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Variante al PTRC con valenza paesaggistica: ha bloccato il PAT e il PI dei comuni a loro insaputa?

05 Lug 2013
5 Luglio 2013

Con D.G.R. n. 427 del 10 aprile scorso è stata adottata la “Variante Parziale con attribuzione della Valenza Paesaggistica”, al PTRC (che a sua volta era stato adottato con DGR 372/’09 e ad oggi non ancora approvato).

La Variante, come si legge nel prologo del provvedimento,  è improntata alla semplificazione della pianificazione sovracomunale (La semplificazione non è solo un’esigenza astratta condivisa: va calata nei fatti e negli atti) e il metodo adottato è definito da tre concetti chiave: “concertazione,informazione, semplificazione”.

Infatti l’art. 38 delle Norme Tecniche (“Aree afferenti ai caselli autostradali, agli accessi alla rete primaria alle superstrade e alle stazioni SFMR”),  riconosce che “Le aree afferenti ai caselli autostradali, agli accessi alle superstrade, di cui alla tav. 04, e alle stazioni SFMR, per un raggio di 2 Km dalla barriera stradale, sono da ritenersi aree strategiche di rilevante interesse pubblico ai fini della mobilità regionale.

Si tratta di decine di ambiti (una quarantina nella sola provincia di Vicenza), ciscuno con estensione di 1.256 ha, nei quali la trasformazione delle aree esterne ai tessuti urbani consolidati “sono da pianificare sulla base di appositi progetti strategici regionali(art. 38.2) che al momento non ci sono.

Ma anche per la pianificazione dei tessuti urbani consolidati “gli enti territorialmente competenti, in sede di adeguamento dei propri strumenti di pianificazione, devono tener conto della rilevanza strategica delle aree” efino all’adeguamento, le previsioni contenute negli strumenti urbanistici vigenti possono essere attuate solo previo accordo con la Regione tenendo conto della rilevanza strategica ai fini della mobilità regionale.”(art. 38.3 e art. 38.4).

Dal combinato disposto dei commi sopra richiamati si deduce che l’assenso preliminare della Regione non solo sia necessario in caso di nuove previsioni urbanistiche, ma sia richiesto anche per l’attuazione di qualsiasi previsione, urbanistica o edilizia, già contenuta negli strumenti urbanistici vigenti.

Tale interpretazione sembra confermata dal nuovo art. 72 bis (Adeguamento degli strumenti territoriali e urbanistici e misure di salvaguardia) che precisa al comma 3 come, “dall’adozione del PTRC o di sue eventuali varianti e fino alla loro entrata in vigore, e comunque non oltre cinque anni dalla data di adozione, i Comuni sono tenuti a sospendere ogni determinazione sulle domande relative ad interventi di trasformazione edilizia e urbanistica che risultino in contrasto con le prescrizioni contenute nel piano”.

 I comuni interessati ne sono consapevoli?

Fernando Lucato

Loris Dalla Costa

DGRV n. 427 del 2013

Comunicato della Corte Costituzionale sulle province: la riforma annullata

04 Lug 2013
4 Luglio 2013

Pubblichiamo il comunicato della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcuni decreti legge in  materia di riordino delle province.

Segnaliamo che, peraltro, ci  sono altri decreti legge sulla riforma delle province, che non sono stati oggetto della pronuncia (per esempio il D.L. 78/2010 e il D.L. 138/2011).

CC_CS_20130703195239

Gli accordi ex art. 6 della L. reg. 11/2004 e l’inclusione di un’area nel programma triennale delle opere pubbliche non impongono vincoli preordinati all’esproprio

04 Lug 2013
4 Luglio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 895 del 2013 decide un ricorso col quale è stato impugnato un accordo di pianificazione ai sensi degli artt. 6, 35, 36 e 37 della L.R. n. 11/2004 e la relativa deliberazione approvativa. Il ricorrente censurava la violazione delle norme sulla partecipazione, in quanto  asseriva di non essere mai stato edotto circa l’esistenza del procedimento di approvazione dell’accordo e che, in quanto tale, ha portato all’emanazione delle delibere impugnate. Sempre a parere della parte ricorrente detta mancata partecipazione procedimentale sarebbe stata  in contrasto sia, con l’art. 11 del Dpr 327/2001 - nella parte in cui prevede che “al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio, va inviato l’avviso del procedimento” - sia, ancora, con l’art. 20 sempre del Dpr 327/2001,  nella parte in cui, in materia di determinazione dell’indennità di esproprio, prevede la partecipazione del soggetto interessato al procedimento sopra ricordato.

Il TAR respinge il ricorso, rilevando che: "3.1 L’art. 6 della L. reg. 11/2004, nella parte in cui disciplina l’ammissibilità degli accordi di pianificazione urbanistica, non attribuisce a detto istituto l’effetto ulteriore diretto ad imporre il vincolo di esproprio. L’imposizione di quest’ultimo è strettamente correlata all’approvazione del Piano degli interventi, provvedimento a carattere generale al quale il contenuto dell’accordo accede, per trovare definitiva disciplina proprio  in detto atto di pianificazione urbanistica, riferito a tutto il territorio in cui esso incide.
3.2 Si consideri ancora che, il Piano degli Interventi, nella sua originaria formulazione, aveva già apposto il vincolo preordinato all’esproprio e, ciò, senza essere impugnato dagli attuali ricorrenti e, in ciò peraltro, confermando la classificazione già introdotta dal precedente Piano regolatore. Non è suscettibile di determinare un effetto conformativo dell’area nemmeno l’inclusione della stessa nel programma triennale delle opere pubbliche e, ciò, considerando come detta peculiare tipologia di provvedimento non rientra tra quelle disposizioni idonee ad apporre il vincolo preordinato all’esproprio, disposizioni elencate nell’art. 12 del Dpr 327/2001. Costituisce l’espressione, infatti, di un principio consolidato che solo l’approvazione dello strumento urbanistico generale, o una sua variante, costituisce strumento idoneo all’apposizione di un vincolo espropriativo (in questo senso si veda Tar Lazio- Latina n. 1652 del 06/10/2010).
3.3 A dette conclusioni è possibile pervenire anche considerando che il procedimento di formazione dell’accordo di cui all’art. 6 della L. reg. 11/2004, in quanto diretto a disciplinare gli oneri conseguenti ad una determinata classificazione delle aree, non è suscettibile di ledere alcun pregiudizio della parte ricorrente e, ciò, in considerazione del suo contenuto, tipicamente obbligatorio e circoscritto ad impegnare unicamente i soggetti sottoscrittori.
3.4 Detta interpretazione è, peraltro, confortata anche dall’esame del testo della delibera impugnata, nella parte in cui è possibile evincere  l’inesistenza di una volontà dell’Amministrazione comunale di determinare l’apposizione di un vincolo preordinato all’esproprio.
3.5 Alla luce di dette circostanze va, al contrario, considerata condivisibile la ricostruzione della società controinteressata laddove rileva che, anche la previsione di un’indennità di esproprio contenuta nella delibera impugnata, lungi dal costituire un elemento a favore dell’imposizione del vincolo, va valutata nell’ambito della quantificazione delle prestazioni e degli oneri che il Comune intendeva porre a carico della società Albera.
3.6 Si consideri, inoltre, che ai sensi degli art. 20 e 21 del Dpr 327/2001 la determinazione dell’indennità di esproprio deve essere effettuata dopo la dichiarazione di pubblica utilità, fase quest’ultima successiva a quella di approvazione degli atti impugnati nel presente ricorso. Ne consegue che il relativo conteggio è stato posto in essere al fine di valutare l’entità degli oneri economici da sostenere (laddove si addivenisse ad una espropriazione dell’area) e di conseguenza la volumetria da attribuire in compensazione.
3.7 In considerazione del tenore dei provvedimenti impugnati è del tutto evidente come non sussistesse alcun onere di comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento espropriativo e, ciò, proprio in considerazione del fatto che detto procedimento non era evidentemente ancora iniziato nel momento in cui vi era l’approvazione della delibera che faceva proprio l’accordo programma di pianificazione dell’area di cui si tratta. Le censure proposte sono, pertanto, infondate".

sentenza TAR Veneto 895 del 2013

In quale modo devono essere motivati i provvedimenti negativi in materia paesaggistica

03 Lug 2013
3 Luglio 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 889 del 2013.

Scrive il TAR: "In particolare merita accoglimento la censura relativa al difetto di motivazione. In proposito, deve osservarsi, innanzitutto, che la funzione della  motivazione del provvedimento amministrativo, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, è diretta a consentire al destinatario di ricostruire l'iter logico-giuridico in base al quale l'amministrazione è pervenuta all'adozione di tale atto nonché le ragioni ad esso sottese; e ciò allo scopo di verificare la correttezza del potere in concreto esercitato, nel rispetto di un obbligo da valutarsi, invero, caso per caso in relazione alla tipologia dell'atto considerato (Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938, sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069). Ciò che deve ritenersi necessario perché l'atto non risulti inficiato da censure nella sua parte motiva è che in esso siano sempre esternate le ragioni che giustificano la determinazione assunta, non potendo la motivazione espressa in essa esaurirsi in semplici, generiche locuzioni di stile. Ebbene, nella vicenda sottoposta all’esame del Collegio, il Comune di Venezia (Ufficio edilizia privata) ha comunicato al ricorrente che, in esito alla sua domanda di sanatoria edilizia, presentata ai sensi della legge n. 47/1985, acquisito il parere della Commissione per la Salvaguardia di Venezia, contraria al mantenimento in opera della detta veranda “per eccessivo impatto ambientale che altera negativamente il sito e per mancato rispetto della tipologia dell’edificio e perché la cucina poteva essere risolta all’interno dell’unità immobiliare”, la domanda di sanatoria non poteva essere accolta, in quanto “per motivi di ambiente e ornato e in quanto non conformi per i materiali tradizionalmente in uso nel centro storico e prescritti dalla legge (DPR 791/73), non può essere rilasciata sanatoria”. Tale motivazione non appare, all’evidenza, idonea a sorreggere in modo puntuale il diniego della domanda di sanatoria. Infatti, in relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico l'Amministrazione è certamente tenuta a motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengono adeguate alle caratteristiche ambientali protette, motivazione questa che deve essere ancor più pregnante nel caso in cui si operi nell'ambito di vincolo generalizzato, onde evitare una generica insanabilità delle opere (cfr. Cons. Stato, VI, 8 maggio 2008, n.2111). Nel caso in esame le ragioni del diniego appaiono, invece, contenute in espressioni vaghe, che per il solo riferimento generico alla tipologia della costruzione e alla scelta dei materiali utilizzati nella edificazione, non appare di certo sufficiente a sorreggere il diniego di concessione in sanatoria laddove esso deve esplicare le ragioni di fatto poste alla base dell'atto di diniego, anche per rendere edotto il titolare dell'interesse legittimo di carattere pretensivo sulle circostanze rilevanti nel caso di specie. In definitiva, nel caso in esame, il diniego espresso in ordine alla domanda di sanatoria contiene una valutazione apodittica che non appare soddisfare - come evidenziato dal ricorrente - i requisiti minimali della motivazione, non essendo di certo sufficiente la mera affermazione secondo cui il manufatto in questione mal si inserirebbe nel contesto ambientale per i materiali utilizzati e la tipologia costruttiva, atteso che nulla viene specificato nel concreto per dimostrare il contrasto con l'interesse ambientale tutelato".

sentenza TAR Veneto 889 del 2013

Quando i dati catastali sono richiesti a pena di nullità degli atti riguardanti diritti reali su beni immobili

03 Lug 2013
3 Luglio 2013

Ricordiamo che il DECRETO-LEGGE 31 maggio 2010, n. 78, recante "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica. (10G0101) (GU n.125 del 31-5-2010 - Suppl. Ordinario n. 114 )", entrato  in vigore il 31/5/2010 e poi convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 (in SO n.174, relativo alla G.U. 30/07/2010, n.176), all'art. 19 contiene la seguente disposizione:

"All'articolo 29  della  legge  27  febbraio  1985,  n.  52,  e' aggiunto il seguente comma: "1-bis. Gli atti pubblici e le  scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il  trasferimento,  la costituzione o lo scioglimento  di  comunione  di  diritti  reali  su fabbricati gia' esistenti,  ad  esclusione  dei  diritti  reali  di garanzia, devono contenere, per le unita' immobiliari urbane, a  pena di nullita', oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione,  resa  in  atti dagli intestatari, della conformita' allo stato  di  fatto  dei  dati catastali e delle planimetrie , sulla base delle disposizioni vigenti in  materia  catastale.  La  predetta   dichiarazione   puo'   essere sostituita da un'attestazione di conformita' rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di  aggiornamento  catastale.

Prima della  stipula  dei  predetti  atti  il  notaio  individua  gli intestatari  catastali  e  verifica  la  loro  conformita'   con   le risultanze dei registri immobiliari ".

La centrale unica di committenza provinciale

03 Lug 2013
3 Luglio 2013

L’art. 23, 4° comma, d.l. n. 201/2011 (come convertito con modificazioni dalla l. n. 214/2011) ha aggiunto all’art. 33 del Dlgs. n. 163/2006 il comma 3 bis, secondo cui “I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’art. 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici”.

Quanto ai piccolissimi Comuni il legislatore aveva previsto l’applicazione, in deroga all’art. 32 TUEL, di una unione “speciale” (obbligatoria) come disciplinata dall’art. 16 d.l. n. 138/2011, quale strumento di gestione associata di tutte le funzioni amministrative ed i servizi pubblici, (1° comma) a decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del Comune per primo interessato al rinnovo (9° comma) e comunque non oltre il 30.9.2013 (come risultante dalla proroga di 9 mesi introdotta dall’art. 29, 11° comma bis, d.l. n. 216/2001, convertito in l. n. 14/201), termine oltre il quale è attribuito alla Regione l’esercizio di un potere sostitutivo di imposizione dell’unione (8° comma). Pertanto, posto che l’art. 23, 5° comma, d.l. n. 201/2011 (come prorogato) prevedeva l’applicazione della centrale unica di committenza a partire dal 31.3.2013, ovvero da un momento potenzialmente precedente alla nascita delle suddette unioni obbligatorie, potevano prospettarsi due ipotesi:

a) nel caso in cui l’Unione obbligatoria fosse già sorta già sorta (“ove esistente”), l’obbligo di costituzione della centrale unica di committenza sarebbe gravato in capo ad essa. In tal caso sarebbe spettato all’Unione (non ordinaria ex art. 32 TUEL) dare vita ad un proprio ufficio qualificato di committenza (un Servizio), attraverso l’esercizio del proprio potere regolamentare;

b) nel caso in cui l’Unione obbligatoria non fosse ancora sorta, l’obbligo di costituzione della centrale unica di committenza sarebbe sui singoli Comuni, nel senso che sarebbero stati gli essi a dar vita ad un Consorzio obbligatorio (art. 31, 7° comma, TUEL) e a quest’ultimo ad un ufficio di committenza (o in alternativa  all’attribuzione di tale funzione ad uno dei Comuni consorziati, quale “capo-fila”). In questa logica lo strumento-Consorzio è subordinato alla inoperatività dell’Unione.

Si ricorda, però, che è stata differita al 31 dicembre 2013 l'entrata in vigore della centrale unica di committenza per i Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti. Lo stabilisce un emendamento approvato dal Senato al disegno di legge n. 576, di conversione in legge del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, in attesa ora del passaggio alla Camera dei Deputati. La disposizione, introdotta dal decreto-legge 201/2011 (articolo 23, comma 5) sarebbe dovuta entrare in vigore per i bandi pubblicati dopo il 31 marzo 2013, sono quindi fatti salvi i bandi e gli avvisi di gara pubblicati a far data dal 1° aprile 2013 fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. In linea teorica, quindi, l’obbligo di associarsi per i piccolissimi Comuni sarà antecedente alla centrale unica di Committenza obbligatoria realizzando, nella pratica, la prima delle due ipotesi prospettate sopra.

In questo contesto si inserisce il progetto di ANCI Veneto e della Provincia di Padova – si pensa  che le altre Province abbracceranno la Convenzione a breve – di costituire una centrale unica di committenza in ambito provinciale.

La convenzione è stata firmata  il 28 giugno 2013 presso la sede di ANCI Veneto, durante un interessante convegno diretto ai neo-Amministratori ed impegna la Provincia di Padova a “mettere a disposizione dei Comuni dell’ambito provinciale i servizi offerti dalla Centrale di Committenza istituita con delibera di Consiglio n. 15 del 29/04/2013, sia mediante convenzione diretta (laddove le norme vigenti lo consentano), sia in via indiretta, a condizioni sostanzialmente equivalenti, per tramite della centrale unica di committenza  provinciale che i Comuni sotto i 5.000 abitanti sono chiamati a istituire per mezzo di un apposito accordo consortile”.

 dott.sa Giada Scuccato

centrale unica committenza

Le modifiche più significative apportate al Testo Unico dell’Edilizia dal D.L. 69/2013

02 Lug 2013
2 Luglio 2013

Elenchiamo di seguito brevemente le modifiche più significativo apportate al Testo Unico dell’Edilizia dall’art. 30 (intitolato “semplificazioni in materia edilizia”) del  D.L. 69/2013 - c.d. “Decreto del fare”  (già pubblicato su questo sito il 24 giugno 2013)

Definizione di ristrutturazione edilizia: modifiche all’art. 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 380/2001

L’intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione è stato ridefinito espungendo il riferimento al mantenimento della medesima sagoma (quindi basta il mantenimento della stessa volumetria dell’edificio preesistente).

Inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia ricomprendono una nuova categoria costituita dagli interventi “volti al rispristino di edifici o parti di essi eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la consistenza”.

Per entrambe le categorie (ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione e ristrutturazione mediante ripristino di edifici crollati o demoliti) viene precisato che, se l’edificio è sottoposto a vincolo ex D.Lgs. 42/2004 (vincolo architettonico o paesaggistico), è obbligatorio il mantenimento della medesima sagoma.

Attività edilizia libera: leggera modifica all’art. 6, comma 4 del D.P.R. 380/2001

All’art. 6, comma 4 – che impone la relazione di un tecnico abilitato per gli interventi di cui al precedente comma 2, lettere b) ed e-bis) – viene espunto l’obbligo per il tecnico di dichiarare di non avere rapporti di dipendenza né con l’impresa esecutrice dei lavori né con il committente; egli si deve quindi  limitare ad asseverare, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi alla normativa urbanistica vigente e che non serve un titolo abilitativo edilizio.

Interventi subordinati a permesso di costruire: modifica all’art. 10, comma 1 , lettera c) del D.P.R. 380/2001

In corrispondenza della modifica dell’art. 3, comma 1, lett. d) sulla definizione di ristrutturazione edilizia – che può comportare la modifica della sagoma - viene espunto alla lettera c) del comma 1 dell’art. 10 il riferimento alle “modifiche della sagoma”.

Tuttavia, viene precisato – sempre in via speculare alla modifica dell’art. 3 comma 1 lettera d) – che, se l’edificio è sottoposto a vincolo ex D.Lgs. 42/2004 (vincolo architettonico o paesaggistico), gli interventi di modifica della sagoma costituiscono ristrutturazione edilizia soggetta a permesso di costruire.

Procedimento per il rilascio del permesso di costruire: modifiche all’art. 20 del D.P.R. 380/2001

Il comma 8 conferma che, decorso il termine assegnato dal precedente comma 6 per la conclusione del procedimento (60 + 30 giorni), si forma il silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire, salvi i casi in cui sussista un vincolo ambientale, paesaggistico o culturale.

Viene abrogato il comma 10 dell’art. 20, che imponeva di indire una conferenza di servizi ai sensi del precedente art. 5-bis, nel caso in cui l’immobile fosse sottoposto a vincolo la cui tutela non competesse all’amministrazione comunale.

La disciplina del rilascio del p.c., in presenza di vincolo ambientale, paesaggistico o culturale, è ora contenuta nel comma  9, che viene modificato nel modo che segue:

- il termine per la conclusione del procedimento ex art. 20, comma 6 del D.P.R. 380/2001 (60 giorni + 30 ) decorre dall’atto di assenso dell’autorità preposta alla tutela del vincolo e il procedimento di rilascio del p.c. deve concludersi con un provvedimento espresso, con applicazione dell’art. 2 della L. 241/1990 (sulla conclusione del procedimento amministrativo);

- in caso di diniego dell’atto di assenso (eventualmente acquisito in conferenza di servizi, che diventa quindi facoltativa), decorsi i termini per l’adozione del provvedimento finale, la domanda di p.c. si intende respinta (silenzio-diniego);

- il responsabile del procedimento ha l’obbligo di trasmettere all’interessato il diniego dell’atto di assenso entro 5 giorni dalla data in cui è acquisito agli atti, con le indicazione di cui all’art. 3, comma 4 della L. 241/1990 (termini e autorità a cui a ricorrere);

- viene operato un rinvio all’art. 146, comma 9, del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei Beni culturali e dell’Ambiente), il quale prevede che l’amministrazione competente (salvo il potere di indire una conferenza di servizi qualora il Soprintendente non abbia reso il parere entro 45 giorni dalla ricezione degli atti) può sempre provvedere essa stessa sulla domanda di autorizzazione -a prescindere dal parere del Soprintendente -, qualora quest’ultimo non rilasci il proprio parere sul vincolo paesaggistico entro il termine di 60 giorni dalla ricezione degli atti.

Interventi subordinati a denuncia di inizio attività (ora s.c.i.a.): modifiche all’art. 22, comma 2 del D.P.R. 380/2001

Sempre in parallelo alla modifica degli artt. 3, comma 1, lettera d) e 10 comma 1 lettera c), viene precisato, all’art. 22, comma 2, che possono essere effettuate con d.i.a. (scia) le varianti a p.c. che non alterino la sagoma dell’edificio, ma solo qualora si tratti di immobili vincolati; in altre parole, se l’immobile non è vincolato la variante a p.c. che ne alteri la sagoma è assoggettata a d.i.a.

Autorizzazioni preliminari alla segnalazione certificata di inizio attività e alla comunicazione di inizio lavori: nuovo art. 23 bis del D.P.R. 380/2001

Viene in sostanza esteso sia alla scia ex art. 19 L. 241/1990 sia alla comunicazione di inizio lavori ex art. 6, comma 2 D.P.R. 380/2001 l’obbligo per lo sportello unico dell’edilizia (già previsto dall’art. 20 per il caso di domanda di p.c.) di acquisire tutti gli atti di assenso necessari per eseguire l’intervento edilizio, qualora vi sia una espressa richiesta in tal senso dell’interessato.

Quest’ultimo può richiedere l’acquisizione degli atti di assenso sia preliminarmente alla presentazione della scia, sia contestualmente.

Se tali atti non vengono acquisiti entro il termine di cui all’art. 20, comma 3 del D.P.R. 380/2001 (60 giorni dalla richiesta), si applica quanto previsto dall’art. 5bis del medesimo articolo, vale a dire che il responsabile dello sportello unico indice una conferenza di servizi a cui invita le amministrazioni competenti.

Fintantoché non interviene l’atto di assenso o l’esito positivo della conferenza di servizi non può essere dato inizio ai lavori.

L’ultimo comma introduce una disciplina particolare della scia in z.t.o. A: gli interventi e le varianti al p.c. realizzabili con scia e comportanti modifica della sagoma dell’edificio preesistente non possono essere iniziati prima che siano decorsi venti giorni dalla segnalazione.

Certificato di agibilità: nuovi commi 4-bis e 4-ter dell’art. 24 e nuovi commi 5-bis e 5-ter dell’art. 25 del D.P.R. 380/2001

All’art. 24, comma 4-bis viene introdotta la possibilità di rilascio del certificato di agibilità parziale, rispettivamente:

-          per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, a condizione che siano funzionalmente autonomi, che siano state completate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate le parti comuni relative al singolo edificio o singola porzione;

-          per singole unità immobiliari, a condizione che siano completate le opere strutturali, gli impianti, le parti comuni e le opere di urbanizzazione primarie ultimate o dichiarate funzionali rispetto all’edificio  di agibilità parziale.

Il comma 4-ter prevede che, nel caso di rilascio del certificato di agibilità parziale ex art. 4-bis, il termine di ultimazione dei lavori ex artt. 15 e 23 del D.P.R. 380/2001 (3 anni), può essere prorogato di ulteriori 3 anni prima della scadenza.

All’art. 25 sul procedimento di rilascio del certificato di agibilità vengono aggiunti due ulteriori commi.

Il 5-bis parrebbe prevedere (per il vero la dizione non è molto limpida) che l’interessato - fermo restando l’obbligo di presentare la documentazione ex art. 25, comma 3, lettere a), b) e d) (certificato di collaudo statico, certificato di conformità delle opere eseguite nelle zone sismiche, dichiarazione in materia di superamento delle barriere architettoniche) e art. 5, comma 3 lettera a) (parere ASL) del D.P.R. 380 -, potesse, in luogo di presentare la domanda di rilascio del certificato di agibilità ai sensi del comma 1 dell’art. 25 del D.P.R. 380/2001, presentare direttamente allo sportello unico la dichiarazione del direttore lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata dalla seguente documentazione: richiesta di accatastamento con obbligo per lo sportello di trasmetterla al catasto e dichiarazione dell’impresa esecutrice che attesta la conformità degli impianti installati alle condizioni di igiene, salubrità, sicurezza, risparmio energetico.

Il comma 5-ter assegna alle Regioni la competenza ad attuare le previsioni di cui al comma 5 bis.

Proroga dei termini di inizio e fine lavori

Si segnala, infine, che l’art. 30, comma 3 del D.L. 69 prevede che, su comunicazione del soggetto interessato allo Sportello unico dell’edilizia, sono prorogati i termini di inizio e ultimazioni lavori ex art. 15 del D.P.R. 380 indicati nei titoli abilitativi rilasciati prima dell’entrata in vigore del decreto del fare.

Il comma 4 dell’art. 30 estende la previsione del comma 3 alle d.i.a. e alle scia presentate entro lo stesso termine.

È fatta comunque salva la diversa disciplina regionale.

avv. Marta Bassanese

Terre del Brenta: un esempio di partenariato pubblico-privato

02 Lug 2013
2 Luglio 2013

"Terre del Brenta" è una partenariato costituito da Enti pubblici e da organismi privati di vario genere - principalmente da fondazioni e Associazioni - i quali si sono associati per perseguire interessi comuni attraverso dei macro progetti d'area.

In seguito all'attivazione del Programma di Sviluppo Rurale, con la Decisione C (2007) 4682 del 17 ottobre 2007, la Commissione Europea ha formalmente confermato il co-finanziamento comunitario del Programma e l'ammissibilità delle spese a valere sulle risorse assegnate per i progetti presentati dal Partenariato.

In questo contesto si inserisce il PIA-R, ovvero Piano Integrato d'Area Rurale: una grande cornice contenente numerosi progetti promossi, anche, dai Comuni di Pozzoleone, Tezze sul Brenta, Cartigliano, Nove, Bassano del Grappa.

L'intenzione primaria è quella di migliorare e valorizzare il territorio incluso in questi 5 Comuni, incentivando la ricerca e la promozione dell'area intorno al Fiume Brenta. Per far ciò, sono stati individuati gli interventi di cui all'allegato e sono stati predisposti dei Bandi Pubblici.

dott.ssa Giada Scuccato - Vice-Presidente Terre del Brenta

Terre del Brenta

Comune di Milano:Linee guida per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale nell’ambito dei procedimenti urbanistici ed edilizi

01 Lug 2013
1 Luglio 2013

Segnaliamo il seguente provvedimento del Comune di Milano:

Linee guida per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale nell’ambito dei procedimenti urbanistici ed edilizi.

Regolamento recante disciplina dei criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione e l’indipendenza degli esperti e degli organismi a cui affidare la certificazione energetica degli edifici‏

01 Lug 2013
1 Luglio 2013

Sulla GU Serie Generale n.149 del 27-6-2013 è stato pubblicato il DPR 16 aprile 2013, n. 75, contenente il "Regolamento recante disciplina dei criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione e l'indipendenza degli esperti e degli organismi a cui affidare la certificazione energetica degli edifici, a norma dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192. (13G00115)".

Regolamento certificatori energetici

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