Tag Archive for: Amministrativo

Sulla giurisdizione amministrativa e ordinaria in materia espropriativa

31 Lug 2013
31 Luglio 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Campania - Napoli n. 3879 del 2013.

Scrive il TAR: "In punto di giurisdizione la Sezione ritiene di non aver motivo per discostarsi nella circostanza dall’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione delle ipotesi in cui l’Amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa come mancanza di qualunque facultas agendi vincolata o discrezionale di elidere o comprimere detto diritto – devolute come tali alla giurisdizione ordinaria, sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione - anche ai fini complementari della tutela risarcitoria - di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all'interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi, purchè vi sia un collegamento all’esercizio della pubblica funzione (Cons. Stato, IV, 4.4.2011, n.2113; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 18.12.2008, n.1796; 1.6.2007, n.466; Cons. Stato, A.P. 30.7.2007, n.9 e 22.10.2007, n. 12; T.A.R. Basilicata, 22.2.2007, n.75; T.A.R. Puglia, Bari, III, 9.2.2007, n.404; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18.12.2007, n.6676; T.A.R. Lazio, Roma, II, 3.7.2007, n.5985; T.A.R. Toscana, I, 14.9.2006, n.3976; Cass. Civ., SS.UU.,  20.12.2006, nn. 27190, 27191 e 27193). Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa rientrano nella giurisdizione ordinaria, così come il giudice amministrativo - nello stabilire l’importo del danno da ablazione illegittima - non può includervi anche  quanto dovuto per il periodo di occupazione legittima, la cui valutazione pure è di spettanza del giudice ordinario a norma degli artt. 53, comma 3 e 54 T.U. 8 giugno 2001, n. 327, viceversa sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in caso di danni conseguenti all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità e, in generale, di un provvedimento amministrativo in tema di espropriazione per pubblica utilità.
2.1 Chiarito che in materia di espropriazione sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ogni qualvolta la richiesta risarcitoria oggetto del giudizio tragga origine da una procedura espropriativa avviata e non conclusa, va ricordato che ancora di recente si è affermato (Cons. Stato, IV, 2.3.2010, n.1222) che l’art.53 del DPR n.327/2001, per come ispirato al principio di concentrazione dei giudizi, ha attribuito rilevanza decisiva ai provvedimenti che impongono il vincolo preordinato all’esproprio e a quelli che dispongono la dichiarazione di pubblica utilità: una volta attivato il procedimento caratterizzato dall’esercizio del pubblico potere, sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva in relazione a tutti i conseguenti atti e comportamenti e ad ogni controversia che sorga su di essi, anche quando trattasi di procedimenti espropriativi diretti alla esecuzione dei lavori per la realizzazione o la modificazione di un’opera pubblica e di atti strumentali alla realizzazione di detta finalità pubblica (Cass. Civ., SS. UU., ord.za 16.12.2010, n.25393). Si è dunque in presenza di una fattispecie riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per come derivante da esercizio di un pubblico potere, anche nel caso in cui si lamenti formalmente l’occupazione di aree non comprese nell’ambito della procedura espropriativa, ma in realtà si abbia riguardo al decreto di esproprio, cioè alla determinazione del suo effettivo contenuto, per la dedotta occupazione di una superficie superiore a quella presa in considerazione da una precedente ordinanza di occupazione d’urgenza, poiché ai fini della liceità o meno va verificato lo specifico contenuto degli atti e degli accordi posti in essere nel corso del procedimento ablatorio".

sentenza TAR Campania - Napoli 3879 del 2013

Incostituzionale anche la legge veneta sull’addestramento dei cani da caccia

31 Lug 2013
31 Luglio 2013

La Corte Costituzionale, con la sentenza 193/2013 depositata il 17 luglio 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle recenti disposizioni di Veneto e Lombardia che avevano sancito la possibilità di estendere l’addestramento dei cani da caccia su tutto il territorio regionale e fuori dai periodi consentiti dal calendario venatorio. In particolare, sono stati dichiarati incostituzionali l’art. 2, comma 3, della legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 ( Disciplina della attività di movimento dei giovani cani nella parte in cui prevede che l’attività di movimento di giovani cani da esso consentite possano riguardare i giovani cani da destinare all’esercizio della attività venatoria), l’art. 2 comma 2 della legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (disciplina delle attività di movimento dei giovani cani nella parte in cui, rinviando all’art. 4 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 1993, n. 60 consente che si possa procedere alla identificazione dei giovani cani mediante tatuaggio)e la legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria»). I rilievi alla Corte erano stati mossi dal Presidente del Consiglio dei Ministri con ricorsi notificati il 2 e il 4 ottobre 2012 e il 16 e il 19 ottobre 2012. In entrambi i ricorsi si contestava la possibilità di aprire l’attività di addestramento cani prima del periodo consentito e su tutto il territorio regionale

La Regione Veneto, costituita in giudizio, rilevava che gli articoli impugnati riguarderebbero norme che, in assenza di necessarie disposizioni attuative-integrative della disciplina, erano inidonee a generare un vulnus alle prerogative costituzionali garantite dallo stato in materia ambientale. Secondo la Regione, l’art. 2 comma 3, non si sarebbe posto in contrasto con l’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione in quanto “in primo luogo, la norma regionale escluderebbe inequivocabilmente la praticabilità delle attività di movimento dei giovani cani nelle zone di protezione previste dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e nelle zone di protezione della fauna previste dalla legge n. 157 del 1992, in evidente conformità alla finalità di conservazione dell’ambiente e della fauna selvatica alle quali entrambe le regolazioni di tipo statale sono indiscutibilmente finalizzate. In secondo luogo, lo stesso art. 2 citato, al comma 5, attribuisce alla Giunta regionale il compito di definire modalità attuative e limiti all’applicabilità della norma, in attinenza con la specificità delle razze e le peculiarità agronomiche, faunistiche e orografiche del territorio; mentre il successivo articolo 3 conferisce alla Provincia il potere di emanare, in aggiunta a quelli di spettanza della Giunta regionale, ulteriori limitazioni ai luoghi, agli orari ed al periodo di esercizio delle attività motorie de quibus. Ne conseguirebbe, a parere della Regione, che sia l’organo esecutivo regionale che la Provincia, nell’ambito delle rispettive competenze, potranno, con successivo autonomo intervento attuativo, introdurre quelle limitazioni giustificate dalla morfologia del territorio interessato dall’attività, al fine di mantenere inalterato l’obiettivo di tutela perseguito dal legislatore statale anche escludendo delle zone del territorio regionale e vietando l’esercizio delle attività de quibus nei periodi interessati dalla nidificazione. Passando all’esame dell’art. 2, comma 2, la difesa della Regione osserva che la norma rinvia all’anagrafe canina ed al sistema di identificazione ai sensi dell’art. 4 della legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60 (Tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo) e che tale art. 4 contempla espressamente non solo la tecnica di identificazione mediante tatuaggio ma anche «altro sistema di identificazione indicato dalla Giunta regionale»”.

Secondo la Corte, invece, “la norma censurata ha ad oggetto, tra l’altro e per quanto qui interessa, l’attività di movimento dei giovani cani «ivi compresi quelli da destinare all’esercizio di attività venatoria» con «insegnamenti comportamentali secondo lo stile di razza». Tale attività, ad avviso di questa Corte, non può che identificarsi con quella di addestramento ed allenamento dei cani da caccia, poiché ad altro non può alludere il riferimento agli «insegnamenti comportamentali» quando si tratta di razza utilizzata per la caccia”. Ne consegue, sempre secondo la Corte, che “anche in questo caso si deve pertanto concludere nel senso della illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.”.

Quanto al comma 2 dell’art. 2 della legge della Regione Veneto n. 31 del 2012, esso rinviando all’art. 4 della legge regionale n. 60 del 1993 (Tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo), che ammette il sistema di identificazione dei cani mediante tatuaggio, contrasterebbe sia con la normativa comunitaria, in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., sia con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. secondo la Corte “l’art. 4 della legge regionale n. 60 del 1993, cui la norma impugnata rinvia, contempla espressamente il sistema di identificazione mediante tatuaggio, sia pure in alternativa ad «altro sistema di identificazione indicato dalla Giunta regionale». Ciò è in palese contrasto con l’art. 4, comma 1, del Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 998/2003 del 26 maggio 2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di Polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia e che modifica la direttiva 92/65/CEE del Consiglio). La norma comunitaria, infatti, prevede che, dopo un periodo transitorio (di otto anni), nel corso del quale sono consentiti quali mezzi di identificazione dei cani sia il tatuaggio sia il sistema elettronico di identificazione (cosiddetto trasponditore o microchip), a decorrere dal 3 luglio 2012 i cani si identificano solo con il microchip… La norma impugnata è quindi costituzionalmente illegittima nella parte in cui consente, attraverso il rinvio al procedimento di identificazione ai sensi dell’art. 4 della legge regionale n. 60 del 1993, che si possa procedere alla identificazione dei giovani cani mediante tatuaggio.”

dott.sa Giada Scuccato

corte cost. 193-2013

Se il tribunale annulla il titolo edilizio, va disposta la rimessione in pristino; la sanzione pecuniaria è applicabile soltanto in caso di annullamento per vizi formali e non sostanziali

30 Lug 2013
30 Luglio 2013

Lo ribadisce il TAR Veneto nella sentenza n. 939 del 2013.

Scrive il TAR: "Sul punto va richiamato l’orientamento già espresso dal Tribunale, col quale è stato sottolineato che ” … a seguito dell’annullamento del titolo edilizio, l’amministrazione è tenuta in via di principio, quale conseguenza vincolata del disposto annullamento, ad ordinare la rimessione in pristino; che quindi la misura reale costituisce conseguenza diretta e doverosa a fronte di un intervento che è stato realizzato in forza di un titolo annullato, come nel caso di specie, per contrasto con le prescrizioni urbanistiche disciplinanti l’area nella quale è stato realizzato; ritenuto, come già osservato dal Tribunale in fattispecie analoga, che “…la regola immanente all’art. 38, comma 1 D.P.R. 380 del 2001 è rappresentata dall’operatività della sanzione reale che, in quanto effetto primario e naturale derivante dall’annullamento del permesso di costruire (così come della sua mancanza ab origine) non richiede all’amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. La sanzione alternativa pecuniaria, ex at. 38, comma 1 D.P.R. 380 del 2001 deve intendersi, infatti, riferita alle sole costruzioni assentite mediante titoli abilitativi annullati per vizi formali, e non anche sostanziali” (così, T.A.R. , Veneto, II, n. 1772/2011)” (cfr. T.A.R. Veneto, II, ord. n. 115/2013)".

sentenza TAR Veneto 939 del 2013

Provincia di Verona: nuovo PTCP 2013 – adottato con DCP n. 52 del 27/06/2013 – misure di salvaguardia

30 Lug 2013
30 Luglio 2013
Il Nuovo Piano Territoriale Coordinamento Provinciale è stato adottato con deliberazione di Consiglio Provinciale n. 52 del 27 giugno 2013.
Dell'avvenuto deposito presso la Provincia di Verona è stata data notizia nel BURV n. 61 del 2013

Tutti gli elaborati del nuovo PTCP adottato sono consultabili al seguente link

Per quanto riguarda il PTCP, il Rapporto Ambientale e la Sintesi non tecnica del PTCP chiunque potrà far pervenire le proprie osservazioni, preferibilmente utilizzando la modulistica disponibile sul sito della Provincia di Verona, entro venerdì 20 settembre 2013.

Art. 2 – Normativa tecnica

1. Ai sensi dell’art. 22, comma 3, lett. c), della L.R. 11/2004 la presente normativa tecnica di PTCP è costituita da:

a. direttive, ovvero il complesso di disposizioni volte a fissare obiettivi di trasformazione, tutela e valorizzazione del territorio necessari per la redazione degli strumenti di pianificazione di livello inferiore, dei piani settoriali del medesimo livello di pianificazione o di altri atti di pianificazione o programmazione degli enti pubblici;

alle disposizioni incompatibili dei vigenti strumenti di pianificazione – gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite;

b. prescrizioni, ovvero il complesso di norme che incidono direttamente sul regime urbanistico dei beni disciplinati e regolano – in via immediata e prevalente rispetto  alle disposizioni incompatibili dei vigenti strumenti di pianificazione – gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite;

c. vincoli, ovvero l’indicazione degli effetti prodotti da fonti giuridiche diverse dal PTCP che incidono direttamente sul regime giuridico dei beni disciplinati, regolando gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite secondo le modalità previste dalle singole normative istitutive dei vincoli stessi.

2. Negli articoli che seguono, all’inizio di ciascun comma, e, ove occorra, all’inizio di ciascun paragrafo, viene esplicitato fra parentesi se la norma costituisce una prescrizione

(P). In mancanza di diversa indicazione, la norma deve intendersi come direttiva da attuare nella redazione dei piani di competenza comunale.

3. Il PTCP, nella parte in cui descrive vincoli giuridici preesistenti e derivanti da fonti giuridiche diverse, svolge una funzione meramente ricognitiva della condizione giuridica delle aree già determinatasi in forza di norme giuridiche comunitarie, statali o regionali vigenti. Ciascun tipo di vincolo resta individuato e disciplinato integralmente ed esclusivamente dalle norme e dai provvedimenti istitutivi; rimane pertanto priva di autonomi effetti giuridici la riproduzione cartografica di detti vincoli nel PTCP nel caso in cui quest’ultima, per eventuali errori o imprecisioni, differisca nella esatta localizzazione o estensione dell’ambito individuato dalle norme e dai provvedimenti istitutivi del vincolo.

 Ai sensi e per gli effetti dell'art. 29, comma 2, della L.R. 11/2004: " 2. Dall'adozione del piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), o di loro eventuali varianti e fino alla loro entrata in vigore, e comunque non oltre cinque anni dalla data di adozione, il comune è tenuto a sospendere ogni determinazione sulle domande relative ad interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio che risultino in contrasto con le prescrizioni e i vincoli contenuti nei piani."

 Elenco delle prescrizioni del PTCP adottato che fanno salvaguardia:

  Art. 49 - Area nucleo, isola ad elevata naturalità e corridoio ecologico

Art. 73 - Poli scolastici5. (P) Fino all’approvazione degli accordi di cui ai commi precedenti sono ammessi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria su tutti gli edifici esistenti adibiti ad

1. (P) Nelle more dell’adeguamento dei piani di competenza comunale al PTCP all’interno delle aree nucleo, delle isole ad elevata naturalità e corridoi ecologici è comunque ammessa:

a. la realizzazione di edificazioni private, secondo le previsioni degli strumenti urbanistici comunali vigenti e secondo le norme che derogano agli stessi, qualora i soggetti attuatori degli interventi utilizzino accorgimenti costruttivi atti a minimizzare l'impatto ambientale, paesaggistico, il consumo energetico e gli effetti da inquinamento acustico e luminoso, adottando tecniche di bioingegneria e ingegneria ambientale;

b. la realizzazione di infrastrutture di interesse pubblico strade, ferrovie, edifici, impianti, ecc , adottando tecniche di bioingegneria e ingegneria ambientale.

2. (P) I progetti di nuova costruzione di infrastrutture di interesse pubblico (strade, ferrovie, edifici, impianti, ecc) dovranno prevedere interventi di compensazione ambientale idonea a mantenere costante o migliorare l’indice di equilibrio ecologico esistente, quantificati con metodi analitici.

Art. 50 - Area di connessione naturalistica

1. (P) I progetti di nuova costruzione di infrastrutture di interesse pubblico (strade, ferrovie, edifici, impianti, ecc) dovranno prevedere interventi di compensazione ambientale idonea a mantenere costante o migliorare l’indice di equilibrio ecologico esistente, quantificati con metodi analitici.

 Art. 73 - Poli scolastici

5. (P) Fino all’approvazione degli accordi di cui ai commi precedenti sono ammessi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria su tutti gli edifici esistenti adibiti ad istruzione superiore.
Art. 74 - Infrastrutture scolastiche non connesse

1. (P) Per le infrastrutture esistenti non connesse è prevista la manutenzione ordinaria e straordinaria nonché gli ampliamenti necessari per la funzionalità dell’immobile esistente finalizzati agli indirizzi scolastici presenti all’adozione del presente piano e di quelli strettamente connessi e subordinatamente all’accertamento da parte della Provincia dell’inopportunità del trasferimento in uno dei poli scolastici individuati.

Art. 78 – Rete viaria principale.

1. (P) L'accesso a questa rete viaria potrĂ  avvenire solamente attraverso svincoli con viabilitĂ  pubblica di vario rango, escludendo accessi privati, eventualmente da servirsi attraverso controstrade da ricondurre agli svincoli regolamentari.

2. (P) Sulle strade ad una corsia per ogni senso di marcia sarĂ  possibile la realizzazione di impianti di rifornimento carburanti solamente se rispondenti alle norme vigenti in materia prevedendo necessariamente, salva impossibilitĂ  tecnica, la predisposizione di impianti fronteggianti, anche se sfalsati, e visibili nei due sensi di marcia in modo da evitare l'attraversamento dei flussi di traffico.

La proroga dell’autorizzazione di una media struttura di vendita

29 Lug 2013
29 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 24 luglio 2013 n. 981, si occupa della proroga per l’attivazione di alcune medie strutture di vendita, materia attualmente regolata dalla Legge Regionale Veneto n. 50/2012: “La legge regionale n° 42 del 2012 è stata pubblicata sul BUR del 2 Novembre 2012, è entrata in vigore il 17 Novembre 2012 ed è stata abrogata dall’art. 30 comma 1 lettera g) della legge regionale n° 50 del 2012 con effetto dal 1 Gennaio 2013.

L’art. 5 della legge regionale n° 42 del 2012 stabilisce che i procedimenti amministrativi aventi ad oggetto l’autorizzazione commerciale relativa alle fattispecie di cui agli articoli 1, 2 e 3 della legge regionale n° 42 del 2012, attivati precedentemente all’entrata in vigore della legge stessa, sono riesaminati ad istanza di parte, tenuto conto degli articoli 1, 2 e 3 della legge stessa.

L’art. 2 della legge regionale n° 42 del 2012 stabilisce che l’articolo 10 della legge regionale n° 15 del 2004 si interpreta nel senso che agli esercizi di vicinato ed alle medie strutture di vendita, ubicate all’interno dei parchi commerciali oggetto di ricognizione ai sensi del comma 7 dell’art. 10 della legge regionale n° 15 del 2004, si applicano le disposizioni di cui all’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998.

Dunque, per effetto dell’art. 2 della legge regionale n° 42 del 2012, l’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 si applica anche alle medie strutture di vendita comprese in un parco commerciale.

In tal caso non si applica più l’art. 23 della legge regionale n° 15 del 2004, che prevede una disciplina della proroga più restrittiva rispetto all’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998, nel senso di richiedere una sola proroga fino ad un massimo di un anno.

Invece l’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 si limita ad ammettere la proroga in caso di comprovata necessità, senza porre limiti espressi con riferimento al numero delle proroghe ed alla determinazione del periodo di proroga.

La ratio della legge n° 42 del 2004 è quella di evitare una disparità di disciplina tra medie strutture di vendita ubicate all’interno di parchi commerciali e le medie strutture di vendita non ubicate all’interno di parchi commerciali.

La ratio non è invece quella di offrire maggiori libertà di prorogare i termini di attivazione degli esercizi commerciali connessi al rilascio dei provvedimenti autorizzativi.

Quanto sopra risulta evidente, considerando che il settimo comma dell’art. 18 della legge regionale n° 50 del 2012 (in vigore dal 1 Gennaio 2013) stabilisce che le medie strutture di vendita sono attivate nel termine di decadenza di due anni dal rilascio dell’autorizzazione commerciale o dalla presentazione della SCIA, salva la potestà del comune di prorogare per una sola volta il termine in caso di comprovata necessità, su motivata richiesta dell’interessato da presentarsi entro il predetto termine.

Dunque con la legge regionale n° 50 del 2012 è stata posta una disciplina più restrittiva (in relazione alla determinazione del periodo massimo di proroga ed alla possibilità di prorogare per una sola volta) alle proroghe rispetto a quella posta dall’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998, confermando con ciò che l’intento della legge n° 42 del 2012 non era quello di andare nella direzione di una maggiore possibilità di concessione delle proroghe, ma invece quello di evitare la sopra richiamata disparità di disciplina tra medie strutture di vendita ubicate all’interno di parchi commerciali e le medie strutture di vendita non ubicate all’interno di parchi commerciali.

In ogni caso il procedimento avviato ai sensi dell’art. 5 della legge regionale n° 42 del 2012 consente ulteriori proroghe senza una rigida predeterminazione del periodo di proroga purché sia fornita una rigorosa dimostrazione della necessità della proroga”.

 

Per quanto concerne il momento in cui richiedere la proroga il Collegio afferma: “Gli artt. 2 e 5 della legge regionale n° 42 del 2012 consentono all’amministrazione di riesaminare i procedimenti amministrativi “attivati” che riguardano la proroga delle autorizzazioni commerciali, ma non introducono una deroga al principio, riconosciuto dalla costante giurisprudenza per quanto attiene alla disciplina del termine di attivazione di un’iniziativa commerciale od edilizia autorizzata, secondo cui la richiesta di proroga del termine deve essere presentata prima della scadenza del termine originario (così Consiglio di Stato IV n° 360 del 2013).

Tale principio non è derogato né dall’art. 22 del d. lgs. n° 114 del 1998 né dalla legge regionale n° 42 del 2012.

Infatti la possibilità di prorogare i termini di attivazione degli interventi edilizi e commerciali autorizzati, successivamente alla loro scadenza, metterebbe in pericolo l’attuazione della programmazione commerciale ed urbanistica e pregiudicherebbe il necessario ordine disciplinatorio degli interventi”.

 

Infine il Collegio, dopo aver ribadito che la proroga dell’autorizzazione richiede una motivazione specifica che dia contezza delle ragioni che la giustificano, si sofferma sulla comunicazione di avvio del procedimento chiarendo che: “Risulta pertanto evidente che l’amministrazione non ha nei fatti consentito la partecipazione al procedimento di parte ricorrente perché la decisione dell’amministrazione è stata adottata prima che fosse decorso un termine congruo, tale da permettere in concreto la partecipazione procedimentale.

Sotto tale profilo il collegio evidenzia che la comunicazione di avvio del procedimento, adottata in data 19 Dicembre 2012, non conteneva il termine entro cui i controinteressati nel procedimento amministrativo avrebbero potuto fornire le proprie valutazioni, né evidenziava motivi di urgenza che avrebbero richiesto una partecipazione da parte dei controinteressati entro termini stringenti.

In difetto di tale specifica indicazione del termine a controdedurre, il collegio reputa che di norma il termine congruo può essere definito quello avente la durata di quindici giorni (un’indicazione normativa può trarsi sotto tale profilo dall’art. 7 comma 1 del D.P.R. n° 184 del 2006), termine che nel caso di specie non è stato rispettato.

Al riguardo si deve considerare che il termine di quindici giorni per controdedurre deve decorrere dal ricevimento della comunicazione di avvio del procedimento perché, prima del ricevimento, il soggetto interessato non è nelle condizioni di controdedurre.

Tuttavia, anche considerando, in ipotesi astratta, come termine iniziale non la data di ricevimento della comunicazione di avvio del procedimento, ma la data di adozione della comunicazione di avvio del procedimento, l’amministrazione non ha comunque rispettato il termine.

Il collegio evidenzia che il rispetto delle regole partecipative cristallizzate dalla legge n° 241 del 1990 impone che la comunicazione di avvio del procedimento venga effettuata in tempo e con modalità tali da consentire la partecipazione influente ed efficace dei soggetti interessati al processo decisionale destinato a sfociare nella determinazione finale potenzialmente lesiva. Ne deriva che il rispetto formale della disciplina di legge non esclude l'effetto invalidante sortito da una condotta amministrativa che, nel suo complesso, finisca per impedire una partecipazione utile da parte del soggetto portatore di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato (così Consiglio di Stato V n° 3470 del 2012)”.

 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 981 del 2013

La nuova definizione di bosco

29 Lug 2013
29 Luglio 2013

La Giunta Regionale, con DGRV n. 1319/2013 ha approvato, in attesa di pubblicazione sul BURV, le "Norme di attuazione dell’art. 14 della L.R. n. 52/1978 come modificato con l’art. 31 della L.R. n. 3/2013 relativamente alla nuova definizione di bosco."

DGRV bosco

DGRV bosco AllegatoA

NovitĂ  in materia di energia

29 Lug 2013
29 Luglio 2013

Si comunica che è disponibile la procedura aggiornata per l'esportazione di "APE" mediante la metodologia di calcolo semplificato DOCET, in conformità al Decreto Legge 63 del 05 giugno 2013 e alla successiva Circolare n. 12976 del 25 giugno 2013 del Ministero dello Sviluppo Economico.

Si ricorda che sul sito www.xclima.it è disponibile il software DOCETpro per la certificazione energetica degli edifici di nuova costruzione ed esistenti, residenziali e non residenziali.

Disposizioni regionali di indirizzo e di coordinamento in materia di turismo

26 Lug 2013
26 Luglio 2013

La Regione Veneto, con la DGRV in attesa di pubblicazione sul BURV, provvede a fornire le prime indicazioni operative e gestionali di applicazione della nuova legge nel settore del turismo (l.r.Veneto 14 giugno 2013 n. 11) che interessano sia gli operatori turistici che le province e gli enti locali.

Si sottolinea che nell'Allegato A si definiscono altresì le disposizioni per la semplificazione dei procedimenti amministrativi che si vengono a determinare con l’entrata in vigore della legge regionale n. 11/2013, rispetto alla previgente legge regionale n. 33/2002.

DGRV turismo

DGRV AllegatoA

Il muro di contenimento non è una costruzione

25 Lug 2013
25 Luglio 2013

La Corte d’Appello di Venezia, sez. II civile, nella sentenza del 23 aprile 2013 n. 969, chiarisce che il muro di contenimento e la sua (eventuale) sopraelevazione non costituiscono una costruzione atteso che il concetto di costruzione non si identifica con quella di edificio poiché “si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa (cass. Sentenza n. 15972 del 27/07/2011); in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 cod. civ. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parte naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento (Sentenza n. 14 del 10/01/2006); la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche (Sentenza n. 145 del 10/01/2006); rappresentano, invece, certamente costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cass. Sentenza n. 1345 del 10/01/2006; cass. Sentenza n. 1217 del 22/01/2010)”.

Di conseguenza: “ritiene questa Corte che per la parte in cui il muro costituisce contenimento della parete naturale o scarpata lo stesso non è qualificabile come costruzione, mentre la parte in sopraelevazione rappresenta “muro di cinta” ex art. 878 c.c. che non costituisce costruzione ai fini delle distanze legali perché di altezza inferiore a tre metri (la sopraelevazione è di circa 83 cm)”.

 

La sentenza in commento, per la parte che ivi interessa, riforma quanto sancito dal Tribunale di Vicenza, sez. II civile, con la sentenza del 21 novembre 2008 n. 1834, che aveva considerato come costruzione la parte del muro di contenimento costruita in sopraelevazione: “tale distanza nella fattispecie non risulta osservata, come con divisibilmente affermato dal consulente tecnico d’ufficio, posto che il c.d. muro di contenimento, per le illustrate caratteristiche costruttive, costituisce, quanto meno per la parte superiore, una vera e propria costruzione. Dal punto di vista edilizio e civilistico, per integrare il concetto normativo di costruzione, come più volte affermato dalla Cassazione, vengono in rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della stabilità e dell’immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti ed oggetti di modeste dimensioni con funzioni meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabili. Anche la migliore dottrina include nella nozione di “costruzione” non solo l’opera che abbia le caratteristiche di un edificio o di altra fabbrica in muratura, ma anche qualsiasi altra opera edilizia che presenti carattere di solidità, stabilità e di immobilizzazione rispetto al suolo, ancorché manchi di propria individualità ed autonomia in quanto costituente un semplice accessorio del fabbricato. Per quanto più specificamente concerne la problematica del muro c.d. di contenimento, la giurisprudenza di legittimità afferma che “in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte di muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati dall’opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente” (Cassazione civ., sez. II, 10 gennaio 2006 n. 145; in senso sostanzialmente conforme Cassazione n. 8144/2005)”.

dott. Matteo Acquasaliente

C. Appello Venenzia n. 969 del 2013

Trib. Vicenza n. 1834 del 2008

Ancora sul vincolo cimiteriale

25 Lug 2013
25 Luglio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 08 luglio 2013 n. 932, torna ad occuparsi del vincolo cimiteriale chiarendo che l’inedificabilità assoluta concerne gli edifici che sono incompatibili con tale vincolo, come un impianto di autolavaggio self-service.

 

Si legge infatti che: “L’art.338 del Testo unico delle leggi sanitarie di cui al r.d. n.1265 del 27 luglio 1934 nonché l’art.57 del Dpr 10 settembre 1990 n.285 vietano l’edificazione nelle aree ricadenti in fascia di rispetto cimiteriale dei manufatti che, per durata, inamovibilità ed incorporazione al suolo possano qualificarsi come costruzioni edilizie, come tali, incompatibili con la natura dei luoghi e con l’eventuale espansione del cimitero.

Ora, la giurisprudenza ha affermato che in materia di vincolo cimiteriale, la salvaguardia del rispetto dei 200 metri prevista dal citato art.338 del T.U. del 1934 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità, valevole per qualsiasi manufatto edilizio anche ad uso diverso da quello di abitazione, che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici, che di opere incompatibili col vincolo medesimo, e tanto in ragione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitarie, nella salvaguardia della peculiare sacralità dei luoghi destinati alla sepoltura e nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons Stato Sezione IV, 20 luglio 2011, n. 4403, Cons Stato Sez. V 3 maggio 2007 n.1933; TAR Toscana, Sez. III, 2 luglio 2008 n. 1712)”.

Corollario di quanto esposto è che: “non sembra dubbio che l’impianto di autolavaggio in questione rientri tra le costruzioni edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui all’art.338 citato e tale circostanza, puntualmente rilevata dall’Amministrazione, costituisce valido motivo giustificativo dell’opposto diniego”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 932 del 2013

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