Author Archive for: SanVittore

Pubblico e privato nel governo del territorio: seminario per gli architetti 28 marzo 2014

13 Mar 2014
13 Marzo 2014

La fondazione e l'Ordine degli architetti di Venezia hanno organizzato per il giorno 28 marzo 2014 il seminario di cui all'avviso allegato, che  è aperto solo agli architetti e consente di ottenere crediti formativi

PROGRAMMA def. PubblicoPrivato

Il vincolo aeroportuale è rispettato dai Comuni?

12 Mar 2014
12 Marzo 2014

L’art. 707, c. 5, del Codice della Navigazione, come modificato dal D. Lgs. 09.05.2005 n. 96, recita: “Al fine di garantire la sicurezza della navigazione aerea, l'ENAC individua le zone da sottoporre a vincolo nelle aree limitrofe agli aeroporti e stabilisce le limitazioni  relative agli ostacoli per la navigazione aerea ed ai potenziali pericoli per la stessa,  conformemente alla normativa tecnica internazionale. Gli enti locali, nell'esercizio delle  proprie competenze in ordine alla programmazione ed al governo del territorio,  adeguano i propri strumenti di pianificazione alle prescrizioni dell'ENAC.

Il personale incaricato dall'ENAC di eseguire i rilievi e di collocare i segnali può  accedere nella proprietà privata, richiedendo, nel caso di opposizione dei privati, l'assistenza della forza pubblica.

Le zone di cui al primo comma e le relative limitazioni sono indicate dall'ENAC su apposite mappe pubblicate mediante deposito nell'ufficio del comune interessato.

Dell'avvenuto deposito è data notizia, entro dieci giorni, mediante avviso inserito nel Bollettino ufficiale della regione interessata. Il comune interessato provvede inoltre a darne pubblicità ai singoli soggetti interessati, nei modi ritenuti idonei.

Nelle direzioni di atterraggio e decollo possono essere autorizzate opere o attività compatibili con gli appositi piani di rischio, che i Comuni territorialmente competenti adottano, anche sulla base delle eventuali direttive regionali, nel rispetto del regolamento dell’ENAC sulla costruzione e gestione degli aeroporti, di attuazione dell’Annesso XIV ICAO.

Per gli aeroporti militari le funzioni di cui al presente articolo sono esercitate dal Ministero della difesa e disciplinate con decreto del Ministro della difesa”.

 A tal fine il Regolamento per la costruzione e l’esercizio degli aeroporti - II Edizione - Emendamento n. 8 del 21.12.2011, adottato dall’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (E.N.A.C.), per quanto ivi interessa, al Capitolo 9 del Paragrafo 6 prevede che: “6.6 Prescrizioni per la redazione del piano di rischio

Fermo restando il mantenimento delle edificazioni e delle attività esistenti sul territorio, per i nuovi insediamenti sono applicabili i seguenti indirizzi, in termini di contenimento del carico antropico e di individuazione delle attività compatibili, che i Comuni articolano e dettagliano nei piani di rischio in coerenza con la propria regolamentazione urbanistico – edilizia.

  • Zona di tutela A: è da limitare al massimo il carico antropico. In tale zona non vanno quindi previste nuove edificazioni residenziali. Possono essere previste attività non residenziali, con indici di edificabilità bassi, che comportano la permanenza discontinua di un numero limitato di persone.
  • Zona di tutela B: possono essere previsti una modesta funzione residenziale, con indici di edificabilità bassi, e attività non residenziali, con indici di edificabilità medi, che comportano la permanenza di un numero limitato di persone.
  • Zona di tutela C: possono essere previsti un ragionevole incremento della funzione residenziale, con indici di edificabilità medi, e nuove attività non residenziali.
  • Zona di tutela D: in tale zona, caratterizzata da un livello minimo di tutela e finalizzata a garantire uno sviluppo del territorio in maniera opportuna e coordinata con l’operatività aeroportuale, va evitata la realizzazione di interventi puntuali ad elevato affollamento, quali centri commerciali, congressuali e sportivi a forte concentrazione, edilizia intensiva, ecc...

Nelle zone di tutela A, B e C vanno evitati:

-        insediamenti ad elevato affollamento, quali centri commerciali, congressuali e sportivi a forte concentrazione, edilizia intensiva, ecc... ;

-        costruzioni di scuole, ospedali e, in generale, obiettivi sensibili;

-        attività che possono creare pericolo di incendio, esplosione e danno ambientale.

I piani di rischio sono redatti sulla base dei piani di sviluppo aeroportuali; in mancanza di tali piani, il piano di rischio è redatto sulla base della situazione attuale.

Nella redazione dei piani di rischio i Comuni possono adattare il perimetro e l’estensione delle zone di tutela sulla base della configurazione del territorio”.

 Alla luce della citata normativa appare evidente che le Amministrazioni comunali devono contemperare le indicazioni contenute nel Regolamento, ovvero l’esigenza di garantire la sicurezza e l’incolumità pubblica, con le proprie esigenze pianificatorie e la propria normativa urbanistico-edilizia, come conferma la sentenza del T.A.R. Trentino-Alto Adige, Bolzano, sez. I, 12.09.2011 n. 312, ove si legge che: “Ciò significa che nel predisporre il Piano di rischio occorre considerare non solo la lunghezza della pista, ma anche la tipologia di traffico che opera sullo scalo aeroportuale, al fine di poter adottare misure di tutela connesse alle effettive potenzialità di rischio. Si deve, anche, tener presente che il piano di rischio è inteso alla salvaguardia dell'interesse pubblico della tutela del volo ed è, quindi, improntato al principio di precauzione, al fine di evitare incidenti in un'attività potenzialmente pericolosa; con la conseguenza che, al fine di valutare la legittimità delle previsioni del Piano, occorre aver riguardo al principio che l'interesse pubblico de quo deve essere salvaguardato in via prioritaria” ed ancora: “Occorre, innanzitutto, precisare che il Regolamento, al paragrafo 6.6 del capitolo 9, stabilisce espressamente che "per i nuovi insediamenti sono applicabili i seguenti indirizzi in termini di contenimento del carico antropico e di individuazione delle attività compatibili, che i Comuni articolano e dettagliano nei piani di rischio in coerenza con la propria regolamentazione urbanistico-edilizia"; da ciò consegue che le "attività compatibili" vanno valutate con la finalità di limitare il carico antropico e che queste, conseguentemente, a seconda della diversa tipologia, determinano un differente carico antropico, in termini quantitativi. Quanto sopra viene confermato dall'art. 707, comma 5, del codice della navigazione, che, con riferimento ai "Vincoli della proprietà privata", statuisce che: "Nelle direzioni di atterraggio e decollo possono essere autorizzate opere o attività compatibili con gli appositi piani di rischio, che i Comuni territorialmente competenti adottano, anche sulla base delle eventuali direttive regionali, nel rispetto del regolamento dell'ENAC sulla costruzione e gestione degli aeroporti, di attuazione dell'Annesso XIV ICAO"”.

Per quanto concerne l’iter che il Comune deve seguire per adottare il Piano di rischio, il paragrafo 6.7 del Capitolo 9 del Regolamento per la costruzione e l’esercizio degli aeroporti – II Edizione – Emendamento n. 8 del 21.12.2011, stabilisce che: “6.7 Adozione dei piani di rischio

Il piano di rischio è redatto dal Comune il cui territorio è interessato dalle zone di tutela e, qualora tali zone interessino i territori di più Comuni, il piano è redatto in maniera coordinata.

L’ENAC, ricevuto il piano di rischio dai Comuni, esprime il proprio parere sulla base di valutazioni di tipo aeronautico.

Nelle proprie valutazioni l’ENAC tiene conto dei dati aeronautici che caratterizzano l’aeroporto nello scenario attuale e futuro così come delineato nel piano di sviluppo segnalando le eventuali esigenze di adeguamento.

I cambiamenti significativi di tali parametri, se hanno impatto sui piani di rischio adottati, sono comunicati dall’ENAC ai Comuni al fine di valutare le ricadute sul territorio e di procedere all’eventuale aggiornamento del piano”.

 Alla luce di ciò la giurisprudenza ha affermato che, fermo restando l’obbligo dell’ente comunale di adottare il Piano di Rischio, se sono le altre Amministrazioni pubbliche coinvolte a non partecipare “sollecitamente” e “tempestivamente” all’adozione definitiva del Piano, al Comune è precluso rilasciare dei titoli edilizi nelle aree che saranno soggette al (futuro) vincolo aeroportuale. Sul punto infatti si legge che: “Pertanto, come eccepito dal Comune e non contestato dalle altre parti, l’Amministrazione comunale ha fatto quanto era nelle sue competenze per l’adozione del piano, per cui non le si può addebitare alcuna inerzia.

Allo stato risultano viceversa inadempienti le altre Amministrazioni chiamate dal legislatore a partecipare al procedimento per l’adozione dello strumento urbanistico.

Ne consegue, per converso, che la parte ricorrente dovrà compulsare, con gli strumenti assicurati dall’ordinamento (in particolare, con l’azione di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a.) le altre Amministrazioni, il cui contributo decisionale è necessario per l’adozione del piano di rischio in questione.

Non possono essere accolte neanche le censure avverso il provvedimento sub b), atteso che – come correttamente eccepito dall’ENAC - in mancanza del piano di rischio, e quale che sia la causa della mancata approvazione dello stesso, le attività edilizie non possono essere autorizzate.

Per questo motivo, non può essere accolta neanche la domanda finalizzata ad ottenere la condanna del Comune di Napoli al rilascio del permesso di costruire; fermo restando l’obbligo delle autorità amministrative competenti ad adottare il predetto piano” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 27.02.2014, n. 1215).

 Per completezza espositiva si sottolinea che, con riferimento agli artt. 714 e ss. del Codice della Navigazione ante la riforma del D. Lgs. n. 96/2005, la giurisprudenza ha affermato che spetti al Comune verificare il rispetto del vincolo aeroportuale: “Non può certamente condividersi quanto affermato dalla ricorrente e cioè che il Comune non fosse tenuto a considerare la sussistenza del vincolo aeroportuale: l'art. 715 ter cod. nav. attribuisce, difatti, proprio al Comune la custodia delle mappe ministeriali e, quindi, certamente, anche il compito di assicurarne il rispetto” (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17.01.2011, n. 89).

Nella medesima sentenza i Giudici statuiscono che vi è l’onere per il privato di impugnare immediatamente il vincolo di inedificabilità assoluta previsto dalla mappe aeroportuali atteso che: “Il Collegio non condivide neppure le conclusioni che la ricorrente trae dai precedenti giurisprudenziali richiamati circa il valore unicamente ricognitivo del vincolo derivante dalla legge e, dunque, non costitutivo. Tutte le sentenze citate dalla ricorrente hanno ad oggetto fattispecie nelle quali, a fronte della pretesa di ricondurre unicamente alle mappe aeroportuali previste il sorgere del vincolo aeroportuale, hanno affermato l'irrilevanza della mancata emanazione del decreto ministeriale di approvazione ed esecutività delle mappe contenenti le zone soggette a limitazione, ex art. 715 quater cod.nav., in quanto le limitazioni e i vincoli alla proprietà privata nelle fasce circostanti gli aeroporti, stabilite dagli articoli 714 e 715 cod.nav., hanno come unico presupposto di operatività l'esistenza di un aeroporto, sicché la mancata emanazione di un nuovo decreto ministeriale di approvazione delle mappe non può condizionare l'esistenza del vincolo (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 15 maggio 1998, n. 995; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 12 marzo 1992, n. 76; Tar Aosta, 12 febbraio 2006, n. 12). In nessuna pronuncia viene però affermata l'irrilevanza di un vincolo risultante dalle mappe. Né dal principio, accolto nelle pronunce richiamate dalla ricorrente - secondo cui la mancata emanazione del decreto ministeriale di approvazione delle mappe non condiziona l'esistenza del vincolo, derivando tale vincolo già dalla legge - può certo inferirsi la natura meramente dichiarativa dei vincoli previsti dalle mappe ministeriali. Le mappe ministeriali sono, al contrario, indubbiamente lesive, in quanto con esse vengono concretamente apposti i vincoli aeroportuali previsti dagli artt. 714 e ss. cod. nav., tant'è che la legge prevedeva una serie di garanzie procedimentali per la loro adozione. Alle medesime conclusioni era già giunto il Consiglio di Stato, con la sentenza sez. VI, n. 35/1994, richiamata dalla stessa ricorrente. Questa pronuncia precisa, invero, che il d.m. con il quale vengono determinate la direzione e la lunghezza di atterraggio ai sensi dell'art. 714 bis, in quanto atto meramente prodromico, non è immediatamente impugnabile per la sua attuale mancanza di lesività (Cons. Stato, sez. IV, 18.10.1967 nn. 485 e 487) in quanto gli elementi che deve determinare non consentono di individuare in concreto i vincoli, le limitazioni ed i divieti cui le zone che circondano gli aeroporti debbono essere sottoposte ai fini della sicurezza del traffico aereo. Del resto - prosegue il Consiglio di Stato - "la concreta individuazione dei vincoli, delle limitazioni e dei divieti in argomento è disciplinata dal seguito procedimentale, che prevede la redazione di una mappa provvisoria, il deposito della mappa stessa presso il Comune interessato, il decorso di un termine dilatorio per la presentazione di osservazioni ed opposizioni e, infine, l'assunzione del d.m. conclusivo della procedura. Quest'ultimo vincolo, immediatamente impugnabile per la sua attuale lesività, costituisce le limitazioni, i vincoli ed i divieti in argomenti, prevede il diritto dei proprietari di essere indennizzati in caso di demolizione di costruzioni preesistenti e prevede la sanzione dell'abbattimento senza indennizzo per i manufatti successivamente realizzati in contrasto con le sue statuizioni". Laddove nell'approntare le mappe dell'aeroporto di Linate - ponendo l'area in questione in zona rossa - il Ministero per i trasporti non avesse applicato correttamente le previsioni di cui agli artt. 714 e ss. cod. nav. era onere della ricorrente proporre opposizione, nelle forme previste nell'avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 252 del 22 settembre 1976, oppure ricorso giurisdizionale avverso tale atto. Ciò comporta che le censure volte ad affermare, in questa sede, l'insussistenza del vincolo aeroportuale - e, in particolare, la circostanza che l'area sarebbe esterna alle direzioni di atterraggio e di decollo e che dunque ricadrebbe non nel vincolo di cui all'art. 715 bis ma in quello previsto dall'art. 715 c. 4 - sono inammissibili, non avendo la ricorrente proposto impugnazione avverso l'atto di apposizione del vincolo di inedificabilità assoluta sull'area di sua proprietà, adottato ai sensi dell'art. 715 ter cod. nav. È, difatti, pacificamente inammissibile l'impugnazione giurisdizionale di un provvedimento amministrativo che rimetta in discussione la legittimità del provvedimento definitivo presupposto, divenuto inoppugnabile”.

In considerazione di ciò il T.A.R. Lombardia ritiene legittimo l’annullamento d’ufficio della concessione edilizia rilasciata dal Comune in un’area soggetta al vincolo aeroportuale di inedificabilità assoluta: “L'intervento di questi organi comunali è da ritenersi sufficiente a garantire il rispetto delle forme procedimentali in considerazione delle ragioni di ordine esclusivamente giuridico per le quali l'amministrazione ha deciso di annullare l'ufficio il titolo edilizio e comunque - per quanto riguarda il principale motivo di annullamento, legato alla esistenza del vincolo aeroportuale - della non necessità di un coinvolgimento dell'E.n.a.c., attesa la competenza del solo Comune a valutare il rispetto delle mappe ministeriali adottate ai sensi dell'art. 715 ter ed il carattere assoluto del vincolo aeroportuale esistente sull'area, quale risultante dalla mappa dei vincoli relativa all'aeroporto di Linate, approvata con d.m. 28 luglio 1976, e come accertato in sede penale”.  

dott. Matteo Acquasaliente

Regolamento per la costruzione e l'esercizio degli aeroporti

TAR Milano n. 89 del 2011

TAR Bolzano n. 312 del 2011

TAR Napoli n. 1215 del 2014

Occorre l’autorizzazione agli scarichi per gli edifici costruiti prima della L. 319 del 1976?

12 Mar 2014
12 Marzo 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n.  1023 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "La disciplina autorizzatoria degli scarichi è stata introdotta dall’art.9 della legge 319/76, quindi è pacifico che al momento della costruzione dell’edificio di cui si discute essa non fosse ancora esistente. In via transitoria la normativa ha previsto l’obbligo di autorizzazione solo per gli scarichi degli insediamenti produttivi anche se antecedenti, mentre per gli insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognature ha semplicemente previsto un obbligo di denunzia ( nel caso di specie ottemperato) stabilendo che la relativa disciplina tesa all’adeguamento fosse definita dalle Regioni attraverso l’adozione di “piani di risanamento delle acque”.

In questo quadro normativo, sostenere – come ha fatto il primo giudice - che all’obbligo di denuncia possa sostituirsi, senza bisogno di alcuna espressa previsione, l’obbligo di autorizzazione ove la Regione non proceda alla redazione del Piano di risanamento, è interpretazione che, se da un lato assicura il perseguimento degli obiettivi di salubrità, dall’altro tradisce la lettera della legge ed il principio di affidamento nel disposto legislativo (ne è prova del resto il regolamento da ultimo approvato dalla Regione Puglia, 12 dicembre 2011, n. 26, il quale all’art.7 prescrive un obbligo di adeguamento degli impianti già esistenti  non recapitanti nella rete fogniaria, entro due anni dalla sua entrata in  vigore). Piuttosto deve affermarsi che per gli scarichi degli insediamenti civili assentiti prima dell’entrata in vigore della legge 319/76 non occorre autorizzazione ex post, essendo già la licenza edilizia comprensiva delle prescrizioni in ordine agli scarichi (questa è del resto la tesi recentemente sostenuta dalla Cassazione, sez. II, 24/11/2008, n. 27895) Ovviamente ciò non significa che l’impianto di smaltimento a dispersione sia conforme o possa essere mantenuto in essere: piuttosto esso deve essere adeguato nei tempi e nei modi previsti dalla normativa regionale primaria e secondaria".

sentenza CDS 1023 del 2014

La responsabilità penale delle imprese: confronto tra le società private e le società partecipate da Enti Locali

12 Mar 2014
12 Marzo 2014
Pubblichiamo in allegato la locandina del Convegno "Officina 231", organizzato dall'Ordine dei Commercialisti di Vicenza, che si svolgerà a Vicenza il 31/03 p.v., a Zanè il 7/05 p.v. e a Bassano del Grappa il 14/05, sul D.Legisl.231/2001, con presentazione di case-reports ( società private, società pubbliche partecipate, enti pubblici economici).
 
Le iscrizioni si effettuano tramite il sito dell'Ordine dei Dottori Commercialisti di Vicenza
 

La tipicità degli strumenti di pianificazione non vale per gli Schemi Direttori

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 il Collegio afferma la legittimità dei c.d. Schemi Direttori previsti dal Piano degli interventi di Vicenza: “5.2 Va, altresì, evidenziato come lo stesso piano rinvii, essenzialmente, ai PUA per quanto concerne la realizzazione degli interventi e, ciò, mediante il ricorso all’istituto della perequazione.

5.3 La previsione degli “schemi direttori”, deve essere interpretata in quanto diretta ad attuare una funzione di coordinamento degli interventi da realizzare, disciplinando nel relativo ambito le prescrizioni contenute nel Piano degli Interventi e, ciò, secondo uno schema, che seppur innovando con le disposizioni sopra citate, non può essere ritenuto in contrasto con le stesse” ed ancora: “6.3 Sul punto va considerato dirimente constatare che lo strumento della “schema Direttore”, coincide sostanzialmente con il contenuto del PUA, assumendo rispetto a detto Piano attuativo una funzione – ulteriore - di coordinamento e di raccordo con gli stessi PUA e, in ciò, senza che per questo sia modificata la ripartizione tra le competenze tra il Consiglio comunale (competente all’approvazione del PI) e, ancora, la Giunta comunale alla quale sono attribuiti i poteri di approvare i singoli PUA” ed ancora: “6.3 Sul punto va considerato dirimente constatare che lo strumento della “schema Direttore”, coincide sostanzialmente con il contenuto del PUA, assumendo rispetto a detto Piano attuativo una funzione – ulteriore - di coordinamento e di raccordo con gli stessi PUA e, in ciò, senza che per questo sia modificata la ripartizione tra le competenze tra il Consiglio comunale (competente all’approvazione del PI) e, ancora, la Giunta comunale alla quale sono attribuiti i poteri di approvare i singoli PUA.

6.4 Va, inoltre, chiarito come l’utilizzo dello strumento dello “schema Direttore” non comporti la violazione del principio di tipicità e nominatività degli strumenti urbanistici, ritenendo come non possa condividersi l’argomentazione di parte ricorrente, in base alla quale, si sarebbe introdotto uno strumento di pianificazione non previsto dalla legislazione nazionale.

6.5 Se, infatti, il principio di “tipicità” sopra ricordato costituisce un dato acquisito per l’ordinamento, va comunque evidenziato come la modifica costituzionale del Titolo V della Costituzione, con l'attribuzione alla competenza concorrente della materia del "governo del territorio", ha determinato come detta tipicità debba essere strettamente verificata sulla base sia, della normativa nazionale sia, ancora, di quella regionale.

6.6 Si è, peraltro già avuto modo di evidenziare come gli “Schemi Direttore” integrano per caratteristiche delle fattispecie analoghe a quelle dei PUA, questi ultimi espressamente disciplinati dalla normativa regionale, assumendo rispetto agli stessi PUA una funzione di precisazione delle prescrizioni del PI e, nel contempo, una finalità ulteriore di raccordo e di coordinamento dei singoli piani attuativi.

6.7 Ne consegue come deve ritenersi ammissibile che l’Amministrazione comunale possa introdurre varianti e modifiche alla disciplina di dettaglio degli strumenti urbanistici a condizione che non si determini una deviazione sostanziale dal modello contenuto nella legislazione nazionale e regionale, avendo a riferimento il rispetto della funzione tipica degli strumenti urbanistici così come individuati dalla stessa legislazione vigente.

6.8 Detta interpretazione trova conferma, a livello costituzionale, e precisamente nell'ultimo comma dell'art. 117 Cost., laddove attribuisce ai Comuni la potestà regolamentare nelle materie di loro competenza”. 

dott. Matteo Acquasaliente

La natura ibrida del Piano degli Interventi

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 il Collegio chiarisce che il P.I. ha la natura mista di atto provvedimentale e normativo: “Costituisce espressione di un principio consolidato (Cons. di Stato sez. IV 19 Febbraio 2010 n. 1004) quello in base al quale lo strumento urbanistico ha natura giuridica di atto complesso, con un contenuto misto di atto normativo e, al tempo stesso, di provvedimento amministrativo.

E’, allora, evidente che in conseguenza di detta natura provvedimentale risultava integrata la fattispecie di cui all’art. 15 sopra citato legittimando l’acquisizione del parere della Commissione Territorio”. 

Il P.I. meramente attuativo è escluso dalla V.A.S.

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella stessa sentenza n. 283/2014 il T.A.R. Veneto stabilisce che il Piano degli Interventi (P.I.) non deve essere soggetto a Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) se non approva sostanziali modifiche al Piano di assetto del Territorio (P.A.T.), ovvero se è un piano meramente attuativo.

 Chiarito che “lo svolgimento della procedura VAS sia strettamente correlata ad un’attività di programmazione e, ciò, in considerazione delle caratteristiche di detto procedimento di valutazione, circostanza quest’ultima che fa apparire incompatibile detta valutazione con le caratteristiche attuative del PI.

18.8 La valutazione ambientale strategica è volta, infatti, a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano effettivamente ponderati nel corso dell’attività di predisposizione degli stessi piani, così da anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata (come avviene per la valutazione di impatto ambientale) sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa, mancando in concreto la possibilità di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, le modalità di utilizzazione del territorio”, il Collegio afferma che: “18. Per quanto concerne la violazione della disciplina comunitaria in materia di VAS va ricordato, preliminarmente, come il Piano di Assetto del Territorio del Comune di Vicenza sia stato sottoposto a VAS nella parte in cui ha rilevato la compatibilità ambientale delle previsioni riferite alla zona industriale di cui si tratta.

18.1 Ciò premesso risulta evidente l’infondatezza della censura proposta, risultando dirimente constatare come il PI, nulla abbiamo modificato per quanto concerne la classificazione delle aree rispetto alle definizioni del PAT, essendosi limitato a prevedere indici volumetrici e di superficie, senza per questo approvare specifici progetti.

18.2 Ne consegue come deve considerarsi legittimo il comportamento dell’Amministrazione comunale che ha ritenuto di non sottoporre alla valutazione di screening VAS il Piano di Interventi, constatando sul punto come ai sensi di quanto previsto dall’art. 4 comma 2 della L. reg. 11/2004, detto strumento non fosse incluso tra quelli sottoposti a detto procedimento di valutazione ambientale.

18.3 E’ altrettanto corretta l’interpretazione contenuta nella delibera della Giunta Regionale n. 1717 del 03 Ottobre 2013, conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 58/2013, laddove si è precisata la non necessità della procedura di verifica di assoggettabilità a Vas di un Piano degli Interventi che fosse meramente attuativo.

18.4 Dette conclusioni sono, peraltro, state fatte proprie da un costante orientamento giurisprudenziale, laddove si è precisato che la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale è necessaria quando le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato (in termini, Cons. Stato, VI, n.2694 del 2006, principio conforme a Corte giust. Comm. eu. 4 maggio 2006, C-290/2003; Consiglio di Stato sez. IV, 7 luglio 2011, n. 4072)”.

dott. Matteo Acquasaliente

L’esclusione dalla V.A.S. del P.I. è pienamente conforme alla Costituzione

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza del TAR Veneto n. 28372014, i Giudici asseriscono che l’esclusione dalla V.A.S. del P.I. è costituzionalmente legittima poiché: “19. E’ infondata anche l’eccezione di costituzionalità dell’art. 4 comma 2 della L. reg. 11/2004 nella parte in cui non sottopone a VAS i piani degli interventi per presunta violazione dell’art. 117 secondo comma lett.s) della Costituzione.

A parere della ricorrente l’incostituzionalità di detta norma sarebbe da ricollegare alla circostanza in base alla quale la disposizione regionale sopra citata non avrebbe ricompreso il Piano degli Interventi tra i piani da assoggettare a VAS e, ciò, in violazione della legislazione comunitaria e nazionale.

19.1 E’ noto che in materia di tutela dell’Ambiente, materia di competenza esclusiva dello Stato, sussiste il potere delle Regioni di introdurre disposizioni più restrittive rispetto a quanto disposto dalla legislazione nazionale di cui all’art. 6 del D.Lgs. 152/06.

19.2 A conferma di detto principio l'art. 3-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 consente alle Regioni di “adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente più restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un'arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali”.

19.3 Si consideri, altresì, che nella sentenza n.58/2013 la Corte Costituzionale ha rilevato che “quand'anche avesse l'effetto di introdurre una nuova ipotesi di valutazione strategica ambientale per una fattispecie in cui non è contemplata dalla legge statale, si risolverebbe in una previsione a vantaggio dell'ambiente e disposta nell'ambito della competenza legislativa concorrente della Regione in materia di governo del territorio, ben potendo il legislatore regionale incrementare gli standard di tutela dell'ambiente, nell'ambito delle materia di propria competenza legislativa e senza compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte individuato da norme dello Stato”.

19.4 Nel caso di specie deve ritenersi che la disposizione della legge regionale sopra citata non solo rispecchi pienamente il disposto della legge nazionale, ma nel contempo integri rispetto a quest’ultima una fattispecie più stringente e, ciò, nella parte in cui obbliga la sottoposizione a VAS tutti i progetti di Piani Territoriali e i PAT comunali, indipendentemente dal loro specifico contenuto o dalla preventiva valutazione dell’incidenza ambientale.

19.5 Va evidenziato che l’analisi dell’art. 17 della L. reg. n.11/2004 consente di rilevare come il Piano degli Interventi si configuri come un documento anche programmatico, nella parte in cui è diretto a definire gli indirizzi pianificatori sanciti dal PAT e, quindi, a dare attuazione agli stessi in un ambito temporale definito.

19.6 Ne consegue come il Piano degli Interventi non integra la fattispecie di un piano attuativo, non è diretto a consentire la realizzazione di specifici progetti, ma per i suoi caratteri costituisce una diretta applicazione delle previsioni del PAT, imponendo una programmazione dei tempi di attuazione delle previsioni e delle risorse finanziarie indispensabili.

19.7 Ciò premesso deve ritenersi infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 4 della L. Reg. n.11/2004, disposizione quest’ultima che è in linea con quanto previsto dalla disciplina nazionale in materia di valutazione di compatibilità ambientale dell’attività di pianificazione del territorio e, ciò, nella parte in cui si prevede la sottoposizione a Valutazione ambientale sia dell’attività di pianificazione sia, nel contempo, della realizzazione di specifici progetti”.

 dott. Matteo Acquasaliente

Il divieto di ultrapetizione opera anche nel processo amministrativo

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 i Giudici ribadiscono che il c.d. principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato si applica anche nel processo amministrativo: “Ne consegue come il divieto di ultra petizione di cui all’art. 112 del codice del processo civile impedisce a questo Giudice di esaminare i vizi non contenuti nell’atto di ricorso con conseguente inammissibilità dei motivi ulteriori proposti dalle parti costituite e, ciò, considerando quanto affermato dal quel tradizionale principio (per tutti si veda Cons. Stato Sez. IV, 03-03-2009, n. 1227) nella parte in cui ha rilevato che “nel processo amministrativo l'oggetto del giudizio si configura strettamente limitato alle questioni di legittimità dell'atto in relazione ai soli motivi denunciati con il ricorso, è rinvenibile il vizio di ultra od extra petizione qualora il Giudice si sia pronunciato su un aspetto non censurato dalla parte”

dott. Matteo Acquasaliente

L’attività commerciale è compatibile con la zona industriale?

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 il T.A.R. Veneto conferma chela localizzazione di un esercizio commerciale in zona industriale è pienamente legittima e che il giudice amministrativo può sindacare questa scelta solo se manifestamente priva di razionalità o logicità: “Sul punto risulta dirimente constatare come la scelta di prevedere nella zona industriale anche insediamenti commerciali costituisce espressione di una discrezionalità amministrativa, nell’ambito della quale sussiste un consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude il sindacato di questo Tribunale (per tutti si veda Consiglio di Stato sez. IV n. 3663/11 del 16/06/2011).

E' utile, infatti, ricordare come sul punto sia applicabile quel costante orientamento giurisprudenziale (da ultimo di veda T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 06-03-2013, n. 483) nella parte in cui ha sancito che... "le prescrizioni urbanistiche impartite nell'esercizio della potestà pianificatoria sono espressione di ampia discrezionalità nel definire la tipologia delle utilizzazioni delle singole parti del territorio e le scelte effettuate, e che riguardando il merito dell'azione amministrativa, non sono sindacabili, salvo che risultino incoerenti con l'impostazione di fondo dell'intervento pianificatorio o manifestamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio ovvero ancora affette da vizi macroscopici di logicità e razionalità riconducibili all'alveo dell'eccesso di potere"”. 

dott. Matteo Acquasaliente

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC