“Imperativi motivi di interesse generale”: formula nuova per dire sempre la stessa cosa (che il Comune può ancora vietare nuovi bar e ristoranti)?

11 Feb 2013
11 Febbraio 2013

La sentenza della terza sezione del T.A.R. Veneto n. 134 del 5 febbraio 2013 risulta particolarmente interessante, perché affronta la tematica della programmazione comunale dell’insediamento degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, recante l’ “Attuazione della direttiva europea 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”.

Premessa. Come sappiamo, prima dell’entrata in vigore del D.lgs. 59/2010, i comuni, nel predisporre la programmazione commerciale, dovevano fare riferimento agli artt. 33 e 34 della L.R. 21 settembre 2007, n. 29.

Si sottolinea che la citata normativa regionale era intervenuta quando già era stata adottata a livello comunitario la Direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkenstein o Direttiva Servizi) e, nel disciplinare la programmazione commerciale, aveva tenuto conto dei principi in essa contenuti. In particolare, nella D.G.R.V. n. 3340 del 4.11.2008 - recante, sensi dell’art. 33 della L.R. n. 29/2007, i “Criteri cui i comuni si attengono nel determinare i parametri ed i criteri di programmazione per il rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande” -, si legge che la programmazione comunale si ispira a “un rinnovato concetto del servizio di somministrazione di alimenti e bevande che, superando l’originaria impostazione della pianificazione numerica, si apre a nuovi obiettivi di utilità sociale da rendere al consumatore e, in genere, all’intero sistema dell’economia urbana.”. La Regione ha in sostanza preso atto che si è passati da un regime programmatorio che potremmo definire lato sensu “protezionistico”, basato su parametri numerici, a un regime programmatorio inteso a liberalizzare il settore, al fine di rendere un migliore servizio all’utente.

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 59/2010 è sorto il problema del suo coordinamento con L.R. 29/2007, dal momento che pure esso detta specifiche norme sulla programmazione comunale delle aperture di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande. Il riferimento è, in particolare, all’art. 64, comma 3.

La Regione Veneto, attraverso la D.G.R.V. n. 2026 del 3 agosto 2010 ha sostanzialmente fatto salvi i criteri di programmazione dettati dalla ricordata D.G.R.V. 3449/2008 (si precisa che, nel testo della deliberazione dell’agosto 2010, si fa riferimento alla D.G.R.V. 2982/2008, la quale è stata poi rettificata con la citata n. 3449/2008). Afferma la Giunta regionale: “ …  i criteri dettati dalla richiamata deliberazione n. 2982 del 2008 non sono fondati esclusivamente su parametri numerici legati alla mera logica dell’equilibrio tra domanda e offerta, bensì collocano i suddetti parametri nell’ambito di un più ampio quadro conoscitivo utile ai fini di una programmazione comunale fondata, in primis, su valutazioni concernenti la sostenibilità. In conformità, quindi, allo spirito della Direttiva comunitaria, il suddetto provvedimento regionale, ai fini dell’elaborazione dei prescritti criteri, impone che l’introduzione, in sede di programmazione comunale, di eventuali limiti all’accesso all’esercizio dell’attività commerciale debba fondarsi su valutazioni relative alla sussistenza dei motivi imperativi di interesse generale di cui all’articolo 4, comma 8 e al considerando n. 40 della Direttiva, quali, a titolo esemplificativo, i valori attinenti alla tutela del territorio, dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano, all’ordine pubblico e alla sicurezza pubblica, alla sanità pubblica, agli obiettivi di politica sociale e di politica culturale, alla conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico, alla tutela del consumatore, etc.

Il caso concreto. Nel caso concreto trattato dalla sentenza in commento, i ricorrenti          hanno impugnato la programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande del Comune di Asiago (Deliberazione C.C. n. 22 del 31.05.2011, recante “parametri e criteri di programmazione per il rilascio delle autorizzazioni per l'esercizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della L.R. n. 29/2007 e del D. Lgs. n. 59/2010"), unitamente all’atto applicativo, costituito dal diniego all’apertura di un nuovo esercizio nella piazza principale di Asiago.

Il motivo del diniego è il seguente: la citata programmazione comunale ha stabilito la non rilasciabilità di autorizzazioni de quibus nell'area in cui si trova il locale dei ricorrenti.

Il TAR ha innanzitutto bocciato la tesi dei ricorrenti, i quali sostenevano la immediata applicabilità della Direttiva Servizi e la conseguente disapplicazione dell’art. 64 del D.Lgs. 59/2010 sulla programmazione comunale. I Giudici veneziani, dopo aver rilevato che la citata direttiva comunitaria costituisce atto non direttamente applicabile, affermano che: “ … le menzionate disposizioni nazionali appaiono aver dato corretta applicazione alla direttiva, in quanto la presenza o meno di esercizi commerciali, e ancor più di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, produce rilevanti conseguenze di carattere urbanistico e sociale sul territorio che costituiscono motivi di interesse generale, e giustificano pertanto il mantenimento del regime autorizzatorio e una programmazione che ponga limitazioni giustificate, nel rispetto di principi di proporzionalità ed adeguatezza, dalla necessità di salvaguardare tali obiettivi di interesse generale.”

Il TAR ha poi respinto la pretesa dei ricorrenti di annullare la programmazione approvata dal Comune di Asiago con la deliberazione di C.C. 22/2011, ritenendo che le limitazioni alle nuove aperture da essa introdotte in una ben delimitata area del centro storico siano conformi alle previsioni del D.Lgs. 59/2010 e costituiscano esercizio di potere discrezionale ispirato ai canoni di ragionevolezza e logicità.

Il TAR è giunto a questa conclusione per il fatto che le limitazioni all’insediamento di nuovi esercizi pubblici nella piazza principale sono state adeguamente motivate dal Comune di Asiago, attraverso il riferimento ad una istruttoria (trasfusa in una relazione allegata ai parametri e criteri di programmazione), la quale ha messo in luce che, in quella particolare parte del centro storico, sussistono “problemi di sostenibilità ambientale e sociale per il traffico generato, per il disturbo arrecato dall’eccessivo addensamento degli avventori, e per il rischio di espulsione dal centro storico di attività commerciali di tipo diverso, funzionali alla residenza”. Sussistono, in altre parole, “motivi imperativi di interesse generale”, in presenza dei quali, sia la normativa comunitaria sia quella statale di recepimento, ammettono l’introduzione di limiti numerici alle nuove aperture e che l’art. 64 del d.lgs 59/2010 così esemplifica: “ … ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità (che) rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi dì controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità.

A proposito di discrezionalità. Ma chi controlla che la discrezionalità sia esercitata in modo serio? Qual è il confine tra discrezionalità e arbitrio, non in astratto, ma in concreto?

avv. Marta Bassanese

sentenza TAR Veneto 134 del 2013

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