Author Archive for: SanVittore

La decadenza del permesso di costruire deve essere formalizzata anche se opera automaticamente

28 Ago 2013
28 Agosto 2013

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto 1070 del 2013.

Scrive il TAR: "va rilevato come sia infondata la censura relativa alla presunta violazione dell’art. 15 comma 6, e art. 15 comma 2 della L. Reg. 15/2004, laddove si sostiene l’illegittimità del verbale della conferenza del 28 Settembre 2009 e delle consequenziali autorizzazioni commerciali del 01/07/20120, in considerazione del fatto che detti provvedimenti presupporrebbero la vigenza del permesso di costruire n. 165/2005, permesso che, al contrario, parte ricorrente ritiene decaduto per superamento dei termini in esso previsti.
8.2 Sul punto va rilevato che la decadenza di un permesso presuppone comunque un atto esplicito, con un contenuto e diretto a rilevare l’avvenuta decadenza, provvedimento quest’ultimo che non è stato mai emanato dall’Amministrazione comunale. A dette conclusioni conforta  quell’orientamento giurisprudenziale, oggetto peraltro di una recente pronuncia (Cons. Stato Sez. III, 04-04-2013, n. 1870), nella parte in cui si è affermato che “la pronunzia di decadenza del permesso di costruire riceve puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia). Si tratta di un provvedimento che ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal cit. art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc (Riforma della sentenza del T.a.r. Toscana -Firenze, sez. III, n. 955/2012)”. Si è sancito, altresì, che “la decadenza pur operando automaticamente per effetto dell’inutile decorso dei termini di inizio e fine lavori, deve essere formalizzata in un provvedimento amministrativo per quanto vincolato che presuppone un acclaramento da parte dell’amministrazione da effettuarsi mediante un procedimento soggetto alle regole della L.07 Agosto 1990 n. 241 (TAR lazio Latina sez. I 07/06/2007 n. 424)”.
8.3 E’, inoltre, evidente come l’esame degli atti consente di constatare come le attività edilizie fossero iniziate, circostanza quest’ultima che consente di ritenere come l’Amministrazione abbia ritenuto lo status quo meritevole dell’emanazione di un nuovo permesso di costruire al fine di completare quelle opere, ancora, non eseguite.
8.4 Ne consegue che la conferenza di servizi del 28 Settembre 2009 ha legittimamente consentito la nuova distribuzione delle superfici commerciali sulla base di un permesso di costruire valido ed efficace e, ciò, peraltro in considerazione dei termini di inizio e conclusione dei lavori successivamente modificati".

sentenza TAR Veneto 1070 del 2013

L’abuso edilizio è illecito permanente e si applica la disciplina vigente al momento dell’adozione del provvedimento sanzionatorio

27 Ago 2013
27 Agosto 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1068 del 2013, che riguarda una ordinanza di demolizione di un'opera abusiva, successiva al diniego di un condono edilizio.

Scrive il TAR: "5. Con il terzo motivo si sostiene la violazione dell’art. 11 delle preleggi del Codice Civile in considerazione del fatto che all’abuso edilizio avrebbe dovuto applicarsi la normativa vigente all’epoca dei fatti.
5.1 La censura non risulta condivisibile, in quanto la natura di illecito permanente degli abusi edilizi comporta l’applicabilità agli stessi della disciplina esistente al momento dell’adozione del provvedimento sanzionatorio (per tutti si veda T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, 22-03-2013, n. 354)".

Segnaliamo anche il seguente passaggio della sentenza: "In considerazione di tale motivo di censura va premesso che l’ordinanza di demolizione, ora in esame, trova il proprio presupposto in un precedente provvedimento di diniego su un’istanza di sanatoria, rimasto non impugnato dalla parte ricorrente. Va, nel contempo, ricordato che l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce l’espressione di un’attività vincolata della Pubblica amministrazione e, ciò, con la conseguenza che tutti i provvedimenti relativi all’esercizio di detto potere repressivo, quali l'ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario acquisire il parere di organi, quali la Commissione edilizia integrata (T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 17-11-2011, n. 1713)".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1068 del 2013

Come si modifica/sopprime una commissione edilizia?

27 Ago 2013
27 Agosto 2013

L’art. 4, c. 2 del D.P.R. 380/2001 attribuisce ai Comuni la possibilità di istituire le Commissioni Edilizie (C.E.): “Nel caso in cui il Comune intenda istituire la Commissione edilizia, il regolamento indica gli interventi sottoposti al preventivo parere di tale organo consultivo”.

Assodato ciò, qualora il Comune intenda modificare o sopprimere le C.E., quale normativa deve seguire?

Sul punto vi sono due linee normative-interpretative possibili:

- una prima possibilità è applicare l’art. 96 del D. Lgs. 267/2000 il quale prevede che: “1. Al fine di conseguire risparmi di spese e recuperi di efficienza nei tempi dei procedimenti amministrativi i consigli e le giunte, secondo le rispettive competenze, con provvedimento da emanare entro sei mesi dall'inizio di ogni esercizio finanziario, individuano i comitati, le commissioni, i consigli ed ogni altro organo collegiale con funzioni amministrative ritenuti indispensabili per la realizzazione dei fini istituzionali dell'amministrazione o dell'ente interessato. Gli organismi non identificati come indispensabili sono soppressi a decorrere dal mese successivo all'emanazione del provvedimento. Le relative funzioni sono attribuite all'ufficio che riveste preminente competenza nella materia” (cfr. il Comune veronese di Oppeano);

- un’alternativa è utilizzare l’art. 50 della l. r. Veneto 27.06.1985 n. 61 concernente le varianti parziali al piano regolatore (cfr. il Comune padovano di Albignasego).

Qualcuno ha un’idea più precisa al riguardo?

dott. Matteo Acquasaliente

Comune di Oppeano

Comune di Albignasego

Quando serve il piano di lottizzazione nelle zone di espansione

27 Ago 2013
27 Agosto 2013

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4255 del 22 agosto 2013, ha affrontato nuovamente la questione della necessità di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio di un titolo edilizio in una zona di espansione, al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione esistenti (si veda in tal senso Consiglio Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7486 Consiglio Stato: sez. IV, 1 ottobre 2007, n. 5043 e 15 maggio 2002, n. 2592; sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7799 e 6 ottobre 2000, n. 5326).

Il Collegio ha rimarcato il principio secondo cui l’esclusione della necessità di strumenti attuativi per il rilascio di concessioni in zone già urbanizzate “è applicabile solo nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad es. il lotto residuale ed intercluso in area completamente urbanizzata), ma non anche nell'ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all'abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l'urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l'armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all'edificazione)” (ex multis T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 23-02-2012, n. 372 T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 10 febbraio 2011 , n. 117).

Sul punto, inoltre, il Consiglio di Stato, riprende il ragionamento fatto dal Tar impugnato e afferma che: “seppur in via di principio l’evenienza di una imposizione della redazione di un piano attuativo non possa escludersi, residua l’esigenza che detta opzione volitiva sia congruamente motivata dal Comune (così la sentenza impugnata: “vi possono essere peraltro delle ipotesi in cui, ancorché in una zona urbanizzata, la confusione edilizia e il disordine urbanistico siano tali da richiedere comunque la predisposizione di un piano attuativo, però tali situazioni devono risultare nella motivazione del provvedimento amministrativo anche pianificatorio o perlomeno dalla relazione accompagnatoria e dalla documentazione allegata”)”.

dott.sa Giada Scuccato

sentenza CDS 4255 del 2013

Quando si tratta di atti discrezionali non c’è automatismo tra la illegittimità dell’atto e l’accoglimento della domanda risarcitoria

26 Ago 2013
26 Agosto 2013

Il TAR Veneto, nella stessa sentenza n. 1088 del 2013, allegata al post che precede,  dopo aver ritenuto illegittimo il diniego di un impianto di biogas, precisa che ciò non atribuisce automaticamente all'interessato il diritto di ottenere il risarcimento del danno, perchè il rilascio dell'autorizzazione è un atto discrezionale, cosicchè bisogna valutare se alla fine l'autorizzazione doveva essere  rilasciata oppure no.

Scrive il TAR: "5. Ciò premesso, va ora osservato che, trattandosi di un interesse legittimo pretensivo a fronte di un’attività tecnico-discerzionale della P.A., non vi può essere alcun automatismo tra la riconosciuta illegittimità dell’atto e l’accoglimento della domanda risarcitoria. Ed infatti, a fronte di poteri discrezionali la tutela risarcitoria per equivalente deve passare - se non attraverso la effettiva riedizione del potere stesso, e fatto salvo il successivo accoglimento della pretesa - attraverso un giudizio prognostico di carattere probabilistico da condursi secondo la regola civilistica del “più probabile che non”. Nel caso di specie, tuttavia, la ricorrente non ha più interesse alla riedizione del potere ed al rilascio dell’autorizzazione richiesta. Si tratta dunque di accertare, ex post, se gli elementi di fondatezza della pretesa erano tali da rendere, se non necessitato, quantomeno probabile il rilascio del provvedimento favorevole.

6. Tale giudizio, nel caso in esame, non può portare ad un esito positivo. Ed infatti, pur se il provvedimento di diniego dell’autorizzazione è stato motivato sulla base di presupposti erronei, quali l’aumento dell’inquinamento atmosferico, o comunque secondari e superabili, quali i profili viabilistici, ciononostante, residuerebbe una elevata discrezionalità amministrativa nella valutazione di diversi ed ulteriori elementi. Nel corso della conferenza di servizi sono infatti emerse varie e non  secondarie criticità derivanti dall’installazione dell’impianto di produzione di energia nelle vicinanze dell’ospedale di Trecenta, che avrebbero potuto assumere rilevanza nell’ambito di una valutazione più ampia e approfondita da effettuarsi da parte della Regione Veneto in sede di motivazione del provvedimento finale, e che comunque non potevano essere lasciate all’apprezzamento particolare di una singola amministrazione (la ULSS) non chiamata a rendere pareri in relazione ad interessi pubblici di cui non è titolare. Ad esempio, la criticità principale dell’installazione dell’impianto sembra risiedere infatti proprio nelle sua localizzazione nei pressi di un sito  sensibile. Ed anche dovendosi escludere la rilevanza della localizzazione sotto il peculiare profilo dell’inquinamento atmosferico, è peraltro emerso che l’attivazione dell’impianto di produzione di energia avrebbe comunque comportato un peggioramento della complessiva situazione ambientale - in termini di aumento di emissioni di rumori, odori, fumi, e d’ incremento del traffico di veicoli anche industriali - non pienamente tollerabile a causa della presenza dell’ospedale a 400 metri di distanza; considerata anche l’esistenza, nelle stesse vicinanze, di un analogo impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili. Peraltro, tali inconvenienti non sarebbero stati compensati da una (inizialmente programmata) riduzione delle emissioni d’inquinanti nell’atmosfera, che si sarebbe potuta ottenere con la disattivazione della caldaia dell’ospedale alimentata da fonti fossili e la sua sostituzione con la fornitura di energia pulita da parte del nuovo impianto, essendo emerso che quest’ultima non sarebbe stata sufficiente per soddisfare  integralmente il fabbisogno energetico dell’ospedale.

7. Ne consegue, dunque, come dall’analisi della fattispecie, anche eliminando gli elementi costituenti i motivi di diniego posti alla base del provvedimento impugnato, permanga un’ estesa ed irriducibile area di discrezionalità tecnica, che impedisce di addivenire ad un sicuro accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale all’installazione dell’impianto di produzione di energia in questione. Ovvero, in altre parole, non vi è certezza nemmeno probabilistica che ove il provvedimento finale fosse stato emesso emendato dai vizi motivazionali o procedurali denunciati dalla ricorrente, sarebbe stato favorevole per la stessa. Mancano, dunque, le condizioni imprescindibili per l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni derivanti dal provvedimento di diniego, la quale, pertanto, deve essere rigettata".

Impianti di biogas e conferenza di servizi dell’art.12 D.lgs. 387/2003: il parere negativo dell’ULSS non è insuperabile

26 Ago 2013
26 Agosto 2013

Lo dice la sentenza del TAR Veneto n. 1088 del 2013.

Scrive il TAR: "4. Nel merito, ritiene il Collegio che il provvedimento di diniego sia da ritenersi illegittimo in ragione del difetto e dell’erroneità della motivazione evidenziati con i primi due motivi di ricorso. Infatti, la Regione Veneto, nel motivare il provvedimento finale di diniego, come denunciato dalla parte ricorrente, si è riferita esclusivamente, come se si trattasse di un insuperabile veto, al parere negativo della ULSS n. 18 di Rovigo, recepito acriticamente dal Comune e dall’ARPAV, ed ove si è ritenuto, in sostanza, che “la messa in esercizio dell’impianto contribuirebbe ad incrementare l’inquinamento atmosferico in loco”. E ciò, nonostante che tale valutazione fosse in contrasto, non solo con le conclusioni del tecnico incaricato della società richiedente, ma anche con due distinti pareri tecnici positivi dell’ARPAV – ente specificamente competente in materia di vigilanza, di controllo e di accertamento tecnico sulle cause di inquinamento atmosferico - con i quali si era espressamente escluso che l’attivazione dell’impianto potesse determinare un superamento dei limiti di legge delle emissioni atmosferiche e dunque un apprezzabile peggioramento della qualità dell’aria. Peraltro, la ULSS, nell’ultimo parere reso per la conferenza di servizi del 27 marzo 2012, riferisce come “non sia possib ile attestare l’assenza, nel sito Ospedaliero, di un incremento degli inquinanti dell’aria”. Ed è evidente come tale asserzione rimanga lontana da una dimostrazione positiva (peraltro di competenza dell’ARPAV) di un superamento dei limiti di legge delle emissioni atmosferiche derivante dall’attivazione dell’impianto. Nel parere della ULSS, richiamato anche in tale parte nel provvedimento finale, si evidenzia inoltre che l’attivazione dell’impianto inevitabilmente determinerebbe un aumento del traffico veicolare in prossimità dell’ospedale, con conseguente aumento dell’inquinamento atmosferico e ed interferenza sull’ordinario flusso dei veicoli, anche adibiti all’emergenza, in prossimità del nosocomio di Trecenta. Anche riguardo a tale valutazione, la difesa della ricorrente ha correttamente sottolineato come i profili viabilistici fossero stati positivamente esaminati dall’amministrazione competente, ovvero la Provincia di Rovigo. Peraltro, tale aspetto, di per sé, non può costituire congruo motivo ostativo alla realizzazione dell’impianto di produzione di energia".

sentenza TAR Veneto 1088 del 2013

Testo aggiornato del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 a seguito della legge di conversione 98 del 2013

22 Ago 2013
22 Agosto 2013

Pubblichiamo il testo del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (in S.O. n. 50/L alla Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 144 del 21 giugno 2013), coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 (in questo stesso S.O. alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia». (13A07086) (GU n.194 del 20-8-2013 - Suppl. Ordinario n. 63)

testo coordinato decreto legge 69 del 2013

C’è chi ama i “casoti da cacia” e chi no

22 Ago 2013
22 Agosto 2013

La Regione Veneto evidentemente ama i casoti  (o, più probabilmente, gli elettori che li costruiscono).

Con la sentenza n. 139 del 13 giugno 2013, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della legge regionale del Veneto n. 25 del 6 luglio 2012 nelle parti in cui esenta gli appostamenti per la caccia (capanni, altane) dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e dal titolo abilitativo urbanistico-edilizio (D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.).

La Regione Veneto, per ovviare alla sentenza della Corte, con la deliberazione della Giunta n. 1393 del 30 luglio 2013 ha disposto che “gli appostamenti di caccia in assenza di titolo abilitativo edilizio non possono essere allestiti prima del 1.08.2013 e devono essere rimossi entro e non oltre il 28.02.2014”.

Segnaliamo che la deliberazione nulla dice sulla autorizzazione paesaggistica: insomma essa sembra un pasticcio giuridico.

Molto critica è stata la presa di posizione della associazione ecologista Gruppo d'Intervento Giuridico Onlus, che ha inviato un esposto alle Procure  della Repubblica, come si può leggere nel sito sotto indicato:

htpp://gruppodinterventogiuridicoweb.wordpress.com/2013/08/17/la-giunta-regionale-del-veneto-se-ne-frega-della-corte-costituzionale-per-favorire-i-cacciatori/#more-7787

Dario Meneguzzo

dgr_appostamenti_fissi_caccia-29-7-2013

La commissione di gara deve essere sempre un collegio perfetto?

21 Ago 2013
21 Agosto 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 07 agosto 2013 n. 1022, chiarisce che la commissione di gara deve operare sempre con il plenum dei suoi componenti qualora deve adottare delle scelte discrezionali: infatti è solo “nella dialettica tra i componenti che si esplica la funzione omogeneizzate delle diverse singolarità del collegio che consente, legittimamente, l’adozione dell’atto finale unico, che non è e non rappresenta la giustapposizione delle diverse opinioni, bensì è l’atto del collegio in senso unitario e non scomponibile”. Il collegio può essere (legittimamente) incompleto soltanto se svolge delle attività vincolate, fattuali e meramente preparatorie del giudizio finale.

A tal fine il Collegio osserva che: “Sul punto la giurisprudenza, secondo un tramandato orientamento, è unanime nel riconoscere che :” … secondo un principio consolidato della giurisprudenza amministrativa, (il collegio) deve operare con il "plenum" dei suoi componenti, e non con la semplice maggioranza (così Cons. St. IV, 5 agosto 2005, n. 4196; 6 giugno 2006, n. 3386; 12 maggio 2008, n, 2188)…È bensì vero che alla luce della giurisprudenza ora richiamata la necessità di operare con il "plenum" si pone essenzialmente nelle fasi in cui la Commissione è chiamata a fare scelte discrezionali, in ordine alle quali v'è l'esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale, e che invece può consentirsi la deroga al principio della collegialità per le attività preparatorie, istruttorie e vincolate” ( cfr. Cons. Stato Sez. III, Sent., 3 marzo 2011, n. 1368; Cons. St., sez. 1, n. 1286/2011).

Nell'ipotesi di collegio perfetto, come nel caso di specie, la giurisprudenza ha, altresì, precisato, con un insegnamento pacifico e mai revocato che le deliberazioni assunte dal collegio sono valide soltanto se deliberate con la partecipazione di tutti i componenti, di talché non assume giuridica rilevanza la questione relativa alla così detta prova di resistenza, tesa ad accertare, in concreto, la eventuale incidenza dell’assente nel computo dei voti complessivi ( Cons. st., sez. VI, 6 aprile 1987, n. 230)”. Di conseguenza: “E’ quindi essenziale e non prescindibile che le manifestazioni di volontà dell’organo collegiale afferenti ad evenienze discrezionali, prodromiche ad attività valutative dei candidati, siano assunte con il plenum del collegio, risultando assolutamente illegittima ogni contraria determinazione, come quella prevista dal Presidente nel verbale n. 5, che, invero, consente una successiva conferma, da parte dei singoli commissari assenti, della decisione già adottata.

La logica dei collegi perfetti è quella per cui può essere demandata a singoli componenti e/o al collegio incompleto, soltanto l’attività vincolata, meramente fattuale e preparatoria del giudizio, ma non quella discrezionale e valutativa, come la individuazione dei concreti criteri di valutazione dei titoli, perché essa comporta e riguarda scelte discrezionali nella precisazione del bando”.

Quanto esposto è avvalorato anche dalla normativa riguardante i concorsi dei professori universitari: “La tesi esposta trova conforto, poi, proprio nel DPR 23 marzo 2000, n.117, in cui il legislatore ha, per garantire, comunque, la contestuale presenza dei componenti il seggio di gara nei concorsi per espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori a norma dell'articolo 1 della L. 3 luglio 1998, n. 210, previsto, nell’art. 4, la possibilità che la commissione utilizzi, per le riunioni, il sistema di videoconferenza.

Tale peculiare evenienza, pertanto, conferma la imprescindibile esigenza, per le scelte valutative e discrezionali della commissione, della necessaria e contestuale presenza, anche se virtuale, di tutti i componenti il seggio di gara, non essendo sufficiente neppure il contestuale collegamento telefonico ovvero con posta elettronica (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 29-07-2009, n. 4708)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1022 del 2013

Come si applica l’art. 14 del decreto-legge n. 669 del 1996 che stabilisce il termine di 120 giorni per pagare quanto stabilito nelle sentenze di condanna

21 Ago 2013
21 Agosto 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4155 del 2013, la quale precisa che il termine di 120 giorni vale per qualsiasi procedura esecutiva attivata dall'interessato e non soltanto per l'esecuzione disciplinata dal codice di procedura civile.

Scrive il Consiglio di Stato: "L’appello rimprovera al T.A.R. di avere erroneamente fatto applicazione dell’art. 14 del decreto-legge n. 669 del 1996.

Il comma 1 dell’art. 14 stabilisce che “le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto”.

Nei casi di specie, come detto in narrativa, i privati non hanno richiesto il pagamento all’Amministrazione competente secondo i termini e con le modalità ora riferite, agendo invece direttamente in via di ottemperanza per ottenere l’esecuzione del decreto della Corte d’appello.

La censura è infondata.

La ricordata disposizione del decreto-legge intende consentire all'Amministrazione, la quale va direttamente compulsata, di attivare e concludere il procedimento di pagamento nell'arco temporale a essa assegnato; e ciò prima che sia introdotta la procedura giudiziale di esecuzione, che può comportare anche un ulteriore aggravio di spese processuali. La notifica del titolo esecutivo con siffatte modalità tende dunque a far sì che presso la Pubblica Amministrazione si avvii il procedimento contabile atto a realizzare l'adempimento spontaneo (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2158).

Peraltro l’esecuzione può avvenire nelle forme ordinarie disciplinate dal codice di procedura civile o nelle forme specifiche regolate dal codice del processo amministrativo.

Anche se il giudizio di ottemperanza, nella sua attuale configurazione, “presenta un contenuto composito, entro il quale convergono azioni diverse”, non c’è dubbio che esso continui a veicolare anche un’azione di esecuzione delle sentenze o di altro provvedimento ad esse equiparabile (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2).

L’esigenza, a tutela della quale è posto l’art. 14 del decreto-legge, è strettamente connessa all’interesse pubblico, di cui l’Amministrazione è titolare. Pertanto, essa merita tutela qualunque sia la procedura esecutiva attivata dal privato, cosicché sarebbe incongruo limitare la portata della norma al processo esecutivo disciplinato dal codice di rito civile.

In questo senso, d’altronde, è orientata la giurisprudenza assolutamente prevalente del Consiglio di Stato (cfr. per tutte sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2158; Id., 23 agosto 2010, n. 5897; 13 giugno 2013, n. 3280, n. 3281, n. 3292 e n. 3293; C.G.A.R.S., 27 luglio 2012, n. 725; ivi riferimenti ulteriori), che non può ritenersi contraddetta da un’isolata pronuncia di segno contrario, forse anche determinata dalla particolarità del caso di specie (sez. IV, ordinanza 30 gennaio 2013, n. 591, citata dagli appellanti, è resa in sede di regolamento di competenza)".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4155 del 2013

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