Tag Archive for: Amministrativo

Aggiornamento tributario

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

Per gentile concessione dello studio Società & Professionisti srl di Malo (VI) pubblichiamo la circolare mensile per l'impresa n. 2/2014, contenente l'aggiornamento in materia tributaria.

Circolare n. 2 del 05-02-2014

Piano casa ter: osservazioni e domande

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014
 
da ieri è attivo questo indirizzo di posta dove potranno essere inviate le osservazioni e le domande sulla legge regionale 8 luglio 2009, n.14, come modificata dalla LR 32/2013, in vista della circolare esplicativa che la Giunta regionale, sentita la Seconda commissione consiliare, dovrà emanare ai sensi dell'art.14, comma 1, LR 32/2013.

Il TAR Veneto dichiara che le deroghe alla distanze dai confini previste dal Piano Casa sono conformi alla Costituzione

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 06 febbraio 2014 n. 151, chiarisce che le norme previste dal c.d. Piano Casa che derogano alla distanza dal confine per la prima casa di abitazione (cfr. art. 8, comma 4 e 5 della Legge Regionale Veneto n. 13/2011 ed art. 2, comma 1, art. 6, comma 1 ed art. 9 comma 5 della Legge Regionale Veneto n. 14/2009) sono conformi alla Costituzione .

Nello specifico si legge che: “Il collegio ritiene che il ricorso sia fondato, non sussistendo ragione di discostarsi dal precedente orientamento che ha portato all’adozione di numerose sentenze che già si sono pronunciate in relazione alla insussistenza di un potere comunale di apportare limiti alle previsioni derivanti dalla legge regionale del cosiddetto secondo piano casa che consentono di derogare a tutte le norme in tema di distanze (diverse da quelle di fonte statale ), poste da fonti locali in materia urbanistico edilizia per quanto concerne gli interventi sulla prima casa di abitazione. In particolare già con la sopra citata sentenza della seconda sezione n.1213 del 2013 è stato espressamente affermato che ciò vale anche per le previsioni che subordinano la facoltà di costruire sul confine al previo consenso del vicino. In senso conforme anche la sentenza numero 835/2013 e numerose altre. Va in proposito rimarcato che, invece, la sentenza numero 1105 del 2012, citata dal resistente comune, non si riferisce ad interventi edilizi concernenti la casa di prima abitazione.

Dato che è incontestato che, nel caso di specie, non viene in questione il rispetto delle distanze tra fabbricati di cui all’articolo 873 del codice civile e al D.M. n. 1444 del 1968 è del tutto evidente la manifesta infondatezza della sollevata eccezione di incostituzionalità della normativa straordinaria e derogatoria di cui al piano casa, che risulta anche irrilevante in causa in punto di fatto, dal momento che è escluso in radice che possa venire in questione la violazione dei principi civilistici”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 151 del 2014

AVCP: Determinazione n. 1 del 15 gennaio 2014 – Requisiti speciali per la partecipazione alle gare

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014

AVCP: Determinazione n. 1 del 15 gennaio 2014

Linee guida per l'applicazione dell'art. 48 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163

Requisiti speciali per la partecipazione alle gare

La deeterminazione contiene nuove indicazioni operative alle stazioni appaltanti ed agli operatori economici.

In seguito all’evoluzione normativa e giurisprudenziale, relativa al procedimento di verifica dei requisiti speciali per la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (art. 48 del D. LGS. 12 aprile 2006, n. 163), l’Autorità ha riesaminato la materia - già affrontata con la Determinazione n. 5 del 2009 - con una nuova Determinazione al fine di fornire nuove indicazioni operative alle stazioni appaltanti ed agli operatori economici.

Documento formato .pdf 150 kb

Sommario

Premessa
1. Ambito di applicazione della procedura.
1.1. Appalti di lavori pubblici e requisiti richiesti.
1.2. Concessioni di servizi e Concessioni di lavori.
1.3. Settori speciali.
2. Requisiti oggetto a verifica.
2.1. Livelli minimi specifici di capacità tecnico-economica e relativa comprova.
2.2. Determinazione del periodo di attività documentabile.
2.3. Mezzi di prova per dimostrare il possesso dei requisiti.
3. Applicazione dell'articolo 48 agli appalti di progettazione ed esecuzione.
4. Applicazione dell'articolo 48 in caso di avvalimento.
5. Natura dei termini per gli adempimenti previsti dalla norma.
5.1. Natura del termine posto ai concorrenti sorteggiati.
5.2. Modalità di applicazione dell'art. 48, comma 1 bis.
5.3. Verifica sull'aggiudicatario provvisorio e sul secondo graduato.
6. Momento della verifica.
7. Verifica ex art. 48 e d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
8. Presupposti al cui verificarsi si ricollegano le previste misure sanzionatorie.
8.1. Sanzioni irrogate dalla stazione appaltante.
8.2. Sanzioni irrogate dall’Autorità.
8.2.1. Sanzione pecuniaria.
8.2.2. Sospensione dalle gare.

Da quale anno un immobile deve essere supportato da un titolo abilitativo edilizio per non risultare abusivo?

06 Feb 2014
6 Febbraio 2014

Alla domanda risponde il Consiglio di Stato con la sentenza n. 435 del 2014, precisando che dipende da zona a zona del territorio comunale, ma anche da comune a comune.

Si legge nella sentenza: "Deve essere sottolineato infatti, in primo luogo, come con la normativa richiamata dall’appellante – legge n. 765 del 1967 (cosiddetta “legge-ponte”) – sia stato soltanto esteso a tutto il territorio comunale quell’obbligo di titolo abilitativo, che per i centri urbani risultava già introdotto dall’art. 31 della legge urbanistica n. 1150 del 1942 e che, per le principali città-capoluogo, era già in precedenza previsto nei rispettivi regolamenti edilizi. Per la città di Roma, in particolare, ogni costruzione da eseguirsi nel relativo territorio, anche fuori dal centro abitato o dalle zone di espansione, era soggetta a preventiva autorizzazione del sindaco, a norma dell’art. 1 del regolamento edilizio comunale del 1934 (cfr. anche, al riguardo, Cass. civ. SS.UU., 16.3.1984, n. 1792) Nella situazione in esame, il proprietario interessato si è limitato a sottolineare come le opere di chiusura di quella che era sicuramente, in origine, una terrazza coperta, fossero anteriori al 1967: circostanza evidentemente insufficiente, per le ragioni appena dette, in presenza di abusi edilizi realizzati nella città di Roma. Lo stesso attuale appellante riconosce che il primo certificato catastale, risalente al  1925, con riferimento all’unità immobiliare di cui trattasi attribuiva alla medesima la consistenza di “vani 2”, mentre l’accresciuta consistenza di “vani 3” comparirebbe in un secondo certificato, rilasciato nel 1949. Da tale documentazione il proprietario interessato deduce “in maniera inequivocabile” che la tamponatura della veranda “fu eseguita….poco prima o poco dopo l’acquisto del 1947, atteso che grazie a tale tamponatura i vani dell’immobile passarono da 2 a 3 ed in tal modo furono nuovamente accatastati”. Se dunque, come lo stesso proprietario attesta, una terrazza coperta fu trasformata in vano abitabile intorno al 1947, l’intervento edilizio avrebbe dovuto essere autorizzato e, in caso   contrario, il carattere abusivo del medesimo poteva sicuramente, come avvenuto, essere contestato nei confronti del nuovo proprietario, benchè non responsabile dell’originario intervento senza titolo. Per pacifica giurisprudenza, infatti, la repressione degli illeciti edilizi può essere disposta in qualsiasi momento, trattandosi di illeciti permanenti cui si associano sanzioni a carattere reale, in rapporto alle quali non può essere invocato il principio di estraneità degli attuali proprietari alla relativa effettuazione (fatte salve l’inopponibilità dell’acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime – ove gli stessi proprietari collaborino alla rimozione dell’abuso – nonché ogni possibile azione di rivalsa, nei confronti degli effettivi responsabili, da parte degli acquirenti in buona fede di un immobile in tutto o in parte abusivo, la cui regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio non fosse stata doverosamente accertata al momento del rogito). Non può porsi in dubbio, inoltre, che l’aggiunta di un vano chiuso all’unità abitativa, in luogo di una preesistente terrazza, sia intervento a carattere ristrutturativo, in quanto implicante aumento di volume e del connesso carico urbanistico, con conseguente necessità di permesso di costruire, a norma dell’art. 10 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380 e di licenza edilizia in base alla normativa previgente (per quanto qui interessa, almeno dal 1934). Il Comune intimato, peraltro, addebita  l’esecuzione di opere di ristrutturative allo stesso attuale appellante, che – dopo avere effettuato una parziale rimessa in pristino dello stato dei luoghi – non fornisce puntuali chiarimenti sull’effettiva consistenza delle opere eseguite, limitandosi a rivendicare la regolarità di una preesistente veranda (oggetto di non meglio precisata “tamponatura”), ma sulla base di presupposti normativi inidonei – come già in precedenza chiarito – a giustificare anche gli interventi pregressi, ove privi di qualsiasi titolo abilitativo, con conseguente infondatezza del primo ordine di censure, sotto il profilo sia della violazione di legge che dell’eccesso di potere".

 sentenza Cons_Stato_n. 435 del 2014

Quando la diversa localizzazione e la violazione delle distanze dai confini diventano variazioni essenziali?

06 Feb 2014
6 Febbraio 2014

Segnaliamo sul punto al sentenza del TAR Veneto n. 38 del 2014.

Scrive il TAR: "La questione da esaminare riguarda quindi, sia in punto di fatto che di diritto, la legittimità della rilevanza attribuita dall’amministrazione alle difformità rilevate, ovverosia se correttamente, secondo l’assunto del Comune, dette difformità sono state di entità e caratteristiche tali da dover essere qualificate come variazioni essenziali e quindi idonee a giustificare l’ordine di demolizione integrale o se, seguendo la diversa prospettazione di parte ricorrente, dette difformità, pur sussistenti, siano di rilievo minore, non identificabili come essenziali, così da non giustificare l’ordine contestato.  A tale specifico riguardo parte istante ha richiamato le risultanze dell’istruttoria compiuta nel corso del giudizio civile instaurato dai condomini confinanti per l’accertamento del rispetto delle distanze dai confini e dai fabbricati, così come previste dalle NTA, nonché per la manutenzione nel possesso previa eliminazione delle eventuali opere eseguite in difformità; in via alternativa, parte istante ha chiesto ai fini istruttori, l’esecuzione di una nuova verificazione per ordine del Tribunale. Ritiene il Collegio che, anche in un’ottica di economia processuale, possa essere utilizzata la consulenza tecnica resa in sede di giudizio civile e le risultanze dalla stessa emerse proprio con riguardo alle difformità accertate, in modo particolare per quanto riguarda le distanze dai confini e dai fabbricati e con esse, quale necessario presupposto, le altezze oggettivamente raggiunte dall’edificio in contestazione e le opere comunque rilevanti ai fini di tali profili (muro di confine, livello da considerare per il computo delle altezze, etc.). Ciò premesso, è possibile osservare leggendo le conclusioni contenute nell’ordinanza del Tribunale civile di Vicenza del 25.10.2011 (la quale ha definito il giudizio possessorio instaurato a monte dai condomini confinanti, accogliendo in parte il reclamo presentato dalla società The Goal avverso la decisione di prime cure), che l’indagine istruttoria compiuta su ordine del giudice civile ha chiarito nel dettaglio lo stato di fatto e la rilevanza di determinati importanti elementi, in tale sede necessari per accertare l’effettivo rispetto delle distanze dell’erigendo condominio rispetto a quelli confinanti, così come rispetto alle linee di confine tra le diverse proprietà.  In tale occasione, chiarito il riferimento normativo da tenere presente al fine di stabilire gli esatti parametri di riferimento – art. 17 N.T.A. del Comune di Vicenza, che impone tra fabbricati il rispetto di una distanza minima tra pareti finestrate pari all’altezza del fabbricato più alto con un minimo assoluto di 10 mt e per i confini una distanza minima pari alla metà dell’altezza del fabbricato prospiciente il confine con un minimo di 5 mt. – sono state puntualizzate alcune importanti premesse, al fine di attestare la sussistenza di eventuali difformità, in quella sede rilevanti ai fini della manutenzione nel possesso dei confinanti. Trattasi della misurazione dell’altezza degli edifici, che il giudice di secondo grado ha ritenuto di dover computare con riferimento alla quota di campagna e non dalla quota del piano stradale, così come emerso dagli accertamenti effettuati dal CTU allora incaricato delle rilevazioni. Altro profilo che è emerso in sede di istruttoria civile riguarda la considerazione o meno delle terrazze ai fini del computo delle distanze: la decisione del Tribunale civile è stata a tale riguardo nel senso di non computare le terrazze scoperte, facendo così applicazione delle prescrizioni dettate dalle NTA, che attribuiscono rilevanza solo all’ipotesi in cui si tratti di terrazze dotate di copertura ad una quota di almeno 50 cm dal piano di campagna. Infine, soprattutto per quanto riguarda il computo delle distanze dal confine, il giudice civile ha escluso che il muro esistente sul mappale 145, risultando inferiore ai 3 mt di altezza, possa essere considerato costruzione. Orbene, proprio sulla base di tali premesse in punto criteri di misurazione delle distanze, la consulenza tecnica commissionata dal giudice civile ha condotto alla conclusione per cui sussistono delle difformità - che infatti hanno consentito di ritenere la sussistenza di una turbativa del possesso - così come dettagliatamente individuate in ordinanza sia per le distanze dal confine che dai fabbricati, rappresentati rispettivamente dai condomini Imperiali e Francesca. Tuttavia, è agevole osservare, come sottolineato nelle proprie difese dalla ricorrente, che le difformità rilevate non risultano di consistente entità, risolvendosi nel mancato rispetto delle distanze prescritte per confini e fabbricati, con riguardo ai diversi impalcati, entro dimensioni molto modeste, al di sotto del metro lineare. Ciò premesso e rilevato altresì come dalle planimetrie allegate da parte ricorrente, così come a loro volta desunte dalla CTU più volte ricordata, non risulta violata la sagoma del progetto originario per quanto attiene alla localizzazione dell’intervento, il Collegio non può che convenire con l’assunto difensivo di parte ricorrente circa la non riconducibilità delle pur esistenti difformità all’ipotesi di variazioni essenziali previste dal Testo Unico dell’Edilizia, al fine di giustificare l’ordine di demolizione imposto dall’amministrazione con i provvedimenti impugnati. Invero, il presupposto, sul quale si basa la determinazione del Comune intimato, di procedere all’integrale demolizione di tutto il realizzando edificio poggia sull’assunto, non dimostrato, bensì contraddetto dalle rilevazioni operate in sede di consulenza tecnica disposta dal giudice civile, dell’esistenza di variazioni al progetto assentito per quanto attiene  alla localizzazione ed al rispetto delle prescrizioni sulle distanze dai confini e dai fabbricati, variazioni ritenute di entità tale da rientrare nelle ipotesi disciplinate dall’art. 32, lettera c) del D.P.R. 380/01. Diversamente, l’accertamento istruttorio emerso per effetto della CTU richiamata ha evidenziato che la sagoma dell’edificio è comunque ricompresa in quella prevista in occasione del rilascio del titolo edilizio e che la pur rilevata inosservanza delle prescrizioni sulle distanze risulta di minima entità e quindi non ha comportato difformità tali da costituire una variazione essenziale del progetto assentito. Sussistono quindi i vizi denunciati da parte ricorrente, non essendo stato adeguatamente comprovato e motivato negli atti impugnati il presupposto di fondo su cui si è basato l’ordine di demolizione integrale dell’edificio imposto dall’amministrazione, ossia, come più volte osservato, la sussistenza di difformità tali da comportare variazioni essenziali del progetto assentito, in punto localizzazione e violazione delle norme sulle distanze, così come qualificabili ai sensi dell’art. 32  del D.P.R. 380/01 e quindi suscettibili di essere sanzionate con l’integrale demolizione dell’edificio".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 38 del 2014

Bene demaniale e concessione amministrativa

06 Feb 2014
6 Febbraio 2014

Nella  sentenza del T.A.R. Veneto n. 128/2014, i Giudici chiarisco i rapporti tra bene demaniale e concessione amministrativa: “Quindi, è fuori di dubbio che il bene in questione è un bene demaniale e, come tale, affidato all’ente gestore attraverso una concessione traslativa.

Ciò comporta, sotto il profilo giuridico, l’esercizio di un potere pubblico, di cui l'atto concessorio è diretta espressione, funzionalmente rivolto alla esclusiva tutela dell'interesse pubblico attraverso l’esercizio di poteri autoritativi.

Il tentativo di ricondurre le concessioni nell’ambito della disciplina degli accordi di cui all'art. 11 della l. n. 241 del 1990, così da svuotare di ogni aspetto autoritativo il fenomeno concessorio, non è mai stato recepito dalla giurisprudenza amministrativa, confortata in tale senso anche dall’autorevole opinione della Corte costituzionale (Corte Cost., 6 luglio 2004, n.204).

Il concessionario, quindi, proprio in virtù della concessione, acquisisce potestà e prerogative proprie della pubblica autorità ( Cass. Civ., s.u., 22 febbraio 2007, n.4112), come ribadito anche dal giudice amministrativo :” … E’, infatti, “ius receptum” il fatto che un soggetto, attributario di una concessione da parte di una pubblica amministrazione, assume la natura di sostituto di quella pubblica amministrazione e, relativamente ai poteri pubblici trasferitigli in forza del provvedimento concessorio, è esso stesso pubblica amministrazione” ( Cons.St., sez IV, ottobre 2005 n. 5473), così che l’utilizzazione del bene - o di una parte di esso – segnatamente, in questo caso, delle aree del demanio aeronautico, non potrà, mai, formare oggetto di rapporti di natura privatistica ( Cass. Civ., s.u., 4 luglio 2006, n.15217).

Tali principi si radicano anche nelle ipotesi di sub-concessioni, generalmente ammesse se non espressamente vietate dal titolo o dalla norma.

Conseguentemente, una volta intervenuta la concessione, anche la scelta del privato sub-concessionario deve avvenire secondo i noti moduli dell’evidenza pubblica, al fine di garantire l’osservanza anche dei principi, di derivazione comunitaria di trasparenza e non discriminazione.

È fin troppo evidente infatti che dai provvedimenti concessori in questione derivano, da un lato vantaggi di tipo economico in capo al futuro sub-concessionario, dall’altro una entrata per il concessionario, con la conseguente ineluttabilità di procedure di gara che garantiscano la scelta del miglior contraente, anche in ossequio ai principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa”. 

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 128 del 2014

Bene demaniale e giurisdizione

06 Feb 2014
6 Febbraio 2014

Nella sentenza del T.A.R. Veneto n. 128/2014, i Giudici affrontano anche il rapporto tra bene demaniale e giurisdizione affermando che: “Ora, preme sottolineare al Collegio, che nella presente vicenda, ciò che assume dirimente e prevalente significato ai fini della individuazione della giurisdizione, non è tanto l’attività commerciale oggetto dell’avviso pubblico ( posizionamento di macchine avvolgi bagagli e vendita di prodotti ed accessori da viaggio), che, in quanto tale, all’evidenza, non costituisce certo l’esplicazione di un servizio pubblico, atteso che, pacificamente, lo stesso si caratterizza per essere finalizzato direttamente al soddisfacimento di bisogni di interesse generale, che, evidentemente, risultano assenti nelle attività private imprenditoriali o commerciali, ancorché queste siano indirizzate e coordinate a fini sociali ( Cass., s.u. civili, 3 agosto 2006, n. 17573), né la predetta attività può considerarsi strumentale ed essenziale al servizio pubblico prioritariamente gestito dall’aeroporto, né, infine, tale attività può collocarsi nella tassativa elencazione di cui al citato all. A) del d. lgs. n. 18 del 1999.

Pertanto, nella presente vicenda, ritiene il Collegio che, invece, risulta essenziale, prevalente e definitivo, per la individuazione del plesso giudiziario competente, il fatto della utilizzazione, in via particolare, di un’area demaniale.

In altre parole.

E’ la natura del bene, in questo caso demaniale, che deve informare le conseguenti attività che su di essa il sub concessionario svolge o intende svolgere e non già viceversa, perché, diversamente, un aspetto strumentale, incidentale ed eventuale verrebbe a prevalere sulla cogente disciplina giuridica dei beni demaniali, piegandola alle esigenze secondarie proprie dell’attività esercitata, così alterandone la natura giuridica.

Quindi, se è essenziale e prioritaria, per la individuazione della giurisdizione, la natura del bene, ne consegue che i beni demaniali, come l’area aeroportuale in questione, possono essere assegnati in uso soltanto attraverso procedere concessorie, indipendentemente dall’attività che attraverso essi si vuole esercitare che è, e rimane, nella maggior parte delle ipotesi, di natura privatistica e come tale oggetto relazioni contrattuali tra le parti.

Non coglie nel segno, pertanto, la giurisprudenza della Cassazione ( cfr. Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 19 dicembre 2009, n. 26823), né quella amministrativa, che ad essa si riporta (Cons. Giust. Amm. Sic., 10 settembre 2010, n. 1197) – peraltro tutte anteriori all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo - quando affermano che : ”… in tema di concessione in uso esclusivo a privati di beni demaniali, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario se la pretesa trovi la propria origine in un rapporto tra il concessionario e il terzo, sempre che la Amministrazione concedente resti totalmente estranea a detto rapporto derivato e non possa ravvisarsi alcun collegamento tra l'atto autoritativo concessorio e il rapporto medesimo, essendo il primo un semplice presupposto del secondo”.

E’ principio tramandato quello per cui il concedente conserva intatta tutta la sua potestà sul bene demaniale affidato in concessione, ovvero in sub-concessione e che, come già sopra rilevato, la concessione si concretizza con l’adozione del provvedimento autoritativo cui accede, eventualmente, un contratto volto a disciplinare gli aspetti privatistici della vicenda”. 

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 128 del 2014

Preavviso di diniego: la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento di una domanda interrompe i termini per la formazione di un eventuale silenzio assenso

05 Feb 2014
5 Febbraio 2014

Lo specifica la sentenza del Consiglio di Stato n. 418 del 2014.

Si legge nella sentenza: "Si deve, al riguardo, ricordare che, l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, aggiunto dall'art. 6 della legge 11 febbraio 2005 n. 15 (poi modificato dal comma 3 dell’art. 9 della legge 11 novembre 2011, n. 180), ha previsto che «nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale».

Tale disposizione ha, quindi, introdotto, in via generale, nel nostro ordinamento l’istituto del preavviso di diniego, che ha la funzione di portare a conoscenza del soggetto che ha fatto una domanda all’amministrazione, i motivi che non consentono di poter accogliere la sua domanda in modo da consentire all’interessato, in via amministrativa e precontenziosa, di rappresentare all’amministrazione, nel termine assegnato, le ragioni che militano invece in favore dell’accoglimento della sua domanda.

L’amministrazione provvede poi, in via definitiva, sulla domanda, anche sulla base delle osservazioni presentate dall’interessato o decorso inutilmente il termine assegnato per la presentazione delle osservazioni.

7.1.- E’ peraltro ovvio che il termine (ordinatorio o, eventualmente, perentorio) concesso all’Amministrazione per esprimere le sue definitive determinazioni sulla questione può riprendere a decorrere solo a seguito della presentazione da parte del soggetto istante, nel termine assegnato, delle osservazioni al diniego preannunciato (o comunque dallo scadere del suddetto termine per la presentazione delle osservazioni).

Lo stesso art. 10-bis della legge n. 241 ha previsto che la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda «interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine» assegnato per la loro presentazione.

 7.2.- Si deve ritenere, quindi, in via generale, che la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento di una domanda interrompe anche i termini per la formazione di un eventuale silenzio assenso, in quei casi in cui l’ordinamento ha inteso assegnare al silenzio serbato dall’amministrazione su un’istanza il valore di assenso alla richiesta.

Del resto, non potrebbe ritenersi logica la formazione di un provvedimento tacito di assenso quando la stessa amministrazione, sia pure in modo ancora non definitivo, ha chiaramente indicato (nel preavviso di diniego) le ragioni per le quali la domanda proposta non può essere accolta.

 8.- Né si può ritenere che tale disciplina non possa essere applicata nel procedimento, dettato dall’art. 87 del d. lgs. n. 259 del 2003, per l’esame delle domande di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, sebbene lo stesso procedimento sia chiaramente disciplinato in modo da consentirne la definizione in tempi certi e rapidi.

8.1.- Non può quindi condividersi l’affermazione del giudice di primo grado secondo la quale la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza non rientrava fra gli atti interruttivi o impeditivi “tassativamente indicati” dal predetto art. 87, comma 9, del d. lgs. n. 259 del 2003.

Tale disposizione è, infatti, volta ad impedire l’emanazione di atti puramente dilatori e prevede che la domanda, decorso il temine assegnato, si intende accolta (con la formazione del silenzio assenso), a meno che non intervenga un provvedimento negativo. Ma tale disposizione non consente di non dare valore ad un atto (come il preavviso di diniego) che è comunque negativo e che non è definitivo solo perché volto a consentire agli interessati di poter esprimere le loro valutazioni ai fini di una possibile diversa conclusione del procedimento.

8.2.- Peraltro l’istituto della comunicazione all’interessato dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza è stata introdotta nell’ordinamento con la legge 11 febbraio 2005, n. 15, che è successiva alla emanazione del d. lgs. n. 259 del 2003 recante il Codice delle Comunicazioni elettroniche".

geom. Daniele Iselle

sentenza CDS 418 del 2014

Il ricorso incidentale non prevale più su quello ordinario

05 Feb 2014
5 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza n. 128 del 30 gennaio 2014, affronta numerose questioni  in materia di appalti.

Innanzitutto il Collegio chiarisce che, in attuazione della normativa comunitaria, il ricorso incidentale non deve più ex se essere esaminato sempre prima del ricorso ordinario: “Preliminarmente il Collegio deve dare conto del recente intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea C- 100/12 – 4 luglio 2013 ( soc. Fastweb c. A.S.L. di Alessandria) che, interpretando l’art. 1, paragrafo 3 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento e del Consiglio del giorno 11 dicembre 2007 ha, di fatto, superato il contrario insegnamento espresso dal Consiglio di Stato nell’Adunanza Plenaria n. 4 del 7 aprile 2011, con il quale l’Alto consesso, rivedendo un suo precedente orientamento ( A.P., n.11/2008), aveva, in materia di appalti pubblici, enunciato il principio di diritto secondo cui l’esame del ricorso incidentale volto a contestare la legittimità del ricorrente principale, perché illegittimamente ammesso alla gara, deve precedere l’esame del ricorso principale in quanto la legittimazione a reagire giudizialmente spetta esclusivamente al concorrente che legittimamente ha partecipato alla procedura di gara, così che la rilevata illegittimità del ricorrente principale a partecipare alla gara impedisce lo scrutinio delle censure al riguardo avanzate dallo stesso.

Il riferito insegnamento giurisprudenziale comunitario deve assumere una valenza prevalente rispetto a quella, sul punto, assunta dalla giurisprudenza domestica, così come, nei termini indicati dall’art. 249, comma 3, del Trattato CEE, la normativa comunitaria prevale su quella nazionale.

In altri termini il giudicato nazionale, che disattende gli insegnamenti giurisprudenziali comunitari spiega, comunque, effetti esterni che vincolano il primo giudice nella definizione di altri giudizi pendenti tra le stesse parti ( Corte giust., n.C-2/08, 3 settembre 2009) e, a maggior ragione, i principi di diritto espressi dal giudice comunitari devono assumere una prevalente connotazione poiché indicano il reale significato della norma comunitaria.

Pertanto, il Collegio dovrà provvedere allo scrutinio di tutte le censure sottoposte al suo giudizio, indipendentemente dalla asserita natura pregiudiziale del ricorso incidentale, come sostenuto nella decisione della Plenaria sopra riportata, invero oggi nuovamente sottoposta allo scrutinio dell’Alto consesso per una nuova e meditata sua valutazione”. 

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 128 del 2014

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