Non basta presentare la denunzia di inizio dei lavori per precludere la decadenza del permesso di costruire

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Lo ricorda la sentenza del TAR Veneto n. 49 del 2014.

Scrive il TAR: "Ed infatti il provvedimento di annullamento (rectius revoca) del permesso di costruire si basa su corretti presupposti fattuali e giuridici che ne rendevano doverosa l’adozione. In particolare, il permesso di costruire n. 111 rilasciato il 18.08.2010 e notificato il 24.08.2010, è stato revocato, ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, per decorrenza del termine annuale fissato per l’inizio dei lavori. Tale circostanza del tardivo inizio dei lavori trova riscontro nell’istruttoria condotta dall’amministrazione e riassunta nella motivazione del provvedimento impugnato, dalla quale è risultato che:

a) pur se la comunicazione d’inizio lavori è stata inoltrata il 7.09.2010, l’apposizione del cartello di cantiere è avvenuta solo il 30.11.2011, oltre l’anno dalla notifica del permesso di costruire;

b) in ogni caso, i lavori sono effettivamente iniziati solo il 6.07.2013, giorno di apposizione di un nuovo cartello di cantiere recante il nome di  una nuova ditta esecutrice dei lavori (Gabrielli e non più Edil Salem); circostanza non smentita dalla ricorrente, la quale, in entrambi i ricorsi oggi in decisione, ha anzi dichiarato che al momento della notifica dell’ordinanza di sospensione dei lavori del 15.07.2013, la realizzazione dei cancelli era in corso d’opera;

c) infine, la circostanza del tardivo inizio dei lavori ha trovato ulteriore conferma nella dichiarazione, resa all’amministrazione il 4.09.2013 dal rappresentante della prima ditta incaricata (Edil Salem), “di non aver mai effettuato alcuna opera edilizia neppure di scavo relativa alle opere oggetto del permesso di costruire n. 111 del 18.08.2010”.

A fronte di tali emergenze istruttorie la ricorrente nulla ha allegato nè provato circa l’effettivo inizio dei lavori nel corso dell’anno decorrente dal rilascio del permesso di costruire, essendosi invece limitata ad opporre che la comunicazione d’inizio lavori era stata trasmessa già il 7.09.2010. Tuttavia, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, condiviso anche da questa sezione (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 3 dicembre 2010 n. 6327), al fine di precludere la decadenza del permesso di costruire per inosservanza del termine iniziale dei lavori, non è sufficiente la presentazione della denuncia d’inizio dei lavori, essendo necessario che le opere concretamente poste in essere entro l’anno dal rilascio del titolo siano di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà del titolare della concessione di realizzare quanto da lui progettato, e non meramente simboliche o fittizie o comunque solo preparatorie".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 49 del 2014

Anche gli atti endoprocedimentali sono soggetti all’accesso

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 46 del 2014.

Scrive il TAR: "Il provvedimento di rigetto è viziato da un evidente difetto di motivazione nella parte in cui sostiene che i documenti oggetto della richiesta costituirebbero atti endoprocedimentali e, come tali, sottratti alla tutela di cui all’art. 22 della L. n. 241/90. Sul punto risulta dirimente constatare che l’esigenza di tutelare la trasparenza e l’imparzialità di un’attività amministrativa sorge in un momento antecedente alla conclusione del procedimento e, ciò, al fine di consentire all’interessato di proporre, già in questa fase, osservazioni e deduzioni in merito a quanto accertato. Detta interpretazione è confortata da un costante orientamento giurisprudenziale (si veda Cons. Stato Sez. V, 30-08-2013, n. 4321 e  Cons. Stato Sez. III, 28-11-2011, n. 6276) nella parte in cui ha sancito che “il diritto all'accesso ai documenti amministrativi ove ne ricorrano i presupposti e non sussistano altre cause ostative (quale ad es. una previsione espressa nell'apposito regolamento dell'ente), può essere esercitato anche con riferimento ad atti endoprocedimentali in pendenza del relativo procedimento (Conferma della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli, sez. VI, n. 4251/2011)”. Costituisce, infatti, principio consolidato che la legittimazione all'accesso ai documenti amministrativi (artt. 22 ss. della L. n. 241/1990) deve ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti anche nei suoi confronti e il diritto di accesso, purché non diretto a detto controllo generalizzato, può essere esercitato anche indipendentemente dall'esistenza di una lesione immediata della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere e a partecipare alla formazione di quelli successivi (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma, sez. I ter, n. 7050/2012). E’, altresì, noto che in materia di accesso la nozione di interesse giuridicamente rilevante è più ampia rispetto a quella dell'interesse all'impugnazione, circostanza quest’ultima che consente la legittimazione all'accesso a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti,  indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica (T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter Sent., 14-11-2007, n. 11193). Ne consegue che il ricorso deve essere accolto sussistendo l’obbligo del Ministero delle Politiche Agricole di rilasciare copia, nonché consentire la visione e l’accesso della documentazione richiesta nel termine di trenta giorni dalla notifica, o comunicazione in via amministrativa, della presente sentenza".

sentenza TAR Veneto n. 46 del 2014

S.O.S. tecnico: quesiti sul piano casa

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Pubblichiamo un esempio di quesiti sul piano casa inviati alla Regione Veneto da un tecnico comunale.

"Venuto a conoscenza che si possono inoltrare in Regione quesiti in merito alla L.R. n. 32/2013 -  Piano Casa 3, formulo i seguenti quesiti:

 1) Nel caso di realizzazione del corpo staccato, ai sensi dell’art. 2 del Piano Casa, la tettoia fotovoltaica è possibile attaccarla al corpo staccato o si può realizzarla solamente in aderenza al fabbricato esistente al 11/07/2009? (Delibera Giunta Regionale 2508/2009)

2) Al fine del versamento del contributo di costruzione dovuto per l’ampliamento di un fabbricato residenziale ai sensi dell’art. 2 comma 5, si può ritenere che nel caso in cui tale ampliamento venga abbinato anche alla realizzazione di una tettoia fotovoltaica ai sensi dell’art. 5, la stessa possa essere anche considerata ai sensi dell’art. 7 comma 1 bis (almeno 3 Kwp), e quindi che per una prima casa d’abitazione il contributo di costruzione non è dovuto?

3) Ai sensi dell’art. 7 della Legge :

  1. “ferma restando l’applicazione dell’articolo 17 del D.P.R. n. 380/2001, per gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 3 ter e 3 quater, il contributo di   costruzione è ridotto …..”

1 bis. “in deroga al comma 1, per gli interventi di cui agli articoli 2,3,3 ter e 3 quater che utilizzano fonti di energia rinnovabile….”

Anche nei successivi commi il rinvio a quanto previsto dall’art. 3 bis non c’è, per tanto risulta che gli interventi previsti dall’art. 3 bis il contributo di costruzione risulta da pagare intero. E’ corretta tale analisi? (manca il riferimento dell’art. 3 bis anche nell’art. 9 comma 7 in merito alla tempistica di presentazione delle istanze).

4) Ai sensi dell’art. 2 comma 1 ultimo periodo “Resta fermo che sia l’edificio che l’ampliamento devono insistere in zona territoriale omogenea propria.”. Si chiede se nel caso di corpo staccato ad uso residenziale sia ammissibile il cambio di zona di P.r.g. o di P.I. rispetto al fabbricato che genera cubatura (da zona agricola a zona edificabile e viceversa).

5) Ai sensi dell’art. 3bis in zona agricola oltre che l’ampliamento di edifici a destinazione residenziale, è consentito ampliare edifici funzionalmente destinati alla conduzione del fondo; si chiede come va dimostrata la funzionalità dell’ampliamento per la conduzione del fondo. Basta la relazione agronomica o ci vuole un Piano Aziendale vistato dall’Ispettorato dell’Agricoltura? Può ampliare un fabbricato agricolo l’Imprenditore Agricolo non a titolo professionale o chiunque sia proprietario di un fabbricato agricolo ma esegua una professione diversa dall’agricoltore?

6) Visto quanto enunciato nell’art. 9 comma 8 bis, si chiede di precisare meglio come va calcolata la deroga dell’altezza del 40% dell’edificio esistente, in rapporto anche all’altezza massima ammissibile degli edifici stabilite nelle Norme Tecniche di Attuazione di P.r.g.  da altrii atti pianificatori Comunali.

7) in merito a quanto previsto dall'art. 9 c. 8 " Sono fatte salve le distanze previste dalla normativa statale vigente".

 Si chiede si si possa costruire sul confine sulla base del principio della prevenzione temporale infatti:

 la legge si ispira al principio della prevenzione temporale (*), desumibile dal combinato disposto degli artt. 873, 874, 875 e 877, secondo il quale il proprietario che costruisce per primo determina, in concreto, le distanze da osservare per le altre costruzioni da erigersi sui fondi vicini. Chi edifica per primo su di un fondo contiguo ad un altro ha una triplice facoltà alternativa:

a) costruire sul confine: di conseguenza il vicino potrà costruire in aderenza o in appoggio (pagando in tale ipotesi, ai sensi dell'art. 874, la metà del valore del muro);

b) costruire con distacco dal confine: e cioè alla distanza di un metro e mezzo dallo stesso o a quella maggiore stabilita dai regolamenti locali; in tal caso il vicino sarà costretto a costruire alla distanza stabilita dal codice civile o dagli strumenti urbanistici locali;

c)costruire con distacco dal confine ad una distanza inferiore alla metà di quella totale prescritta per le costruzioni su fondi finitimi salvo il diritto del vicino, che costruisca successivamente, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando il valore del suolo. In tal caso, il vicino può costruire in appoggio, chiedendo la comunione del muro che non si trova a confine (ed in tale ipotesi deve pagare, ai sensi dell'art. 875, la metà del valore del muro) oppure in aderenza.

(*) E' stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 873, 875 e 877 in riferimento agli artt. 3 e 42 Costituzione, basata sulla presunta lesione del principio di uguaglianza determinata dal principio di prevenzione. Secondo la Corte Costituzionale, il diritto di prevenzione per essere assicurato a ciascuno dei proprietari confinanti non viola il diritto di uguaglianza e, inoltre, l'esercizio della prevenzione, una volta che sia stati concretamente compiuto, dà luogo ad una situazione differenziata rispetto alla precedente tale da giustificare la diversità di disciplina per situazioni diverse (Corte Costituz. 22.3., n. 1905).

Ringraziando per la cortese attenzione, porgo distinti saluti.

        Geom. Seragiotto Tobia – Ufficio Tecnico del Comune di Brendola (Vi)"

I pannelli fotovoltaici sono belli o brutti?

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Continua il contrasto tra la Soprintendenza e il TAR Veneto circa l'installazione dei pannelli fotovoltaici nelle zone vincolate. La sentenza del TAR Veneto n. 48 del 2014 accoglie un ricorso in questa materia.

Si legge nella sentenza: "Il ricorso può essere accolto, risultando fondato il primo motivo del ricorso, mediante il quale si sostiene il carattere apodittico e generico della motivazione contenuta nel parere della Soprintendenza. Come è noto, nello specifico caso, l'autorizzazione paesaggistica persegue lo scopo di dare adeguata composizione al conflitto tra due interessi di rango costituzionale: quello alla salubrità ambientale - garantito dallo sviluppo di impianti che producono energia da fonti rinnovabili non inquinanti - e quello alla conservazione del paesaggio -  potenzialmente leso dalla realizzazione di tali impianti, ove essi abbiano rilevante impatto visivo - e si sostanzia in un'inevitabile scelta di merito amministrativo, sulla quale il controllo ministeriale non può mai sfociare in un sindacato di merito, dovendosi arrestare ai soli profili di legittimità (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1013). Analoghe pronunce di merito hanno evidenziato che il progressivo diffondersi degli impianti fotovoltaici, ha finito inevitabilmente per condizionare il giudizio estetico comune, di modo che i detti pannelli, pur innovando la tipologia e la morfologia della copertura, vengono percepiti non soltanto come fattore di disturbo visivo, ma anche come evoluzione dello stile costruttivo accettata dall'ordinamento e dalla sensibilità collettiva e quindi alla stregua di elementi normali del paesaggio (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 28-01-2013, n. 235). Si è altresì affermato che per negare l'installazione di un impianto fotovoltaico sulla sommità di un edificio, bisogna dare la prova dell'assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio, cosa che non coincide con la semplice visibilità dei pannelli da punti di osservazione pubblici (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 4 ottobre 2010, n. 3726 e 15 aprile 2009 n. 859). Anche questo Tribunale, come correttamente ha ricordato parte ricorrente, ha già in precedenza rilevato la necessità che il potere di discrezionalità tecnica posto in essere dalla Soprintendenza nella valutazione di compatibilità paesaggistica degli impianti fotovoltaici, sia strettamente riferito all’intervento di cui si tratta, risultando indispensabile poter evincere gli elementi del paesaggio e dell’ambiente  che potrebbe risultare deturpato, o quanto meno pregiudicato dalle prescrizioni imposte dalla Soprintendenza. In mancanza di detti presupposti, e quindi in assenza di elementi che consentano di ricostruire l’iter logico e le ragioni dell’incompatibilità, è del tutto evidente che la valutazione, pur di merito, si traduce in un giudizio apodittico che potrebbe risultare estensibile ed applicabile sempre e comunque a prescindere dal contesto paesaggistico in cui l’impianto si colloca. Applicando dunque questi principi alla vicenda in esame, emerge l’eccesso di potere in cui è incorsa  l’Amministrazione, non risultando possibile individuare il valore architettonico o paesaggistico dell’edificio, o ancora i valori e le esigenze da tutelare nell’ambiente circostante. Non è dato comprendere quale degrado paesaggistico creerebbe il posizionamento dei pannelli su due falde anziché su una, né i vantaggi riconducibili ad una loro disposizione asimmetrica piuttosto che simmetrica. Ne consegue che sia possibile annullare i provvedimenti impugnati nella parte in cui subordinano l’autorizzazione all’installazione dei pannelli fotovoltaici a determinate condizioni e prescrizioni".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 48 del 2014

Il vincolo cimiteriale è davvero rispettato?

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

La normativa in materia di vincolo cimiteriale è rappresentata sia dal R.D. n. 1934/1265 sia dal D.P.R. n. 285/1990. Nello specifico l’art. 338 R.D. n. 1934/1265 attualmente prevede che: “1. I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell'impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge.

2. Le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano ai cimiteri militari di guerra quando siano trascorsi 10 anni dal seppellimento dell'ultima salma.

3. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa fino a lire 200.000 e deve inoltre, a sue spese, demolire l'edificio o la parte di nuova costruzione, salvi i provvedimenti di ufficio in caso di inadempienza.

4. Il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni:

a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;

b) l'impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari.

5. Per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre .

6. Al fine dell'acquisizione del parere della competente azienda sanitaria locale, previsto dal presente articolo, decorsi inutilmente due mesi dalla richiesta, il parere si ritiene espresso favorevolmente .

7. All'interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all'utilizzo dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d'uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell' articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457”.

L’art. 57, D.P.R. n. 285/1990 invece stabilisce che: “1. I cimiteri devono essere isolati dall'abitato mediante la zona di rispetto prevista dall'art. 338 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934  n. 1265, e successive modificazioni.

  2. Per i cimiteri di guerra valgono le norme stabilite dalla legge 4 dicembre 1956, n. 1428, e successive modifiche.

3.   (COMMA ABROGATO DALLA L. 1 AGOSTO 2002, N. 166)

4.   (COMMA ABROGATO DALLA L. 1 AGOSTO 2002, N. 166)

  5. Il terreno dell'area cimiteriale deve essere sciolto sino alla profondita' di metri 2,50 o capace di essere reso tale con facili opere di scasso, deve essere asciutto e dotato di un adatto grado di porosita' e di capacita' per l'acqua, per favorire il  processo di mineralizzazione dei cadaveri.

  6. Tali condizioni possono essere  artificialmente realizzate con riporto di terreni estranei.

  7. La falda deve trovarsi a conveniente  distanza dal piano di campagna e avere altezza tale da essere in piena o comunque col piu' alto livello della zona di assorbimento capillare, almeno a distanza di metri 0,50 dal fondo della fossa per inumazione.

 Dalla normativa citata appare che, di regola, le nuove costruzioni devono stare almeno 200 m dal “perimetro dell’impianto cimiteriale” (T.A.R. Abruzzo, sez. I, 14.10.2008, n. 1141) e che, in alcune tassative ipotesi, il Comune può derogare tale limite legale.

La giurisprudenza, inoltre, è costante nel ritenere che il vincolo cimiteriale, dato che deriva direttamente dalla legge statale, prevalga anche sugli strumenti urbanistici comunali che sono in contrasto con esso: “La fascia di rispetto cimiteriale prevista dall'art. 338 t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265, misurata a partire dal muro di cinta del cimitero, costituisce un vincolo assoluto d'inedificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di piano regolatore generale, che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo (Consiglio di Stato, sez. IV, 22.11.2013, n. 5571); “il vincolo cimiteriale di inedificabilità viene ad imporsi ex se, con efficacia diretta ed immediata, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla esistenza o sui limiti di tal vincolo(Cons. di Stato, sez. V, n. 519/1996). Ed ancora è stato sottolineato che: “Poiché sia la disposizione di cui all'art. 338, primo comma, del testo unico approvato col R.D. n. 1265/1934, sia quella di cui all'art. 57 del D.P.R. n. 285/1990, dispongono il divieto di costruire o ampliare edifici intorno ai cimiteri, imponendo una fascia di rispetto, si deve ritenere che tali disposizioni determinino il regime giuridico delle aree rientranti nella fascia di rispetto cimiteriale e si applichino indipendentemente da quale sia la loro destinazione prevista dal piano regolatore" (Cons. di Stato, Sez. IV, n. 4415/2007)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.11.2013, n. 5544); “Posto che i vincoli legali di inedificabilità non possono essere derogati dai piani urbanistici, i quali costituiscono fonte normativa di grado inferiore, una tavola del piano regolatore o una norma dello stesso non possono derogare al divieto di edificabilità previsto dalla normativa sulle fasce di rispetto cimiteriale” (Cass., civ., sez. I, 12.10.1991, n. 11133).

Alla luce di ciò la parte maggioritaria della giurisprudenza ritiene che detto vincolo comporti una inedificabilità assoluta (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 16.03.2009, n. 289; Id., 05.06.2008, n. 1559).

Chiarito ciò, qual è l’ente competente a vigilare sulla corretta applicazione di tale vincolo?

Alla luce dell’art. 54 del D.P.R. n. 265/1990 (secondo cui:1. Gli uffici comunali o consorziali 
competenti devono essere dotati di una planimetria in scala 1:500 dei cimiteri esistenti nel territorio del comune, 
estesa anche alle zone circostanti comprendendo le relative zone di rispetto cimiteriale. 

  2. La planimetria deve essere aggiornata ogni cinque anni o quando siano creati nuovi cimiteri o siano soppressi quelli vecchi o quando a quelli esistenti siano state apportate modifiche ed ampliamenti”), sembrerebbe che spetti proprio all’ente comunale, ovvero all’ente competente a “recepire” questo vincolo, vigilare altresì sulla sua osservanza e sulla sua corretta applicazione.

 Di conseguenza, i piani urbanistici comunali in contrasto con questo limite legale, dovrebbero essere ex se illegittimi e dovrebbero essere disapplicati dallo stesso ente in attesa di una loro modifica.

 Data la natura cogente ed inderogabile del vincolo cimiteriale, gli atti amministrativi adottati in violazione del vincolo (ad es. i permessi di costruire rilasciati in zone soggette a vincolo cimiteriale) dovrebbero essere affetti da nullità ex art. 21 septies l. n. 241/1990, per difetto di competenza dell’ente, comportando anche la non sanabilità e la non condonabilità delle opere abusive realizzate? La giurisprudenza non ha chiarito questa questione: l'alternativa è che siano solamente illegittimi e non radicalmente nulli.

 La normativa citata, però, si presta anche ad un altro dibattito giurisprudenziale concernente la portata dell’art. 338, c. 5, del R. D. n. 1265/1934 ove si prevede che: “Per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre”.

Parte della giurisprudenza, infatti, ritiene che l’espressione “intervento urbanistico” si riferisca solamente alle opere pubbliche o di pubblica utilità al fine di non snaturare la ratio stessa della legge (Consiglio di Stato, sez. V, 29.03.2006 n. 1593; Id., 03.05.2007, n. 1934).

 Al contrario, altra parte della giurisprudenza ricomprende in questa espressione anche le opere realizzate dai privati.

In particolare i Giudici hanno ritenuto legittima la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale per consentire ai privati di realizzare un complesso edilizio di 22 appartamenti (cfr. T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 22.02.2007, n. 189, ma si veda anche T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. II, 20.03.3009, n. 322; Id., 18.05.2007, n. 973; Id., 26.06.2007, n. 1348).

Lo stesso T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 27.07.2009 n. 2226, afferma che il suddetto vincolo possa essere derogato anche per interventi privati: “Infatti l’area in cui sono state realizzate le opere abusive ricade nel vincolo cimiteriale.

Il vincolo cimiteriale impone l’inedificabilità assoluta e dunque deve essere ordinata la demolizione delle opere realizzate in area soggetta a vincolo cimiteriale, anche se si tratta di opere pertinenziali.

Sotto tale profilo la sanzione demolitoria è espressamente imposta dall’art. 4 della legge n° 47 del 1985 e dall’art. 91 della legge regionale n° 61 del 1985.

3. Infondata è la doglianza di eccesso di potere per incongruità e illogicità manifesta.

Infatti l’eventuale presenza di altri fabbricati all’interno dell’area soggetta a vincolo cimiteriale non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione.

Quanto alla mancata richiesta, da parte dell’Amministrazione Comunale, di riduzione dell’ampiezza della zona soggetta a vincolo cimiteriale, essa non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, perché è stato fatto riferimento al P.R.G. vigente.

Né può essere censurato il P.R.G. per quanto attiene all’ampiezza dell’area soggetta a vincolo cimiteriale, trattandosi di ampiezza determinata dalla legge.

Il privato può presentare, ai sensi dell’art. 338 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, un’istanza al Consiglio Comunale di riduzione della zona di rispetto cimiteriale prima della realizzazione dell’intervento e non invece dopo la realizzazione dello stesso.

Nel caso di specie non solo è mancata l’istanza di riduzione del vincolo, ma è mancata anche l’istanza volta all’ottenimento del titolo edilizio”.

Una possibile spiegazione di tale interpretazione potrebbe essere rinvenuta nel fatto che, la versione vigente dell’articolo, non prevede più l’espressione “interventi di pubblica utilità” introdotta nel disegno di legge n. 2032/2002 presentato - nel corso della XIV legislatura - per modificare il citato articolo. 

A mio parere, la questione non si può ancora considerare risolta nè in un senso nè nell'altro: qualunque sia la soluzione, peraltro, a me sembra che la riduzione del vincolo prevista in via generale dallo strumento urbanistico valga solo per l'ampliamento del cimitero e per le opere pubbliche e non per i privati. Qualora si ritenga che il vincolo possa essere ridotto anche per gli interventi urbanistici dei privati, probabilmente sarebbe necessaria di volta in volta una apposita deliberazione del consiglio comunale (fatto salvo che un giudice amministrativo o una Procura potrebbero ritenere il tutto illegittimo, magari un giorno si e uno no, come ormai ci hanno abituato).

Ma è poi così difficile scrivere una buona volta una disposizione di legge che sia comprensibile e non suscettibile di essere interpretata in qualsiasi senso?  

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 2226 del 2009

CdS n. 5544 del 2013

CdS n. 5571 del 2013

Permesso di costruire in deroga e altezze ex art. 8 del D.M. 1444/68

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

Sul rapporto tra l’art. 8 del D.M. 1444/68 e il permesso di costruire in deroga, segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 41 del 2014, che sottolinea come la valutazione dell'altezza dell'edificio sia soggetta a una valutazione di tipo discrezionale da parte del Comune (nel caso specifico il vicino aveva impugnato un permesso in deroga riguardante un albergo).  

Scrive il TAR: "Premesso che l’art. 8 del D.M. 1444/68, richiamato dalla normativa statale e regionale per il rilascio del permesso di costruire in deroga, quale prescrizione non derogabile, prevede per le costruzioni da realizzarsi in zone C, che siano contigue o in diretto rapporto visuale  con zone A, che le altezze massime dei nuovi edifici non possono superare altezze “compatibili” con quelle degli edifici delle zone A; che quindi la disposizione rimanda all’amministrazione la valutazione di compatibilità delle altezze delle nuove costruzioni rispetto a quelle esistenti in zona A, giudizio che è pacificamente caratterizzato da connotati di discrezionalità tecnica, quindi sindacabile solo nelle ipotesi in cui emergano elementi sintomatici dell’eccesso di potere sotto il profilo della illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e della sproporzionalità del rapporto tra esistente e realizzando in deroga; atteso che, sulla base dell’esame della planimetrie depositate in giudizio dalla stessa ricorrente, il confronto fra l’altezza della villa e relativa torretta di proprietà della ricorrente (rispettivamente pari a mt. 10,40 e mt. 12,90) e le altezze di progetto relative all’ampliamento dell’albergo Stadio (mt.13,80 e mt.16,90 per l’ulteriore piano per ascensore) - dati che peraltro non sembrano collidere con quelli rilevati dall’amministrazione in occasione del sopralluogo eseguito nell’ottobre del presente anno - non appaiono in ogni caso sproporzionate o comunque di dislivello tale da poter essere ritenute non compatibili, nei termini indicati dall’art.8 del d.m. 1444/68; che quindi, anche a prescindere dalla pur fondata eccezione preliminare di tardività (atteso che l’accesso risulta effettuato in data 3 luglio, con espressa dichiarazione sottoscritta dall’interessata di aver ottenuto copia di quanto richiesto, ossia del progetto riferito al permesso di costruire, così come indicato nella richiesta di accesso del 1.2.2013, ma il ricorso risulta notificato il 61° giorno), le doglianze di parte ricorrente non  appaiono fondate, non rilevandosi i ricordati profili sintomatici di una valutazione tecnico discrezionale operata dall’amministrazione in violazione dei limiti fissati dalla legge".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 41 del 2014

Quando è legittimo differire l’accesso agli atti e conseguenze in materia di spese processuali

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

In materia di differimento dell'accesso agli atti, segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 42 del 2014.

Scrive il TAR: "Il Collegio, preso atto della documentazione depositata dall’amministrazione intimata al momento della costituzione in giudizio e rilevato che - soprattutto per quanto riguarda la richiesta di parte ricorrente di acquisire gli atti specificatamente inerenti le segnalazioni inoltrate al Comune da cittadini - detti atti sono stati resi disponibili, ritiene che il ricorso possa considerarsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Tuttavia, quanto alle spese di lite e nella prospettiva della soccombenza virtuale, va osservato che il comportamento dell’amministrazione a fronte dell’istanza di accesso presentata dalla ricorrente, non risulta immune dai vizi denunciati, nonostante sia stato fatto uso del potere di differimento previsto dalla legge 241/90 e dal D.P.R. 184/2006. Invero, premesso che l’atto di differimento ha indicato in modo del tutto generico le esigenze di differimento, senza indicare, se non in termini altrettanto generici, il termine e la durata di detto differimento (“presumibilmente entro il corrente mese”) e che l’istanza risulta essere stata sostanzialmente soddisfatta solo a seguito della proposizione del presente ricorso, notificato nel successivo mese di ottobre; ricordato che a tale riguardo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, è nel senso che l’atto con cui si dispone il differimento dell’accesso deve indicare specificatamente l’analitica sussistenza delle circostanze a ciò legittimanti, in tale norma previste, e deve, altresì, indicare il termine e la durata di tale differimento (cfr., T.A.R. Lazio, II, 7.4.2010, n. 5760; T.A.R. Lombardia, Brescia, 9.1.202, n. 3); ritenuto altresì che nessun obbligo sussisteva a carico della ricorrente di provvedere alla riformulazione dell’istanza di accesso, essendo pacificamente pendente la prima richiesta per effetto del differimento opposto dall’amministrazione; per detti motivi, in applicazione del principio della soccombenza virtuale, ribadita l’improcedibilità del ricorso, va disposta la condanna dell’amministrazione intimata alla rifusione a favore della icorrente delle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 42 del 2014

Aggiornamento tributario

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

Per gentile concessione dello studio Società & Professionisti srl di Malo (VI) pubblichiamo la circolare mensile per l'impresa n. 2/2014, contenente l'aggiornamento in materia tributaria.

Circolare n. 2 del 05-02-2014

Piano casa ter: osservazioni e domande

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014
 
da ieri è attivo questo indirizzo di posta dove potranno essere inviate le osservazioni e le domande sulla legge regionale 8 luglio 2009, n.14, come modificata dalla LR 32/2013, in vista della circolare esplicativa che la Giunta regionale, sentita la Seconda commissione consiliare, dovrà emanare ai sensi dell'art.14, comma 1, LR 32/2013.

Il TAR Veneto dichiara che le deroghe alla distanze dai confini previste dal Piano Casa sono conformi alla Costituzione

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 06 febbraio 2014 n. 151, chiarisce che le norme previste dal c.d. Piano Casa che derogano alla distanza dal confine per la prima casa di abitazione (cfr. art. 8, comma 4 e 5 della Legge Regionale Veneto n. 13/2011 ed art. 2, comma 1, art. 6, comma 1 ed art. 9 comma 5 della Legge Regionale Veneto n. 14/2009) sono conformi alla Costituzione .

Nello specifico si legge che: “Il collegio ritiene che il ricorso sia fondato, non sussistendo ragione di discostarsi dal precedente orientamento che ha portato all’adozione di numerose sentenze che già si sono pronunciate in relazione alla insussistenza di un potere comunale di apportare limiti alle previsioni derivanti dalla legge regionale del cosiddetto secondo piano casa che consentono di derogare a tutte le norme in tema di distanze (diverse da quelle di fonte statale ), poste da fonti locali in materia urbanistico edilizia per quanto concerne gli interventi sulla prima casa di abitazione. In particolare già con la sopra citata sentenza della seconda sezione n.1213 del 2013 è stato espressamente affermato che ciò vale anche per le previsioni che subordinano la facoltà di costruire sul confine al previo consenso del vicino. In senso conforme anche la sentenza numero 835/2013 e numerose altre. Va in proposito rimarcato che, invece, la sentenza numero 1105 del 2012, citata dal resistente comune, non si riferisce ad interventi edilizi concernenti la casa di prima abitazione.

Dato che è incontestato che, nel caso di specie, non viene in questione il rispetto delle distanze tra fabbricati di cui all’articolo 873 del codice civile e al D.M. n. 1444 del 1968 è del tutto evidente la manifesta infondatezza della sollevata eccezione di incostituzionalità della normativa straordinaria e derogatoria di cui al piano casa, che risulta anche irrilevante in causa in punto di fatto, dal momento che è escluso in radice che possa venire in questione la violazione dei principi civilistici”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 151 del 2014

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