Quando possono dirsi ultimati gli edifici per i quali si chiede il condono per il cambio d’uso

29 Gen 2013
29 Gennaio 2013

La questione viene esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 21 del 2013.

Scrive il TAR: "Stabilisce infatti l’art. 31, comma 2, della legge n. 47/85 - richiamato dall'art. 39 della legge n. 724/94 e poi dalla legge n. 326/2003 - che, ai fini dell'applicazione delle regole sul condono, "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente".
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa in tema di ultimazione delle opere condonabili, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, la norma citata introduce - in alternativa al criterio dell'esecuzione al rustico e completamento della copertura dell'edificio - il parametro del completamento funzionale dell'opera: per i mutamenti di destinazione d'uso di edifici residenziali è condonabile la struttura in cui le opere, pur se non perfette nelle finiture, possano dirsi individuabili nei loro elementi strutturali con le caratteristiche necessarie e sufficienti ad assolvere alla funzione cui sono destinate. Il criterio del "completamento funzionale " anticipa, quindi, la data di ultimazione delle opere ai fini dell'ammissione al condono, per cui un intervento non ancora completato può, tuttavia, essere giudicato sanabile dal punto di vista funzionale (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 6.5.2010 n. 2295).
Ne discende, quindi, che entro il termine stabilito dalla legge, anche se le attività edilizie siano ancora in corso, l'immobile deve essere già fornito degli elementi indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito - in modo tale da risultare incompatibile con l'originaria destinazione (cfr. T.A.R. Abruzzo Pescara, 22.10.2007 n. 837) - pur se non siano stati ancora realizzati gli impianti e le rifiniture di carattere complementare ed accessorio (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 28.5.2008 n. 1631).
Costituisce, infine, principio consolidato della giurisprudenza quello secondo il quale l’onere della prova circa la data di realizzazione dell’immobile abusivo (o anche della attività edilizia abusiva da sanare) spetti a colui che ha commesso l’abuso e solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi, che non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all’Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13.1.2010, n. 45; Consiglio di Stato, V, 9.11.2009, n.6984).
E, infatti, la pubblica amministrazione non può di solito materialmente accertare quale fosse la situazione dell’intero suo territorio a quella data prevista dalla legge, mentre il privato, che propone l’istanza di sanatoria, è normalmente in grado di fornire idonea documentazione che comprovi l’ultimazione dell’abuso entro la data di riferimento, vale a dire nel caso di specie il 31.3.2003, spettando a costui l’onere di fornire quantomeno un principio di prova su tale ultimazione e in caso contrario
restando integro il potere di non concedere il condono e di irrogare la sanzione prescritta.
Orbene, nel caso in esame dette condizioni non sono state rilevate dall’amministrazione, la quale, basandosi sulla documentazione acquisita, anche con riferimento a dati oggettivi che, pur riferendosi ad altri procedimenti attestavano in ogni caso lo stato di fatto dell’immobile, non ha ritenuto che il mutamento d’uso funzionale risultasse completato entro la data del 31.3.2003.
Al riguardo va in primo luogo osservato come proprio l’utilizzo precedentemente operato dell’unità in questione (dormitorio per le maestranze dell’attività artigianale esercitata al piano terra dell’immobile) comportasse uno specifico onere da parte istante per dimostrare che l’utilizzo del bene è stato modificato, risultando destinato ad abitazione.
Come correttamente rilevato dalla difesa resistente, proprio il confine sottile esistente fra le due destinazioni in rapporto allo stato di fatto, imponeva l’onere a carico del richiedente di comprovare in modo più qualificato l’effettivo mutamento operato.
Ed a tale proposito è di tutta evidenza che nessuna rilevanza può essere attribuita alle mere intenzioni del richiedente, che, pur mantenendo lo stato di fatto, avrebbe inteso assegnare al bene utilizzato una diversa destinazione d’uso: come già osservato in fattispecie analoghe, il condono edilizio non legittima un’intenzione, ma sana un effettivo e dimostrato uso del bene diverso da quello autorizzato".

sentenza tar Veneto 21 del 2013

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