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Avvalimento e contratti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del Codice Appalti

05 Feb 2014
5 Febbraio 2014

Nella sentenza del T.A.R. Veneto n. 128/2014, i Giudici ritengono che l’istituto dell’avvalimento si applica anche agli appalti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del Codice Appalti ex art. 27: “L‘istituto dell’avvalimento è di immediata e generale applicazione secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2011 e sez. V, 23 maggio 2011, n. 3066) ed è mutuato dalla analoga struttura comunitaria, proprio perchè finalizzato a consentire una reale e concreta concorrenza e favorire gli operatori economici di per sé privi di requisiti di carattere economico – finanziario, tecnico – organizzativo, consentendo a questi di avvalersi dei requisiti di capacità di altre imprese, come indicato negli articoli 47 e 48 della Direttiva 2004/18/CE (i suddetti articoli, rubricati rispettivamente “Capacità economica e finanziaria” e “Capacità tecniche e professionali” individuano i requisiti che debbono possedere gli operatori per contrarre con la p.a. e stabiliscono che un operatore economico, per un determinato appalto, può fare affidamento sulla capacità di altri soggetti a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi).

Pertanto, la conseguente disciplina nazionale, introdotta nel nostro ordinamento giuridico dall’art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006, ha, in buona sostanza, riprodotto i principi generali propri dell’ordinamento comunitario.

L’utilizzazione dei principi comunitari, espressamente recepito nell’avviso di gara e nel citato art. 49 è, dunque, ampia e generalizzata, non prevedendo alcun divieto di impiego “ sicché ben può l’avvalimento riferirsi anche alla certificazione di qualità di altro operatore economico, attenendo essa ai requisiti di capacità tecnica” ( Cons.St., sez.V, 6 marzo 2013, 1368).

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il rinvio operato dalla legge di gara all’art. 27 d.lgs citato, consente, proprio alla luce del rispetto dei principi generali di economicità, efficacia, par condicio, ad ammettere, anche per tali ipotesi l’utilizzazione dell’istituto dell’avvalimento per la certificazione dei requisiti richiesti per la partecipazione alla gara”. 

dott. Matteo Acqusaliente

sentenza TAR Veneto n. 128 del 2014

Programmi di Housing Sociale: l’A. P. del CdS dice che sono concessioni di servizio pubblico locale

05 Feb 2014
5 Febbraio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2014.

In che cosa consisteva nel caso specifico il programma di Housing Sociale?  Il programma, dal contenuto complesso, ha previsto, fra l’altro:

a) la progettazione (definitiva ed esecutiva), e realizzazione sull’area assegnata (di proprietà comunale), di un intero quartiere residenziale, per una portata edificatoria complessiva di 132.000 mc, calcolati secondo il vigente piano particolareggiato di Pietralata, ripartita in 127.000 mc per un totale di almeno 555 alloggi (di cui 80 alloggi di edilizia residenziale pubblica da retrocedere al Comune in regime di proprietà, con le aree fondiarie annesse; almeno 50 alloggi da mantenere in locazione per 25 anni al canone mensile sostenibile di euro 6,00 al mq di superficie complessiva, che al termine resteranno nella disponibilità dell’assegnatario per 99 anni fino alla scadenza del diritto di superficie; almeno 150 alloggi da destinare a locazione con patto di futura vendita con canone mensile sostenibile di euro 8,00 al mq di superficie complessiva e rata finale di saldo prezzo convenuto, da far valere tra il 16° e il 25° anno, secondo e con i valori posti in offerta all’assegnatario; almeno 275 alloggi da cedere a prezzo convenzionato per un importo massimo di euro 2.400,00 mq di superficie complessiva, oltre oneri fiscali);

b) la progettazione (definitiva ed esecutiva), e realizzazione di edificazioni con destinazione commerciale per 5.000 mc (che restano nella disponibilità dell’assegnatario fino alla scadenza della durata del diritto di superficie, anche come eventualmente rinnovato);

c) la progettazione (definitiva ed esecutiva), e realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione primaria (infrastrutture a rete, viabilità, arredo urbano, parcheggi e verde pubblico);

d) la progettazione (definitiva ed esecutiva), e costruzione di una scuola materna di 3 sezioni;

e) le funzioni di stazione appaltante, in capo all’assegnatario, per la realizzazione di opera monumentale artistica;

f) gestione venticinquennale (inclusa la locazione e la vendita), in regime di proprietà superficiaria, dell’edilizia residenziale destinata alla locazione a canone sostenibile, a riscatto o alla vendita a prezzo convenzionato; in questo ambito sono attribuiti all’assegnatario (in partnership con l’amministrazione), compiti di soggetto gestore dell’assegnazione degli alloggi (comprensivi della predisposizione degli avvisi e della selezione delle domande), nel rispetto delle tariffe imposte da Roma Capitale (canoni e prezzi da praticare alle diverse categorie di beneficiari del programma);

g) l’assenza di oneri a carico dell’amministrazione salva la possibilità che le offerte in gara contemplino, ai fini del perseguimento dell’equilibrio finanziario in funzione della garanzia della sostenibilità imprenditoriale del progetto, un corrispettivo (che in ogni caso concorre in chiave comparativa come elemento della parte economica costruttiva delle offerte).

L'Adunanza Plenaria ritiene che si tratti di una concessione di servizio pubblico locale ed esamina la questione dell'applicabilità dell'art. 30 del codice dei contratti pubblici, affermando che: "6.5. Si tratta a questo punto di stabilire, in relazione alla controversia sottoposta all’esame dell’Adunanza plenaria, la natura giuridica e la portata applicativa della norma sancita dall’art. 37, co. 13, codice dei contratti pubblici; è irrilevante, ai fini della decisione, che la questione sia stata sottoposta dalla V Sezione nella diversa prospettiva dell’art. 27 del codice dei contratti pubblici (in luogo dell’art. 30), perché in entrambi i casi è necessario comunque individuare i principi desumibili dal Trattato FUE e i principi generali relativi ai contratti pubblici (fra cui quello di trasparenza di cui si lamenta la lesione da parte della ditta Pessina).

Vanno allo scopo applicati i criteri di indagine elaborati di recente da questa Adunanza plenaria proprio al fine di individuare quali disposizioni del codice dei contratti pubblici siano espressive di principi generali (di derivazione europea ovvero solo nazionale), e dunque capaci di integrare la disciplina delle gare per la selezione di concessionari di servizi pubblici (cfr. Ad. plen., 6 agosto 2013, n. 19; 7 maggio 2013, n. 13).

In sintesi è sufficiente ribadire che:

a) la regola generale, a mente dell’art. 30, co. 1. cit., è nel senso che alle concessioni di servizio pubblico non si applicano le disposizioni specifiche del codice dei contratti pubblici;

b) si deve tener conto del fatto che in linea teorica tutte le norme di dettaglio del codice costituiscono una derivazione, più o meno diretta, di principi (o più semplicemente di esigenze) generali;

c) in senso proprio costituiscono principi generali applicabili alle concessioni di servizio, non solo i c.d. super principi o valori di sistema, di solito espressamente indicati nelle parti iniziali dei codici di settore (nella specie art. 2 codice dei contratti pubblici), ma anche quelli che si traggono da talune specifiche norme;

d) tuttavia, l’applicabilità di talune disposizioni specifiche di tali codici è predicabile solo quando esse superino uno scrutinio rigoroso di indagine basato sull’accertamento della natura dell’interesse presidiato dal precetto e della sua ampiezza applicativa, trovando la propria ratio immediata e diretta nella tutela di valori immanenti al sistema (nella specie dei contratti pubblici di appalto di lavori, servizi e forniture), in funzione nomo genetica rispetto alle singole norme costitutive delle codificazioni di settore".

geom. Daniele Iselle

Per comodità di lettura si allegano la sentenza integrale e un estratto

estratto A.P. CDS 7 del 2014

 A.P. CDS 7 del 2014

La Corte dei Conti della Liguria rimette alla Sezione Centrale delle Autonomie il contrasto interpretativo sorto tra le sezioni regionali in merito agli incentivi di pianificazione urbanistica

04 Feb 2014
4 Febbraio 2014

Con la Deliberazione n. 6 /2014 la Sezione Regionale di Controllo per la Liguria della Corte dei Conti ha deciso quanto segue:

"Ritiene, pertanto, la Sezione – alla luce del contrasto interpretativo sopra evidenziato – di sottoporre alla valutazione del Presidente della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, l’opportunità di rimettere alla Sezione delle Autonomie della Corte la seguente questione di massima:

Se l’art. 92, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006 debba essere interpretato nel senso che il diritto all’incentivo per la redazione di un atto di pianificazione sussiste solo nel caso in cui l’atto di pianificazione è collegato alla realizzazione di opere pubbliche ovvero nel senso che il suddetto diritto sussiste anche nel caso di redazione di atti di pianificazione generale (quali la redazione di un piano urbanistico generale o attuativo ovvero di una variante) ancorché non puntualmente connessi ad un’opera pubblica”.

Deliberazione 6 del 2014 Corte Conti Liguria

In materia di distanze dai confini si applica lo jus superveniens

04 Feb 2014
4 Febbraio 2014

Cosa succede in una causa civile riguardante la distanza di una costruzione dai confini se nel frattempo cambiano le regole del PRG sulle distanze dai confini?

La Suprema Corte di Cassazione, sez. II, nella sentenza del 09.08.2013 n. 19142 afferma che l'art. 9, comma 1, punto 06 - Distanza dai Confini - delle NTO del P.I. di Verona  deve essere interpretato ed applicato alla luce del principio dello jus superveniens (tale articolo delle NTO stabilisce che: “Distanza dai confini: rappresenta la lunghezza minima tra il filo di fabbricazione di una costruzione e la linea di confine della proprietà; è rappresentata dal raggio della minima circonferenza avente centro in uno dei due elementi e tangente all’altro. Ai fini della presente norma, il filo di fabbricazione, è dato dal perimetro esterno delle pareti della costruzione, con esclusione degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline, dei balconi e delle altre analoghe opere, aggettanti per non più di 1,50 m; sono inclusi nel perimetro anzidetto i "bow window", le verande, gli elementi portanti verticali in risalto, gli spazi porticati, i vani semiaperti di scale ed ascensori. Tale valutazione si applica anche ai piani interrati, nel caso in cui sia stabilita, per questi, una distanza ai sensi delle presenti disposizioni. 

Salvo che non sia diversamente stabilito dalle presenti norme, tale distacco viene fissato in via generale, ad esclusione della Città storica, in mt. 5,00. 

Salvo che non sia esplicitamente escluso o diversamente disciplinato dalle presenti norme o dai PUA, fermo restando, salvi i casi puntualmente disciplinati dal PI e dai PUA, il rispetto delle distanze minime inderogabili tra fabbricati previste dal D.M. 1444/68, è sempre ammessa l’applicazione delle norme civilistiche sulla distanza dai confini, sulla sopraelevazione e sulla prevenzione ai sensi degli artt. 873 e ss. c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico”) 

Nello specifico si legge che: “L'art. 885 cod. civ. è volto a consentire al proprietario che vi abbia interesse la facoltà di utilizzare il muro comune e costituisce una lex specialis nel senso che introduce una deroga sia al normale regime della comunione sia al normale regime della accessione; infatti, l'esercizio di detta facoltà, non essendo subordinata al consenso dell'altro comproprietario del muro, da luogo ad una proprietà separata ed esclusiva della sopraelevazione, la quale appartiene al comproprietario che per primo abbia innalzato il muro comune. Tale disposizione non interferisce con (e non deroga alla) disciplina dettata in materia di distanze legali che ha la funzione di evitare intercapedini dannose tra fabbricati (normativa codicistica) e anche di tutelare l'assetto urbanistico di una data zona e la densità degli edifici in relazione all'ambiente (disciplina regolamentare, richiamata dall'art. 873 cod. civ.)” (...) “La previsione, consentendo espressamente l'edificazione in aderenza, deroga, evidentemente, per il suo carattere di specialità, alla generale disciplina in materia di distanze dal confine, escludendo l'applicabilità, quando esistano fabbricati sul confine, della norma generale della variante” nonché: “L'art. 9 comma primo 06 del Piano di intervento approvato dal Comune di Verona, con Delib. C.C. 23 dicembre 2011, n. 91 in attuazione di quanto previsto dalla L.R. n. 11 del 2004, art. 17, lett. C) stabilisce, in tema di distanza dai confini, fra l'altro, ...". Salvo che non sia esplicitamente escluso o diversamente disciplinato dalle presenti norme o dai PUA, fermo restando, salvi i casi puntualmente disciplinati dal PI e dai PUA, il rispetto delle distanze minime inderogabili tra fabbricati previste dal D.M. n. 1444 del 1968, è sempre ammessa l'applicazione delle norme civilistiche sulla distanza dai confini, sulla sopraelevazione e sulla prevenzione ai sensi dell'art. 873 c.c. e segg., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dall'art. 875 c.c. e dall'art. 877 c.c., comma 2), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico".

A stregua di tale normativa, deve comunque ritenersi legittima la costruzione del terzo piano, edificata dai convenuti in soprelevazione del preesistente manufatto realizzato in aderenza (oggetto della domanda di cui al capo 1 dell'atto di citazione indicato nell'esposizione della sentenza impugnata), giacche assume rilievo decisivo la verifica della conformità della costruzione alle previsioni urbanistiche attualmente vigenti, eventualmente più favorevoli di quelle esistenti al momento della realizzazione del manufatto.

Se, d’altra parte, anche i resistenti hanno convenuto sulla legittimità delle edificazione in base a tale normativa , appare del tutto inutile verificare la denunciata illegittimità della costruzione alla luce della pregressa normativa, posto che non è stata pronunciata alcuna domanda di risarcimento del danno conseguente alla suddetta sopraelevazione”. 

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza Cassazione Civile 19142 del 2013

Le dichiarazioni ex art. 38 D. Lgs. n. 163/2006 si applicano anche alla società che redige il progetto

04 Feb 2014
4 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza n. 130 del 30 gennaio 2014, afferma che, nel caso di un appalto integrato di progettazione esecutiva e di esecuzione di lavori pubblici, l’obbligo delle dichiarazioni di inesistenza delle cause di esclusione ex art. 38 D. Lgs. n. 163/2006 sussiste anche nei confronti delle persone fisiche che siano indicate quali effettivi redattori del progetto ex art. 90, c. 7, D. Lgs. n. 163/2006.

 Nello specifico si legge che: “La risposta –re melius perpensa rispetto a quanto diversamente prospettato, ancorchè in forma certamente non perentoria (ma soltanto “possibilista”), nella sentenza n. 1389/2013 di questa sezione - non può che essere affermativa.

Dal punto di vista normativo, invero, deve richiamarsi la previsione contenuta nell’art. 53, III comma del DLgs n. 163 cit., a tenore del quale “quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione”. Stabilisce, poi, il successivo art. 90, VII comma che “indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell'incarico di cui al comma 6, lo stesso deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell'offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali. Deve inoltre essere indicata, sempre nell'offerta, la persona fisica incaricata dell'integrazione tra le varie prestazioni specialistiche”.

L’obbligo, dunque, di indicare i professionisti a cui è concretamente demandata l’elaborazione del progetto deve essere adempiuto – come, peraltro, è stato effettivamente adempiuto nel caso di specie da Modonuovo srl, società di progettazione individuata dalla ricorrente - già in sede di presentazione dell’offerta, e non avrebbe senso l’imposizione di siffatto obbligo (con cui, appunto, l’Amministrazione viene messa al corrente del nominativo delle persone fisiche che si rapporteranno direttamente con essa e che saranno personalmente responsabili) senza che i progettisti specificamente incaricati fossero tenuti a rilasciare le dichiarazioni (ex art. 38) garantiste della loro affidabilità, serietà e moralità (cfr., a tal proposito, CdS, V, 9.5.2012 n. 1752 che, nel respingere in sede cautelare l’appello avverso la sentenza TAR Sardegna n. 306/2012, ha osservato che “anche nel caso di appalto integrato, pare necessaria l’indicazione specifica del progettista o dei progettisti persone fisiche, potendosi altrimenti eludere (se venisse solamente indicata la società che si occupa del progetto) le norme che impongono determinati requisiti, anche di ordine generale, in capo ai soggetti che materialmente redigono i progetti”).

Risponde infatti ad elementari ragioni di trasparenza e di tutela effettiva degli interessi dell’Amministrazione che tutti gli operatori economici che a qualsiasi titolo eseguono prestazioni di lavori, servizi e forniture nei suoi confronti abbiano i requisiti morali di cui all’art. 38 del codice.

Se in caso di società di professionisti tali requisiti andassero accertati solo in capo alla società e non anche in capo ai soci che eseguono le prestazioni, la società potrebbe agevolmente costituire un elemento di copertura consentendo la partecipazione di professionisti privi dei necessari requisiti: ai professionisti che non avessero i requisiti dell’art. 38 sarebbe sufficiente, infatti, anziché concorrere direttamente (andando incontro a sicura esclusione), avvalersi di una società da utilizzare come copertura” ed ancora: “Il Barbetti, dunque – è appena il caso di osservare che l’art. 38, II comma del DLgs n. 163/2006 stabilisce inequivocabilmente che “il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva….in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione” -, ha reso una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà mendace che si configura come causa autonoma di esclusione dalla gara (cfr., ex pluribus, CdS, VI, 6.4.2010 n. 1909; V, 2 febbraio 2010 n. 428; TAR Veneto, I, 19.3.2013 n. 425), anche avuto riguardo alla previsione contenuta nell’art. 75 del DPR 28.12.2000 n. 445, secondo cui “il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”: art. 75 che prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante e da eventuali, diverse determinazioni (precariamente) assunte dalla stazione appaltante, attestandosi sul dato oggettivo della "non veridicità".

Né può concordarsi con il raggruppamento ricorrente sull’inefficacia del decreto penale per sopravvenuta estinzione della contravvenzione irrogata al Barbetti: è appena il caso di evidenziare, infatti, che la riabilitazione (combinato disposto dagli artt. 683 cpp e 178 cp) e l'estinzione del reato/contravvenzione (combinato disposto dagli artt. 676 cpp e 151 seg. cp) per decorso del termine di legge devono essere giudizialmente dichiarate, giacché il giudice di sorveglianza nel primo caso ed il giudice dell'esecuzione nel secondo caso sono gli unici soggetti al quale l'ordinamento conferisce la competenza a verificare che siano venuti in essere tutti i presupposti e sussistano tutte le condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, in mancanza, la dichiarazione di assenze di condanne penali equivale a dichiarazione mendace e giustifica l'esclusione dalla gara del concorrente che l'abbia resa (cfr. CdS, V, 20.10.2010 n. 7581)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR n. 130 del 2014

Per gli atti vincolati ammissibile l’integrazione della motivazione del provvedimento nel corso del giudizio

04 Feb 2014
4 Febbraio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 23 del 2014.

Scrive il TAR: "3.4 Costituisce dato acquisito che, dall’esame dei provvedimenti impugnati, era comunque possibile desumere le circostanze ostative all’accoglimento della domanda.

4. Ne consegue come siano applicabili quei principi giurisprudenziali, peraltro confermati da una recente pronuncia (per tutti si veda Consiglio di Stato sez. V 20/08/2013) che, seppur in una fattispecie differente, hanno sancito che “il divieto di integrazione giudiziale della motivazione non ha carattere assoluto, in quanto non sempre i chiarimenti resi nel corso del giudizio valgono quale inammissibile integrazione postuma della motivazione: è il caso degli atti di natura vincolata di cui all'art. 21 octies l. n. 241- 1990, nei quali l'amministrazione può dare anche successivamente l'effettiva dimostrazione in giudizio dell'impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell'atto, oppure quello concernente la possibilità di una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento, quando questa, per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta da un operatore professionale”.

4.1 Se, infatti, il divieto di integrazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, rappresenta un presidio
essenziale dell'onere stesso di motivazione dei provvedimenti, l’applicazione di detto principio all’attività vincolata va opportunamente contemperato in presenza di un vizio formale, quale è il difetto di motivazione e, ancor di più nella fattispecie in esame, laddove era comunque possibile evincere gli elementi ostativi alla realizzazione del manufatto di cui si tratta. La censura è, pertanto, non accoglibile".

sentenza TAR Veneto n. 23 del 2014

Per qualificare come “annesso rustico” un edificio da costruire occorre dimostrarne la funzione produttiva

03 Feb 2014
3 Febbraio 2014

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 24 del 2014.

Scrive il TAR: "3. Non può condividersi nemmeno l’eccezione contenuta nel secondo  motivo, mediante il quale si contesta l’affermazione del Comune, diretta a rilevare che l’intervento di demolizione e ricostruzione non rientrava nella definizione di “annesso rustico” di cui all’art. 2 della L. reg. 24/85.

3.1 Nel corso del giudizio il Comune di Vicenza ha dimostrato come non corrisponda alla realtà quanto affermato dal ricorrente. Nel caso di specie non si era in presenza della costruzione di un “annesso rustico”, quanto nella demolizione e nella realizzazione di un nuovo  fabbricato con conseguente ampliamento del manufatto originario e, ciò, in assenza di alcun titolo edilizio.

3.2 Nel provvedimento di rigetto del 26/07/2004 l’Amministrazione comunale ha correttamente evidenziato come, l’intervento di cui si
richiedeva la sanatoria, non rientrava nella definizione di “annesso rustico” di cui all’art. 2 della L. Reg. 24/85, evidenziando la circostanza in base alla quale non risultava dimostrata la funzione produttiva del manufatto.. Si consideri ancora, che parte ricorrente non aveva depositato la relazione tecnica idonea ad evidenziare il miglioramento fondiario perseguito, documentazione indispensabile alla qualificazione del manufatto quale “annesso rustico”.

sentenza TAR Veneto n. 24 del 2014

L’inedificabilità della fascia di rispetto stradale riguarda anche le opere arretrate rispetto ad opere preesistenti

03 Feb 2014
3 Febbraio 2014

Lo dice il TAR Veneto nella sentenza n. 24 del 2014, dove si legge che: "Tale intervento ricadeva all’interno di una fascia di rispetto stradale che, ai sensi, dell’art. 39 comma 1 delle NTA, costituisce area “destinata alla conservazione, alla protezione, all’ampliamento e alla creazione di spazi per il traffico pedonale e veicolare”.

2.3 Ne consegue come risulti evidente la legittimità del provvedimento e, ciò, considerando che l’ampliamento proposto andava a costituire un avanzamento verso la strada, ipotesi quest’ultima espressamente vietata dalle disposizioni sopra citate.

2.4 Si consideri, inoltre, che un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 24-01-2013, n. 112) ha affermato che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione connesso al vincolo sancito dal D.M. 1 aprile 1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente ……. ma appare correlato alla più  ampia esigenza di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti”.

sentenza TAR Veneto n. 24 del 2014

Rapporto tra ordinanza di demolizione e accertamento inottemperanza: dove vanno indicati i mappali?

03 Feb 2014
3 Febbraio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 25 del 2014 afferma che i mappali vanno indicati già nell'ordinanza di demolizione.

Si legge nella sentenza: "4.4 Costituisce espressione di un costante orientamento (per tutti si veda T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, 2 gennaio 2012, n. 9) in base al quale “in materia di abusivismo edilizio l'individuazione dell' area di pertinenza della "res abusiva" deve compiersi al momento dell'emanazione del provvedimento con il quale viene accertata l'inottemperanza all'ordinanza di demolizione e con cui si procede all'acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune, ai sensi dell'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, indicazione che deve, quindi, essere contenuta nell'atto d'acquisizione, a pena d'illegittimità di quest'ultimo, costituendo esso titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari".                                                                                     

4.5 Si è altresì, affermato che l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, prevista dall'art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47, è collegata direttamente all'accertamento dell'inottemperanza (volontaria) all'ordine di demolizione, accertamento che ha carattere dichiarativo, mentre gli effetti della trascrizione sono collegati dalla legge direttamente alla inosservanza del termine (in questo senso si veda Consiglio di Stato Sez. V, sent. n. 333 del 20-04-1994).

5. Ne consegue che l’Amministrazione comunale, una volta che aveva verificato che l’abuso contestato non riguardava solo i mappali 272, 273 e 270, avrebbe dovuto notificare, alle attuali ricorrenti, un nuovo ordine di ripristino dello stato dei luoghi, ricomprendendo anche il mappale successivamente ritenuto ricompreso negli abusi di cui si tratta.
5.1 E’ del tutto evidente che, sulla base degli orientamenti sopra citati, l’ordinanza di demolizione costituisca il necessario presupposto dell’atto di acquisizione in proprietà, nell’ambito del quale, la stessa Amministrazione avrebbe dovuto indicare esattamente le aree da
acquisire in proprietà. 

5.2 Nemmeno è possibile accogliere le tesi di parte resistente, laddove ritengono che il mappale n. 271 sia stato “implicitamente” ricompreso nella descrizione del manufatto contenuta nell’ordinanza di demolizione.
5.3 Non solo detta affermazione non trova una conferma dall’esame degli atti impugnati, ma va rilevato come restasse comunque indispensabile che l’Amministrazione determinasse, con certezza, i mappali interessati dagli abusi di cui si tratta e, ciò, considerando l’effetto di acquisizione della proprietà conseguente all’inadempimento dell’ordinanza di demolizione.
5. E' inoltre necessario ricordare che nel caso di specie sussiste, altresì, la violazione dell'art. 31 del Dpr 380/2001 nella parte in cui attribuisce rilievo sostanziale alla “notifica” all’interessato, per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, notifica che nel caso di specie e con riferimento al mappale n. 271 non era avvenuta nemmeno nei confronti dell’originario destinatario dell’ordinanza di demolizione del 1988".

sentenza TAR Veneto n. 25 del 2014

Beni Culturali: per le opere che modificano il perimetro (aderenza / appoggio) occorre l’autorizzazione della Soprintendenza senza necessità della previa imposizione di un vincolo indiretto

03 Feb 2014
3 Febbraio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato 427 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "....Ciò comporta l’applicazione della regola generale, anch’essa risalente alla legge n. 1089 del 1939 e ora contenuta nell’art. 21, comma 4, del medesimo Codice, secondo cui occorre l’autorizzazione della Soprintendenza per “l’esecuzione di opere e di lavori di qualunque genere su beni culturali”.

Con tale risalente disposizione, il legislatore non si è inteso riferire soltanto ai lavori ed alle opere da realizzare sul bene sottoposto al vincolo (cioè al suo interno o sulle sue facciate), ma anche ai lavori ed alle opere realizzate all’esterno dell’edificio stesso, che alterino la consistenza dell’edificio nel suo complessivo perimetro.

Mentre per le opere ‘staccate’ dall’edificio sottoposto a vincolo rilevano le disposizioni e gli atti riguardanti il c.d. vincolo indiretto (volto a salvaguardare la visibilità e lo stesso decoro e il pregio artistico e storico dell’edificio tutelato in via diretta), per le opere che comportino la modifica del perimetro, e comunque implichino ‘l’aderenza’ o ‘l’appoggio’ di un nuovo manufatto a quello vincolato, occorre senz’altro l’autorizzazione della Soprintendenza, senza necessità della previa imposizione di un vincolo indiretto: non v’è dubbio che, nel realizzare l’edificio in aderenza o in appoggio, siano ‘toccate’ le stesse strutture dell’edificio sottoposto al vincolo e cioè vi sono opere e lavori “su” un bene culturale...".

geom. Daniele Iselle

sentenza CDS 427 del 2014

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