Il ricorso in materia di silenzio non si applica al caso di inadempimento da parte dell’ente di obblighi di natura privatistica
Un Comune e una SPA avevano stipulato una convenzione urbanistica. All’art. 16 della convenzione, le parti avevano individuato nel fallimento della cessionaria del terreno, prima dell’integrale edificazione e urbanizzazione del lotto, una specifica ipotesi di risoluzione della convenzione, con conseguente obbligo per la cessionaria di restituire il terreno al Comune, il quale, da parte sua, avrebbe dovuto rimborsare alla società una somma pari al valore dell’area e di quanto sulla stessa edificato, ridotta del 20% a titolo di penale.
A fronte della richiesta della curatela fallimentare al Comune di pagare, questo era rimasto però inerte.
Il TAR, con la sentenza n. 55 del 2013, respinge il ricorso, perchè l'obbligazione del Comune ha natura privatistica e non è qualificabile come dovere di emanare un atto amministrativo.
Scrive il TAR: "Il ricorso deve essere giudicato infondato, in ragione dell’assenza in capo all’amministrazione di un dovere di provvedere che possa dirsi inadempiuto. Infatti, come correttamente eccepito dalla difesa dell’amministrazione, l’azione avverso il silenzio dell’amministrazione di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., postula la violazione del dovere di provvedere, inteso come dovere di dare formale definizione, con l’adozione di un provvedimento espresso, ad un procedimento di esercizio di un potere amministrativo. Esulano, pertanto, dall’applicazione degli artt. 31 e 117 c.p.a., le fattispecie in cui chi si duole dell’inerzia sia titolare di un diritto soggettivo. Nel caso di specie è evidente che la posizione fatta valere dal fallimento sia di diritto soggettivo essendo nella sostanza chiesto l’adempimento, da parte del Comune, degli obblighi restitutori previsti dalla convenzione del 22 dicembre 2008 nel caso di risoluzione della cessione. Peraltro, nel caso in esame, l’esistenza di una procedimentalizzazione nell’adempimento di tali obblighi, evidenziata dalla ricorrente, non ne muta la natura giuridica di obblighi di natura privatistica, ovvero, non li assimila al dovere di provvedere che presuppone un potere. Siamo dunque in presenza di posizioni di diritto soggettivo, correlate ad obblighi in capo alla pubblica amministrazione (devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. a, n. 2, c.p.a.), suscettibili di ricevere tutela giurisdizionale tramite azioni di accertamento e di condanna, senza la necessaria mediazione di poteri e provvedimenti amministrativi. Pertanto, la fattispecie in esame si pone al di fuori dell’ambito applicativo degli artt. 31 e 117 del c.p.a., in quanto il procedimento iniziato dal Comune non è un procedimento di esercizio di un potere amministrativo, discrezionale o vincolato, destinato a concludersi con l’adozione di un provvedimento. Infine, va esclusa la possibilità di convertire, ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a., la proposta azione avverso il silenzio in azione di accertamento e di condanna, essendo a ciò di ostacolo la diversità dei riti (speciale e ordinario) ai quali sono sottoposte le due azioni, e mancando una disposizione codicistica che consenta al Collegio di convertire il rito. In conclusione, la proposta azione avverso il silenzio deve essere rigettata, non essendovi, in capo all’amministrazione, un dovere di provvedere di cui predicare l’inadempienza".
Dario Meneguzzo
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