 4 della legge regionale n. 55 del 2012 legittima l’esclusione della VAS? La Corte Costituzionale non risponde e dichiara inammissibile la questione

19 Mar 2014
19 Marzo 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2014.

Dice la Corte: "3.– L’art. 4 della legge regionale n. 55 del 2012 – che, secondo la prospettazione, legittimerebbe l’esclusione dalla valutazione ambientale strategica (VAS) delle varianti allo strumento urbanistico generale connesse ad interventi di edilizia produttiva – viene censurato nella sua interezza per contrasto con la «vigente normativa nazionale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, attesa la “coerenza” del suo contenuto con quanto previsto dall’art. 40 della legge della Regione Veneto 6 aprile 2012, n. 13 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2012), oggetto di impugnativa innanzi a questa Corte, la quale, con la sentenza n. 58 del 2013, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale.

3.1.– La questione, nei termini in cui è stata prospettata, è inammissibile. La norma censurata (sotto la rubrica «Interventi di edilizia produttiva in variante allo strumento urbanistico generale») prevede quanto segue: «Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, qualora il progetto relativo agli impianti produttivi non risulti conforme allo strumento urbanistico generale si applica, l’articolo 8 del D.P.R. 160/2010, integrato dalle disposizioni del presente articolo.» (comma 1); «Ai fini di cui al comma 1 il responsabile SUAP, entro 30 giorni dalla richiesta da parte dell’interessato, convoca in seduta pubblica la conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14- quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme sul procedimento amministrativo” e successive modificazioni, e alle altre normative di settore.» (comma 2); «Alla conferenza di servizi sono invitate tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento e deve essere acquisito il consenso dell’ente competente alla approvazione della variante allo strumento urbanistico generale ai sensi
della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni. In caso di variante al piano di assetto del territorio intercomunale (PATI), fermo restando quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 6, in sede di conferenza di servizi va, altresì, acquisito il parere non vincolante dei comuni ricompresi nel PATI medesimo.» (comma 3); «La conferenza di servizi, nell’ambito dei procedimenti autorizzatori, qualora necessario, valuta la sostenibilità ambientale degli interventi, tenendo conto dell’esigenza di razionalizzare i procedimenti ed evitare duplicazioni nelle valutazioni.» (comma 4); «La determinazione della conferenza di servizi relativa alla variazione dello strumento urbanistico generale e tutti i documenti allegati, comprensivi del progetto completo in ogni suo elemento, sono depositati presso la segreteria del comune per dieci giorni. Dell’avvenuto deposito è dato avviso sull’albo pretorio e nel sito internet del comune, il quale può attuare ogni altra forma di divulgazione ritenuta opportuna; entro i successivi venti giorni chiunque può presentare osservazioni.» (comma 5); «Entro trenta giorni dalla scadenza del termine per proporre osservazioni, il consiglio comunale  delibera sulla variante, decidendo anche sulle osservazioni presentate. La determinazione favorevole del consiglio comunale di approvazione della variante viene trasmessa al responsabile SUAP ai fini della conclusione del procedimento. In caso di variante al PATI, l’approvazione è effettuata dal comune sul cui territorio ricade l’intervento, fermo restando quanto previsto dal comma 3.» (comma 6); «La variante decade ad ogni effetto ove i lavori non vengano iniziati entro sedici mesi dalla sua pubblicazione, salvo eventuale proroga, concessa con provvedimento motivato del consiglio comunale per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del richiedente l’intervento. La proroga per l’inizio dei lavori non può essere superiore a dodici mesi e la relativa richiesta deve essere presentata prima della scadenza del termine per l’inizio dei lavori.» (comma 7). Orbene – anche a prescindere dalla considerazione che il ricorrente richiede l’esame di un contenuto normativo ampiamente articolato, teso a regolamentare le procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive (SUAP), del quale, peraltro, neppure viene individuata, la specifica disposizione da cui deriverebbe il lamentato vulnus all’assetto delle competenze – la questione risulta caratterizzata da una insanabile genericità, giacché la difesa dello Stato si limita a dedurre esclusivamente che la norma impugnata, nella sua interezza, «nel contrastare la vigente normativa nazionale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione». Così argomentando, la parte ricorrente, oltre ad omettere di esplicitare doverosamente le ragioni della asserita violazione del parametro evocato, neppure lo identifica compiutamente, trascurando, non solo di indicare lo specifico principio desumibile dalla normativa statale in materia di ambiente, ma finanche di citare la stessa normativa ambientale applicabile (in tesi) alla fattispecie (sentenza n. 312 del 2013). Ciò tanto più in quanto – se può anche essere agevole desumere che detta normativa ambientale sia quella contenuta nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – risulta del tutto omessa la identificazione, nell’ampio e variegato contesto applicativo delle norme poste a regolare le procedure per la VAS (dettate dagli artt. da 4 a 18), della particolare disciplina che (ove applicabile alla fattispecie) sarebbe atta a garantire il necessario «livello adeguato e non riducibile di tutela» (sentenza n. 225 del 2009) negli interventi di edilizia produttiva in variante allo strumento urbanistico generale, oggetto appunto della norma regionale impugnata. Ne consegue l’inammissibilità della questione".

sentenza Corte Costituzionale n. 49 del 2014

Un caso nel quale il TAR dispone la verificazione in sede cautelare in materia di esproprio

19 Mar 2014
19 Marzo 2014

Segnaliamo una ordinanza del TAR Veneto, perché in fase cautelare in materia di esproprio, in presenza di un contrasto tra i documenti presentati dalle parti, il Tar investe il dirigente regionale per il territorio per un procedimento di verificazione.

Il ricorso nasce dalla decisione dell'ente espropriante di estendere l'originaria area di esproprio. 

E' un'operazione che richiede la preventiva apposizione del vincolo espropriativo tutte le volte in cui le nuove particelle siano esterne alla fascia di rispetto (art. 12 comma 2 DPR 327/2001 : "Le varianti derivanti dalle prescrizioni della conferenza di servizi, dell'accordo di programma o di altro atto di cui all'articolo 10, nonché le successive varianti in corso d'opera, qualora queste ultime non comportino variazioni di tracciato al di fuori delle zone di rispetto previste ai sensi del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753, nonché ai sensi del decreto ministeriale 1 aprile 1968, sono approvate dall'autorità espropriante ai fini della dichiarazione di pubblica utilità e non richiedono nuova apposizione del vincolo preordinato all'esproprio").
Qualora invece si trovino all'interno della suddetta fascia, dovrà comunque procedersi al
l'estensione dell'originaria dichiarazione di pubblica utilità, mediante la riedizione della procedura di cui all'art. 16 Dpr. 327/2001.
Nel caso in esame, alla luce delle discrepanze emerse tra i documenti prodotti dalle parti in atti di causa in ordine all'esatta consistenza della variante, al suo posizionamento ed alla posizione della fascia di rispetto, il Collegio ha sospeso la procedura espropriativa ed al contempo disposto la verificazione ai sensi dell'art. 66 cpa, all'uopo incaricando il massimo dirigente regionale in materia di territorio.

ordinanza tar Veneto 171 del 2014

Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio delle strutture turistico – ricettive in aria aperta (campeggi, villagi turistici, ecc.) con capacita’ ricettiva superiore a 400 persone‏

19 Mar 2014
19 Marzo 2014

MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 28 febbraio 2014 Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l'esercizio delle strutture turistico - ricettive in aria aperta (campeggi, villagi turistici, ecc.) con capacita' ricettiva superiore a 400 persone. (14A01954) 

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