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La vicinitas legittima l’impugnazione del titolo edilizio del vicino solo se il progetto pregiudica la fruizione o il valore del bene

25 Giu 2014
25 Giugno 2014

E' noto che il TAR Veneto è orientato nel senso che non basta essere il confinante per avere la legittimazione a impugnare il titolo edilizio del vicino.

La sentenza del TAR Veneto n. 777 del 2014 chiarisce la questione: "A tale riguardo il Collegio non può non richiamare l’orientamento espresso in termini generali riguardo alla rilevanza della “vicinitas” ai fini della legittimazione e dell’interesse alla proposizione dei ricorsi in ordine a questioni di pertinenza urbanistico-edilizia.

Si è infatti osservato (cfr. T.A.R. Veneto, II, n. 15 del 16.1.2013) che la condizione di mera vicinitas non è di per sé sola sufficiente a radicare la legittimazione ad impugnare i titoli edilizi rilasciati dall'amministrazione con riguardo ad ambiti confinanti con quello che è nella disponibilità del soggetto proponente il ricorso.

Se, invero, in termini di principio (così come osservato nel precedente citato da parte ricorrente, C.d.S, IV, 5715/2012), la vicinitas assume principale rilievo per qualificare e differenziare l'interesse fatto valere in ricorso, è tuttavia altrettanto indiscutibile come detta circostanza debba essere valutata nel caso concreto, onde accertare quale sia il reale pregiudizio che il rilascio del titolo autorizzatorio produrrebbe sulla vicina proprietà del ricorrente.

In altre parole, il requisito della vicinitas rappresenta uno dei criteri, indubbiamente il primo, per qualificare una posizione differenziata, necessaria per radicare l'interesse e la legittimazione a ricorrere, ma non è di per sé solo sufficiente a rendere ammissibile la proposizione del gravame.

Occorre, infatti, che la posizione del vicino risulti qualificata e quindi emerga dalla mera posizione di "quisque de populo", qualificazione che dovrà essere caratterizzata dal pregiudizio che, anche se in termini astratti o possibilistici, il rilascio del titolo edilizio impugnato e la realizzazione dell'intervento assentito potrebbe produrre a carico dell'area posta nelle vicinanze di quella dell'intervento.

Il mero richiamo al criterio della vicinitas, sebbene costituisca indizio inequivocabile dello stabile collegamento con la zona interessata dall'edificazione, così da differenziare la posizione del terzo, deve essere integrato ed interpretato in modo tale da porre in evidenza l'ulteriore profilo che deve caratterizzare la posizione legittimante, ossia la dimostrazione del pregiudizio derivante a carico del terzo, costituito dall'incidenza negativa che il progetto assentito potrà avere sul bene di proprietà o in godimento del vicino, così da comprometterne la fruizione o il valore.

In tali termini (cfr. C.d.S., IV, n. 8364/2010), il mero principio della vicinitas è stato interpretato ed integrato in rapporto alla dimostrazione da parte del soggetto che intende ottenere l'annullamento del titolo edilizio rilasciato al vicino, del vulnus da tale atto derivante alla propria sfera giuridica, quale deminutio economica e patrimoniale del bene di proprietà.

Riportando i principi testè richiamati al caso di specie, è oggettivo che, almeno per quanto riguarda i principi generali in tema di vicinitas, i ricorrenti, che non risiedono e non abitano negli edifici insistenti nelle aree di proprietà poste nelle vicinanze del sito ove è previsto lo spostamento dell’impianto, né hanno rappresentato il pregiudizio che potrebbe derivare alla proprietà in termini di deminutio economica e patrimoniale, tenuto anche conto della destinazione urbanistica assegnata all’ambito de quo, non risultano in possesso della legittimazione a proporre il ricorso".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 777 del 2014

La questione della “vicinitas” con riferimento alla materia ambientale

25 Giu 2014
25 Giugno 2014

La sentenza del TAR veneto n. 777 del 2014 esamina anche la questione della vicinitas (relativa alla legittimazione a impugnare il titolo edilizio del vicino), riferita alla materia ambientale.

Si legge nella sentenza: "Ma le conclusioni così tratte non esauriscono l’indagine sull’ammissibilità del ricorso, in quanto è del tutto evidente che i ricorrenti, proprio perché non hanno speso alcun argomento relativo alla perdita di valore dei propri beni, che oggettivamente non utilizzano direttamente a scopi abitativi, hanno inteso denunciare l’illegittimità dell’autorizzazione impugnata e del progetto di insediamento dell’impianto di radiodiffusione sotto il profilo del pericolo che detta presenza potrebbe determinare sotto il profilo ambientale e paesaggistico e, non ultimo, tenuto conto delle contestazioni circa le modalità di rilevazione delle emissioni elettromagnetiche effettuate da ARPAV, del pregiudizio che ciò potrebbe rappresentare per la salute. Al riguardo vanno quindi svolte le seguenti ulteriori considerazioni. Va invero richiamato e condiviso l’orientamento secondo il quale “nel nostro ordinamento l'affidamento al Ministero dell'ambiente ex art. 13 l. 8 luglio 1986 n. 349 del potere di accertamento della legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste (e dei comitati), non esclude la possibilità per il giudice di valutare caso per caso l'applicabilità dell'art. 18 l. n. 349 del 1986, accertando la sussistenza della legittimazione in capo ad una determinata associazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi ambientali.”(Consiglio Stato , sez. IV, 02 ottobre 2006, n. 5760). L’esplicita legittimazione delle associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all'azione giudiziale a tutela dell'ambiente non esclude, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in un ambito territoriale ben circoscritto, e ciò anche per i meri comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio, nonché le singole persone fisiche sulla base del criterio della "vicinitas" quale elemento qualificante dell'interesse a ricorrere.”(T.A.R. Molise Campobasso, sez. I, 23 maggio 2009, n. 249) Il Collegio concorda con la tesi per cui l'esplicita legittimazione, ai sensi degli articolo 13 e 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349, delle associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all'azione giudiziale non esclude, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in un ambito territoriale ben circoscritto, e ciò anche per i meri comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio. Deve evidenziarsi infatti che altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all'ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione, in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste espressamente legittimate per legge. Ai fini della differenziazione delle posizioni azionate (necessaria, in una giurisdizione di tipo soggettivo, in mancanza di espressa previsione di ipotesi di azione popolare) e della qualificazione delle stesse (ai fini del giudizio di meritevolezza di tutela), il Consiglio di Stato ha valorizzato particolarmente il criterio della "vicinitas", al fine di radicare anche la legittimazione ad agire dei singoli, per la tutela del bene ambiente, unitamente all'intera collettività che insiste sul territorio locale. Sulla stessa linea interpretativa, si è collocata anche parte della giurisprudenza di primo grado, affermando che il concetto di vicinitas, cui ancorare la valutazione della differenziazione e qualificazione dell'interesse azionato, ha valore elastico, nel senso che si deve necessariamente estendere, in ragione proporzionale all'ampiezza e rilevanza delle aree coinvolte, come nel caso di interventi rilevanti, che quindi incidono sulla qualità della vita dei residenti in gran parte del territorio (cfr. T.A.R. Lecce, sentenza 6 maggio 2008, n. 1290). Ciò premesso, con riferimento ai ricorrenti, costituiti esclusivamente da persone fisiche in proprio, il Collegio non ritiene che sia stato evidenziato quel particolare collegamento che denota la presenza di un interesse differenziato e qualificato. Invero, proprio con riguardo alla posizione legittimante, isolatamente considerata in rapporto alle censure sollevate dai singoli cittadini, quali sono i ricorrenti, va rammentato che la costante giurisprudenza ritiene che sulla base del criterio della vicinitas, la legittimazione ad agire deve essere riconosciuta ai singoli che agiscono a tutela del bene ambiente e, in particolare, a tutela di interessi incisi da atti e comportamenti dell'Amministrazione che li ledono direttamente e personalmente, unitamente all'intera collettività che insiste sul territorio. (Consiglio Stato , sez. V, 16 giugno 2009, n. 3849). Deve sul punto rammentarsi che la legittimazione a ricorrere nella materia ambientale per le peculiari caratteristiche del bene protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela dell'ambiente infatti, lungi dal costituire un autonomo settore d'intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei diversi beni della vita che nell'ambiente si collocano (assumendo un carattere per così dire trasversale rispetto alle ordinarie materie e competenze amministrative, che connotano anche le distinzioni fra ministeri); l'ambiente inoltre è un bene pubblico che non è suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario, multiforme e ciò rende problematica la sua tutela a fronte di un sistema giudiziario che non conosce, se non quale eccezione, l'azione popolare, che guarda con sfavore la legittimazione di aggregazioni di individui che si facciano portatori occasionali di interessi esistenti allo stato diffuso. Ne deriva che il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell'ambiente in cui vive ha l'obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l'acqua, l'aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell'interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere "uti singulus" a sua difesa -di qui il requisito della finitimità o "vicinitas" in base al quale si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la cui autorizzazione si impugni. (così, Consiglio Stato , sez. VI, 27 marzo 2003, n. 1600 e n. 6554/2010)). Ciò premesso, sebbene i ricorrenti abbiano comprovato di essere proprietari di aree in qualche misura suscettibili di essere incise dall’intervento contestato e che la presenza di tale insediamento produttivo può astrattamente comportare un pregiudizio dei valori della salute e dell’ambiente, è altrettanto oggettivo che, al fine di legittimare, nel senso sopra precisato, l’azione da essi proposta uti singuli, non hanno allo stesso modo dimostrato di essere direttamente pregiudicati in modo differenziato, a giustificazione dell’interesse rivolto all’annullamento dell’atto impugnato. Nessuna argomentazione è stata, invero, spesa dalla difesa istante a corroborare il presupposto legittimante la proposizione del ricorso in esame, se non, come già ricordato, in termini di mera vicinitas (peraltro, sussistente, quanto meno per uno dei ricorrenti, anche con riguardo all’altra area, sempre in località Pianezze, che il Comune aveva individuato come suscettibile di ospitare l’impianto, così da prevedere la diversa zonizzazione ad “F”, come confermato in corso di udienza dal procuratore di parte ricorrente)".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 777 del 2014

Se le opere di urbanizzazione di un pua sono in stato di abbandono e degrado, i cittadini non sono legittimati a chiedere al comune la manutenzione (…ma obbligati a pagare oneri e tasse si)

25 Giu 2014
25 Giugno 2014

Alcuni cittadini, tutti proprietari di fabbricati compresi nell’ambito di un piano di lottizzazione, hanno chiesto al TAR Cagliari l’accertamento dell’obbligo del Comune la condanna dello stesso a porre in essere le attività necessarie alla manutenzione delle opere di urbanizzazione primaria in stato di abbandono e degrado.

Il TAR, in sede di esame della domanda di condanna del Comune alla manutenzione - sulla quale maggiormente si concentra l’attenzione dei ricorrenti - dichiara la stessa inammissibile per difetto di legittimazione attiva.

Ritiene il TAR CAGLIARI (sentenza n. 473/2014) che, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato (cfr. TAR Sardegna, II, 10 ottobre 2012, n. 1154 e 13 febbraio 2013; Consiglio di Stato, Sezione V, 29 dicembre 2004, n. 7773) la manutenzione delle opere di urbanizzazione si sostanzia in interventi sostanzialmente rimessi alle scelte politico-amministrative dell’Amministrazione, anche in relazione alle sue concrete disponibilità di bilancio, per cui la relativa pretesa dei ricorrenti non corrisponde ad una posizione soggettiva di vantaggio differenziata e qualificata, giacché attività di questo genere costituiscono un compito attribuito alla pubblica amministrazione per soddisfare bisogni ascrivibili alla collettività nel suo complesso, come tali non differenziabili e in ultima analisi classificabili alla stregua di interessi semplici e di fatto.

geom. Daniele Iselle

TAR Cagliari n. 473 del 2014

Ecco il testo coordinato del Decreto Legge n. 66/2014 in materia di contabilità e bilancio

25 Giu 2014
25 Giugno 2014

Nella Gazzetta Uffcilae n. 143 del 23 giugno 2014 è stato pubblicato il Decreto Legge 24 aprile 2014 n. 66, coordinato con la legge di conversione 23 giugno 2014, n. 89, recante: «Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonche' per l'adozione di un testo unico in materia di contabilita' di Stato e di tesoreria».

Si richiama l'attenzione in particolare sulle disposizioni dell'articolo 9 Acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e disposizioni in materia di contratti pubblici.

L’articolo 9 dispone l’istituzione di un “elenco dei soggetti aggregatori” nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, di cui fanno parte Consip S.p.A. e una centrale di committenza per ciascuna regione (commi 1, 2, 5 e 6). Si prevede, altresì, l’istituzione di un “Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori” che effettua analisi ai fini dell’individuazione delle categorie dei beni e dei servizi, nonché delle soglie, al di sopra delle quali si prevede il ricorso a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori per lo svolgimento delle relative procedure (commi 2-3). Viene, altresì, definita una nuova disciplina per l’acquisizione di lavori, servizi e forniture per i comuni non capoluogo di provincia (comma 4). È demandata, inoltre, all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture un'elaborazione dei prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza di beni e di servizi, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione, e la pubblicazione sul proprio sito web dei prezzi unitari corrisposti dalle pubbliche amministrazioni per gli acquisti di tali beni e servizi (commi 7-8). Viene, infine, previsto l’utilizzo di risorse per finanziare le attività dei soggetti aggregatori, per il potenziamento delle strutture dell’amministrazione finanziaria e per il finanziamento delle attività svolte da Consip S.p.a. nell’ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti delle Pubbliche amministrazioni (commi 9-10).

Un’ulteriore disposizione inserita nel corso dell’esame al Senato integra i criteri per la valutazione dell’offerta nel caso di contratti da affidare sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa (comma 4-bis).

Istituzione dell’elenco dei soggetti aggregatori (comma 1)

Il comma 1 dispone l’istituzione, nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti (AUSA), operante presso l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) - dell’elenco dei soggetti aggregatori di cui fanno parte:

§  Consip S.p.A.;

§  una centrale di committenza per ciascuna regione, qualora costituita ai sensi dell’art. 1, comma 455, della legge finanziaria 2007 (L. n. 296/2006).

Tale comma ha previsto la costituzione facoltativa, da parte delle regioni, di centrali di acquisto anche unitamente ad altre regioni, che operano quali centrali di committenza in favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio.

L’art. 3, comma 34, del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), definisce «centrale di committenza» un'amministrazione aggiudicatrice che acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori.

L’art. 33-ter del D.L. n. 179/2012 ha istituito, presso l’Autorità, l’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA), obbligando le stazioni appaltanti:

- a richiedere l’iscrizione all’AUSA presso la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) istituita dall’art. 62-bis del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005) ed obbligatoria dal 1° luglio 2014[8];

- ad aggiornare annualmente i dati identificativi.

Relativamente alla disciplina relativa alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici si ricorda che essa è stata introdotta dall’art. 20 del D.L. n. 5/2012 con un articolo aggiuntivo (l’art. 6-bis) al Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006)[9].

Soggetti aggregatori di riferimento regionale (commi 5 e 6)

Qualora la centrale di committenza regionale prevista dal comma 1 non sia stata costituita, il comma 5 ne prevede l’istituzioneo in alternativa la designazione di un soggetto aggregatore di riferimento regionale – entro il 31 dicembre 2014.

In alternativa, secondo quanto disposto dal comma 6, le regioni possono affidare alla CONSIP[10], tramite apposite convenzioni stipulate con il Ministero dell’economia e delle finanze (il testo pubblicato del decreto-legge fa erroneo riferimento alle convenzioni stipulate con la CONSIP), lo svolgimento delle funzioni di attività di centrale di committenza per gli enti del territorio regionale.

Ulteriori soggetti che possono essere iscritti nell’elenco e requisiti per l’iscrizione (commi 2 e 5)

Oltre alla CONSIP e alle centrali di committenza regionali contemplate dal comma 1, il comma 2 consente l’iscrizione - nell’elenco dei soggetti aggregatori - di altri soggetti che svolgono attività di centrale di committenza.

A tal fine è posto in capo a tali soggetti l’obbligo di inoltrare richiesta di iscrizione all’AVCP.

Il comma 5 stabilisce che, in ogni caso, il numero complessivo dei soggetti aggregatori presenti sul territorio nazionale non può essere superiore a 35.

Requisiti per l’iscrizione

Ai fini dell’individuazione dei requisiti per l’iscrizione, il comma 2 richiede che vengano considerati:

§  il carattere di stabilità dell'attività di centralizzazione;

§  i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda.

L’individuazione puntuale dei requisiti è demandata ad apposito D.P.C.M., che dovrà essere emanato:

§  entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge;

§  di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;

§  previa intesa con la Conferenza Unificata. Il testo iniziale, che prevede l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, è stato così modificato durante l’esame al Senato.

Istituzione del Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori (comma 2)

Il comma 2 prevede altresì l’istituzione, con apposito D.P.C.M., del Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori, coordinato dal Ministro (corretto in “Ministero” nel corso dell’esame al Senato) dell’economia e delle finanze.

Relativamente alle modalità di emanazione, il comma 2 stabilisce che il citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dovrà essere adottato:

§  entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge;

·      di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;

·      previa intesa con la Conferenza Unificata. Anche in questo caso, il testo iniziale, che prevede l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, è stato così modificato durante l’esame al Senato.

Lo stesso D.P.C.M. dovrà definire i compiti, le attività e le modalità operative del Tavolo tecnico.

Soggetti obbligati a ricorrere al soggetto aggregatore (comma 3)

Il comma 3 demanda ad un altro D.P.C.M. l’individuazione delle categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali si prevede l’obbligo di ricorrere alla CONSIP o ad altro soggetto aggregatore per lo svolgimento delle relative procedure.

Tale parte della disposizione è stata modificata nel corso dell’esame al Senato, in quanto nel testo originario del decreto-legge si prevede, con una formulazione non chiara, che vi sia l’obbligo di ricorrere sia alla CONSIP che al soggetto aggregatore di riferimento.

Con il medesimo D.P.C.M. sono altresì individuate le modalità di attuazione del presente comma.

Il comma 3 individua altresì i seguenti soggetti obbligati:

§  amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie;

§  regioni ed enti regionali, nonché loro consorzi e associazioni;

§  enti del servizio sanitario nazionale.

Relativamente alle modalità di emanazione del citato D.P.C.M., il comma 3 dispone che esso venga adottato:

§  entro il 31 dicembre di ogni anno;

-     d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni;

-     sulla base di analisi del Tavolo dei soggetti aggregatori;

-     in ragione delle risorse disponibili ai sensi del comma 9 (tale riferimento è stato corretto nel corso dell’esame al Senato. Il testo iniziale faceva erroneamente riferimento al comma 7).

Nel corso dell’esame al Senato è stato precisato che l’emanazione del decreto deve avvenire:

§  di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze;

§  sentita l’AVCP.

Diverse discipline che mantengono validità

La disposizione di cui al comma 3 è introdotta fermo restando quanto previsto da una serie di disposizioni emanate in passato.

La norma fa riferimento:

§  all’articolo 1, comma 449, della legge finanziaria 2007 (L. n. 296/2006) in cui si dispone che le amministrazioni statali sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro e che le restanti amministrazioni pubbliche possono ricorrere a tali convenzioni, nonché a quelle istituite dalle regioni ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti; dispone altresì che gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro Consip;

§  all’articolo 1, comma 455 della medesima legge finanziaria, in cui si prevede che le regioni possono costituire centrali di acquisto anche unitamente ad altre regioni, che operano quali centrali di committenza in favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio:

§  all’articolo 1, comma 450, inserito nel corso dell’esame presso il Senato della stessa legge, che prevede il ricorso al Mercato elettronico della P.A. (MePA) per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria;

§  all’articolo 2, comma 574, della legge finanziaria 2008 (L. n. 244/2007) che disciplina le tipologie dei beni e dei servizi non oggetto di convenzioni stipulate da Consip Spa per le quali con decreto del Ministero dell’economia entro il mese di marzo di ogni anno, le amministrazioni statali sono tenute a ricorrere alla Consip Spa, in qualità di stazione appaltante ai fini dell’espletamento dell’appalto e dell’accordo quadro;

§  alle seguenti disposizioni del decreto-legge n. 95/2012:

-     articolo 1, comma 7 che disciplina gli approvvigionamenti delle seguenti categorie merceologiche: energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile;

-     articolo 4, comma 3-quater sull’attività di centra di committenza di Consip S.p.A. relativa alle Reti telematiche delle pubbliche amministrazioni e al Sistema pubblico di connettività;

-     articolo 15, comma 13, lettera d) che ai fini della razionalizzazione dell’uso delle risorse in ambito sanitario e di conseguire una riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi, impone agli enti del servizio sanitario nazionale, ovvero, per essi, alle regioni ed alle province autonome di Trento e Bolzano, di utilizzare, per l'acquisto di beni e servizi relativi alle categorie merceologiche presenti nella piattaforma CONSIP, gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa CONSIP, ovvero, se disponibili, dalle centrali di committenza regionali di riferimento.

Le nuove disposizioni dettate dal comma 3, unitamente per alcuni aspetti anche a quelle dei commi 1 e 2, vengono ad aggiungersi ad un complesso quadro di norme (sopra citate) che nel tempo hanno diversamente articolato il ricorso alla Consip e ad altre categorie di centrali acquisti sia in termini di definizione dei soggetti obbligati che di tipologie di prodotti. Benché tali norme siano espressamente fatte salve dal comma 3, la coerenza del quadro ordinamentale risultante dalla giustapposizione tra la vigente e nuova disciplina, peraltro in buona parte affidata ai tre D.P.C.M. previsti dai commi 2 e 3 potrebbe risultare problematica, in assenza di un più puntuale coordinamento normativo.

Nel corso dell’esame al Senato è stato inserito un periodo, alla fine del comma 3, che fa comunque salva la possibilità di acquisire, mediante procedura di evidenza pubblica, beni e servizi, qualora i relativi prezzi siano inferiori a quelli emersi dalle gare effettuate dalla CONSIP e dai soggetti aggregatori.

Inosservanza degli obblighi

In caso di inosservanza dell’obbligo di ricorrere al soggetto aggregatore, il penultimo periodo del comma in esame (introdotto nel corso dell’esame al Senato) stabilisce che l’AVCP non rilascia alle stazioni appaltanti il codice identificativo di gara (CIG).

Ricorso ai soggetti aggregatori per i comuni non capoluogo di provincia (comma 4)

Il comma 4 riscrive la disciplina relativa all’acquisizione di lavori, servizi e forniture da parte dei piccoli comuni dettata dal comma 3-bis dell’art. 33 del Codice dei contratti pubblici.

Oltre alla sostituzione del termine “centrale di committenza” con quello di “soggetto aggregatore”, le principali novità introdotte dal comma in esame sono le seguenti:

§  il campo di applicazione della disciplina, in precedenza limitato ai comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, viene esteso a tutti i comuni non capoluogo di provincia;

§  il ricorso a un’unica centrale di committenza (soggetto aggregatore) non è più considerato obbligatorio, ma si prevede che l’acquisizione di lavori, beni e servizi avvenga nell’ambito delle unioni di comuni ovvero tramite un accordo consortile tra i comuni medesimi, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore;

§  tra le varie opzioni percorribili dal Comune nell’acquisizione di lavori, beni e servizi, viene introdotta la possibilità di ricorrere alle province;

§  viene eliminata la deroga (recentemente introdotta dal comma 343 della legge di stabilità 2014) alla disciplina in questione, per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché per lavori, servizi o forniture di importo inferiore a 40.000 euro;

§  nel corso dell’esame al Senato la parte della disposizione che consente ai comuni di avvalersi dei competenti uffici, è stata estesa al fine di includere, tra questi ultimi, anche i competenti uffici delle province;

§  viene mantenuta, nella sostanza, la parte della norma che consente di operare gli acquisti secondo il canale alternativo degli strumenti elettronici di acquisto. Nel corso dell’esame al Senato è stato tuttavia chiarito che tale canale alternativo opera limitatamente all’acquisizione di beni e servizi.

Alla luce delle modiche introdotte, nell’acquisizione di lavori, beni e servizi, i Comuni non capoluogo di provincia potranno optare, a decorrere dal 1° luglio prossimo, per una delle seguenti opzioni alternative:

§  procedere nell’ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti;

§  costituire un apposito accordo consortile tra comuni e avvalersi dei competenti uffici;

§  ricorrere ad un soggetto aggregatore;

§  ricorrere alla province;

§  utilizzare, per l’acquisto di beni e servizi, gli strumenti elettronici di acquisto gestiti dalla CONSIP o da altro soggetto aggregatore di riferimento.

In caso di inosservanza delle procedure di acquisizione previste dal comma in esame, nel corso dell’esame al Senato è stato previsto che l’AVCP non rilasci ai comuni non capoluogo di provincia il Codice Identificativo di Gara (CIG).

Si tratta di una previsione identica a quella introdotta al comma 3, sempre nel corso dell’esame al Senato, per l’inosservanza degli obblighi stabiliti dal medesimo comma.

Prezzi di riferimento (commi 7 e 8)

Il comma 7, primo periodo, impone all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), a partire dal 1° ottobre 2014, di provvedere – tramite la BDNCP (Banca dati nazionale dei contratti pubblici) – a:

§  fornire alle amministrazioni pubbliche un'elaborazione dei prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza di beni e di servizi, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione. Nel corso dell’esame al Senato è stato precisato che l’AVCP, nel fornire le elaborazioni citate, deve anche tener conto della dinamica dei prezzi dei diversi beni e servizi;

§  pubblicare sul proprio sito web i prezzi unitari corrisposti dalle pubbliche amministrazioni per gli acquisti di tali beni e servizi.

Lo stesso periodo del comma 7 chiarisce che gli obblighi citati:

§  non incidono sulle disposizioni, che restano valide, dettate dall’art. 11 (relative all'ampliamento della quota di spesa per gli acquisti di beni e servizi attraverso strumenti di centralizzazione e apposite procedure informatiche, nonché la pubblicazione trimestrale sul sito www.acquistinretepa.it delle merceologie interessate) e dalla lettera a), comma 1, dell’art. 17 (sull'elaborazione dei prezzi di riferimento nel settore sanitario), del D.L. n. 98/2011;

§  vengono introdotti nelle more del perfezionamento delle attività concernenti la determinazione annuale dei costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura da parte dell'Osservatorio presso l'AVCP[12];

§  sono finalizzati al potenziamento delle attività delle centrali di committenza (al riguardo, andrebbe valutato se specificare il riferimento anche ai soggetti aggregatori).

Il secondo periodo del comma 7 dispone che i prezzi di riferimento pubblicati dall'Autorità e dalla stessa aggiornati entro il 1° ottobre di ogni anno:

§  sono utilizzati per la programmazione dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione;

§  costituiscono prezzo massimo di aggiudicazione, anche per le procedure di gara aggiudicate all’offerta più vantaggiosa, in tutti i casi in cui non è presente, in ambito nazionale o nell’ambito territoriale di riferimento, una convenzione stipulata con CONSIP per l'acquisto di beni e servizi (ai sensi del comma 1 dell’articolo 26 della legge n. 488/1999). I contratti stipulati in violazione del predetto prezzo massimo sono nulli.

In fase di prima applicazione, la determinazione dei prezzi di riferimento è effettuata sulla base dei dati rilevati dalle stazioni appaltanti che hanno effettuato i maggiori volumi di acquisto, come risultanti dalla banca dati nazionale dei contratti pubblici (comma 8).

Risorse finanziarie (commi 9 e 10)

Stanziamenti per l’attuazione dell'articolo in esame (comma 9)

Per finanziare le attività svolte dai soggetti aggregatori, viene istituito - nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze - uno specifico Fondo, con una dotazione di 10 milioni di euro per l'anno 2015 e di 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2016.

Si fa notare che nel testo pubblicato si fa riferimento ai soli soggetti aggregatori di cui al comma 1. Nel corso dell’esame al Senato la norma in esame è stata estesa a tutti i soggetti aggregatori, vale a dire quelli di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo in esame.

Nel corso dell’esame al Senato è stato altresì specificato che il comma in esame fa riferimento alle acquisizioni di beni e servizi disciplinate dal comma 3, vale a dire i soli casi in cui si prevede l’obbligo di ricorrere ai soggetti aggregatori.

I criteri di riparto del fondo sono demandati ad apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze.

Stanziamenti per l’amministrazione finanziaria e la CONSIP (comma 10)

Il comma 10 dispone l’utilizzo di una quota, per l’anno 2014, nel limite di 5 milioni di euro, delle entrate derivanti dal riversamento al bilancio dello Stato degli avanzi di gestione conseguiti dalle agenzie fiscali (articolo 1, comma 358, della legge finanziaria 2008 (L. n. 244/2007) negli anni 2012 e 2013:

§  per il potenziamento delle strutture dell’amministrazione finanziaria;

§  per il finanziamento delle attività svolte da CONSIP nell’ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti delle Pubbliche amministrazioni (articolo 4, comma 3-ter, del D.L. n. 95/2012)[13].

A tal fine, le somme versate in uno specifico capitolo di entrata sono riassegnate, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche ad un apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del personale e dei servizi.

Criteri per la determinazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa (comma 4-bis)

Il comma 4-bis, inserito durante l’esame al Senato, integra le regole di valutazione delle offerte nel caso di contratti pubblici che devono essere affidati con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In particolare, la disposizione modifica la lettera n) del comma 1 dell’articolo 83 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), al fine di aggiungere l'origine produttiva ai criteri di valutazione dell'offerta pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto, che devono essere stabiliti nel bando di gara e che sono elencati a titolo esemplificativo nel comma 1 della citata disposizione.

Ai sensi dell’art. 81 del Codice, nei contratti pubblici la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. In questo secondo caso la disciplina applicabile è contenuta nel successivo art. 83; in particolare, il comma 1 di tale disposizione elenca a titolo esemplificativo i criteri di valutazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto, (ad. es. prezzo, qualità, ecc.) tra i quali la lettera n), che viene novellata dalla norma in commento, indica la sicurezza di approvvigionamento.

geom. Daniele Iselle

TESTO COORDINATO DEL D. L. N. 66 DEL 2014

È legittima la motivazione dei provvedimenti amministrativi per relationem

24 Giu 2014
24 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 18 giugno 2014 n. 870 afferma la legittimità della motivazione per relationem dei provvedimenti amministrativi: “Il diniego è peraltro sufficientemente motivato con il richiamo per relationem al parere della commissione edilizia, atteso che la motivazione per relationem corrisponde ad una tecnica motivazionale pienamente ammessa dall'art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, e che richiede solamente l’indicazione dell’atto richiamato e che l’interessato vi possa accedere, mentre non è necessario allegare gli atti ai quali si rinvia (ex pluribus cfr. Tar Toscana, 9 maggio 2013, n. 782)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 870 del 2014

Quando la modifica di un impianto di trattamento dei rifiuti esistente corrisponde ad un nuovo impianto?

24 Giu 2014
24 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 18 giugno 2014 n. 863 chiarisce quando la modifica di un impianto per lo smaltimento ed il trattamento dei rifiuti già esistente corrisponde alla creazione di un nuovo impianto: “Per quanto concerne gli impianti di trattamento dei rifiuti l’art. 49 del piano d’area, mediante apposite direttive, fissa degli obiettivi che devono essere raggiunti in sede di pianificazione provinciale e comunale, demandando agli enti locali di indicare i criteri o gli ambiti per la loro localizzazione e rilocalizzazione.

Con prescrizioni e vincoli immediatamente precettivi dispone inoltre che “nuovi impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti non possono essere ubicati in fregio e all’interno: a) degli ambiti di interesse naturalistico - ambientale; b) delle zone archeologiche; c) delle aree di risorgiva e dei punti di presa dell’acqua potabile; d) dell’ambito prioritario della protezione del suolo” facendo salvo “in ogni caso quanto già autorizzato alla data di adozione del presente piano” e con l’ulteriore specificazione che “eventuali ampliamenti delle discariche esistenti devono essere motivati e realizzati in modo tale che la sistemazione finale comporti un miglioramento significativo dell’ambiente circostante”.

Nel caso all’esame l’impianto ricade all’interno dell’ambito di protezione del suolo.

Si tratta di un ambito territoriale per il quale l’art. 51 del piano d’area pone forme particolari di tutela finalizzate ad evitare modificazioni della giacitura dei terreni e delle caratteristiche fisiche dei suoli e la loro impermeabilizzazione, a facilitare l’infiltrazione delle acque superficiali garantendone la massima permeabilità, e per le quali sono vietati l’impermeabilizzazione di estese superfici e l’uso, in linea di massima, di fitofarmaci e diserbanti nella manutenzione del verde, mentre sono consentiti lavori di miglioria fondiaria a condizione del rispetto delle suddette finalità.

Poste tali premesse, ed in mancanza di una definizione normativa di “nuovo impianto”, il Collegio ritiene condivisibili le conclusioni cui è giunta la Provincia circa la necessità di utilizzare un criterio di carattere sostanzialistico nel definire la tipologia di interventi che ricadono nel divieto.

Infatti tale criterio è quello che risulta coerente con le finalità di tutela dell’ambito di protezione del suolo dato che le modifiche agli impianti esistenti possono essere talmente importanti da costituire un nuovo progetto, e per la loro natura, dimensione o ubicazione, possono risultare idonei a produrre un impatto sull' ambiente del tutto equivalente ad un nuovo impianto, e sarebbe contrario agli obiettivi del piano sottrarre dal suo campo di applicazione queste modifiche.

Peraltro nella materia ambientale, per non frustrare il raggiungimento degli obiettivi di tutela, di norma le modifiche sostanziali ad un impianto sono equiparate ad un nuovo impianto.

Rispetto all’ordinamento comunitario, ad esempio, si è ritenuto in via interpretativa che la procedura di valutazione di impatto ambientale dovesse essere svolta anche rispetto a modifiche di opere esistenti, nonostante l’allegato II della direttiva 85/337 CEE nel testo originario non si riferisse esplicitamente anche alle modifiche dei progetti ivi elencati (cfr. CGCE sentenza resa nella causa C – 72/95 del 24 ottobre 1996).

La normativa nazionale all’art. 208 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, assoggetta alle procedure per nuovi impianti le varianti sostanziali in corso d'opera o di esercizio che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata, e all’art. 5 definisce come modifica sostanziale di un progetto, di un’opera o di un impianto “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l'autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente”.

Allo stesso modo anche la legislazione regionale ricorre ad un criterio di carattere sostanzialistico quando, all’art. 23, comma 6, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, assoggetta alla procedura prevista per nuovi impianti le varianti sostanziali in corso di esercizio che comportino modifiche per cui gli impianti non siano più conformi all’autorizzazione rilasciata, con la sola esclusione delle varianti che non riguardino il processo tecnologico e non comportino modifiche ai quantitativi di rifiuti recuperati o smaltiti.

Pertanto, poiché manca una definizione normativa di “nuovo impianto” o di “modifica di un impianto esistente” nel piano d’area, appare corretta l’interpretazione che ricorre al criterio sistematico e teleologico, secondo la quale restano assoggettate alla disciplina prevista per nuovi impianti, anche le modifiche di impianti esistenti che per la loro natura, dimensione o ubicazione producano effetti sull'ambiente equivalenti a quelli di un nuovo impianto, dato che altrimenti un qualsiasi impianto potrebbe, di modifica in modifica, espandersi senza limiti, vanificando la portata precettiva e le finalità di salvaguardia della norma del piano d’area.

1.2 In senso contrario non possono essere valorizzate le considerazioni svolte dalla parte ricorrente circa l’erroneità di un esito interpretativo il cui effetto le impedirebbe di realizzare interventi di sviluppo ed ampliamento della propria attività, da ritenersi connaturati ad ogni attività di impresa.

Infatti l’introduzione di restrizioni alla facoltà di apportare modifiche agli impianti esistenti, limitandole agli interventi necessari a mantenerne la funzione in atto (ed in effetti la Provincia ha autorizzato, non ritenendole incompatibili con l’art. 49 del piano, l’accorpamento delle tre diverse autorizzazioni, la realizzazione della raccolta e della gestione delle acque interne, e la realizzazione delle tettoie relative alla copertura dei rifiuti già autorizzati, contenuti in container), appare conforme al principio giurisprudenziale secondo cui deve ritenersi ammissibile una disciplina che produce effetti conformativi per il futuro.

In tal modo non vengono infatti messi in discussione né l’intangibilità delle attività e delle opere poste in essere in conformità della disciplina previgente che mantengono la loro precedente e legittima destinazione, né il correlato principio che la cessazione di attività in essere può essere disposta solo sulla base di atti a contenuto espropriativo (con riferimento alla disciplina urbanistica, ex pluribus, cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3429), e si incentiva al contempo la delocalizzazione di un impianto, la cui presenza è giudicata incompatibile con la tutela di interessi pubblici ritenuti prevalenti”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 863 del 2014

L’interesse al ricorso deve essere serio ed effettivo

24 Giu 2014
24 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 18 giugno 2014 n. 864, conferma che l’interesse al ricorso deve essere concreto ed attuale perché: “In secondo luogo va dichiarata l’inammissibilità, per carenza di interesse, dell’impugnazione con i motivi aggiunti del provvedimento di annullamento in autotutela.

Infatti l’interesse che sorregge il ricorso deve essere concreto ed attuale, perché il rimedio di carattere giurisdizionale non può essere azionato al solo fine di ottenere una pronuncia di principio finalizzata ad un utilizzo ipotetico, futuro ed eventuale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3365; id. 22 novembre 2011, n. 6151), né è possibile chiedere la tutela giurisdizionale avverso atti favorevoli alla propria posizione giuridica che non sono lesivi, al solo fine di chiedere una modifica della motivazione (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. I, 10 febbraio 2004, n. 2007).

Pertanto, poiché nel caso di specie la parte ricorrente intende far valere solamente in astratto l’idoneità del sito all’insediamento di un esercizio di somministrazione (cfr. pag. 3 della memoria conclusiva del 18 aprile 2014), i motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili per carenza di interesse”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 864 del 2014

I parcheggi obbligatori non sono soggetti al pagamento del contributo di costruzione

23 Giu 2014
23 Giugno 2014

Il T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, nella sentenza del 18 giugno 2014 n. 756 chiarisce che la realizzazione dei c.d. parcheggi obbligatori, ai sensi della L. n. 122/1989 ed ai sensi degli artt. 3 e 5 del D.M. 144/1968, non comporta il pagamento del contributo di costruzione: “Con le sentenza sovra citate è stato infatti affermato che “Ai sensi delle 1. n. 10 del 1977 e n. 122 del 1989, in sede di rilascio della concessione edilizia, non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione e agli oneri di urbanizzazione i parcheggi c.d. obbligatori fissati dall'art. 41-sedes della 1. n. 1150 del 1942.

Infatti, la 1. 24 marzo 1989 n. 122 (c.d. legge Tognoli), recante disposizioni in materia di parcheggi, dispone (art. 11 comma 1) che le opere e gli interventi da essa previsti « costituiscono opere di urbanizzazione anche ai sensi dell'art. 9 comma 1 lett. f), della 1. 28 gennaio 1977 n. 10 », e dunque non sono soggetti a contributo concessorio (ex multis T.A.R. Lombardia Milano, sez. Il, 17 aprile 2007, n. 1779).>>.

In particolare, il Consiglio di Stato – con la pronuncia n. 6154/2011 – ha affermato che <<per pacifica e risalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato la realizzazione dei parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere di pagamento del contributo di urbanizzazione. (Consiglio Stato , sez. V, 14 ottobre 1992 , n. 987) mentre di converso si è rilevato che i parcheggi costruiti in aree private per libera scelta speculativa di un imprenditore rappresentano una modificazione edilizia del territorio realizzata su domanda del soggetto interessato, assimilabile a tutte le altre forme di edificazione soggette a concessione e ai relativi oneri. (Consiglio Stato , sez. V, 22 dicembre 2005 , n. 7344).>>, specificando che la circostanza che il parcheggio << sia stato dimensionato in ottemperanza alle prescrizioni di cui agli artt. 22 e 56 e delle NTA al Prg comunale non può certo valere ad escludere il nesso di pertinenzialità, ricadendosi altrimenti nell’incomprensibile aporia per cui la esenzione prescritta dalla legge non potrebbe mai trovare applicazione salva la ipotesi in cui il progetto non fosse conforme alle precitate norme d’attuazione. Invero la disposizione di legge ricollega alla realizzazione dei parcheggi pertinenziali la esenzione dal contributo di concessione; è ovvio che nella realizzazione dei medesimi ci si debba rifare alle disposizioni pianificatorie generali dettate dai comuni, ma non può trarsi argomento dal rispetto di queste ultime per negare l’applicabilità della prevista esenzione.>>.

Va rilevato che la circostanza che la vicenda per cui è causa si sia svolta ( a differenza di quelle di cui alle sentenze sopra richiamate) nel periodo in cui è entrato in vigore l’art. 17 del DPR n.380/01, non muta i termini della questione, non essendovi alcuna differenza di disciplina di tale disposto rispetto alle norme richiamate nelle suddette sentenze (che sono state trasfuse nel T.U. dell’edilizia)”.

Il Collegio inoltre stabilisce che il ritardato pagamento di questa somma, seppur garantito da una fideiussione, legittima l’ente ad applicare le sanzioni connesse alla mora: “Invero, come ha chiarito la prevalente e preferibile giurisprudenza ( cfr. da ultimo Cons. St. Sez. IV n. 731/2014 e precedenti ivi richiamati) in materia di obbligazioni pecuniarie, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo (salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso). Ne consegue che legittimamente l’amministrazione, nell'applicare la sanzione prevista dall'art. 3 comma 2 lett. a), L. n. 47/1985, per ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non ha proceduto, prima dell'applicazione delle sanzioni, alla preventiva richiesta alla banca garante, obbligatasi a pagare quanto dovuto dietro semplice richiesta scritta.

In particolare, (cfr. TAR Salerno Sez. 2° n. 552/2014) “il fatto che l’obbligazione avente a oggetto i contributi concessori sia assistita da garanzia fideiussoria, anche quando questa contempli il pagamento a semplice richiesta e l’esclusione del beneficio della preventiva escussione, non comporta affatto un dovere del Comune di chiedere prima l’adempimento anche al fidejussore per poter poi applicare le relative sanzioni pecuniarie; un tale dovere, in particolare, non può farsi discendere dal richiamo agli obblighi di correttezza e buona fede di cui all’art. 1227 cod. civ., norma che risulta del tutto inconferente alla fattispecie, essendo riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura sanzionatoria, come nel caso in esame (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2005, nr. 1250; id., 11 novembre 2005, nr. 6345; id., 16 luglio 2007, nr. 4025)””. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Bari n. 756 del 2014

Il Comune condannato a risarcire il danno morale per avere illegittimamente negato a un disabile l’installazione di una piattaforma elevatrice

23 Giu 2014
23 Giugno 2014

Segnaliamo la sentenza del tribunale di Vicenza n. 775 del 2014, che condanna un Comune a risarcire il danno morale a una persona disabile, alla quale era stato illegittimamente negata l'installazione di una piattaforma elevatrice, motivata col mancato rispetto delle disposizioni sulla larghezza minima delle scale condominiali. 

sentenza T. Vicenza 775 del 2014

La “sanatoria” ex art. 38 DPR 380/2001 non vale solo per i vizi formali e non richiede la doppia conformità

23 Giu 2014
23 Giugno 2014

L'articolo 38 del DPR 380/2001 disciplina gli interventi eseguiti in base a permesso annullato e stabilisce che: "In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia e' notificata all'interessato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa".

La sentenza del TAR Veneto 776 del 2014 esamina un caso nel quale il titolo edilizio era stato annullato per contrasto con le NTA vigenti al momento del suo rilascio, ma l'opera eseguita sulla base del titolo è stata lo stesso fatta salva dal comune, perchè conforme alla normativa sopravvenuta (le nto del P.I.). Il dubbio sulla necessità di richiedere il requisito della doppia conformità (rispetto della normativa vigente sia al momento della realizzazione dell'opera sia  al momento della "sanatoria") può nascere dal fatto che il comma 2 dello stesso articolo 38 stabilisce che: "L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36".

Il TAR però esclude che il richiamo all'articolo 36 attragga anche i presupposti dell'articolo 36 per potere applicare l'articolo 38: "2.3.2.) Il Collegio al riguardo non condivide l'assunto che la rimozione dei vizi sarebbe possibile solo allorché essi siano di carattere formale, dato che l’art. 38 nulla dice al riguardo e che tale norma costituisce una normativa di favore che differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato l'opera abusiva sulla base di un titolo annullato, rispetto a coloro che hanno realizzato opere abusive senza alcun titolo, tutelando l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata. In tal senso si è espressa anche l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 23 aprile 2009, n. 4, laddove afferma che "l'ipotesi di opere abusive realizzate in base a concessione annullata, a seguito di pronuncia giurisdizionale, non costituisce propriamente una tipologia di abuso", perché assentite da un atto rilasciato dalla stessa amministrazione. Infatti in colui che si vede annullare il titolo abilitativo rilasciato dall'Amministrazione, a volte dopo diversi anni, come nella fattispecie, si è ingenerato un affidamento causato dal lungo lasso di tempo trascorso e, nel caso della trattoria di parte controinteressata, anche dalla sentenza favorevole del TAR Veneto nel 2004. Ne consegue che, in seguito all'annullamento di un titolo abilitativo edilizio, "l'Amministrazione non può dirsi vincolata ad adottare misure ripristinatorie, dovendo, anzi, tale scelta, tipicamente discrezionale, essere adeguatamente motivata, privilegiando, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati" (TAR Bari, Puglia, sez. III n. 187 del 13.01.2012; C.S., Sez. IV, sent. n. 7731 del 02-11-2010).

2.3.3) Nel caso che ci occupa il Comune ha evidentemente ritenuto che sussistesse la possibilità di rimuovere i vizi e quindi di emendare il titolo annullato dal Consiglio di Stato perché, come già ricordato, il 13 marzo 2012 era entrato in vigore il Piano degli Interventi, che colloca l'edificio in zona per la quale la destinazione d'uso U3 - pubblici esercizi (art. 13 N.T.O.) risulta ammessa senza limitazioni; l'utilizzo stagionale della terrazza, situata al piano primo, ad attività di ristorazione è ora conforme allo strumento urbanistico, superando così il motivo per cui il Consiglio di Stato ha annullato il silenzio assenso formatosi sulla DIA.. 

2.3.4) Per quanto riguarda la c.d. sanatoria giurisprudenziale del montavivande il Collegio ritiene che, a prescindere dal fatto che non
risulta nemmeno chiaro quale sia l’interesse di parte ricorrente a censurare tale previsione, l’amministrazione risulta aver fatto ricorso ad una specifica norma regolamentare che non appare di per sé in violazione di legge, dato che proprio la tenuità della modifica operativa assentita dimostra nel caso di specie quanto sia illogico e antieconomico ritenere obbligatoria l’adozione di una misura ripristinatoria, comunque superabile con una nuova riproposizione della domanda".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 766 del 2014

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