Tag Archive for: Amministrativo

Appalti pubblici ed aspetti problematici

29 Ago 2014
29 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 19 agosto 2014 n. 1173 affronta numerose questioni in materia di appalti pubblici.

Per quanto riguarda la sottoscrizione della polizza fideiussoria: “va sicuramente estromesso dalla gara un concorrente che abbia presentato una polizza fideiussoria che rechi una firma illegibile qualora dal documento non possa risalirsi in alcun modo alla qualifica del sottoscrittore: tale principio, tuttavia, conosce un'eccezione nelle ipotesi in cui il riferimento all’atto consenta di fugare ogni dubbio in ordine all'individuazione del sottoscrittore, ovverosia quando il nominativo dell’emittente possa essere desunto dallo stresso documento. Orbene, nel caso di specie non vi è alcuna incertezza sull’identità del sottoscrittore, atteso che, trattandosi di una polizza emessa da un Agenzia assicurativa, questa si presume rilasciata, in difetto di diverse indicazioni ivi evidenziate, dalla persona fisica titolare dell’Agenzia stessa, spettando a chi ne contesta la validità provare il contrario con specifici e documentati elementi da cui possa desumersi l'incertezza sulla persona del conferente”.

Con riferimento al giudizio sulla congruità tecnico-economica delle offerte asserisce che: “relativamente all’ulteriore censura, va osservato che il giudizio sulla qualità dell’offerta esposto dalla commissione, costituendo espressione paradigmatica di valutazioni tecniche, è suscettibile di sindacato giurisdizionale solo in caso di deviazione dai canoni di ragionevolezza o di logicità oltre che di vizi procedurali e deficienze motivazionali (CdS, IV, 29.4.2014 n. 2220). In ogni caso, il giudice non può verificare autonomamente la congruità dell'offerta presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio, non erroneo né illogico, formulato dall'organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, invaderebbe la sfera propria dell'Amministrazione (cfr. CdS, V 17.1.2014 n. 162). Il giudizio sulle offerte tecniche si fonda su nozioni scientifico-economiche e su dati di esperienza di carattere tecnico discrezionale che in quanto tali – come si è detto - sono sottratti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvi i casi in cui si ravvisi irragionevolezza manifesta o palese travisamento dei fatti: profili di abnormità che non ricorrono nella fattispecie, in quanto le contestazioni del ricorrente, nella misura in cui investono le valutazioni della commissione, impingono pur sempre nel merito intrinseco della valutazione stessa. Né sussistono i presupposti per l'espletamento di una consulenza tecnica, tenuto conto dei limiti che, per costante giurisprudenza, l'utilizzo di questo mezzo istruttorio incontra nel processo amministrativo al cospetto di valutazioni, quali quelle relative alla qualità dell’offerta, che la legge riserva in via esclusiva all’Amministrazione: deve ribadirsi, a tal proposito, che nel processo amministrativo di legittimità la possibilità per il giudice di controllare la tenuta delle valutazioni tecniche formulate in sede amministrativa non comporta che egli possa sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'Amministrazione nemmeno avvalendosi della consulenza tecnica, dovendosi in sede giurisdizionale solo appurare, in base alle deduzioni di parte, se il criterio tecnico concretamente valorizzato in sede procedimentale risulti o meno attendibile”.

A proposito delle anomalie delle offerte: “quanto all'obbligo della motivazione relativamente al giudizio di insussistenza dell'anomalia dell'offerta, se è vero che il provvedimento con il quale l'amministrazione reputa seria l'offerta deve essere motivato come ogni atto dell'amministrazione, è altresì vero, tuttavia, che è sufficiente al riguardo una motivazione sintetica o addirittura – come nel caso di specie - per relationem, potendo quest'ultima avere ad oggetto, oltre che atti posti in essere dalla stessa amministrazione, anche atti dei privati, qualora si tratti, come nell’ipotesi delle giustificazioni offerte dai soggetti concorrenti, di documentazione scritta e depositata, che, nel momento in cui viene acquisita al procedimento, assume un valore giuridico che rende possibile la relatio”.

Infine, sulle competenze dei componenti della commissione di gara afferma che: “i componenti della commissione giudicatrice diversi dal presidente devono essere necessariamente muniti della qualificazione professionale nel particolare settore cui si riferisce l'oggetto dell'appalto (talchè in caso di accertata carenza nell’organico della stazione appaltante di adeguate professionalità, si deve far ricorso a funzionari statali o di altre amministrazioni pubbliche ovvero a professionisti appartenenti alle categorie da essa stessa indicate, e cioè ingegneri o professori universitari con determinati requisiti: cfr. l’art. 84 cit., VIII comma), il presidente, invece, dev’essere, “di regola” – è appena il caso di osservare che tale inciso si riferisce esclusivamente alla qualifica che il presidente della commissione deve rivestire all’interno dell’ente -, un dirigente della stazione appaltante e, in mancanza, un funzionario con posizione apicale, anche non appartenente a ruoli tecnici specificamente specializzato nel settore: in altre parole, il presidente della commissione – diversamente dagli altri componenti, che vanno invece individuati per la loro competenza - deve sempre essere un dipendente della stazione, ancorchè privo delle specifiche competenze”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1173 del 2014

D.I.A. e sopravvenuta carenza di interesse

28 Ago 2014
28 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1041 chiarisce che il ricorso deve considerarsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse laddove il privato, dolosamente, presenti una D.I.A. per realizzare delle opere che, in realtà, erano già state edificate: “Ed infatti, risulta dall’accertamento effettuato dai tecnici comunali il 26 giugno 2014 e dal confronto con i rilievi fotografici presentati con la D.I.A., che le opere progettate erano state già realizzate al momento della presentazione della D.I.A. del 29 aprile 2014 o, comunque, lo sono state in costanza del provvedimento comunale di inibizione dei lavori n. 3032/2014.

Tali opere risultano, allo stato, abusive sia sotto il profilo edilizio che paesaggistico-ambientale non essendo mai intervenuto un titolo efficace che ne consentisse l’esecuzione.

Ne consegue, pertanto, come correttamente osservato dalla difesa comunale, che dall’annullamento degli atti impugnati la società ricorrente non otterrebbe comunque alcun vantaggio, venendo attualmente in questione, non più l’esistenza dei presupposti per l’applicabilità ad un intervento in fieri dei bonus volumetrici previsti dalla legge sul piano casa, bensì l’abusività di opere edilizie realizzate in zona vincolata, prima dell’ottenimento e dunque in assenza dei necessari titoli abilitativi. Con la conseguenza che l’interesse del ricorrente, attualmente, non può più essere quello al conseguimento di un titolo edilizio per la futura realizzazione di ampliamenti volumetrici sulla base della legge sul piano casa, ma semmai quello all’ottenimento di titoli (edilizio e paesaggistico) in sanatoria, sulla base di diversi presupposti normativi”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 1041 del 2014

Le controversie in materia di concorsi interni spettano al G.O.

28 Ago 2014
28 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1129 si occupa degli atti di micro-organizzazione interna della P.A. per i quali, a differenza dei concorsi pubblici, sussiste la giurisdizione del Giudice Ordinario: “1.1 La ricorrente ha, infatti, impugnato un provvedimento con il quale, a seguito di una selezione interna, è stata conferita una posizione organizzativa al soggetto controinteressato.

1.2 Tale atto rientra, effettivamente, negli atti di micro organizzazione assunti “dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” la cui giurisdizione è devoluta al Giudice Ordinario ai sensi di quanto previsto dagli artt. 5 e 63 del D. Lgs. n. 165/2001 nella parte in cui devolve a detto Giudice tutte le controversie relative al conferimento di incarichi di posizione organizzativa.

1.3 Si consideri, ancora, che la selezione attivata con Decreto n. 51 del 31 Dicembre 2013 aveva ad oggetto l’individuazione di responsabili di unità operative e, quindi, l’assegnazione di incarichi implicanti una progressione verticale all’interno della stessa Regione.

1.4 Sul punto è possibile applicare un costante orientamento giurisprudenziale che, ha rilevato come il concorso o la selezione interna si sostanzia in un procedimento finalizzato alla gestione della "progressione verticale", cioè di quel peculiare istituto incentivante che permette il transito dei dipendenti dell'ente in possesso di specifici requisiti culturali e professionali ad una qualifica superiore, selezione quest’ultima la cui finalità è da ricondurre al generale sistema di gestione delle risorse umane sulla base del rapporto di lavoro privatizzato, in quell'ottica di valorizzazione dei lavoratori ritenuti meritevoli di ricoprire incarichi di maggior rilievo nell'organizzazione interna dell'ente (T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 05-02-2013, n. 121).

1.5 Si è, infatti, affermato, con pronunce anche recenti (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 31-03-2014, n. 1520) che sussiste, la giurisdizione del Giudice Ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli dipendenti interni che comportino il passaggio da una qualifica all'altra, ma nell'ambito della stessa area (o categoria), sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive sia con il conferimento di qualifiche superiori, in base a procedure che l'amministrazione pone in essere con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro (in tal senso: Cass., SS.UU.., 5 maggio 2011, n. 9844; id., 25 maggio 2010, n. 12764; id., 9 aprile 2010, n. 8424).

1.6 La finalità della procedura selettiva interna non è, dunque, assimilabile a quella del concorso pubblico per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che resta devoluta alla giurisdizione amministrativa per il disposto dell'art. 63, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e che consiste nel reclutamento dall'esterno dei pubblici dipendenti.

1.7 Nel caso di specie la devoluzione alla Giurisdizione del Giudice Ordinario, e non a quello Amministrativo, è disposta in considerazione del fatto che le disposizioni assunte fanno riferimento a misure inerenti alla gestione del rapporto lavorativo con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art. 4 del D.Lgs. n. 29 del 1993 ora art. 5 del D.Lgs. n. 165 del 2001), fra i quali assumono rilevanza il potere gerarchico e le sue manifestazioni di carattere unilaterale (cfr. T.A.R. Brescia, 26.2.2003, n. 300).

2. Il concetto di procedura concorsuale - riservata, ai sensi dell'art. 63, comma 4, d. lgs. n. 165/2001, alla giurisdizione del Giudice Amministrativo – evoca, al contrario, una procedura caratterizzata dalla valutazione dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria.

2.1 Ne sono escluse, non solo le assunzioni che non sono basate su di una logica selettiva, ma soprattutto le procedure (come quella in esame) che si sostanziano in una mera verifica di idoneità di determinati soggetti, già inseriti nell’ambito dell’Amministrazione di riferimento.

2.2 E’ del tutto evidente, infatti, che in dette ipotesi la valutazione di idoneità mira solo alla verifica della capacità in termini assoluti del soggetto e non è caratterizzata dalla comparazione finalizzata alla compilazione di una graduatoria, che rappresenta la nota caratterizzante del concorso per l'accesso all'impiego”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 1129 del 2014

Chi deve valutare l’analogia di un servizio?

27 Ago 2014
27 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 19 agosto 2014 n. 1175 stabilisce che il giudizio sull’analogia di un servizio posto a base di gara spetti unicamente alla stazione appaltante. Il Giudice, invero, può sindacare tale valutazione solo se manifestamente irrazionale o illogica: “che la prima censura, con cui la ricorrente contesta l’ammissione dell’aggiudicataria alla fase di presentazione dell’offerta della procedura selettiva per mancato svolgimento di “servizi analoghi”, risulta infondata sotto un duplice profilo: in primo luogo per aver valutato la previsione del bando di gara richiedente lo svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto dell'appalto come equivalente a una richiesta di preventivo svolgimento degli “stessi servizi” da appaltare; e secondariamente - una volta chiarito, in questa sede, che l'analogia di un servizio rispetto a un altro è concetto intrinsecamente diverso da quello dell'identità tra i due servizi – perché il giudice non può comunque sovrapporre una propria valutazione tecnico-discrezionale a quella esercitata dalla stazione appaltante. Si vuol dire, in altri termini, che proprio perché la valutazione dell'analogia, o meno, tra servizi diversi attiene essenzialmente a profili "di merito", non v'è ragione di far prevalere l'opinione maturata dal giudice su quella dell'Amministrazione, purchè, naturalmente, la valutazione da essa compiuta non sia palesemente illogica, irrazionale o contraddittoria, come in effetti nel caso di specie non sembra essere. Deve osservarsi, a tal proposito, che il concetto di servizio analogo va inteso non già come identità, bensì come mera similitudine tra le prestazioni richieste. Invero, in vista dell'ampia partecipazione, l'interesse pubblico sottostante non è quello di creare o rafforzare una riserva di mercato in favore degli imprenditori già operanti nel mercato, quanto quello di ampliare detto mercato mediante l'ammissione di quei concorrenti per i quali è possibile pervenire a un giudizio di affidabilità. Non può dunque dubitarsi che il relativo giudizio debba essere riservato al prudente apprezzamento della commissione di gara, censurabile da parte del giudice amministrativo soltanto nei casi in cui esso sia stato palesemente illogico, irrazionale o contraddittorio: ma, come già osservato, ciò non pare potersi affermare con riferimento al caso di specie (cfr., da ultimo, CdS, V, 25.6.2014 n. 3220)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1175 del 2014

Da cosa si desume la natura precaria di un’opera?

27 Ago 2014
27 Agosto 2014

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, nella sentenza del 05 agosto 2014 n. 4477 conferma che la natura precaria di un’opera edilizia non si desume dai materiali di cui è costituita, ma dall’uso a cui è destinata: “Per quanto specificamente riguarda i possibili criteri d’identificazione della natura precaria di un’opera, l’uno strutturale (precario è ciò che non è stabilmente infisso al suolo), l’altro funzionale (precario è ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea), ancora di recente è stato ribadito che occorre seguire quello funzionale: «la giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie. Rientrano quindi nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia e che possono essere oggetto di domanda di condono in caso di realizzazione delle stesse in sua assenza, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato. Tanto premesso deve ritenersi che la natura “precaria” di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo» (cfr. C.d.S., sez. V, 27.3.2013 n. 1776)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Napoli n. 4477 del 2014

Solo nel raggruppamento verticale la mandataria deve possedere per intero i requisiti

26 Ago 2014
26 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 19 agosto 2014 n. 1172 chiarisce che solo nel raggruppamento verticale la mandataria deve possedere interamente i requisiti previsti nel bando; nel raggruppamento orizzontale, invece, è sufficiente che li possieda in misura maggiore: “che la stazione appaltante ha escluso il raggruppamento concorrente in quanto la mandataria T.H.E.M.A. srl “si qualifica nel RTI verticale per una percentuale corrispondente al 49,53%, non raggiungendo così i requisiti in misura maggioritaria percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti in violazione delle disposizioni di cui all’art. 261, comma 7, né il requisito minimo del 60% previsto per la capogruppo dal disciplinare di gara al punto 5.1.”

che le disposizioni contenute sia nell’art. 261, VII comma del regolamento di attuazione al codice dei contratti, sia nel § 5.1 del disciplinare di gara si riferiscono, in quanto prescrivono specifiche maggioranze percentuali, ai soli raggruppamenti orizzontali (ovvero, se misti, al solo sub-raggruppamento orizzontale): l’art. 37, II comma del DLgs n. 163/2006, infatti, stabilisce che nel caso di raggruppamento di tipo verticale il mandatario deve eseguire “le prestazioni di servizi….indicati come principali anche in termini economici”;

che, in altre parole, nel caso di raggruppamenti verticali la capogruppo deve possedere – e nel caso di specie T.H.E.L.M.A. srl li possiede – i requisiti nella percentuale del 100% di quanto previsto nel bando e con riferimento alla classe e categoria di maggiore importo, da considerarsi principale: mentre la prescrizione che impone il possesso, in capo alla mandataria, dei requisiti in misura maggioritaria si applica soltanto al raggruppamento (o al sub-raggruppamento) orizzontale (cfr. le determinazioni AVCP n.i 5/2010 e 4/2012 e, da ultimo, CdS, VI, 22.7.2014 n. 3900)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1172 del 2014

Quando vi è l’esenzione dal contributo di costruzione per un’opera pubblica?

26 Ago 2014
26 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 10 luglio 2014 n. 998 si sofferma sulla portata dell’art. 17, c. 3, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, chiarendo come deve essere interpretata questa disposizione che esonera dal pagamento del contributo di costruzione la realizzazione di un’opera pubblica o di interesse pubblico.

Nello specifico si legge che: “Viene in discussione la tematica dell’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione ai sensi dell’art. 17, III comma, lett. c) D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale, il contributo di costruzione non è dovuto “per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.

L’esenzione è dunque prevista in due distinte ipotesi: per le opere pubbliche o d’ interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti, e per le opere di urbanizzazione eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici.

In tale ultima ipotesi il privato realizza un'opera qualificabile d’interesse pubblico sulla base delle previsioni dello strumento urbanistico generale o dei piani attuativi. In tal caso, l'utilità per l'amministrazione deriva direttamente dalla realizzazione dell'opera e pertanto l'esenzione è automatica”.

Assodato ciò, il Collegio ritiene che la realizzazione di un nuovo complesso universitario nel Comune di Padova rientri nella suddetta esenzione per una molteplicità di ragioni: “ritiene il Collegio che la ricorrente abbia diritto all’esenzione dalla corresponsione del costo di costruzione, ai sensi dell’ultimo periodo della lettera c) del comma 3, dell’art. 17, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, avendo essa realizzato un’opera di urbanizzazione secondaria in esecuzione di un piano attuativo.

Innanzitutto, sulla base della comune esperienza, non sembra possa dubitarsi del fatto che una struttura universitaria pubblica sia riconducibile ad un “complesso per l’istruzione superiore all’obbligo” di cui al sopra riportato elenco, integrando, dunque, un’opera di urbanizzazione secondaria.

Va peraltro osservato come l’elenco di cui all’art. 16 D.P.R. 380/2001 non sia tassativo e come non vi sia dubbio che l’Università di Padova sia una struttura aperta alla fruizione collettiva e svolga un ruolo di fondamentale importanza per la città dal punto di vista funzionale, sociale, aggregativo, identificativo e del prestigio della città, essendo peraltro diretta a soddisfare un bacino di utenza indifferenziato e decisamente più ampio di quello locale.

Va poi osservato che la struttura in questione, costituita da aule didattiche e laboratori, ha avuto, sin dal rilascio del permesso di costruire del 15 settembre 2009, tale originaria, univoca e non mutabile destinazione, non essendo questa utilizzabile in altro modo se non come struttura destinata a complesso universitario.

Infine, tale “fabbricato ad uso universitario” dopo essere stato oggetto del preliminare di compravendita del 3 giugno 2009, ed essere stato seguito nella progettazione e nella esecuzione da tecnici dell’Università, è stato definitivamente acquisito in proprietà pubblica con l’atto del 5 luglio 2013, intervenuto tra la Aedilmap e l’ Università degli studi di Padova.

Quanto invece all’ulteriore requisito dell’attuazione di un piano attuativo, la realizzazione del “Nuovo complesso universitario – Università di Biomedicina e Biologia di Padova” è stata espressamente prevista dalla variante al piano attuativo approvata dal Consiglio Comunale il 22 aprile 2009, e ciò in conformità al P.R.G. che qualifica tale zona come direzionale, ove ai sensi dell’art. 19, lett c) delle n.t.a. sono ammessi “servizi pubblici e d’interesse pubblico”.

Pertanto, la realizzazione del complesso universitario - opera di urbanizzazione - è avvenuta “in attuazione di strumenti urbanistici”.

Per altro verso, le argomentazioni svolte nelle difese dell'Ente circa gli eventuali guadagni che la società ricorrente possa aver ricavato dall'operazione immobiliare risultano irrilevanti, proprio perché per la tipologia di opere in questione la legge ha operato una precisa scelta, del tutto indifferente all'intento speculativo della società costruttrice, volta ad incentivare gli interventi che, pur rispondenti alle scelte della proprietà, consentano di realizzare quanto previsto dallo strumento urbanistico sotto il profilo delle destinazioni a strutture di urbanizzazione secondaria.

Ciò detto, in una vicenda dove gli aspetti pubblicistici dell’operazione erano molto meno evidenti (esenzione per la realizzazione di una struttura sanitaria privata) il Consiglio di Stato, sez. IV, 12 maggio 2011 n. 2870, ha avuto occasione di precisare che il concretarsi dell'ipotesi di esenzione dal contributo concessorio ex art. 17, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, si riscontra in presenza di opere classificabili come di urbanizzazione, purchè esse siano realizzate, anche da privati, "in attuazione di strumenti urbanistici". Rileva, dunque, ed è sufficiente, non ponendo la norma altre condizioni, che l'opera attui, ossia ponga in essere, quanto previsto dallo strumento, realizzando la configurazione di opere di urbanizzazione in esso contemplata.

La sentenza del Consiglio si Stato che riconduce al novero delle urbanizzazioni secondarie le strutture sanitarie private, precisa anche che "del resto l'ipotesi di esonero considerata nella seconda parte dell'art. 17, co 3, lett c) D.P.R. n. 380 del 2001 è testualmente riferita ad opere di urbanizzazione eseguite anche da privati, coerentemente con l'intento di agevolare la realizzazione di opere di urbanizzazione e di evitare un illogico addebito al privato realizzatore di queste di contributi per opere di urbanizzazione che, in parte, egli stesso contribuisce a creare".

Non rileva, dunque, che il piano attuativo sia d’iniziativa privata, né la mancata espressa qualificazione, da parte del piano attuativo, del complesso universitario quale opera di urbanizzazione secondaria, essendo sufficiente che questo costituisca la traduzione in opera di quanto previsto dallo strumento urbanistico in punto di destinazione di una certa area a strutture qualificabili come di urbanizzazione secondaria (negli stessi termini, oltre al citato Cons St., anche: T.A.R. Veneto, Sez. II, Sent., 21-08-2013, n. 1086; T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, Sent., 28-06-2013, n. 1921).

Nel caso di specie, il piano attuativo ha previsto la realizzazione, in una determinata area, di quella specifica opera che, alla luce di quanto sopra detto, costituisce indubitabilmente un’opera di urbanizzazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 998 del 2014

Condono edilizio: dichiarazione dolosamente infedele e onere probatorio

25 Ago 2014
25 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1127 conferma che, in materia di condono edilizio, la dichiarazione dolosamente infedele impedisce la formazione del silenzio-assenso perché: “Le circostanze sopra citate consentono di ritenere come la domanda di sanatoria integrasse la fattispecie della “domanda dolosamente infedele”, di cui all’art. 40 della L. n. 47/1985, disposizione quest’ultima che consente di escludere la formazione del silenzio assenso e, ciò, in applicazione di un costante orientamento giurisprudenziale nella parte in cui ha sancito che “in tema di concessione in sanatoria, la dolosa infedeltà della domanda di condono che, ai sensi degli artt. 35 e 40 della legge n. 47/1985, preclude la formazione del silenzio assenso della P.A. sulla medesima, è configurabile ove siano riscontrate omissioni ed inesattezze rilevanti – nel caso di specie, l’inesattezza attiene al tempo della commissione dell’abuso - preordinate a trarre in inganno il Comune sugli elementi essenziali dell’abuso che, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda Consiglio di Stato Sez. IV, Sent. n. 7491 del 30-11-2009)”.

Per quanto concerne le foto aree prodotte dal Comune, è onere della parte privata dimostrare la loro inconferenza e/o la loro erroneità: “1 Con il primo motivo parte ricorrente rileva la violazione dell’art. 32 comma 25 del D.L. n. 269/2003 in quanto dalla foto area, esibita dal Comune di Padova, non sarebbe possibile evincere con certezza che alla data del 31/03/2003 il manufatto di cui si tratta non risultava esistente.

2. Le argomentazioni della ricorrente non convincono e vanno respinte.

2.1 Pur convenendo che l’esame della documentazione fotografica non risulti risolutivo al fine di accertare l’esistenza o meno dell’abuso in questione, sul punto risulta dirimente rilevare che il Comune, nel corso dell’accesso posto in essere in data 07/04/2004, aveva accertato che la realizzazione del manufatto abusivo, a quella data, era ancora in corso.

2.2 Ne consegue che l’accertamento dello stato dei lavori, così posto in essere, risulta in contrasto con quanto dichiarato dal ricorrente nella dichiarazione sostitutiva presentata in sede di deposito della domanda di sanatoria, nella parte in cui si era affermato come i lavori erano stati ultimati alla data del 31/03/2003.

2.3 Nel corso del procedimento l’Amministrazione, dopo aver constatato l’esistenza di ulteriori dichiarazioni contrastanti con quella della ricorrente, si era determinata nel procedere a disporre successivi approfondimenti e, quindi, ad acquisire le riprese fotogrammetriche realizzate nel periodo maggio – novembre 2003.

2.4 L’esistenza di dette dichiarazioni contrastanti avevano poi determinato lo svolgimento di un procedimento penale conclusosi con un indulto, circostanza quest’ultima confermata dalla stessa ricorrente.

2.5 Va, inoltre, rilevato come non possano essere considerati elementi idonei a contrastare i rilievi del Comune di Padova le dichiarazioni rese nel giudizio da soggetti terzi e ulteriori – sempre in merito alla data di ultimazione dei lavori - e, ciò, considerando come dette dichiarazioni facciano riferimento ad un manufatto diverso rispetto a quello in causa (il numero civico è differente) e, comunque, non costituiscano dichiarazioni idonee a smentire l’accertamento posto in essere dall’Amministrazione nella parte in cui ha rilevato come i lavori fossero ancora in corso alla data del 07/04/2004.

2.5 Ciò premesso risulta evidente che in presenza del quadro di incertezza sopra rilevato costituisse onere del ricorrente dimostrare l’esistenza di un presupposto, quello dell’esistenza dell’opera al 31/03/2003, indispensabile ai fini dell’ottenimento del provvedimento di sanatoria ( in questo senso si veda T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 14-02-2014, n. 133).

2.6 Malgrado ciò il ricorrente non ha fornito, sia nel corso del procedimento quanto a tutto l’esplicarsi del presente giudizio, elementi utili per dimostrare come l’ultimazione dei lavori sia sicuramente avvenuta ad una data antecedente a quella accertata dall’Amministrazione comunale.

2.7 Al contrario ci si è limitati a contestare l’idoneità della documentazione fotografica e, nel contempo, a ritenere infondati gli ulteriori riscontri posti in essere.

3. Ne consegue che in mancanza di elementi certi a sostegno delle tesi della parte istante il Comune di Padova non poteva che ritenere mancante un presupposto indispensabile per integrare la fattispecie di cui all’art. 32 comma 25 del D.Lgs. 269/2003 e, quindi, per accogliere l’istanza di sanatoria presentata.

La censura è, pertanto, infondata e va respinta”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1127 del 2014

Si deve impugnare anche l’esclusione dalla prove orale

25 Ago 2014
25 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1138 dichiara che, in materia di concorsi pubblici, vi è l’onere di impugnare, a pena di decadenza, anche l’esclusione dalla prove orali essendo già questa esclusione  lesiva delle pretese dell’interessato: “Invero, come da costante orientamento, “nel caso di mancato superamento delle prove scritte e conseguente non ammissione alle prove orali si verifica, nei confronti del candidato, un arresto del procedimento concorsuale e la sua definitiva esclusione, la lesione è immediata e lo svolgimento ulteriore del concorso rimane indifferente per il candidato stesso che non si opponga alla determinazione negativa con l'impugnazione in sede giurisdizionale nei termini di decadenza. La soluzione così prescelta consente di evitare, secondo un principio generale di economia delle attività degli Enti Pubblici, che procedure complesse e laboriose siano condotte a termine con l'incertezza derivante dalla eventuale proposizione di impugnazioni tardive e potenzialmente idonee a porre nel nulla le attività svolte.” (C.d.S. , VI, 4623/2007).

Nel caso di specie, ai fini dell’individuazione del termine per la proposizione del ricorso a seguito dell’avvenuta conoscenza del mancato superamento della prova scritta con un punteggio pari a quello minimo richiesto dal bando, non può farsi riferimento all’accesso successivamente effettuato dall’interessato in data 26.5.2014, atteso che di per sé la mancata partecipazione alle prove orali (tenutesi, per espressa disposizione del bando, nelle giornate del 14 e 15 aprile 2014) doveva già rendere edotto il concorrente del mancato superamento della prova scritta e della mancata ammissione alle prove orali;

ne consegue che, quanto meno a partire dalla data del 15 aprile (secondo giorno delle prove orali, come da bando), il ricorrente doveva considerarsi escluso dall’ulteriore partecipazione alla selezione e quindi era suo onere impugnare l’atto che ha comportato, per lui, l’arresto della procedura e non la graduatoria finale di tutta la procedura”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1138 del 2014

La distanza tra pareti finestrate si applica anche se i due edifici costituiscono un’unica costruzione

22 Ago 2014
22 Agosto 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1137 chiarisce che l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 si applica anche se i due corpi edilizi aventi pareti finestrate costituiscono un’unica proprietà: “Assume, invero, preliminare e dirimente rilevanza il profilo, evidenziato nel provvedimento impugnato, interessante la mancata osservanza delle distanze dettate, in termini inderogabili, dalla normativa statale (D.M. 1444/68, artt. 8 e 9) onde assicurare il rispetto delle distanze tra pareti finestrate, nella specie in rapporto all’altezza di edifici frontistanti.

A tale proposito, va sottolineato, come comprovato dall’amministrazione, che trattasi di due edifici che sono stati realizzati, sebbene dall’allora unica proprietà, sulla base di due diversi titoli rilasciati in epoche diverse (per quanto riguarda l’edificio ora di proprietà della ricorrente, il titolo risale al 1968, per quello frontistante al 1969).

In ogni caso, anche a voler prescindere da tale dato di fatto, si osserva che il rispetto delle distanze imposte dal D.M. 1444/68, art. 9, è norma che trova comunque applicazione, senza che assuma alcuna rilevanza l’eventuale unica proprietà dei due edifici (“..è assorbente la contestazione…che l’art. 9 del D.M. 1444/68, laddove impone l’anzidetta distanza di 10 metri tra pareti finestrate, prevale anche sulla disciplina regionale eventualmente difforme e va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunque compresa l’ipotesi di sopraelevazione (cfr. sul punto, Cass. Civ., Sez. II, 27.3.2001, n. 4413)”, così, C.d.S, IV, 2483/2013).

Né, infine, è consentito, neppure in occasione dell’applicazione della normativa sul “Piano Casa”, derogare a tali parametri, essendo questi imposti al fine di assicurare le condizioni di salubrità ed evitare la creazione di dannose intercapedini”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1137 del 2014

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC