Tag Archive for: Amministrativo

Il ricorso del Governo alla Corte Costituzionale sul piano casa del Veneto

14 Feb 2014
14 Febbraio 2014

Pubblichiamo il ricorso del Governo alla Corte Costituzionale sul piano casa del Veneto.

Sono stati impugnati i seguenti articoli:  7, comma 1; 10, comma 6; 11 commi e 2 della L.R. 32/2013.

Ricorso Presidenza CdM Piano casa Veneto

Insediamenti commerciali in ATO nei quali il PAT non lo prevede espressamente

14 Feb 2014
14 Febbraio 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 616 del 2014 ritiene possibile che il P.I. consenta insediamenti commerciali in ATO nei quali il PAT non lo prevede espressamente, sulla base dei seguenti rilievi: "In merito al contrasto con il PAT, deve osservarsi come sia previsto per tutti gli ATO la distribuzione di una quota percentuale della volumetria realizzabile avente destinazione non residenziale, ma a servizio dello stesso, ossia per commercio, artigianato di servizio, destinazioni strettamente connesse all’abitare nelle percentuali indicate nella relazione. È quindi corretto affermare che, se è ben vero che solo per l’ATO 3 è stata espressamente prevista una volumetria destinata ad attività turistico-commerciale (alberghiera), ciò non esclude che anche nelle altre aree si possa ammettere la presenza di insediamenti a carattere commerciale".

avv. Dario Meneguzzo

Ogni variante al PAT o al P.I. richiede una nuova valutazione di compatibilità idraulica?

14 Feb 2014
14 Febbraio 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 616 del 2014 risponde di no, per i seguenti motivi: "3.3. - È infondato anche il terzo motivo di appello, dove si denuncia la violazione della delibera della Giunta Rregionale n. 3637 del 13 dicembre 2002, dell’art. 49 del PAT, nonché l’eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità e difetto di istruttoria, in relazione alla violazione delle linee guida dettate dalla Regione in materia di rischio idraulico, le quali richiedono che ogni strumento urbanistico o sua variante valutino attentamente, previa acquisizione del parere dell’autorità preposta (Genio cCivile), la compatibilità idraulica delle modifiche apportate alle previsioni urbanistiche. Come notato in fatto dal giudice di prime cure, l’area de qua è stata già oggetto di numerose valutazioni di compatibilità idraulica in occasione delle precedenti varianti generali al PRG e del PAT, per cui, tenuto conto del modesto incremento edificatorio derivante dalle nuove previsioni, non sussisterebbero le condizioni per imporre una nuova  valutazione di compatibilità idraulica. Peraltro, coerentemente con le stesse direttive impartite dalla Regione con la DGR n. 2948 del 6 ottobre 2009, la detta valutazione, al fine di non appesantire l’iter procedurale, è stata correttamente sostituita con una dichiarazione asseverata del tecnico estensore dello strumento urbanistico, che attesti la sussistenza dei presupposti per non dare luogo ad una nuova valutazione di compatibilità idraulica".

avv. Dario Meneguzzo

Non spetta al giudice amministrativo la giurisdizione in materia di “certificato di idoneità e qualifica professionale” previsto dal D. Lgs. 24/02/1948 n. 114 per il coltivatore agricolo

14 Feb 2014
14 Febbraio 2014

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 117 del 2014.

Scrive il TAR: "1. Il ricorso va giudicato inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo nella controversia in esame, accogliendo l’eccezione sul punto proposta dalla Regione Veneto.

1.1 Come ha correttamente rilevato quest’ultima il ricorrente, nell’istanza presentata, ha richiesto il rilascio del “certificato di idoneità e qualifica professionale” previsto dal D. Lgs. 24/02/1948 n. 114, chiedendo quindi l’accertamento della qualità di coltivatore agricolo per il conseguimento di benefici fiscali, accertamento quest’ultimo che non può non essere correlato e conseguente all’esame di elementi oggettivi.

1.2 Risulta, infatti, dirimente constatare che l'attestazione o certificazione che una determinata persona è dedita alla coltivazione manuale della terra, di cui agli art. 1 del D.Lgs. 24-2-1948 n. 114 (sulle provvidenze a favore della piccola proprietà contadina), ha come contenuto il risultato di un mero accertamento tecnico, compiuto alla stregua di elementi, criteri e parametri normativamente predeterminati, senza alcun margine di discrezionalità.

1.3 Detta circostanza comporta la conseguenza che il provvedimento conclusivo del relativo procedimento integra la fattispecie di un atto di natura vincolata, destinato ad incidere, senza degradarle, su posizioni di  diritto soggettivo perfetto, attinenti alla qualità di coltivatore diretto (sul punto si veda T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, Sent., 06-11-2013, n. 677 e, tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, n. 231/87 e T.A.R. Basilicata, n. 158/1989 e n. 330/2003)".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 117 del 2014

Se si sbaglia giudice per colpa delle indicazioni della P.A. questa paga (in parte) le spese processuali

14 Feb 2014
14 Febbraio 2014

E' quanto ha deciso in un caso il TAR Veneto nella sentenza n. 117 del 2014, che condanna la P.A. a a rimborsare al ricorrente il contributo unificato, visto che aveva sbagliato a scrivere nel provvedimento che la giurisdizione spettava al giudice amministrativo..

Scrive il TAR: "1.4 Va, altresì, evidenziato come non possa condividersi l’osservazione della ricorrente nella parte in cui rileva che la Giurisdizione di questo Tribunale era indicata nel contenuto del provvedimento impugnato, circostanza quest’ultima che non può, evidentemente, esimere dall’esame della Giurisprudenza in materia di criteri di riparto della Giurisdizione nel momento della proposizione del ricorso.

2. Ciò premesso è del tutto evidente come la dicitura sopra rilevata costituisce comunque un elemento di valutazione da parte di questo
Tribunale del comportamento tenuto dell’Amministrazione e, ciò, con riferimento alla determinazione delle spese di giudizio e, ciò, ritenendo come l’apposizione di detta dicitura possa aver concorso nella individuazione del Giudice da adire.

3. In conclusione, trattandosi di situazione avente consistenza di diritto soggettivo perfetto, e non vertendosi in materia rientrante nell'ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, la controversia va quindi devoluta al Giudice Ordinario, quale Giudice cui è affidata, in via generale, la tutela dei diritto soggettivi. Va, pertanto, dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, con conseguente onere dei ricorrenti di riproporre la domanda innanzi al giudice ordinario, nei termini e per gli effetti di cui all'art. 11, comma 2, c.p.a. Le peculiarità della controversia, unitamente alle ragioni sopra indicate, consente di disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio, con l’eccezione del contributo unificato che dovrà essere rifuso nella misura versata".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 117 del 2014

Il CDS stronca senza perifrasi la perequazione alla veneta con opere fuori ambito

13 Feb 2014
13 Febbraio 2014

Che la cosiddetta "perequazione" sia una sorta di escrescenza maligna dell'urbanistica a noi è sempre apparso evidente. Ma non tutti lo pensano o, se lo pensano, non lo dicono.   In verità ci risulta difficile non pensare che la perequazione sia diventata una imposta creata illegittimamente dai comuni in violazione dell'articolo 23 della Costituzione (perchè manca una legge statale che la giustifichi).  

Un mezzo passo avanti, però, lo fa il Consiglio di Stato con la sentenza n. 616 del 2014, che stronca duramente una perequazione accettata dal comune di Oderzo. Oggetto del ricorso di un dissenziente erano il P.I. e gli atti presupposti (tra i quali l'accordo di pianificazione ex art. 6 l.r. n. 11/2004),  che hanno modificato la destinazione di un’area da residenziale a commerciale direzionale, rendendo possibile  la realizzazione da parte della controinteressata di un fabbricato ad uso commerciale direzionale, con annessa sistemazione della viabilità contermine, in modo particolare mediante la realizzazione di una rotonda al fine di favorire gli accessi limitrofi. In via perequativa, a fronte della nuova destinazione urbanistica dell’area oggetto dell’accordo, il soggetto privato si impegnava nei confronti dell’amministrazione comunale alla realizzazione degli interventi di sistemazione e riqualificazione di Piazza della Vittoria.

Il Consiglio di Stato ha accolto il motivo di ricorso col quale l ’appellante lamentava la violazione dell’art. 46 delle norme tecniche del PAT, delle linee guida approvate con delibera n. 60 del giorno 8 marzo 2010, nonché eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità, dello sviamento e del difetto di istruttoria. In concreto, l’appellante si doleva della modalità con cui era stato applicato al caso in specie il principio perequativo, atteso che l’accordo intervenuto tra il Comune e la ditta interessata si è fondato sulla disponibilità della società a realizzare a proprie spese, in cambio della variazione della destinazione urbanistica dell’area di interesse, gli interventi di risistemazione di un’area pubblica, ossia piazza della Vittoria, per un importo di circa €. 400.000 Euro, dando vita così ad opere slegate funzionalmente con l’area dell’intervento.

Così il Consiglio di Stato spiega perchè la perequazione non può portare a realizzare opere fuori ambito: " Osserva la Sezione come il tema del rispetto degli standard urbanistici abbia nuovamente assunto di recente un rilievo centrale nell’ambito degli strumenti di governo del territorio. In questo senso, sono riscontrabili non solo interventi normativi (peraltro organizzati secondo prospettive dialetticamente opposte riguardo al tema della loro necessità e cogenza, poiché mirano, da un lato - come nel caso della legge 14 gennaio 2013, n. 10 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” - a marcarne la rilevanza ai fini della qualità di vita urbana e, dall’altro – come con l’introduzione dell’art. 2-bis “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati” nel d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” – a renderne al contrario più flessibile e meno stringente il contenuto), ma anche prese di posizione di questo Consiglio, che non si è sottratto al dovere di esprimere il proprio avviso su un tema così rilevante nella costruzione del tessuto urbanistico. In particolare, questo Giudice ha già delineato una propria linea interpretativa in merito al collegamento tra interventi edilizi e ricerca  degli standard urbanistici e ha così assunto decisioni che hanno, ad esempio, negato la sufficienza di un parcheggio collocato in area non fruibile, dove la fruibilità era collegata non a valutazioni normative, ma fattuali, poiché il “terreno pertinenziale destinato a parcheggio deve ragionevolmente intendersi come condizione necessaria per la migliore fruizione del parcheggio medesimo da parte di tutti coloro che intendono comodamente accedervi con i propri mezzi di locomozione per poi uscire con i relativi acquisti più o meno ingombranti e/o pesanti da collocare su tali mezzi” (Consiglio di Stato, sez. V, 25 giugno 2010 n. 4059); oppure decisioni che hanno evidenziato i pericoli legati alla smaterializzazione degli standard, sottolineando come “la monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della  qualità di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area” (Consiglio di Stato, sez. IV, ord. 4 febbraio 2013 n. 644). Ancora, si è affermato che “qualora si potessero individuare gli standard costruttivi in ragione del solo dato dimensionale, verrebbe conseguentemente posto in ombra il dato funzionale, ossia la destinazione concreta dell’area, come voluta dal legislatore. Soddisfacendo gli standard con la messa a disposizione di aree non utilizzabili in concreto (ossia, seguendo l’indicazione del T.A.R., utilizzando “le porzioni che non sono utilizzabili, per forma o per le ridotte dimensioni, ovvero perché eccedenti un posto macchina standard ma insufficienti per realizzarne un altro, ovvero infine per il difficile accesso”), la norma di garanzia verrebbe frustrata, atteso che il citato art. 41 sexsies della legge urbanistica non contempla un nudo dato quantitativo, ma un dato mirato ad uno scopo esplicito” (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 maggio 13 n. 2916). Come si vede, il quadro complessivo emergente dalla giurisprudenza è quello di una marcata attenzione alla funzione stessa degli standard urbanistici, intesi come indicatori minimi della qualità edificatoria (e così riferiti ai limiti inderogabili di densità edilizia, di rapporti spaziali tra le costruzioni e di disponibilità di aree destinate alla fruizione collettiva) e come tali destinati a connettersi direttamente con le aspettative dei fruitori dell’area interessata. Il che comporta, come già notato dalle decisioni che precedono, come il criterio essenziale di valorizzazione e di decisione sulla congruità dello standard applicato sia quello della funzionalizzazione dello stesso al rispetto delle esigenze della popolazione stanziata sul territorio, che dovrà quindi essere posta in condizione di godere, concretamente e non virtualmente, del quantum di standard urbanistici garantiti dalla disciplina urbanistica. La Sezione non può peraltro esimersi dal notare come la cogenza di questa stretta correlazione spaziale tra intervento edilizio e localizzazione dello standard, correlazione che connota il tema della qualità edilizia, assuma una valenza ancora più marcata nei casi in cui operino strumenti urbanistici informati al principio della perequazione. Infatti, la soluzione perequativa, che tende ad attenuare gli impatti discriminatori della pianificazione a zone, sia in funzione di un meno oneroso acquisto in favore della mano pubblica dei suoli da destinare a finalità collettive, sia per conseguire un’effettiva equità distributiva della rendita fondiaria, si fonda su una serie di strumenti operativi che, letti senza un congruo ancoraggio con le necessità concrete cui si riferiscono, favoriscono astrazioni concettuali pericolose. L’utilizzo di formule retoricamente allettanti (aree di decollo, aree di atterraggio, pertinenze indirette, trasferimenti di diritti volumetrici et similia) non deve fare dimenticare che lo scopo della disciplina urbanistica non è la massimizzazione dell’aggressione del territorio, ma la fruizione, privata o collettiva, delle aree in modo pur sempre coerente con le aspettative di vita della popolazione che ivi risiede. In particolare, l’assenza di una disciplina nazionale sulla perequazione urbanistica (tanto più necessaria dopo che la Corte costituzionale ha affermato, con la sentenza del 26 marzo 2010 n, 121, che le “previsioni, relative al trasferimento ed alla cessione dei diritti edificatori, incidono sulla materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato”, con ciò rendendo dubbia la presenza di discipline regionali emanate prima della fissazione di un quadro organico statale - che non si limiti all’aspetto della mera documentazione della trascrizione dei diritti edificatori, di cui all’art. 5 comma 3 del D.L. 13 maggio 2011, n. 70) dimostra la viva necessità di una disamina concreta delle diverse previsioni adottate negli strumenti urbanistici, al fine di evitare che l’estrema flessibilità delle soluzioni operative adottate dalle singole Regioni si traduca in una lesione di ineliminabili esigenze di salvaguardia dei livelli qualitativi omogenei di convivenza civile (e la riconducibilità dell’attività amministrativa, intesa come “prestazione”, al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, proprio in rapporto a istituti di diritto dell’edilizia, è chiarissima nella giurisprudenza del giudice delle leggi, cfr. Corte Costituzionale, 27 giugno 2012 n. 164). Conclusivamente, la Sezione intende rimanere fedele al suo orientamento che vede lo standard urbanistico collocarsi spazialmente e funzionalmente in prossimità dell’area di intervento edilizio, al fine di legare strettamente e indissolubilmente commoda e incommoda della modificazione sul territorio. Sulla scorta delle coordinate appena indicate, appare del tutto palmare l’inidoneità della soluzione proposta dal Comune, che ha reperito gli standard collegati all’intervento edilizio proposto dalla parte privata appellata acconsentendo alla realizzazione di un’opera pubblica in area non contigua né funzionalmente collegata con quella di riferimento. Infatti, con l’accordo intervenuto tra il Comune e la CAMA s.r.l. si è stabilito che la società, in cambio della variazione della destinazione urbanistica dell’area di interesse, realizzasse a proprie spese gli interventi di risistemazione di un’area pubblica, ossia piazza della Vittoria, per un importo di circa €. 400.000 Euro. Si tratta di un’area collocata in zona non contigua né funzionalmente collegata con il sito dove avverrà la trasformazione urbanistica da residenziale a commerciale. Il primo giudice ha dato atto che le norme tecniche del PAT ammettono il ricorso alla procedura perequativa, disponendo in termini generali che per le aree interessate dalle linee di espansione residenziale la modalità perequativa consiste nella cessione del 50% dell’area che il PI attiverà, da destinare alla dotazione urbanistica o al trasferimento dei crediti edilizi. La stessa disposizione prevede inoltre che, in alternativa alla cessione delle aree e a seguito della valutazione operata da parte dell’amministrazione, potrà essere ammessa la realizzazione di opere di interesse pubblico, laddove l’amministrazione ne ravvisi l’opportunità. Tuttavia, interpretando il contenuto di tale disciplina, ha fondamentalmente scisso i due momenti, affermando che, “se è vero che in linea generale la medesima disposizione delle norme tecniche qui richiamata prevede che ai fini perequativi possano anche essere considerate aree distinte e non contigue, purchèé funzionalmente collegate, è anche vero che detta prescrizione si collega direttamente all’ipotesi ordinaria e cioè a quella per cui la modalità perequativa viene perseguita mediante la cessione di una percentuale delle aree che il PI attiverà. All’ipotesi diversa e derogatoria rispetto a tale previsione, ossia quella consistente nella realizzazione a spese del privato di opere di pubblico interesse, non pare applicabile anche l’invocato requisito della contiguità e funzionalità delle aree, per il semplice motivo che le valutazioni dell’amministrazione (valutazione che, richiamando il termine utilizzato nella stessa disposizione, è di opportunità) possono anche ravvisare l’interesse alla realizzazione di opere in altri ambiti del territorio comunale. In altre parole, una volta ammesso che ai fini della perequazione sia possibile anche compensare il vantaggio ricevuto con la realizzazione di un’opera pubblica, ciò non implica necessariamente che detta opera debba essere unicamente realizzata in aree funzionalmente collegate. In realtà come correttamente indicato nelle linee guida di cui alla delibera di Giunta n. 60/2010, è sufficiente che si tratti di opere rientranti nel programma triennale delle opere pubbliche e quindi che le stesse siano giustificate dalla programmazione comunale e dall’interesse pubblico sotteso alla loro realizzazione.” La Sezione contrasta decisamente tale assunto, proprio nella considerazione che la tipologia di esigenze pubbliche, che giustificano l’inserimento di un’opera nel programma triennale di cui all’art. 128 del codice appalti, non sono sovrapponibili a quelle che animano la disciplina degli standard urbanistici, visti i contesti topograficamente differenziati e gli interessi dimensionalmente distinti che li giustificano. In particolare, la vicenda qui in esame lo dimostra in maniera  lampante come gli interessi privati e pubblici sottesi ai due diversi provvedimenti siano addirittura opposti: infatti, se è vero che in una determinata area cittadina vi sarà un miglioramento della viabilità, è pur vero che in un’altra avrà luogo un parallelo peggioramento della qualità di vita, conseguente alla diversa dislocazione degli interventi edificatori. Il che contrasta con il criterio di radicamento territoriale degli standard sopra evidenziato e rende concreto quel pericolo di miopia concettuale sopra tratteggiato, dove il rispetto della costruzione teorica fa perdere di vista il risultato effettivamente conseguito e il suo impatto sul territorio. E deve essere rimarcato come il ricorso a concetti di più difficile concretizzazione, come appunto quello di interesse pubblico, non deve far dimenticare come questo non abbia una sua connotazione unica e globalizzante, ma sia oggettivamente complesso, frammentato e, nella sua connotazione più utilizzata, quella di interesse pubblico in concreto, sia il frutto di una ponderazione di tutti gli interessi, privati e pubblici, che si equilibrano nel procedimento. Il che rende ragione dell’insidiosità della sovrapposizione (e della ritenuta preminenza) dell’interesse concreto che ha giustificato la redazione di un atto amministrativo, come il piano triennale delle opere pubbliche, rispetto all’altro interesse concreto (ma individuato in generale in previsioni di rango legislativo e regolamentare) che impone il rispetto degli standard urbanistici. Pertanto, in riforma della pronuncia del primo giudice, deve darsi atto dell’effettivo contrasto degli atti gravati con l’art. 46 delle norme tecniche del PAT e delle linee guida approvate con delibera n. 60 del giorno 8 marzo 2010, con consequenziale declaratoria di illegittimità in parte qua".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 616 del 2014

Se il comune approva un nuovo piano degli interventi il ricorso contro il precedente P.I. vale anche contro il nuovo?

13 Feb 2014
13 Febbraio 2014

Alla domanda risponde sostanzialmente di si il Consiglio di Stato nella sentenza n. 616 del 2014, limitatamente alle previsioni di identico contenuto.

Dal punto di vista tecnico, il CDS ritiene che in quei casi vi sia una mera conferma delle previsioni già vigenti e nemmeno con valore novativo (e per questo, dunque, basta il primo ricorso).

Si legge nella sentenza: "1. - In via preliminare, occorre prendere posizione sull’eccezione di improcedibilità dell’appello, proposta dalla controinteressata CAMA s.p.a., dovuta all’intervenuta approvazione da parte del Comune di Oderzo in data successiva alla pubblicazione della sentenza gravata, di un nuovo piano degli interventi, denominato n. 2, sulla cui base si fonda ora la facoltà edificatoria e che pertanto l’accoglimento del gravame non porterebbe alcun vantaggio concreto all’appellante in quanto l’intervento edilizio potrebbe essere attuato sulla base del nuovo strumento.

1.1. - L’eccezione non può essere accolta. Osserva la Sezione come, in via generale (da ultimo, Consiglio di Stato, V, 26 settembre 2013, n. 479; id., 15 marzo 2010, n. 1280; ma anche in continuità con quanto già notato in sede cautelare dall’ordinanza n. 4458/2012), la declaratoria di improcedibilità di un ricorso giurisdizionale per sopravvenuta carenza di interesse può derivare o da un mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che faccia venire meno l'effetto del provvedimento impugnato, ovvero dall'adozione, da parte dell'Amministrazione, di un provvedimento che, idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi in gioco, pur senza avere alcun effetto satisfattivo nei confronti del ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, in ciò distinguendosi dalla cessazione della materia del contendere, che si verifica allorquando l'Amministrazione, in pendenza del giudizio, annulli o comunque riformi in maniera satisfattoria per il ricorrente il provvedimento amministrativo contro cui è stato proposto il ricorso. La pronuncia d’improcedibilità postula quindi una positiva verifica sulla sovrapponibilità non degli atti, astrattamente intesi come successione cronologica di provvedimenti emessi in un determinato ambito, ma dall’incompatibilità degli effetti che da questi derivano, qualora producano discipline tra loro incidenti nel medesimo segmento d’azione amministrativa. Nel caso in esame, il rapporto tra le due successive fasi procedimentali in esame, ossia quella che ha dato origine alla sentenza gravata, sulla base delle delibere descritte nella parte in fatto, e quella successiva, culminata con l’approvazione del nuovo piano di interventi, data con delibera consiliare n. 29 del 6 giugno 2012, non implica una parallela successione della disciplina applicabile nell’area in esame. Infatti, tra i due strumenti vi è una sostanziale continuità, specialmente per quanto riguarda gli interventi qui in scrutinio. In particolare, la delibera n. 15 del 2012, relativa all’adozione del piano n. 2, si appropria delle precedenti deliberazioni in materia, evidenziando l’inesistenza di una cesura disciplinare. Si legge, infatti, nella parte introduttiva della stessa delibera che “il Piano degli Interventi n. 2 per quanto riguarda la pianificazione recepisce il Piano degli Interventi vigenti conseguentemente le previsioni urbanistiche rimangono sostanzialmente invariate” e che “per quanto riguarda la variante approvata dal Consiglio comunale con la deliberazione n. 7 del 23/02/2011 su proposta della ditta CAMA, si confermano i contenuti della predetta deliberazione, conformandoli al presente Piano degli Interventi”. Non può quindi dirsi che il nuovo piano degli interventi abbia mutato la disciplina valevole in area e, in particolare, abbia inciso sull’intervento in esame, atteso che non vi è un’innovazione nell’ordinamento, ma una mera conferma delle previsioni già vigenti e nemmeno con valore novativo, atteso che la ripresa degli effetti non determina neppure un momento di iato dei tempi di efficacia, attesa l’evidenziata continuità delle previsioni già vigenti. Deve quindi respingersi la proposta eccezione d’improcedibilità".

sentenza CDS 616 del 2014

Per sottoscrivere un accordo ex art. 6 L.R. 11/2004 bisogna essere proprietari dell’area?

13 Feb 2014
13 Febbraio 2014

Nella sentenza n. 616 del 2014 il Consiglio di Stato risponde di no, ritenendo che basti un contratto preliminare.

Si legge nella sentenza: "3.1. - In relazione al primo motivo di appello, con cui è stata lamentata la violazione degli artt. 6 e 20 della legge regionale Veneto n. 11 del 2004, nonché l’eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, in quanto l’accordo sarebbe stato sottoscritto con la società XXX, nonostante questa non risultasse al momento della sottoscrizione proprietaria dell’area interessata dall’accordo, va ribadita la posizione del primo giudice, che ha rimarcato, in primo luogo, la non applicabilità delle norme invocate a parametro; in secondo luogo, la circostanza che nella specie non si è dato luogo al rilascio di un titolo edilizio, circostanza che naturalmente presuppone la titolarità o comunque la disponibilità giuridica dell’area sulla quale verrà realizzato un determinato intervento da parte del soggetto che avanza la richiesta; e infine, la sufficienza del contratto preliminare stipulato".

Rimozione dell’amianto ed ordinanza contingibile ed urgente

12 Feb 2014
12 Febbraio 2014

Il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, nella sentenza del 06 febbraio 2014 n. 337, si occupa del rapporto tra l’obbligo di rimozione del cemento-amianto e l’ordinanza sindacale contingibile ed urgente.

Alla luce sia del D.M. 06.09.1994 sia della legge n. 257/1992 non pare esserci un obbligo cogente e generalizzato di rimozione e/o smaltimento del cemento-amianto laddove esso sia in buone condizioni, come sottolinea anche la parte ricorrente: “È contestata la ricorrenza dei presupposti per far luogo all’emanazione dell’ordinanza contingibile ed urgente, che si è basata sull’ispezione della P.M., la quale si è limitata ad effettuare delle fotografie al tetto della chiesa, senza considerare che la presenza di materiali contenenti amianto non comporta di per sé un pericolo per la salute (DM 6/9/1994), occorrendo appurare la loro friabilità e considerare che la rimozione non è l’unico metodo di bonifica, essendone previsto anche l’incapsulamento”.

Al contrario, i Giudici sembrano far coincidere la presenza incontestata del cemento-amianto con la sua pericolosità atteso che: “Posto che la presenza (incontestata) di materiale contenente amianto sul tetto della Chiesa Madre di Grottaglie costituisce fonte di pericolo per la privata e pubblica incolumità, così da giustificare l’emissione dell’ordinanza contingibile ed urgente, la stessa non sfugge però alla necessità di un’adeguata istruttoria, dalla quale risultino quali specifiche prescrizioni debbano essere osservate, al fine di rimuovere la situazione pregiudizievole”.

Nel prosieguo della sentenza, però, correttamente si legge che l’ordinanza de qua è illegittima perché priva di adeguata istruttoria e motivazione, atteso che la rimozione del cemento-amianto non è ex se l’unica possibile forma di bonifica: “Nel caso di specie, l’esame del D.M. 6 settembre 1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).

Con detta norma tecnica sono dettate le indicazioni per la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che <<un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l'esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto>>.

A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione in ordine alla scelta di rimuovere la copertura della chiesa, palesa una inesatta modalità di esercizio del potere, astrattamente idoneo (per quanto detto) ad aggravare il fenomeno anziché risolverlo, allorché sia dimostrato che la rimozione costituiva una cattiva scelta per prevenire il pericolo alla salute pubblica.

Il provvedimento è pertanto illegittimo, per il denunciato vizio di difetto di istruttoria, e va conseguentemente annullato”.

 Lo scrivente è consapevole dell’estrema pericolosità e dei gravi danni fisici-psicologici-morali che l’esposizione continua, ma anche sporadica, alle fibre contenenti amianto causa alle vittime - ma anche ai loro familiari - sia nei luoghi di lavori sia nelle abitazioni private. Allo stato attuale, però, dalla legislazione vigente sembra davvero difficile affermare l’esistenza di un obbligo cogente di rimozione dello stesso, se esso non sia friabile e in cattivo stato manutentivo. Ovviamente ciò non esime i proprietari degli edifici aventi una copertura in cemento-amianto dal porre in essere l’obbligatoria valutazione del rischio dello stato del tetto; analogamente i vicini e/o i soggetti direttamente interessati possono sollecitare le autorità competenti - in primis l’A.R.P.A.V. - a verificare il rispetto del suddetto obbligo.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Puglia Lecce n. 337 del 2014

Se il comune si sbaglia nel calcolare il contributo concessorio può chiedere il conguaglio entro il termine di prescrizione

12 Feb 2014
12 Febbraio 2014

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 50 del 2014.

Scrive il TAR: "3.1. La concessione edilizia comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione, in quanto ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio partecipa agli oneri ad essa relativi (cfr., Cons. St., sez.V, 6 maggio 1997, n. 462). Esso ha natura, quindi, di corrispettivo di diritto pubblico.

3.2. La quantificazione dei contributi dovuti dal soggetto in cui favore è rilasciata la concessione è ordinariamente effettuata all'atto del rilascio della concessione medesima, ma il Comune, anche in seguito, ben può effettuare la rideterminazione dell'ammontare del contributo dovuto dal concessionario, in quanto il potere è espressione del generale principio di autotutela (cfr. T.A.R. Veneto, II, 1 febbraio 2011, nn. 181 e 189; Cons. St.,V, 30 settembre 1998, n. 1144) che può essere legittimamente esercitato ogni qual volta l'amministrazione si renda conto di essere incorsa, per qualsiasi ragione, in errore nella liquidazione o nel calcolo del contributo.

3.3. Ed invero, è stato inoltre ritenuto che, poiché l'eventuale errore nella determinazione dei costi di costruzione e degli oneri di
urbanizzazione configura un indebito oggettivo da parte dell'intestatario della concessione, la sola preclusione alla azionabilità del credito effettivamente dovuto è la prescrizione del diritto alla percezione degli oneri nel loro integrale ammontare (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 06 novembre 2002 , n. 4267).

3.4. Nella fattispecie oggetto di giudizio, peraltro, non vi è dubbio che l’errore commesso dall’amministrazione debba essere qualificato in termini di mero errore di calcolo, come è evidente per quanto riguarda la determinazione del costo di costruzione relativo alla parte
residenziale; ma come ugualmente può dirsi con riferimento al costo di costruzione relativo alla parte commerciale, che non era stato affatto calcolato con la prima determinazione (da intendersi invece limitata alla parte residenziale), non essendo stato ancora prodotto dalla ricorrente il relativo computo metrico. Con la conseguenza che quest’ultima non poteva far affidamento sulla correttezza o sulla definitività della originaria determinazione, essendo essa ben consapevole che il costo di costruzione relativo alla parte commerciale dell’edificio era ancora tutto da liquidare".

Il termine di prescrizione è quello ordinario di 10 anni.

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 50 del 2014

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC