Tag Archive for: Diritto

Beni Culturali: linee guida su sponsorizzazione mediante affissione di messaggi promozionali sui ponteggi e sulle altre strutture provvisorie di cantiere.‏

15 Mar 2013
15 Marzo 2013

Sulla GU n.60 del 12-3-2013 è stato pubblicato il il decreto del 19 dicembre 2012 del Ministero per i Beni e le Attvità Culturali, recante "Approvazione delle  norme  tecniche  e  linee  guida  in  materia  di   sponsorizzazioni di beni culturali  e  di  fattispecie  analoghe  o   collegate".

L'articolo 1 del decreto stabilisce che: "1.  Ai  sensi  e  per  gli  effetti  dell'art.  61,  comma  1,  del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante «Disposizioni urgenti in materia  di  semplificazione  e   di   sviluppo»,   convertito,   con modificazioni, dalla  legge  4  aprile  2012,  n.  35,  e'  approvato l'Allegato A al presente decreto,  recante  norme  tecniche  e  linee guida applicative delle disposizioni contenute nell'art. 199-bis  del decreto legislativo  12  aprile  2006,  n.  163,  nonche'  di  quelle contenute nell'art. 120 del decreto legislativo 22 gennaio  2004,  n. 42, e successive modificazioni, anche in funzione di coordinamento rispetto a fattispecie analoghe o collegate di partecipazione di privati al finanziamento o alla realizzazione degli interventi conservativi sui beni culturali, in partciolare mediante l'affisione di messaggi promozionali sui ponteggi e sulle altre strutture provvisorie di cantiere e la vendita o concessione dei relativi spazi pubblicitari". 

Linee guida sponsorizzazione beni culturali

Reiterazione dei vincoli urbanistici espropriativi: il Consiglio di Stato precisa le condizioni (anche in caso di variante generale al PRG)

14 Mar 2013
14 Marzo 2013

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1465 del 2013, precisa le condizioni di legittimità per la reiterazione dei vincoli urbanistici espropriativi.

Scrive il Consiglio di Stato: "La giurisprudenza più recente, anche a seguito del decisivo impulso fornito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (con particolare riguardo alla sentenza n. 179 del 1999, che ha affermato il principio secondo cui la reiterazione dei vincoli di piano regolatore a contenuto espropriativo scaduti deve essere accompagnata dalla previsione di un indennizzo), afferma con notevole decisione il principio per cui la legittimità della reiterazione non può prescindere dal positivo riscontro di una duplice condizione:

1. per un verso, si afferma che "l'accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell'indennità di espropriazione è condizione di legittimità del provvedimento di reiterazione dei vincoli scaduti ai sensi dell'art. 2 l. n. 1187 del 1968, sebbene puntualmente motivato e giustificato da un evidente interesse pubblico." (Consiglio Stato, sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4019);

2. per altro verso, si sottolinea come la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti (oggi rientrante nella previsione di cui all'art. 9 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327) non può disporsi senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze, pubbliche e private, in quanto l'amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti, è tenuta ad accertare che l'interesse pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative e deve indicare le concrete iniziative assunte o di prossima attuazione per soddisfarlo, nonché disporre l'accantonamento delle somme necessarie per il pagamento dell'indennità di espropriazione, per cui “l'obbligo di motivazione in materia di reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti sussiste anche quando la reiterazione del vincolo sia disposta in occasione dell'adozione di variante generale al p.r.g.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 maggio 2000, n. 2706; in termini Consiglio di Stato, sez. IV, 7 giugno 2012 n. 3365)".

sentenza CDS 1465 del 2013

Il precedente penale non determina l’automatica esclusione dalla gara

14 Mar 2013
14 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 06 marzo 2013 n. 349, afferma che la mancanza del requisito della moralità professionale previsto dall’art. 38, c. 1, lett. c), D. Lgs. 163/2006 – secondo cui: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: (…) c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima”, non determina ex se l’esclusione automatica dalla gara – nella fattispecie si trattava dell’affidamento di un accordo quadro ex art. 59 D. Lgs. 163/2006 aggiudicato ad un ATI condannata per un reato ambientale – poiché l’“esistenza di un precedente penale non comporta automaticamente un giudizio negativo sulla moralità professionale del concorrente aspirante aggiudicatario di un appalto pubblico (dovendo valutarsi alla stregua della sua rilevanza con l’oggetto della gara, dell’entità della pena, del tempo trascorso dalla commissione del fatto, etc.), sul punto va osservato, in conformità ai principi generali sulla motivazione dei provvedimenti ampliativi, che l'Amministrazione, qualora ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente non incisivo della sua moralità professionale, non è tenuta ed esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto suo convincimento, potendo la motivazione di non gravità del reato risultare anche implicitamente o per “facta concludentia”, ossia attraverso l'ammissione alla gara dell'impresa stessa, a differenza della valutazione di gravità che, avendo efficacia escludente, richiede l'assolvimento di un particolare onere motivazionale (cfr. CdS, V, 30-06-2011 n. 3924; III, 11-03-2011 n. 1583; e, da ultimo, TAR Lecce III, 13-11-2012 n. 1871; TAR Roma, III ter, 25-05-2012 n. 4740; TAR Torino, I, 26-01-2012 n. 124)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 349 del 2013

La comunicazione di avvio del procedimento è richiesta come regola generale in tutti i procedimenti espropriativi

14 Mar 2013
14 Marzo 2013

Della questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 211 del 2013.

Scrive il TAR: "Al riguardo va richiamato l’orientamento costante secondo il quale la comunicazione dell'avvio del procedimento costituisce una regola applicabile alla generalità dei procedimenti amministrativi, ivi compresi quelli a carattere autonomo attinenti alla dichiarazione di pubblica utilità dell'opera , sia esplicita che implicita ( cfr C.d.S., IV, 20/12/2005 n.1552; Cons Stato Ad. Pl. 15/9/ 1999 n.14 ). In particolare, l'approvazione del progetto di un'opera pubblica che valga come dichiarazione implicita di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza a mente dell'art.1 della legge n.1 del 3 gennaio 1978 ( come nel caso di specie) deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, in quanto l'art.7 della legge n.241/90 è applicabile come regola generale a tutti i procedimenti espropriativi ( cfr Cons Stato Ad.Pl. 24/1/2000 n.2. idem Ad. Pl. n.14/99 già citata. TSAP 1/10/2002 n.120 ). La ratio di un siffatto principio risiede nel fatto che in ipotesi di approvazione di progetti di opere pubbliche, ove si escluda la partecipazione del privato alle determinazioni relative alle scelte progettuali discrezionali, il proprietario espropriando verrebbe formalmente reso edotto di detta approvazione soltanto al momento dello spossessamento del bene, impedendosi quindi l'apporto di opportuni elementi di valutazione da parte degli interessati".

sentenza TAR Veneto 211 del 2013

Il P.I. del comune di Vicenza

13 Mar 2013
13 Marzo 2013

Il giorno 8 marzo 2013 il Comune di Vicenza ha pubblicato il Piano degli interventi approvato il 7 febbraio 2013 con D.C.C. n. 10
Al seguente link è possibile scaricare gli elaborati del Piano degli Interventi.

http://www.vicenzaforumcenter.it/news/pagina246.html

Il diniego di condono ex art. 35 della L. n. 47/85 non richiede il parere della commissione edilizia

13 Mar 2013
13 Marzo 2013

Della questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 213 del 2013.

Scrive il TAR: "Deve essere rigettato il primo e il secondo motivo, mediante i quali parte ricorrente rileva la violazione dell’art. 35 della L. n. 47/85 e, ciò, contestualmente al venire in essere di un’errata interpretazione dell’art. 338 del RD n.1265/1934 nella parte in cui il Comune, nel procedimento
di diniego, non aveva proceduto ad acquisire il parere della Commissione edilizia. Sul punto non solo va rilevato come l’art. 35 sopra citato non preveda la necessità del parere di cui si tratta, norma quest’ultima che deve essere interpretata contestualmente all’art. 33 della L. n. 47/1985 nella parte in cui disciplina il divieto di emanare una concessione in sanatoria nelle aree soggette a inedificabilità assoluta.
1.1 Sul punto l’Amministrazione resistente ha correttamente evidenziato l’applicabilità al caso di specie (argomentazione non smentita dalla ricorrente) della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 30/07/1985 n. 3357/25 laddove precisa che il rilascio della concessione deve considerarsi completamente definito dal comma 9 dell’art. 35, nel senso che il Sindaco non è tenuto a sottoporre la domanda agli organi  consultivi, ed in particolare alla Commissione edilizia.
1.2 E’, inoltre, del tutto evidente come, con riferimento a dette aree, il parere della Commissione edilizia sarebbe stato del tutto superfluo ai fini del diniego del provvedimento di sanatoria, in quanto la stessa Commissione non avrebbe potuto far altro che verificare come l’area ricadesse in una zona di divieto assoluto di inedificabilità, quale è appunto l’area cimiteriale di cui si tratta. Il provvedimento impugnato contiene, infatti, sia il riferimento all’art. 33 della L. n. 47/1985 sia, ancora, all’art. 338 del RD del 27/07/1934 nr. 1265, nella parte in cui quest’ultimo ha imposto il vincolo di inedificabilità per un ampiezza pari a 200 metri, poi ridotta a 50 metri in conseguenza dell’entrata in vigore del successivo Piano Regolatore".

sentenza TAR Veneto 213 del 2013

La procedura negoziata senza bando con carattere d’urgenza si applica soltanto se l’urgenza non è imputabile all’Amministrazione

13 Mar 2013
13 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 06 marzo 2013 n. 350, si sofferma sulla procedura negoziata senza bando avente carattere d’urgenza, regolata dall’art. 57, c. 1 e c. 2, lett. c), D. Lgs. 163/2006 secondo cui: “1. Le stazioni appaltanti possono aggiudicare contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nelle ipotesi seguenti, dandone conto con adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre.

2. Nei contratti pubblici relativi a lavori, forniture, servizi, la procedura è consentita: (...)

c) nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”.

 Chiarito che tale procedura rappresenta una deroga al principio comunitario della pubblicità e della massima concorsualità delle gare pubbliche, poiché: “l’art. 57, II comma, lett. c) del DLgs n. 163/2006 consente il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara “nella misura strettamente necessaria, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”” e che, di conseguenza, la “predetta norma – che rappresenta una deroga, nell'ambito degli appalti pubblici, alla procedura di evidenza pubblica (indispensabile presidio a garanzia del corretto dispiegarsi della libertà di concorrenza e della trasparenza dell'operato delle amministrazioni: cfr., ex pluribus, CdS, VI, 28.1.2011 n. 642) - può essere utilizzata, in funzione meramente strumentale all’espletamento di una gara pubblica e nella misura temporale strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti (e non da situazioni soggettive, contingibili, prevedibili e ad essa imputabili, qual è il ritardo nell’attivazione dei procedimenti), non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara”, il Collegio ritiene che “i presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità devono essere accertati con il massimo rigore e non sono suscettibili di interpretazione estensiva: in tale contesto, pertanto, deve ribadirsi che l'urgenza di provvedere non deve essere addebitabile in alcun modo all'Amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione, ovvero per sua inerzia o responsabilità; che, dunque, alla luce delle suesposte considerazioni si deve escludere che possa costituire legittima motivazione della determinazione di avvalersi della procedura negoziata quella dell’imminente (recte: nel caso di specie, contestuale) scadenza dei contratti in corso trattandosi, evidentemente, di evento palesemente prevedibile da parte della stazione appaltante, a cui, peraltro, vanno anche imputati i ritardi nell’attivazione della procedura concorsuale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 350 del 2013

Il diniego di assoggettabilità a V.I.A. è un atto impugnabile autonomamente?

12 Mar 2013
12 Marzo 2013

 Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 04 marzo 2013 n. 327, si occupa della procedura di screening ambientale prevista dall’art. 7, c. 2, l. r. Veneto 26.03.1999 n. 10, secondo cui: “Per le tipologie progettuali di cui all’allegato C4 il soggetto proponente richiede la verifica all’autorità competente al fine di stabilire se l’impatto sull’ambiente, in relazione alle caratteristiche del progetto, comporta la necessità dello svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale”.

Il caso in esame concerne il trasferimento di alcuni impianti produttivi che effettuano lavorazioni di zincatura a caldo, quindi di attività ricomprese nel punto 3, lett. c) dell’allegato C4, l. r. Veneto 10/1999 (applicazione di strati protettivi di metallo fuso con una capacità di trattamento superiore a 2,6 t/ora di acciaio grezzo), per le quali è necessaria la V.I.A. solamente se sia accertata la loro ubicazione in aree densamente abitate, soggette a vincoli paesaggistici o interessate dalla presenza di ecosistemi.

La Provincia di Vicenza, in seguito all’istanza di attivazione della procedura di screening richiesta dalla ditta, esclude la necessitò si svolgere la valutazione di impatto ambientale, negando la sussistenza di tale presupposti.

Il T.A.R. Veneto, in seguito al ricorso di un’Associazione Onlus che impugna tale provvedimento provinciale, ma non il provvedimento finale che autorizza il trasferimento dell’impianto, chiarisce che la decisione di sottoporre a V.I.A. un determinato progetto non è un atto endoprocedimentale (impugnabile soltanto unitamente al provvedimento finale), ma atto che va impugnato autonomamente, indipendentemente dall’eventuale impugnazione del provvedimento finale, poiché: “va affermata l’immediata ed autonoma impugnabilità del provvedimento che, nell’ambito della procedura di screening, decide sulla sottoposizione o meno di un determinato progetto alla valutazione di impatto ambientale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 137; id. 16 febbraio 2012, n. 265; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213), in quanto già da questa determinazione scaturiscono effetti potenzialmente lesivi dei valori ambientali.

Conseguentemente, stante lo stretto nesso procedimentale che si instaura tra la procedura di valutazione di impatto ambientale e l'atto finale, l’omessa impugnazione di quest’ultimo non determina alcuna preclusione all'ammissibilità, né rifluisce sulla procedibilità, del ricorso proposto contro il provvedimento che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, il quale, ove annullato, produce effetti caducanti e non solo vizianti dell’atto finale (in modo non dissimile a quanto accade in caso di impugnazione del piano regolatore dove vi è la facoltà ma non l’obbligo di impugnazione immediata del piano adottato o, un volta impugnato questo, di impugnare il piano approvato)”.   

Nella suddetta sentenza il T.A.R. Veneto cita un precedente conforme, ossia la sentenza emessa dalla medesima sezione III, il 5 febbraio 2013 n. 137, ove, però, si giunge a conclusioni opposte, ossia all’obbligo di impugnare solamente il provvedimento finale.

In tale vertenza l’Associazione Nazionale Legambiente Onlus impugnava il provvedimento provinciale di esclusione dalla V.I.A. di un impianto per la realizzazione di calcestruzzo, con materiali inerti e rifiuti non pericolosi, all’interno di una cava di rilevante interesse paesistico ambientale, assieme alla determinazione provinciale di approvazione ed autorizzazione finale del progetto.

 Premesso ciò, il Collegio ritiene che il ricorrente abbia solamente la facoltà - e non un obbligo – di impugnare il diniego provinciale di assoggettabilità a V.I.A., in quanto l’obbligo di impugnazione concerne solamente il provvedimento finale di autorizzazione: “Il Collegio non ignora che in alcune pronunce è stata affermata l’immediata ed autonoma impugnabilità del provvedimento che, nell’ambito della procedura di screening, decide sulla sottoposizione o meno di un determinato progetto alla valutazione di impatto ambientale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 16 febbraio 2012, n. 265; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1213), ma ritiene di dover puntualizzare che l’impugnazione del provvedimento di esclusione dalla sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale, costituisce una facoltà e non un onere per la parte ricorrente, in quanto è vero che già da questa determinazione scaturiscono effetti potenzialmente lesivi dei valori ambientali, ma va tuttavia considerato che solo l’approvazione del progetto ha carattere costitutivo degli effetti connessi alla sua realizzazione.

Ad una tale conclusione conduce l’art. 29, comma 1, del Dlgs. n. 152 del 2006, il quale prevede che “la valutazione di impatto ambientale costituisce, per i progetti di opere ed interventi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione. I provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”.

Conseguentemente, stante il rapporto di necessario collegamento espressamente sancito a livello normativo tra i diversi atti che compongono l'atto finale, l'omessa tempestiva impugnazione del provvedimento che ha escluso la necessità di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale, non determina alcuna preclusione all'ammissibilità, né rifluisce sulla procedibilità, del ricorso proposto contro la delibera di approvazione ed autorizzazione del progetto, e può costituire oggetto di censura al momento dell’impugnazione dell’atto costitutivo degli effetti finali della procedura (in modo non dissimile a quanto accade in caso di impugnazione del piano regolatore dove vi è la facoltà ma non l’obbligo di impugnazione immediata del piano adottato)”.

Che sia sta la Certezza del Diritto a pronunciare la  famosa frase: "il mio regno non è di questo mondo"?

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 327 del 2013

TAR Veneto 137 del 2013

 

Obblighi in capo al Sindaco in materia di Protezione Civile

12 Mar 2013
12 Marzo 2013

In materia di Protezione Civile hanno un’importanza fondamentale il Decreto Legislativo 9 Aprile 2008, N. 81 e s.m.i. in materia di SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO, e il Decreto Ministeriale 13 Aprile 2011.

Il Decreto Ministeriale del 2011 si propone di coniugare la tutela della salute e della sicurezza dei volontari della Protezione Civile con il perseguimento degli obiettivi tipici del Servizio nazionale della Protezione Civile (quali: la tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamita naturali, da catastrofi o da altri eventi calamitosi).

All’art. 2, comma 1, del Decreto ministeriale si stabilisce il principio secondo il quale le norme in materia di salute e sicurezza sui luogo di lavoro contenute nel D. Lgs. n. 81/2008 sono applicate ai volontari di Protezione Civile, tenendo conto delle particolari esigenze che caratterizzano le attività e gli interventi svolti. L'attività delle organizzazioni di volontariato della Protezione civile si svolgono in contesti caratterizzati necessariamente da urgenza, emergenza ed imprevedibilità.

Appare, quindi, chiaro che l’organizzazione di volontariato deve dotarsi di criteri operativi idonei e di strumenti atti a tutelare, in primo luogo, la salute dei volontari facenti parte dell’associazione. Vi è, in senso lato, quasi una equiparazione del volontario di Protezione Civile al lavoratore: vi è l’obbligo per l’associazione di dotare il volontario di sistemi di protezione individuale, di sottoporre il volontario a “controllo sanitario” (controllo che potrà essere assicurato dalle componenti mediche interne delle organizzazioni, ove presenti, ovvero mediante accordi tra organizzazioni, ovvero dalle strutture del Servizio sanitario nazionale pubbliche o private accreditate, art. 4, comma 1 e art. 5) e l’obbligo di impartire, agli iscritti, una idonea formazione, informazione ed addestramento.

Ma qual è il soggetto responsabile?

II soggetto che viene individuato come primo e principale destinatario degli obblighi di sicurezza e salute durante l'attività dei volontari è, secondo l’art. 3 comma 3 del D.M, i1 legale rappresentante dell'organizzazione, da individuarsi nella persona che, in base allo statuto o all'atto costitutivo della compagine di volontariato, è dotato del potere di rappresentanza, vale a dire del potere di agire in nome e per conto della stessa e di impegnarla nei confronti dei terzi. Ma non solo:  l'art. 3, comma 3, del D.M, infatti, individua il principale destinatario delle prescrizioni da osservarsi per la tutela della sicurezza e della salute dei volontari, nel soggetto che, nelle organizzazioni, detiene di norma il potere decisionale e di spesa in ordine al compimento di tutti gli atti necessari alia loro attività.

Cosi individuato, è chiaro che nel caso di associazioni di Protezione Civile comunali, il cui bilancio è un capitolato del bilancio dell’Ente Locale, il legale rappresentate sarà il Sindaco!

Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’art. 15 della L. 225/92, è proprio il Sindaco l’autorità comunale di Protezione Civile, il quale assume, al verificarsi dell’emergenza nel territorio comunale, la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso e assistenza alla popolazione.

Allo stesso modo, se, nelle organizzazioni di volontariato, il concreto ed effettivo potere decisionale e di spesa venisse esercitato da persona diversa dal formale legale rappresentante dell'ente, questo soggetto si aggiunge al legale rappresentante quale obbligato all'osservanza delle prescrizioni in materia di tutela delle condizioni di sicurezza e salute dell'attività dei volontari siccome sancite dall'art. 4 DM, quali: “Obblighi delle organizzazioni di volontariato della protezione civile

1. Le organizzazioni curano che il volontario aderente nell'ambito degli scenari di rischio di protezione civile individuati dalle autorità competenti, e sulla base dei compiti da lui svolti, riceva formazione, informazione e addestramento, nonché sia sottoposto al controllo sanitario, anche in collaborazione con i competenti servizi regionali, nel rispetto dei principi di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, fatto salvo quanto specificato al successivo art. 5 in materia di sorveglianza sanitaria. Il controllo sanitario potrà essere assicurato dalle componenti mediche interne delle organizzazioni, ove presenti, ovvero mediante accordi tra organizzazioni, ovvero dalle strutture del Servizio sanitario nazionale pubbliche o private accreditate.

2. Le organizzazioni curano che il volontario aderente, nell'ambito degli scenari di rischio di protezione civile individuati dalle autorità competenti e sulla base dei compiti da lui svolti, sia dotato di attrezzature e dispositivi di protezione individuale idonei per lo specifico impiego e che sia adeguatamente formato e addestrato al loro uso conformemente alle indicazioni specificate dal fabbricante.

3. Le sedi delle organizzazioni, salvi i casi in cui nelle medesime si svolga un'attività lavorativa, nonché i luoghi di esercitazione, di formazione e di intervento dei volontari di protezione civile, non

sono considerati luoghi di lavoro.”

In ordine alla sanzione conseguente all'inadempimento di tali precetti, deve essere immediatamente osservato che il DM non contiene alcuna norma che stabilisca una sanzione penale per la violazione di quanto disposto dall'art. 4.

In conclusione, la violazione degli obblighi riportati nell'art. 4 non costituirà autonoma figura di reato e, di conseguenza, il legale rappresentante dell'organizzazione non risponderà penalmente degli eventuali inadempimenti rispetto a tali obblighi.

dott.sa Giada Scuccato

Fate i buoni, se potete

12 Mar 2013
12 Marzo 2013

L’8 marzo 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato il “Nuovo codice di comportamento dei dipendenti della Pubbliche amministrazioni”, che abroga il precedente Codice di comportamento adottato con decreto del Ministro della Funzione Pubblica 28 novembre 2000.

Si tratta di un atto regolamentare adottato in attuazione dell’art. 54 del DLgs. 30 marzo 2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni), così come sostituito dall’art. 1, comma 44, della L.  6 novembre 2012, n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”).

Il nuovo Codice di comportamento entrerà in vigore dopo l’approvazione con decreto del Presidente della Repubblica.

Il comma 2 dell’art. 54 del D.Lgs. 165/2001 prevede che esso venga consegnato al dipendente pubblico che lo sottoscrive al momento dell’assunzione. Ai sensi del successivo comma 3, la violazione dei doveri in esso contenuti dà luogo a responsabilità disciplinare, nonché a responsabilità civile, amministrativa e contabile, secondo le relative discipline. Il medesimo comma precisa che violazioni gravi o reiterate del Codice comportano l’applicazione della sanzione di cui all’art. 55-quater, comma 1 del D.Lgs. 165/2001 (licenziamento disciplinare).

Il comma 5 dell’art. 54 del D.Lgs. 165/2001 prevede che ciascuna P.A. debba dotarsi di un proprio Codice di comportamento, che integra e specifica il Codice adottato a livello governativo, la cui violazione è pure fonte di responsabilità disciplinare, nonché delle altre conseguenze stabilite dal comma 3 citato.

La competenza a vigilare sull’applicazione del Codice “generale” e di quello “specifico” di ogni singola P.a. spetta ai dirigenti responsabili di ciascuna struttura, alle strutture di controllo interno e agli uffici di disciplina.

Nel merito, si segnalano le seguenti disposizioni:

-          l’art. 2 estende l’ambito di applicazione del Regolamento a tutti i collaboratori o consulenti, ai titolari di uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché ai collaboratori di imprese fornitrici di servizi in favore della p.a. La responsabilità di queste figure per così dire “esterne” viene fatta valere attraverso la previsione, nei relativi atti di incarico, nei contratti di collaborazione, di consulenza o di acquisizione dei servizi, di apposite di clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione dei doveri del codice;

-          l’art. 4 fa divieto di ricevere regali, compensi o altre utilità quale corrispettivo per compiere atti del proprio ufficio (il divieto si estende al coniuge, al convivente, ai parenti ed affini fino al secondo grado). È consentito ricevere regali o utilità d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia, con la precisazione che si intendono di modico valore quelli che non superino i 100,00 euro, anche sotto forma di sconto;

-          l’art. 5 fa obbligo al dipendente di comunicare tempestivamente al responsabile dell’ufficio l’adesione ad associazione i cui ambiti di intervento possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio (ad esclusione, ovviamente, dell’adesione a partiti o sindacati, dal momento che la partecipazione ad essi è esercizio di libertà costituzionalmente garantita);

-          l’art. 6 riguarda l’obbligo di comunicare l’esistenza di rapporti di collaborazione (in qualunque modo retribuiti) intrattenuti dal dipendente (o dal coniuge, dal convivente, dai parenti ed affini fino al secondo grado) con soggetti privati negli ultimi tre anni e se tali pregressi rapporti intercorrano con soggetti che hanno interessi nelle pratiche a lui affidate. È previsto anche l’obbligo per il dipendente di astenersi da decisioni inerenti le sue mansioni, qualora vi sia un conflitto di interessi (di qualsiasi natura) personale, del coniuge, del convivente, dei parenti ed affini fino al secondo grado;

-          l’art. 7 specifica i casi in cui vi è l’obbligo di astensione per conflitto di interessi. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio;

-          l’art. 8 obbliga, tra l’altro, il dipendente a denunciare, sia all’autorità giudiziaria sia al proprio superiore gerarchico, eventuali situazioni di illecito nell’amministrazione di cui sia venuto a conoscenza;

-          l’art. 9 riguarda la trasparenza e la tracciabilità (attraverso un adeguato supporto documentale) dei processi decisionali;

-          L’art. 10 prevede anche specifici obblighi di condotta nella vita extralavorativa, con l’obbligo di non assumere comportamenti che possano nuocere all’immagine della p.a.;

-          L’art. 11 si segnala, in particolare, per il divieto dell’uso dei mezzi di servizio (linee telefoniche, internet, auto) per fini personali, fatti salvi i casi di urgenza;

-          L’art. 12 disciplina le modalità attraverso le quali il dipendente deve relazionarsi con il pubblico, ispirate a “spirito di servizio, correttezza, cortesia e disponibilità …”. Si segnala l’obbligo di rispettare gli appuntamenti coi cittadini e di rispondere senza ritardo ai loro reclami.

Il dipendente deve astenersi da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine della p.a. E’ tenuto ad informare il proprio responsabile dei suoi rapporti con la stampa.

Egli non può fornire informazioni sulle pratiche in corso di istruttoria, al di fuori dei casi previsti dalla legge.

-          L’art. 13 si rivolge in particolare ai dirigenti, imponendo, tra l’altro, l’obbligo di fornire informazioni sulle partecipazioni azionarie che possono porli in conflitto di interessi con la funzione svolta, nonché sulle dichiarazioni annuali dei redditi soggetti ad IRPEF.

Si segnala l’obbligo di “adottare un comportamento esemplare ed imparziale …” e di “curare il benessere organizzativo della struttura, favorendo l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori…”. “Il dirigente difende anche pubblicamene l’immagine della p.a. …. favorisce la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell’amministrazione”.

-          L’art. 14  prescrive, tra gli altri, il divieto per il dipendente di concludere contratti con imprese con le quali nel biennio precedente abbia stipulato contratti o ricevuto utilità e di astenersi, dandone atto per iscritto, dalla decisioni relative ai contratti stipulati dalla p.a. con tali imprese.

Le disposizioni brevemente ricordate si caratterizzano, da un lato, per l’intento di assicurare che il dipendente pubblico assuma le proprie determinazioni libero da condizionamenti esterni all’evidente fine anti-corruttivo (il riformato art. 54 del D.Lgs. 165/2001 è stato inserito nella legge c,d, “anti-corruzione n. 190/2012), dall’altro, per l’intento di restituire alla p.a. una immagine di trasparenza, credibilità, correttezza nei rapporti con il cittadino.

Con riguardo a quest’ultima finalità, osservo che alcuni precetti imposti al dipendente pubblico, come quello di difendere pubblicamente l’immagine della p.a. o quello di comportarsi nella vita privata salvaguardando il buon nome della p.a. (“non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione”), mi riecheggiano alla mente (perdonate la goffa associazione) un articolo del regolamento adottato nel 1957 dalla Latteria Sociale “Boro” di Monte di Malo (VI), il quale ci è stato donato da un cliente e che ora campeggia sulla parete del corridoio del nostro studio: “Chi mormora o critica ingiustamente il Consiglio o le persone addette al servizio, perde tutto il latte conferito”.

avv. Marta Bassanese

regolamento_dipendenti pubblici

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