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Le caratteristiche dei parcheggi pubblici e privati

24 Lug 2013
24 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 935, si occupa della distinzione tra parcheggi pubblici (di standard) realizzati in attuazione del piano particolareggiato e quelli privati considerati di pertinenza delle singole unità immobiliari come previsto dalla legge n. 122/1989.

 

A tal proposito: “i primi sono contemplati dall’art. 41 quinquies della L. n. 1150/1942, insieme agli spazi pubblici e al verde pubblico, e sono regolati dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444; tale regolamento, al fine di garantire un ordinato sviluppo del territorio ed alleviare il carico urbanistico, in particolare, definisce lo standard pubblico relativo ai parcheggi in quanto opere di urbanizzazione primaria e lo individua (all’art. 5, comma 2, per i nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, in 80 mq per ogni 100 mq di superficie lorda di pavimento), in aggiunta alle superfici a parcheggio previste dall'art. 18 L. n. 765/1967 (che ha introdotto l’art. 41 sexies nella L. n. 1150/1942). Viceversa, i parcheggi privati sono disciplinati da quest’ultimo articolo 41 sexies e dall’articolo 9 della L. 122/1989. Essi sono riservati agli abitanti delle unità residenziali o agli addetti delle unità non residenziali, e sono asserviti all’unità edilizia o immobiliare con vincolo di pertinenzialità. In tal caso la legge (al fine, più specifico, di decongestionare la viabilità pubblica, attraverso la previsione, in sede di nuove costruzioni, d’idonei spazi di ricovero degli autoveicoli dei proprietari dei appartamenti), prevede una diversa proporzionalità (un metro quadrato di parcheggio per ogni 10 metri cubi di costruzione) ed un rapporto pertinenziale d’uso inscindibile con l’unità immobiliare principale”.

 

Il Collegio altresì prosegue dichiarando che i parcheggi (pubblici) realizzati su suolo demaniale concesso in superficie o sopra il suolo privato, ma serventi ad uso pubblico, sono da considerarsi opere di urbanizzazione, ed ancora che i parcheggi ad suo pubblico sono “normalmente destinati, non solo, ai visitatori degli insediamenti residenziali e ai clienti o utenti degli insediamenti non residenziali, ma anche, in assenza di specifici divieti, alla più generica fruizione, ai fini di stazionamento e sosta degli autoveicoli, da parte della generalità dei cittadini.

13. Pertanto, i condomini ricorrenti non possono vantare alcun diritto all’uso esclusivo di tali spazi, essendo la loro posizione di vantaggio nei confronti di tali posti auto, parificabile a quella di un qualsiasi cittadino nei confronti di uno spazio a standard pubblico”.

Infine i Giudici riconoscono che: “in caso di mancanza di aree disponibili all’interno di un PUA, è ammessa la monetizzazione degli standard al fine di reperire altrove aree disponibili. Tale possibilità, già ammessa dalla giurisprudenza consolidata, è espressamente prevista dall’art. 32 della L.R. n. 11/2004 (e prima ancora lo era dall’art. 26 comma 7 della L.R. n. 61/1985)” e che: “Quanto alla prevista alienazione previa gara pubblica degli spazi di sosta realizzati su proprietà demaniale, essa è stata disposta in conformità all’art. 58 del D.L. n. 112/08, che facoltizza espressamente gli enti pubblici a dismettere la proprietà di beni non strumentali all’uso pubblico, previo inserimento di tali beni nel piano delle alienazioni immobiliari; inserimento che ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 935 del 2013

Il difetto di rappresentanza ex art. 182 c.p.c.

24 Lug 2013
24 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 934, si occupa del difetto di rappresentanza ex art. 182 c.p.c. secondo cui: “Il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi .

Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza , o l'assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”.

Il T.A.R., in particolare, compie un excursus normativo circa la portata di tale articolo sottolineando che: “secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. da ultimo, l’ordinanza n. 26465 del 09/12/2011) “il nuovo testo dell'art. 182, secondo comma, cod. proc. civ. (introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69), secondo cui il giudice, che rilevi la nullità della procura, assegna un termine per il rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa, non ha portata meramente interpretativa e non si applica, perciò, retroattivamente, atteso il tenore testuale fortemente innovativo della norma”.

Sicché non è sostenibile la tesi del carattere meramente interpretativo e della conseguente applicabilità retroattiva della norma dell'art. 182 c.p.c., secondo comma, come modificata dalla L. n. 69 del 2009.

Invece, secondo l’art. 182 c.p.c., secondo comma, nel testo ante riforma applicabile al caso in esame, può essere ammessa la sanatoria del vizio di rappresentanza processuale, nel caso in cui la società si costituisca a mezzo dell’organo al quale spettano effettivamente i poteri, ma naturalmente, se ed in quanto non si siano nel frattempo verificate decadenze; così non si sana l’impugnazione proposta dall’organo privo di poteri se la società o l’ente si costituisce con l’organo munito di poteri e ratifica dopo la decorrenza del termine per impugnare (cfr. Cass. n. 229/1980).

In proposito la Cassazione ha sempre affermato il principio per cui la sanatoria retroattiva della carenza di legittimazione processuale incontra l'insuperabile limite delle decadenze verificatesi a causa dello spirare del termine per proporre appello o ricorso per Cassazione (cfr., da ultimo, la sent. n. 3700/2012), con conseguente formazione del giudicato per difetto di tempestiva impugnazione”.

Tali principi - prosegue il T.A.R. - risultano applicabili anche al processo amministrativo con riferimento al termine per proporre il ricorso “con la conseguenza che (non trovando applicazione ratione temporis la previsione dell’efficacia totalmente retroattiva della ratifica di cui al nuovo testo dell’art. 182, 2° comma c.p.c.) la ratifica degli atti processuali del falsus procurator ad opera dell’organo societario effettivamente legittimato, non è efficace dopo la scadenza del termine per proporre ricorso.

Ciò in quanto gli effetti del ricorso non assistito da una valida procura ad litem non sono soggettivamente imputabili alla parte che il procuratore costituito dichiari di rappresentare, bensì o allo stesso procuratore in proprio (nel caso limite di inesistenza della procura) ovvero (in caso di procura rilasciata da soggetto privo dei poteri di rappresentanza processuale dell'ente per cui dichiara di agire) al sedicente rappresentante: sicché è palese che, nell'uno come nell'altro caso, né in capo al difensore né al procuratore processuale senza poteri è ravvisabile alcuna propria legittimazione rispetto alla causa che dichiarano di proporre in nome altrui, e di ciò il giudice deve dar atto dichiarando in capo a costoro (cioè al soggetto che è effettivamente costituito in giudizio) il difetto di legittimazione e, conseguentemente, l'inammissibilità della domanda. Né la ratifica, da parte del rappresentante, della procura al difensore per difendere la società in giudizio, conferita dal predetto soggetto sprovvisto di potere di rappresentanza, costituisce atto idoneo a conferire la legittimazione processuale a chi ne è privo (cfr. Cons. Giust. amm. sic. n. 191/2006)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 934 del 2013

Ecco la sentenza che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la riforma delle Province

24 Lug 2013
24 Luglio 2013

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 19 luglio 2013 n. 220, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del d.l n. 201 del 2011, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011 e degli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012, con i quali si è realizzata una riforma organica delle Province tramite la decretazione d’urgenza violando l’art. 77 Cost.

Ecco le motivazioni in diritto: “Da quanto detto si ricava una prima conseguenza sul piano della legittimità costituzionale: ben potrebbe essere adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunità politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si ricava altresì, in senso contrario, che la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d’urgenza».

I decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità. Per questo motivo, il legislatore ordinario, con una norma di portata generale, ha previsto che il decreto-legge debba contenere «misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri»). La norma citata, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo, in quanto recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla costruzione di nuove strutture istituzionali, senza peraltro che i perseguiti risparmi di spesa siano, allo stato, concretamente valutabili né quantificabili, seppur in via approssimativa”.

Di conseguenza, atteso che: “Sin dal dibattito in Assemblea costituente è emersa l’esigenza che l’iniziativa di modificare le circoscrizioni provinciali – con introduzione di nuovi enti, soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini dei rispettivi territori – fosse il frutto di iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i loro più immediati enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte dall’alto.

Emerge dalle precedenti considerazioni che esiste una incompatibilità logica e giuridica – che va al di là dello specifico oggetto dell’odierno scrutinio di costituzionalità – tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza, e la necessaria iniziativa dei Comuni, che certamente non può identificarsi con le suddette situazioni di fatto, se non altro perché l’iniziativa non può che essere frutto di una maturazione e di una concertazione tra enti non suscettibile di assumere la veste della straordinarietà, ma piuttosto quella dell’esercizio ordinario di una facoltà prevista dalla Costituzione, in relazione a bisogni e interessi già manifestatisi nelle popolazioni locali”, i Giudici del Palazzo della Consulta ritengono che: “A prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza nel merito di tale argomentazione con riferimento alla legge ordinaria, occorre ribadire che a fortiori si deve ritenere non utilizzabile lo strumento del decreto-legge quando si intende procedere ad un riordino circoscrizionale globale, giacché all’incompatibilità dell’atto normativo urgente con la prescritta iniziativa dei Comuni si aggiunge la natura di riforma ordinamentale delle disposizioni censurate, che introducono una disciplina a carattere generale dei criteri che devono presiedere alla formazione delle Province. Per quest’ultimo profilo valgono le considerazioni già sviluppate nel paragrafo 12.1”.

C. Cost. n. 220 del 2013

La repressione dell’abuso edilizio non richiede la comunicazione dell’avvio del procedimento

23 Lug 2013
23 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 930, chiarisce che la repressione degli abusi edilizi è un atto vincolato dell’Amministrazione per cui: “quanto all’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, si osserva che la giurisprudenza del Consiglio di Stato, da cui non vi è ragione di discostarsi, ritiene che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto (tra gli altri, Cons. Stato, VI, 31 maggio 2013 n. 3010; IV, 10 agosto 2011, n. 4764; IV, 20 luglio 2011, n. 4403; VI, 24 settembre 2010, n. 7129)”.

 

Nel caso di specie il ricorrente aveva trasformato una vasca per i fiori in una piscina, senza il corrispondente titolo abilitativo, realizzando una trasformazione fisica non puramente funzionale all’opera già esistente, ma un nuovo ed autonomo organismo edilizio.

 

Di conseguenza il Collegio afferma che: “l’intervento, essendo qualificabile di ristrutturazione edilizia, richiedeva il permesso di costruire, con conseguente applicabilità, in mancanza, dell’obbligo di demolizione previsto dall’art. 33, D.P.R. n. 380/2001, da intendersi, tuttavia, nel caso di specie, come obbligo di ripristino della vasca per fiori (riempita completamente di terra, come prescritto dalla Commissione Edilizia) e non come obbligo di demolizione della struttura in cemento che è stata autorizzata con DIA e successivamente sanata con il permesso del 1.02.2011”.


dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 930 del 2013

La definizione di controinteressato formale e sostanziale

23 Lug 2013
23 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 923, chiarisce che nel processo amministrativo assume la veste di controinteressato “esclusivamente quel soggetto nominativamente indicato nel provvedimento gravato o, come detto, agevolmente individuabile dallo stesso e che, contestualmente, vanti un interesse contrario alla rimozione del provvedimento, rimozione che potrebbe comportare effetti negativi per la propria sfera giuridica (Cons. Stato Sez. V 24 settembre 2003 n.5462; idem 21 gennaio 2002 n. 72)”.

Inoltre “Accanto a tale nozione di controinteressato, c.d. in senso formale, la giurisprudenza ha pure dato accesso alla nozione di controinteressato in senso sostanziale che può anche non coincidere con i controinteressati in senso formale, ma che riguarda i soggetti titolari di una posizione incompatibile o contraria con quella dedotta in giudizio ( cfr Cons. Stato Sez. IV 12 novembre 2002 n. 7257).

Ebbene, in quest'ultima ipotesi è necessario che il provvedimento incida una pluralità di situazioni giuridiche in modo chiaro ed univoco, nei termini espressi dal contenuto motivazionale dell'atto.

E’ solo dalla motivazione del provvedimento, infatti, che è possibile rilevare, in relazione al rapporto giuridico definito dal provvedimento, la presenza di soggetti interessati a conservare posizioni giuridiche soggettive di tipo opposto ed antitetico a quelle pregiudizievoli del destinatario dell'atto che, invece, vuole ed ha interesse a rimuovere attraverso l’annullamento del provvedimento.

Peraltro, una significativa parte della giurisprudenza, ritiene necessario, per l’individuazione della riportata figura processuale, la contemporanea presenza dei due riferiti requisiti (formale e sostanziale) (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Sez. giur., 15 giugno 2007, n.451)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR n. 923 del 2013

È possibile che la dichiarazione ex art. 38 D. Lgs. 16372006 riguardi un terzo?

22 Lug 2013
22 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, nella stessa sentenza n. 928/2013, si sofferma anche sulle dichiarazioni rese, ex art. 38 D. Lgs. 16372006, dal legale rappresentante della con riferimento ad un amministratore cessato dalla carica anziché dallo stesso soggetto (cessato): “a tal proposito va osservato che il Consiglio di Stato ha rimeditato la propria, precedente posizione (V, 26.1.2009 n. 375) precisando che, “trattandosi di dichiarazione che concerne stati, fatti e qualità riguardanti terzi (e non il medesimo dichiarante) questa non può che essere resa se non <per quanto a conoscenza> del dichiarante medesimo, non potendo questi procedere ad autocertificazione (con assunzione delle conseguenti responsabilità, anche penali, per dichiarazione mendace) su fatti, stati e qualità della cui veridicità non è detto che egli sia a conoscenza….ben potendo l’amministrazione – a fronte di una compiuta identificazione dei soggetti interessati – procedere alle opportune verifiche, anche attraverso il casellario giudiziale ed altri archivi pubblici (ai quali essa, a differenza del dichiarante, ha accesso), in ordine alla sussistenza (o meno) dei requisiti in capo a tali soggetti” (V, 27.6.2011 n. 3862). Orientamento, questo, che è stato fatto proprio anche dal CGA (7.11.2011 n. 784) e ribadito dallo stesso Consiglio di Stato (V, 6.7.2012 n. 3966) sul rilievo che “è solo rispetto alla condizione di un soggetto che sia ormai cessato dalla carica, invero, che l’impresa potrebbe versare in una condizione di sostanziale impossibilità di ottenere una dichiarazione resa dall’interessato, e, nello stesso tempo, potrebbe non disporre essa (più) delle conoscenze necessarie a rendere una dichiarazione riflettente la posizione individuale dell’ex collaboratore. Sicché unicamente per casi del genere può apparire giustificata una lettura attenuatrice dell’onere di legge, in ragione della sostanziale inesigibilità di una dichiarazione rigorosamente impegnativa dell’impresa sul conto del suo ex collaboratore”. Senza contare, peraltro, che tale decisione ha altresì posto in risalto la differenza esistente tra l’aver dichiarato che un quid costituisca – come nel caso di specie - oggetto di “diretta conoscenza” del dichiarante (con tale dichiarazione, invero, si attesta la verità di un fatto, ancorché relativo ad un terzo, grazie alla circostanza che di esso anche il dichiarante possiede una conoscenza diretta: si tratta, quindi, di una dichiarazione che implica una precisa assunzione di responsabilità), e, invece, che una certa condizione sussista “per quanto di propria conoscenza” (ove si lascia oggettivamente aperta la possibilità che l’assetto delle cose non sia nel senso dichiarato, sicché non comporta una effettiva assunzione di responsabilità da parte del dichiarante). Fermo restando, comunque, che qualora si contestasse la parzialità della dichiarazione, allora si dovrebbe ritenere corretto e ragionevole il ricorso della stazione appaltante al potere di integrazione documentale di cui all’art. 46, I comma del DLgs n. 163 del 2006, attesa l’incompletezza della dichiarazione stessa (CdS, IV, 4.7.2012 n. 3925; III, 8.6.2012 n. 3393; V, 31.1.2012 n. 467)”.

dott. Matteo Acquasaliente

Da quando decorre il termine per impugnare la mancata aggiudicazione dell’appalto a proprio favore?

22 Lug 2013
22 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 928, afferma che il termine per impugnare - a pena di irricevibilità del ricorso - l’aggiudicazione definitiva decorre da quanto la ditta partecipante (non aggiudicataria) ha avuto conoscenza di ciò, ex art. 79, c. 5, lett. a), D. Lgs. 163/2006, secondo cui: “In ogni caso l'amministrazione comunica di ufficio:

a) l'aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, all'aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un'offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l'esclusione, o sono in termini per presentare dette impugnazioni, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni non siano state ancora respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva”.

 

A tal proposito il Collegio scrive che il ricorso “È irricevibile in quanto il gravame risulta notificato all’Amministrazione ed alla controinteressata oltre il termine perentorio decorrente dal 6.12.2012 (e, comunque, oltre il decimo giorno successivo a tale data: cfr. CdS, VI, ord. 11.2.2013 n. 790), allorquando la stazione appaltante ha comunicato, ai sensi dell’art. 79, V comma del codice dei contratti, l’aggiudicazione definitiva (in capo a Serenissima) del servizio oggetto di gara a tutti i concorrenti ammessi, ivi compresa all’odierna ricorrente. In tale momento, infatti, CIR ha avuto piena conoscenza dell’atto lesivo (che è l’aggiudicazione della gara ad un soggetto diverso da se stessa), e da tale momento, dunque - e non da quello successivo in cui l’aggiudicazione avrebbe (eventualmente) acquisito efficacia - decorreva il termine per impugnare la mancata aggiudicazione nei propri confronti, da far valere chiedendo l’esclusione di entrambe le imprese che la precedevano: giacchè l’interesse a rivendicare l’aggiudicazione contestando la mancata esclusione di una concorrente dalla procedura concorsuale sorge, a prescindere dalla posizione ricoperta nella graduatoria, con la conoscenza che la gara è stata aggiudicata ad altro concorrente, né valgono a riaprire i termini per l’impugnazione non tempestivamente proposta eventuali scorrimenti della graduatoria dovuti alla successiva eliminazione dell’aggiudicataria e/o di ulteriori candidate (in sede di autotutela o giurisdizionale) per riscontrata carenza dei requisiti, e ciò in quanto l’interesse all’impugnazione non è correlato e/o condizionato al numero di concorrenti che precedono nella graduatoria (cfr., in tal senso, CdS, V, 20.7.2011 n. 4456)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Venento n. 928 del 2013

Regione Veneto: trasmissione dei documenti regionali tramite casella di posta elettronica certificata

22 Lug 2013
22 Luglio 2013

La Deliberazione della Giunta Regionale n. 1050 del 28 giugno 2013 reca "Adempimenti di cui agli artt. 4, 5 e 6 del D.L. 18/10/2012, n. 179/2012, convertito in Legge 17/12/2012, n. 221 - Disposizioni relative alle comunicazioni telematiche tra la Regione, i cittadini e le imprese: trasmissione dei documenti regionali tramite casella di posta elettronica certificata".

Il  provvedimento dà attuazione alle recenti disposizioni statali che, innovando il Codice dell'Amministrazione Digitale, hanno indicato nella posta elettronica certificata il canale unico nazionale a rilevanza giuridica per le comunicazioni e le presentazioni di istanze tra Amministrazioni Pubbliche e tra Amministrazioni, cittadini ed imprese, con l'obiettivo prioritario di abbattere i tempi della corrispondenza tradizionale ed i costi di spedizione.

DGRV 1050 del 2013

1050_AllegatoA_252103.pdf

Pubblicato il commento alla legge sul commercio curato dal prof. Barel e dalla dott.sa Vidotti

18 Lug 2013
18 Luglio 2013

Segnaliamo che è stato pubblicato il commento alla L.R.  50 del 2012 in materia di commercio, a cura del prof. Bruno Barel e della dott.sa Giorgia Vidotti, con la collaborazione di numerosi autori.

Il libro è reperibile nelle edicole, insieme col Corriere del Veneto.

copertina e autori

La Corte dei Conti e l’uso della graduatoria del concorso pubblico di un altro Comune

18 Lug 2013
18 Luglio 2013

La normativa che consente ad una Pubblica Amministrazione di realizzare lo c.d. scorrimento della graduatoria concernente un concorso pubblico di un’altra Amministrazione, anziché indire un autonomo concorso, è contenuta nell’art. 3, c. 61, l. 350/2003 (legge finanziaria 2004) secondo cui: “I termini di validità delle graduatorie per le assunzioni di personale presso le amministrazioni pubbliche che per l'anno 2004 sono soggette a limitazioni delle assunzioni sono prorogati di  un anno. La durata delle idoneità conseguite nelle procedure di valutazione comparativa per la copertura dei posti di professore ordinario e associato di cui alla legge 3 luglio 1998, n. 210, e successive modificazioni, è prorogata per l'anno 2004. In attesa dell'emanazione del regolamento di cui all'articolo 9 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, le amministrazioni pubbliche ivi contemplate, nel rispetto delle limitazioni e delle procedure di cui ai commi da 53 a 71, possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate”.

 Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 19 maggio 2011 n. 864, ritiene che l’inciso “previo accordo tra le amministrazioni interessate” comprenda anche il “nulla osta” rilasciato da un ente: la norma citata infatti non ritiene necessaria una convenzione ad hoc tra gli enti poiché “5.1. In realtà la norma sopra citata ed il regolamento comunale sull’accesso, che costituisce, come sopra chiarito, la fonte normativa del procedimento di assunzione per cui è causa, non fanno alcun riferimento ad alcuna convenzione ma unicamente al “previo accordo”, concetto che implica l’intesa e il consenso delle due amministrazioni in ordine all’utilizzo, da parte di una di esse, della graduatoria concorsuale in corso di validità relativamente a posti di uguale profilo e categoria professionale rispetto a quelli per cui opera il suddetto utilizzo.

5.2. E nella specie il previo accordo tra le due amministrazioni - anche a prescindere dalla modifica del regolamento comunale che ha mutato l’inciso “previo accordo” in “previo accordo o nulla osta” - è certamente intervenuto (cfr. doc. 9 e 10 dep. il 7/9/2010 nel fascicolo di parte resistente) in termini tali da soddisfare il presupposto di legge.

E comunque non c’è una differenza sostanziale tra una convenzione preliminare all’utilizzo della graduatoria ed un accordo che comunque subordini la decisione di utilizzo della graduatoria al nulla osta dell’amministrazione che tale possibilità conceda ad un ente diverso”.

Di diverso avviso, però, è la Procura della Corte dei Conti per la Regione Veneto, la quale tende a considerare necessaria l’esistenza di una convenzione specifica tra le Pubbliche Amministrazione e sta inviando inviti a dedurre ai soggetti responsabili dello scorrimento della graduatoria senza convenzione.

Si invitano dunque gli enti che vogliono utilizzare lo c.d. scorrimento della graduatoria di un altro Comune a porre in essere dei previ accordi/convenzioni al fine di evitare eventuali accertamenti della magistratura contabile.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 864 del 2013

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