Accordi urbanistici: tabelle, responsabilità, partecipazione dei terzi
Caro Dario,
Ti mando il testo della relazione sugli accordi nella legge 241 che ho tenuto al recente convegno di Cortina d’Ampezzo organizzato dall’Associazione veneta avvocati amministrativisti.
Dopo aver premesso generali considerazioni sugli accordi ex art. 11 legge 241, ho finito per occuparmi degli accordi urbanistici e di alcuni temi di fondo che mi sembrano non risolti; temi sui quali più volte ci siamo confrontati, partendo dall’esame concreto della realtà veneta.
In particolare, continua a sembrarmi non risolto il tema della misura dell’utilità che l’amministrazione pubblica deve ricavare da un accordo urbanistico.
È noto che molti Comuni, e nel Veneto moltissimi, si sono dotati, sia all'interno dei loro strumenti di pianificazione urbanistica sia all'esterno di essi, di parametri economici precisi con i quali misurare la proposta di accordo urbanistico del privato; di "tariffe", come mi è recentemente capitato di sentire in un incontro pubblico (pure se espresse non necessariamente in denaro, ma in percentuale di volumi o di aree o in finanziamenti di opere pubbliche).
Il riferimento a questo tipo di parametri, specie nell'applicazione rigida che ne è fatta, non è in realtà corretto: si ripercuote evidentemente sulla discrezionalità del potere pubblico nel valutare in concreto quale sia l'interesse pubblico urbanistico da perseguire nelle scelte edificatorie concordate.
Finisce cioè per risultare preminente, rispetto alla valutazione urbanistica dell'intervento, la valutazione dell'amministrazione in merito al rispetto di quei parametri economici.
Insomma, dal punto di vista dell'amministrazione, la considerazione di quanto essa deve in ogni caso conseguire in termini di utilità economica per poter accogliere la proposta del privato non può prevalere sulla considerazione di quello che si consente di realizzare (come intervento urbanistico che rimarrà ad incidere sul territorio comunale nei decenni…).
Sul punto, non sono mancate le riflessioni critiche della giurisprudenza. Cfr. ad es. Cons. Stato 616/2014, su Oderzo (non possono essere conclusi accordi che servono all’amministrazione per conseguire opere che non hanno alcun collegamento con l’intervento assentito); Cons. Stato, 2985/2008, su Ponterotto (non è sulla base di un rapporto meramente quantitativo che può valutarsi la rispondenza all’interesse pubblico di un accordo urbanistico).
Si comprende bene, naturalmente, quali sono le ragioni che inducono le amministrazioni a fissare le "tariffe".
Si tratta di evitare disuguaglianze, e rischi per gli amministratori in situazioni che spesso sono difficili da valutare: se vi sono trattamenti diseguali, è evidente il pericolo che si pensi alla volontà di favorire o sfavorire taluno.
Se tutto ciò è ben comprensibile, ugualmente gli esiti di un tal modo di procedere non sono accettabili. Gli interventi urbanistici rilevanti non si misurano con le tariffe ne' con le tabelle.
Tariffe e tabelle non devono essere un armamentario usato dagli amministratori per limitare la propria responsabilità nel compimento di scelte discrezionali di pianificazione consensuale.
Il concetto centrale è quello dell'assunzione di responsabilità (evidentemente, da parte degli amministratori, più che da parte degli uffici).
Alla base di tutto, deve esservi un’assunzione consapevole di responsabilità nel compimento di scelte urbanistiche che sono sì ampiamente discrezionali, ma che devono essere fatte con grande trasparenza e dando ad esse una adeguata pubblicità preventiva.
Il tema dell'interesse pubblico dell'accordo si lega dunque al tema della responsabilità, e quest'ultimo si connette a sua volta al tema della trasparenza e della partecipazione procedimentale nella formazione degli accordi urbanistici.
Al riguardo, ritengo che le amministrazioni dovrebbero garantire sulle proposte di accordi urbanistici le più ampie forme di partecipazione, anche attraverso meccanismi di confronto e di dibattito pubblico.
Fondamentale è infatti attribuire un ruolo ai terzi nel procedimento che conduce all’accordo.
Non è certo sufficiente - né alla tutela dei terzi, né a fornire all'amministrazione adeguati elementi di valutazione - quella modesta e risalente forma di partecipazione costituita dalla possibilità di presentare osservazioni sul piano urbanistico adottato (ex art 9 l.u.). Una partecipazione cioè assai limitata, che interviene quando già l'amministrazione ha definito una propria volontà sulla proposta di accordo.
Per avere autentico significato, la partecipazione deve intervenire sulla proposta di accordo, per consentire la valutazione dei termini di essa, e dunque la rispondenza dei suoi contenuti alle specifiche esigenze del territorio sul quale l'intervento dovrà essere compiuto, anche consentendo la prospettazione di proposte alternative.
Stefano Bigolaro - avvocato
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