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La comunicazione di avviso di avvio del procedimento (art. 7 della L. n.241/90) è un atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile

01 Feb 2013
1 Febbraio 2013

Lo ribadisce il TAR Veneto con la sentenza n. 43 del 2013.

Scrive il TAR: "deve evidenziarsi, anche ai fini delle determinazione delle spese di giudizio, come parte ricorrente abbia impugnato una comunicazione di avviso di avvio del procedimento emanata ai sensi dell’art. 7 della L. n.241/90. L’esame del contenuto dell’atto impugnato, pur comprensivo dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, evidenzia il carattere endoprocedimentale – non autonomamente impugnabile - della nota in questione, finalizzata, com’è, ad attuare la partecipazione di parte ricorrente al procedimento così iniziato. Come insegna un costante orientamento giurisprudenziale “la comunicazione di avvio del procedimento, avente natura di atto endoprocedimentale, si colloca nella fase predecisoria con la quale la P.A. instaura una necessaria fase in contraddittorio con il privato. E così, con tale atto l'Amministrazione rende noto il proprio intendimento, peraltro provvisorio, di determinarsi con un riesame in autotutela consentendo alla parte titolare di una posizione giuridica evidentemente qualificata, di poter interloquire con l'Amministrazione stessa, rappresentando fatti e  prospettando osservazioni e valutazioni finalizzate alla migliore individuazione dell'interesse pubblico, concreto e attuale - alla cui unica cura deve essere indirizzata l'azione amministrativa - e ad un'adeguata ponderazione dello stesso con quello privato, onde far mutare eventualmente avviso all'Amministrazione medesima (T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 29 aprile 2011, n. 3698)”.

In considerazione di questo, il TAR ha condannato il ricorrente a pagare le spese del giudizio, anche se tecnicamente il ricorso è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

sentenza 43 del 2013

Regole tecniche relative agli impianti condominiali centralizzati d’antenna riceventi del servizio di radiodiffusione

01 Feb 2013
1 Febbraio 2013

Sulla GU n.25 del 30-1-2013 è stato pubblicato il Decreto 22 gennaio 2013 del Ministero dello Sviluppo economico, recante "Regole tecniche relative agli impianti condominiali centralizzati  d'antenna riceventi del servizio di radiodiffusione. (13A00733)".

Ricordiamo che il comma 1 dell'art. 209  del DECRETO LEGISLATIVO 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) stabilisce che: "I proprietari di immobili o di porzioni di immobili non possono opporsi alla installazione sulla loro proprieta' di antenne appartenenti agli abitanti dell'immobile stesso destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione e per la fruizione dei servizi radioamatoriali". Il successivo comma 4 aggiunge che: " Gli impianti devono essere realizzati secondo le norme tecniche emanate dal Ministero".

L'articolo 11 del decreto stabilisce che: "E' abrogato il decreto ministeriale 11 novembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 271 del 21 novembre 2005".

Decreto 22 gennaio 2013

Informazioni logistiche aggiornate per il convegno del 15 febbraio 2013 sulla LR 50

31 Gen 2013
31 Gennaio 2013

1) SEDE: in conseguenza dell'elevato numero di adesioni già pervenute, la sede del convegno è stata spostata presso una sala del cinema The Space, in via Brescia 13 (centro commerciale Le Piramidi);

2) CREDITI FORMATIVI: il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza riconosce 4 crediti formativi;

3) QUESITI: sempre in considerazione del numero di partecipanti, è preferibile inviare eventuali quesiti in via anticipata, almeno 4 giorni prima del convegno, via e-mail, indicando il relatore a cui sono indirizzati;

4) PERCORSO STRADALE:  l’uscita autostradale più comoda è quella di Vicenza Est; davanti al casello, si percorre tutta la rotatoria verso sinistra, imboccando la tangenziale in direzione di Torri di Quartesolo, e si esce al centro Commerciale Piramidi; uscendo dal casello, quindi, non si devono seguire le indicazioni stradali che mandano a destra, verso Torri di Quartesolo, ma bisogna percorrere la rotatoria, fino a ritornare all'altezza del casello, seguendo le indicazioni per Padova - Tangenziale - Torri di Quartesolo; il cinema The Space è davanti all'Euro Brico, all'uscita Centro Commerciale (a circa 2 km dal casello);

5) ORARIO INIZIO: si invitano i partecipanti ad arrivare per tempo, intendendosi iniziare i lavori puntualmente alle 9.15.

Pubblichiamo la locandina aggiornata

locandina convegno commercio TQ aggiornata

Vincolo monumentale “diretto” su edifici e “indiretto” sull’area agricola di pertinenza

31 Gen 2013
31 Gennaio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 34 del 2013 decide l'impugnazione del decreto del 22.11.2011, con il quale il Direttore della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto ha dichiarato di interesse culturale particolarmente importante, ai sensi dell'art. 10, comma 3, lettera a) del d.lgs. 42/2004, il complesso immobiliare denominato "Corte San Francesco" in località San Francesco del Comune di Bussolengo e del contestuale decreto del 22.11.2011, con il quale il medesimo Direttore della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto ha imposto la tutela monumentale indiretta di cui all'art. 45 del d.lgs. 42/2004 sull'area di pertinenza del predetto complesso immobiliare "Corte San Francesco".

La sentenza esamina varie questioni relative a tali vincoli.

Scrive il TAR: "Prima di addentrarsi nell’esame del contenuto dei decreti definitivi di apposizione dei vincoli, è necessario premettere che, per un tradizionale orientamento giurisprudenziale (al quale questo Collegio ritiene di non discostarsi), la dichiarazione del valore storico, storico, artistico o etnoantropologico di un bene presuppone un giudizio di discrezionalità tecnica non sindacabile in sede di giudizio di legittimità, se non per vizi di eccesso di potere per errore nei presupposti o per manifesta illogicità (per tutti Consiglio di Stato Sez. VI, 22 Maggio 2008 n. 2430 e TAR Sardegna Cagliari Sez. II, 12 maggio 2011, n. 489).
2.1 Ne consegue che di fronte all’esercizio di un tale potere di merito, ampiamente discrezionale nei contenuti - e di esclusiva prerogativa dell'Amministrazione -, il sindacato esperibile in sede di giurisdizione risulta circoscritto alla verifica circa il  venire in essere di profili di incongruità ed illogicità che, in quanto tali, siano suscettibili di far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnica-discrezionale compiuta.
2.2 E’, altresì, necessario premettere che l’art.10 del D.Lgs. 42/2004 distingue i beni culturali che possono essere oggetto del vincolo in due differenti categorie, riconducibili ai beni appartenenti allo Stato, alle Regioni o agli altri enti territoriali e, ancora, nei beni appartenenti ai privati. La stessa norma (al comma 3°) precisa come in relazione ai beni appartenenti ai privati il vincolo può essere imposto su cose immobili e mobili che presentano
interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico “particolarmente importante”, rinviando seppur implicitamente alla necessità di una specifica e motivata valutazione che dia conto dell’interesse a fondamento dell’apposizione di detto vincolo.
2.3 Il Comma 4 della lettera l) prevede, poi, che tra i beni elencati nel comma 3 lett.a), idonei ad assumere la qualificazione di beni culturali, rientrano anche le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale e tradizionale.
Detti principi vanno applicati al caso di specie e con riferimento sia al vincolo indiretto (che è comunque strumentale e successivo) sia, ancora, al vincolo diretto che insiste su un manufatto ritenuto di interesse storico, archeologico e etnoantropologico.
3. Per quanto attiene l’apposizione del vincolo diretto, l’esame della relazione storico artistica della Soprintendenza permette di evidenziare la legittimità del provvedimento impugnato e, ciò, in considerazione dell’esistenza, e del rispetto, dei presupposti richiesti dalla disciplina sopra ricordata. La lettura della relazione a supporto del vincolo diretto, consente di desumere come siamo in presenza di una “Corte” di interesse storico, in quanto la stessa, ha origini settecentesche e nel suo interno esiste un oratorio dedicato a San Francesco d’Assisi di cui sarebbe stata autorizzata l’edificazione nel 1728. Sempre la relazione contiene la descrizione dei manufatti che, si compongono, tra l’altro, di un “campanile che si caratterizza per un’inconsueta pianta triangolare”. L’intero complesso per la Soprintendenza costituisce “un significativo esempio di insediamento agricolo storico…in grado di rappresentare le condizioni abitative, le attività quotidiane e le metodologie produttive di una civiltà contadina intimamente legata al territorio della pianura veronese, costituendo nell’insieme, un rilevante complesso architettonico di residenza edilizia di tipo rurale”.
E’ del tutto evidente come le argomentazioni sopra evidenziate consentono di evidenziare l’interesse storico e etnoantropologico dei manufatti. Si consideri ancora come detto valore storico deve ritenersi, seppur indirettamente, confermato dalle prescrizioni contenute nell’art. 17 del Piano d’area Quadrante Europa che, nel tutelare alcuni complessi storico architettonici, ricomprende anche l’antica Corte di San Francesco di cui si tratta.
Ne consegue che gli stessi manufatti, nel loro complesso, integrano il rispetto di quanto contenuto nell’art. 10 comma 4 lett.l), e, ciò, sulla base di quanto affermato dal contenuto della relazione tecnica, laddove quest’ultima precisa come la Corte San Francesco costituisca una “testimonianza dell’architettura tradizionale dell’economia rurale che ha caratterizzato le campagne veronesi in epoca preindustriale”.
4. L’esistenza di dette circostanze, il percorso motivazionale seguito, l’elenco delle caratteristiche sopra ricordate, permettono di individuare, altresì, l’interesse pubblico alla tutela dei manufatti e, quindi, di considerare legittimo l’esercizio del potere di discrezionalità tecnica sopra precisato che, come ricordato, prescinde da un’analisi, nel merito, delle caratteristiche del manufatto di cui si tratta per limitarsi al rispetto dell’impianto motivazionale e alla ragionevolezza e alla logicità dell’esercizio del potere. Il provvedimento di apposizione del vincolo diretto deve, pertanto considerarsi legittimo.
5. Le stesse conclusioni non possono, tuttavia, essere estese all’istruttoria e al percorso motivazionale seguito dall’Amministrazione nell’apposizione del vincolo “indiretto” che, in quanto disciplinato dall'art. 45 del d.lgs. n. 42/2004, si basa sull'esigenza che il bene oggetto del vincolo diretto (la Corte San Francesco) sia valorizzato, per il tramite delle aree oggetto del vincolo indiretto, nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale.
Secondo la relazione che accompagna il provvedimento, l’apposizione del vincolo indiretto sarebbe giustificata dal fatto che “il contesto agrario che testimonia il rapporto funzionale ed estetico esistente tra il complesso monumentale e le aree allo stesso più prossime, identifica altresì la cornice storica e tradizionale, il tramite visivo e prospettico alla percezione del bene culturale, ampiamente fruibile dalle principali direttrici e coni visuali imperniati sulle arterie stradali che definiscono i confini del fondo”.
5.1 Dette affermazioni devono ritenersi non solo generiche, ma ancor di più appaiono contrastanti con il territorio nel quale si inseriscono. Esse, infatti, ricomprendono aree dove sono presenti impianti industriali e commerciali di considerevoli dimensioni (e ciò per tre dei quattro confini propri della Corte) e, ancora, su un territorio che è lontano dalle strade più importanti e che, pertanto, non permetterebbe comunque il rispetto della fruibilità della percezione visiva del bene culturale di cui si tratta.
5.2 Altrettanto ingiustificata e gravosa è l’imposizione di estendere l’immodificabilità dell’area a tutti i 63 ettari, senza nessuna limitazione di sorta,
apponendo così un vincolo generalizzato su un’area comprensiva di diversi fondi e terreni agricoli. Sancire una prescrizione così ampia, così pregiudizievole per i diritti del proprietario, avrebbe richiesto una motivazione più articolata, idonea a specificare le ragioni a fondamento delle quali si ritenga indispensabile sottoporre a vincolo un’area così vasta e, ciò, introducendo un’opportuna differenzazione tra le aree circostanti alla Corte che, in quanto tali, hanno il solo aspetto in comune di appartenere allo stesso proprietario e di essere pertinenziali alla Corte San Francesco.
5.3 La stessa motivazione avrebbe richiesto una comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, che consentisse di far comprendere le ragioni per l’imposizione di un vincolo, argomentazioni e ponderazioni che, al contrario, non sono presenti nel provvedimento impugnato né tantomeno nella relazione di accompagnamento. La stessa motivazione avrebbe richiesto l’indicazione delle ragioni che ritengono indispensabili ricomprendere tutti i fondi di cui si tratta,  precisando i motivi in base ai quali l’Amministrazioni ritiene che i coni visivi e le direttrici prospettiche non siano già state compromesse dai successivi interventi, rendendo del tutto inutile l’apposizione di un vincolo generalizzato, e di inedificabilità, su un’area già così modificata. Sul punto va, inoltre, rilevato che l'art. 45 (Prescrizioni di tutela indiretta) del Codice dei beni culturali e del paesaggio (che ripete la fattispecie sostanziale dell'art. 21 L. 1 giugno 1939, n. 1089 e poi dell'art. 49 D.Lgs. 29 ottobre 1999, n.  490) non stabilisce altra delimitazione spaziale che quella intrinsecamente funzionale alla sua causa tipica, che è di "prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro".
5.4 Dette considerazioni sono confermate da quell’orientamento giurisprudenziale che nel considerare ammissibile l’estensione del vincolo ad intere aree ha affermato che “è necessario, però, in tal caso, che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l'imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinata (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 29-05-2006, n. 6209)". E’ pertanto evidente che il provvedimento di imposizione del vincolo “indiretto” non solo deve indicare con precisione il bene oggetto del vincolo, ma altresì, il rapporto di complementarietà fra le misure limitative ed il fine pubblico perseguito, nonché le ragioni di adozione della misura limitativa, al fine di evitare che la compressione del diritto di proprietà che ne deriva si possa tradurre in un'inutile limitazione dello stesso (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 24 gennaio 2011, n. 93). Gli arresti dei giudici di merito sopra ricordati sono conformi con alcune pronunce
del Consiglio di Stato, laddove si è affermato il principio come sia "..illegittima l'imposizione di un vincolo posto a distanza notevole dal complesso archeologico, essendo in tale caso necessaria un'apposita congrua motivazione, autonoma rispetto a quella che sorregge l'imposizione del vincolo diretto, con riferimento all'ampiezza della fascia di rispetto, ai valori ed interessi secondari tutelati ed alla giustificazione del sacrificio del diritto del proprietario (Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 6344)”.
Deve, inoltre, rilevarsi che una recente pronuncia del Consiglio di Stato (n. 3893/2012), pur confermando la legittimità di un provvedimento di apposizione del vincolo indiretto – e rigettando l’impugnativa proposta - ha comunque precisato che “la proporzionalità … rappresenta la congruenza della misura adottata in rapporto all'oggetto principale da proteggere: per cui l'azione di tutela indiretta va contenuta nei termini di quanto risulta essere concretamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi di tutela diretta. Va cioè posta in rapporto all'esigenza conservativa che ha causato il vincolo diretto e dunque alle caratteristiche dell'oggetto materiale di quello. È connessa alla ragionevolezza, e
questa si specifica nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo”. E’ sempre la pronuncia sopra citata ad affermare che “l'estensione eccede in concreto dalla corretta cura dell'interesse quando viene dimostrato …..che riguarda terreni non necessari a contrastare il rischio per l'integrità di beni culturali (cioè  a garantirne la conservazione materiale), ovvero il danneggiamento della loro prospettiva o luce (cioè a garantirne la visibilità complessiva), ovvero l'alterazione delle loro condizioni di ambiente e di decoro (cioè a preservarli da contrasti con lo stile e il significato storico-artistico e a garantire la continuità storica e stilistica tra il monumento e la situazione ambientale in con è contestualizzato (ad es., Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006, n. 3078, ha respinto l'impugnazione di un'imposizione di vincolo indiretto per un raggio di tre chilometri intorno ad un castello; cfr. anche Cons. Stato, VI, 9 marzo 2011, n. 1474.).
6. L’esame dei principi sopra ricordati permette di affermare come anche nella materia di apposizione del vincolo indiretto, connotata anch’essa da un’ampia discrezionalità dell’Amministrazione procedente, è comunque necessario che il potere sia esercitato in modo che lo stesso sia effettivamente congruo, rapportato allo scopo perseguito e alla concreta finalità di tutela dei manufatti in relazione ai quali essi è previsto.
7. Ne consegue che se è vero che l’imposizione del vincolo “indiretto” costituisce una conseguenza dell’imposizione del vincolo “diretto” è, altrettanto, condivisibile l’affermazione in base alla quale una volta che è accertata questa corrispondenza, la latitudine spaziale dovrà essere espressamente contemperata e valutata in funzione dell’effettivo interesse che si intende tutelare, contemperando il sacrificio del privato, ed eventualmente attenuandolo e mitigandolo anche mediante l’adozione di specifiche prescrizioni, eventualmente diversificate in ragione della vicinanza (e/o della lontananza) dal bene che si intende proteggere e delle esigenze di tutela, proprie dello stesso manufatto oggetto del vincolo diretto. E’ evidente, pertanto, come in detta attività un momento fondamentale è costituito dalla determinazione delle specifiche prescrizioni nell’atto di imposizione del
vincolo di cui si tratta che, in quanto tali, impegnano l’Amministrazione in un’attenta comparazione degli interessi coinvolti, strettamente correlati alle opere che si intende preservare con le prescrizioni così assunte.8. Ne consegue, allora, che l'ampiezza della zona da preservare in via indiretta non può essere determinata aprioristicamente, ma dipende in concreto dalla natura e dalla conformazione del bene direttamente tutelato, dallo stato dei luoghi che lo circondano e dalle prescrizioni poste a tutela del bene (o dei beni) di cui si tratta.
9. Alla luce delle considerarsi sopra esposte deve affermarsi che nel caso di specie non sono stati rispettati i principi di adeguatezza, congruenza, ragionevolezza e proporzionalità nell’apposizione del vincolo indiretto e nella determinazione delle prescrizioni ad esso relative ( Cons. Stato, VI, 6 ottobre 1986, n. 758) e, ciò, anche considerando come l’altezza massima del parco fotovoltaico fosse originariamente prevista in 2,27 metri (a fronte di un’altezza delle costruzioni della Corte che oscillano tra i sei e i nove metri) e, ancora, come l’ampiezza dell’area sottoposta a vincolo risultasse pari a 63 ettari e, quindi, corrispondesse alla pressocchè totalità delle aree di proprietà del ricorrente e, ciò, senza che sia presente nessuna distinzione tra i vari terreni che compongono un’area così vasta. In considerando di quanto sopra espresso il ricorso può essere allora accolto, seppur parzialmente, annullando il solo provvedimento di apposizione del vincolo indiretto così come sopra specificato".

TAR Veneto n. 34 del 2013

Esame dello stato di consistenza delle offerte tecniche

31 Gen 2013
31 Gennaio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 95 del 2013, già citata nel post che precede, si occupa anche delle offerte tecniche.

Il Collegio precisa che, in sede (pubblica) di valutazione delle offerte tecniche, non sia sufficiente “una generica constatazione dell’integrità delle buste” e “una altrettanto generica constatazione dell’esistenza di un contenuto di cui però non si dà alcuna specificazione”, essendo indispensabile che in tale occasione avvenga anche l’esame del c.d. stato di consistenza delle medesime, ossia un controllo “in ordine al tipo e al numero dei documenti recanti le offerte tecniche”, poiché: “la fase di valutazione del pregio tecnico dell'offerta debba svolgersi in seduta riservata, ma che, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria, le operazioni preliminari da svolgere in seduta pubblica, anche con riguardo alle offerte tecniche, non possano esaurirsi nella semplice constatazione dell’esistenza dei plichi recanti le stesse e del fatto che non vi siano manomissioni o alterazioni. 7.5. Tale verifica assolve, invero, soprattutto con riguardo alle gare in cui il contratto venga affidato con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (come quella in esame), alla funzione di garantire che il materiale contenuto nei plichi trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato (cfr. Cons. Stato ad. plen, n. 13 del 2011 Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 2010, n. 6939; 10 novembre 2010, n. 8006; 4 marzo 2008, n. 901; sez. VI, 22 aprile 2008, n. 1856; sez. V, 3 dicembre 2008, n. 5943; sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 5354; sez. V, 18 marzo 2004, n. 1427). 7.6. Pertanto, la garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta dell’offerta tecnica del singolo concorrente, abbia proceduto ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta”.

dott. Matteo Acquasaliente

Mancata corrispondenza del cronoprogramma all’offerta economica

31 Gen 2013
31 Gennaio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 28 gennaio 2013 n.95, si occupa della possibile discrasia tra il termine di ultimazione dei lavori contenuto nell’offerta economica (60 giorni) e quello previsto dal cronoprogramma allegato all’offerta medesima (90 giorni).

Premesso che il cronoprogramma attiene “direttamente all’offerta del concorrente la quale deve indicare alla stazione appaltante «in modo completo e dettagliato le caratteristiche e le modalità di esecuzione dei lavori oggetto di appalto» e che, pertanto, esso deve essere «congruente con il tempo di esecuzione offerto, con sequenza logica dei tempi e dei costi»” e che: “il cronoprogramma, come indicato dalla stessa legge di gara, costituirebbe infatti un documento essenziale dell’offerta, tanto che la sua omissione è presidiata dalla stessa legge di gara con la sanzione dell’esclusione, per cui dalla sua rilevata incongruenza deriverebbe un’indeterminatezza dell’offerta, tale da impedire alcuna aggiudicazione così come attribuzione di punteggio”, il T.A.R. Veneto non ritiene il suo contrasto con l’offerta economica una mera irregolarità formale sanabile nel corso della procedura concorsuale - in applicazione del principio comunitario di massima partecipazione e di prevalenza della sostanza sulla forma -, ma una “indeterminatezza dell’offerta” insanabile, comportante l’esclusione dalla gara ex art. 46, c. 1-bis D. Lgs. 163/2006, poiché: “la mancata corrispondenza del cronoprogramma all’offerta economica incide irrimediabilmente, rendendolo contraddittorio, su un elemento essenziale dell’offerta medesima (tempo di esecuzione dei lavori) che, proprio per tale natura, non è suscettibile di interventi manipolativi e di adattamento ex post, nel corso della procedura selettiva, volti alla ricerca della effettiva volontà contrattuale, risultando altrimenti violati la "par condicio" dei concorrenti, l'affidamento da essi posto nelle regole di gara per modulare l'offerta economica e le esigenze di trasparenza e certezza (con conseguente necessità di prevenire possibili controversie sull'effettiva volontà dell'offerente) delle gare pubbliche, a fronte delle quali risulta evidentemente recessivo il principio della conservazione delle offerte e della massima partecipazione alla gara (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 22 agosto 2012, n. 4592)”.

dott. Matteo Acquasaliente

 TAR Veneto 95 del 2013

La “vicinitas” vista da lontano

30 Gen 2013
30 Gennaio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la nota sentenza n. 959 del 05.07.2012, dichiarava che la mera vicinitas non legittima ex se l’impugnazione del permesso di costruire del vicino-confinante, essendo ulteriormente necessaria una lesione, anche solo potenziale, di un interesse meritevole di tutela.

Recentemente anche il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 13.11.2012 n. 5715, ha ribadito ciò, sottolineando come la lesione deve essere seria fondata e non meramente pretestuosa o supposta: “La problematica relativa alla legittimazione dei vicini ad impugnare atti riguardanti il regime urbanistico- edilizio di aree confinanti è stata ed è tuttora oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale, sulla quale si è più volte soffermata significativamente anche la giurisprudenza di questa Sezione. Secondo un preciso orientamento la legittimazione ad impugnare va riconosciuta ai proprietari di fondi confinanti con l'area interessata ad un intervento edilizio in ragione della semplice " vicinitas ", trovandosi, il terzo in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dall'edificazione, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale, giacché tale situazione vale a differenziare una posizione di interesse qualificato rispetto al "quisque de populo" (Cons Stato Sez. VI 26 luglio 2001 n.4123; idem 15 giugno 2010 n.3744; Cons. Stato Sez. V 7 maggio 2008 n.2086; Cons. Stato Sez. IV 17 settembre 2012 n.4926; idem 30 novembre 2009 n.7491; 16 marzo 2010 n. 1535; 20 maggio 2004 n. 3263). Questo arresto giurisprudenziale è stato per il vero più volte integrato e temperato da statuizioni che mettono la vicinitas in più stretta correlazione con la legitimatio ad causam intesa come l'interesse ad agire affermandosi che la legittimazione attiva sussiste ogni qual volta in il progettato intervento urbanistico-edilizio pur concernente un'area non di appartenenza del ricorrente, incida negativamente sul bene di proprietà o in godimento del vicino sì da comprometterne la fruizione o il valore. Così, si è detto, occorre che dall'approvazione e dall'esecuzione delle scelte urbanistiche derivi al ricorrente un pregiudizio certo e concreto in relazione ai molteplici aspetti e ai vari interessi costitutivi della sua sfera giuridica (Cons. Stato Sez..IV 24 dicembre 2007 n.6619; 22 giugno 2006 n.3947; idem 10 giugno 2004 n.3755; 5 settembre 2003 n.4980; 9 novembre 2010 n. 8364). In tali sensi, questa Sezione pur non obliterando il principio della " vicinitas " tout court, ha avuto cura di sottolineare, ai fini del radicamento delle condizioni legittimanti l'azione, la necessità che per i vicini si verifichi uno specifico vulnus alla loro sfera giuridica sub specie della sussistenza di un detrimento economico- patrimoniale comunque derivante per il bene (in tal senso decisione n.8364/2010 già citata)”.

I Giudici di Palazzo Spada, d’altronde, avevano già enunciato in precedenza come: “Nelle controversie attinenti alla realizzazione di interventi che incidono sul territorio, se è vero che l'ordinamento riconosce una posizione qualificata e differenziata a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata, è anche vero che, in concreto, devono ritenersi titolati all'impugnativa solo i soggetti che possono lamentare una rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio, per effetto della realizzazione dell'intervento controverso; il pregiudizio che può conseguire ad un intervento di pianificazione può consistere nella possibile diminuzione di valore del proprio immobile o nella peggiore qualità ambientale: una volta accertata la vicinitas, rappresentata dal collegamento territoriale, vanno valutate le implicazioni urbanistiche dell'intervento e le conseguenze prodotte sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorative e simili ragioni, sono in durevole rapporto con la zona interessata dall'intervento” (Cons. Stato, sez. IV, 17.09.2012, n. 4926).

In definitiva il Consiglio di Stato specifica che, per riconoscere la lesione affermata dal T:A.R. Veneto e determinante la legittimazione ad agire del vicino, l’intervento urbanistico-edilizio deve causare o una diminuzione economico-patrimoniale all’immobile del ricorrente oppure una lesione di valori afferenti la tutela ambientale.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS 5715 del 2012

CdS 4926 del 2012

Prescrizione quinquennale anche per le sanzioni ambientali pecuniarie (ex art. 167, D.lgs. n. 42/2004)

30 Gen 2013
30 Gennaio 2013

 L’art. 167 del d. lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), intitolato “Ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria”, al comma 5, dispone che: “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 (ovvero A) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero  aumento di quelli legittimamente realizzati; B) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; C)  per  i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380) presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere  vincolante  della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta  giorni. Qualora venga accertata  la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento  di  una somma  equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di  rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica  presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater,  si  intende  presentata  anche  ai  sensi e per gli effetti di cui al presente comma.”.

 La norma in commento contempla, quindi, a carico dell’autore di un danno in materia di tutela dei beni paesaggistici due misure alternative: la condanna alla rimessione in pristino a proprie spese (comma 1) dello stato dei luoghi oppure, ma solo  nei limitati casi sopra indicati, il pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione.

 In merito a quest’ultima, l’interpretazione sistematica di quanto disposto all’art. 167 del d. lgs. n. 42/2004 porta a concludere che “la somma di denaro ivi prevista non costituisca una forma di risarcimento del danno, ma una sanzione amministrativa pecuniaria che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale e per la cui irrogazione è sufficiente il semplice fatto formale dell’accertata inottemperanza all’obbligo, previsto dalla legge, di chiedere ed ottenere l’autorizzazione paesaggisitica prima di eseguire un’opera” (cfr. Corte di Cassazione, sez. unite civili – 10/8/1996, n. 7403; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I –  8/3/2004, n. 542).

 Alla luce di quanto detto fin d’ora, sorge spontanea la domanda: le sanzioni ambientali pecuniarie relative ad opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica si prescrivono in 5 anni?

Questo è il quesito a cui ha dato risposta il T.A.R. Veneto con la sentenza breve n. 59, 21 gennaio 2013. Le parti in causa sostenevano da un lato la prescrizione quinquennale decorrente dalla cessazione dell’illecito commesso e venutasi a determinare per effetto della conseguita concessione in sanatoria (previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica); dall’altro lato l’impossibilità del conteggio dei 5 anni, dato il non definito ammontare della sanzione.

Il T.A.R. stabilisce che: “il principio di autonomia delle due tipologie di violazioni, evocato dall'Amministrazione appellante, va rettamente inteso nel senso che l'intervenuta sanatoria dell'abuso edilizio non fa ex se venir meno la potestà sanzionatoria per la diversa violazione paesaggistica, ma non anche che essa non spiega alcuna influenza sulla permanenza di quest'ultima; ne consegue che proprio il momento del rilascio della sanatoria costituisce il dies a quo della prescrizione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 28 legge n. 689 del 1981. L'opposto avviso, oltre a comportare - come detto - la sostanziale imprescrittibilità della sanzione pecuniaria de qua, si porrebbe in contrasto con fondamentali principi di matrice penalistica (come noto richiamati dalla ridetta legge n. 689 del 1981 anche in materia di illeciti amministrativi), alla stregua dei quali la nozione di illecito a carattere permanente ovvero con effetti permanenti postula necessariamente, pena il configurarsi di una sorta di non ammissibile responsabilità oggettiva, che il responsabile dell'illecito conservi la possibilità di far cessare la permanenza dell'illecito stesso, ovvero di rimuoverne gli effetti”.

dott.sa Giada Scuccato

sentenza Tar Veneto 59 del 2013

Conferenza dei servizi: il dissenso deve avere la forma di critica costruens (indicare le modifiche progettuali necessarie per il superamento del dissenso)‏

29 Gen 2013
29 Gennaio 2013

Lo scrive il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 24.1.2013, n. 434: "...2.2. Ed invero, in relazione al primo profilo, osserva il Collegio come nell'ambito della conferenza di servizi convocata dalla Regione Sardegna in data 24 maggio 2011 l'Amministrazione comunale abbia espresso "il parere di conformità alla disciplina urbanistica comunale", limitandosi ad evidenziare che doveva "essere chiarita la titolarità sia del terreno in cui insiste l'impianto che in quello dove passeranno i cavidotti".

E', quindi, palese come il Comune di Isili non abbia espresso alcun diniego formale in sede di conferenza di servizi.

Infatti, ai sensi dell'art. 14 ter della L. n. 241/1990, per essere validamente espresso, il dissenso deve, tra le altre cose, essere sorretto da congrua motivazione e contenere altresì la critica costruens, volta ad indicare le modifiche progettuali necessarie per il superamento del dissenso medesimo.

Ed in conformità al precetto normativo, anche la giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte chiarito come il dissenso di un'Amministrazione che partecipa alla conferenza di servizi deve rispondere ai principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, predicato dall'art. 97 Cost., non potendo limitarsi ad una mera opposizione al progetto in esame, ma dovendo essere costruttivo e motivato (cfr. per tutte Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3099).

Privo di fondamento, pertanto, si appalesa l'assunto del Comune appellante di non aver mai espresso il proprio assenso alla realizzazione dell'impianto per cui è causa, ma di essersi limitato ad esprimere un "generico punto di vista" relativamente al profilo urbanistico.

Infatti, il modulo procedimentale della conferenza di servizi ammette che l'ente regolarmente convocato possa esprimersi unicamente in uno dei seguenti modi:

a) consenso espresso (art. 14-ter, comma 6, della Legge n. 241/1990);

b) consenso tacito proveniente dall'ente regolarmente convocato il cui rappresentate non abbia espresso la volontà dell'amministrazione rappresentata in modo definitivo (art. 14-ter, comma 7, della Legge n. 241/1990);

c) dissenso espresso, ammissibile solo se espresso in conferenza di servizi, motivato e circostanziato (art. 14-quater, comma 7, della Legge n. 241/1990).

Pertanto, del tutto correttamente il primo giudice ha dichiarato inammissibile il motivo, rilevando che:

"..il Comune avrebbe dovuto correttamente e tempestivamente dedurre tale ragione di dissenso nella sede della conferenza di servizi svoltasi il 24 maggio 2011, convocata dalla Regione Sardegna per l'esame dell'istanza di rilascio dell'autorizzazione unica presentata dalla controinteressata", mentre dal verbale risulta che lo stesso "sul punto, si è limitato a chiedere che fosse «chiarita la titolarità sia del terreno in cui insiste l'impianto, che in quello dove passeranno i cavidotti, senza ulteriori specificazioni o rivendicazioni in ordine alla reale proprietà degli immobili.

Peraltro, la generica osservazione del Comune, sopra riferita, è stata comunque oggetto di esame nella conferenza di servizi e si è tradotta anche in una specifica condizione (l'acquisizione della documentazione in merito al contratto definitivo di disponibilità delle aree di impianto) cui subordinare l'esito positivo della determinazione conclusiva della conferenza.

Condizione che si è, in seguito, realizzata (come risulta dalla documentazione versata in atti".

 

Quando possono dirsi ultimati gli edifici per i quali si chiede il condono per il cambio d’uso

29 Gen 2013
29 Gennaio 2013

La questione viene esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 21 del 2013.

Scrive il TAR: "Stabilisce infatti l’art. 31, comma 2, della legge n. 47/85 - richiamato dall'art. 39 della legge n. 724/94 e poi dalla legge n. 326/2003 - che, ai fini dell'applicazione delle regole sul condono, "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente".
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa in tema di ultimazione delle opere condonabili, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, la norma citata introduce - in alternativa al criterio dell'esecuzione al rustico e completamento della copertura dell'edificio - il parametro del completamento funzionale dell'opera: per i mutamenti di destinazione d'uso di edifici residenziali è condonabile la struttura in cui le opere, pur se non perfette nelle finiture, possano dirsi individuabili nei loro elementi strutturali con le caratteristiche necessarie e sufficienti ad assolvere alla funzione cui sono destinate. Il criterio del "completamento funzionale " anticipa, quindi, la data di ultimazione delle opere ai fini dell'ammissione al condono, per cui un intervento non ancora completato può, tuttavia, essere giudicato sanabile dal punto di vista funzionale (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 6.5.2010 n. 2295).
Ne discende, quindi, che entro il termine stabilito dalla legge, anche se le attività edilizie siano ancora in corso, l'immobile deve essere già fornito degli elementi indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito - in modo tale da risultare incompatibile con l'originaria destinazione (cfr. T.A.R. Abruzzo Pescara, 22.10.2007 n. 837) - pur se non siano stati ancora realizzati gli impianti e le rifiniture di carattere complementare ed accessorio (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 28.5.2008 n. 1631).
Costituisce, infine, principio consolidato della giurisprudenza quello secondo il quale l’onere della prova circa la data di realizzazione dell’immobile abusivo (o anche della attività edilizia abusiva da sanare) spetti a colui che ha commesso l’abuso e solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi, che non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all’Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13.1.2010, n. 45; Consiglio di Stato, V, 9.11.2009, n.6984).
E, infatti, la pubblica amministrazione non può di solito materialmente accertare quale fosse la situazione dell’intero suo territorio a quella data prevista dalla legge, mentre il privato, che propone l’istanza di sanatoria, è normalmente in grado di fornire idonea documentazione che comprovi l’ultimazione dell’abuso entro la data di riferimento, vale a dire nel caso di specie il 31.3.2003, spettando a costui l’onere di fornire quantomeno un principio di prova su tale ultimazione e in caso contrario
restando integro il potere di non concedere il condono e di irrogare la sanzione prescritta.
Orbene, nel caso in esame dette condizioni non sono state rilevate dall’amministrazione, la quale, basandosi sulla documentazione acquisita, anche con riferimento a dati oggettivi che, pur riferendosi ad altri procedimenti attestavano in ogni caso lo stato di fatto dell’immobile, non ha ritenuto che il mutamento d’uso funzionale risultasse completato entro la data del 31.3.2003.
Al riguardo va in primo luogo osservato come proprio l’utilizzo precedentemente operato dell’unità in questione (dormitorio per le maestranze dell’attività artigianale esercitata al piano terra dell’immobile) comportasse uno specifico onere da parte istante per dimostrare che l’utilizzo del bene è stato modificato, risultando destinato ad abitazione.
Come correttamente rilevato dalla difesa resistente, proprio il confine sottile esistente fra le due destinazioni in rapporto allo stato di fatto, imponeva l’onere a carico del richiedente di comprovare in modo più qualificato l’effettivo mutamento operato.
Ed a tale proposito è di tutta evidenza che nessuna rilevanza può essere attribuita alle mere intenzioni del richiedente, che, pur mantenendo lo stato di fatto, avrebbe inteso assegnare al bene utilizzato una diversa destinazione d’uso: come già osservato in fattispecie analoghe, il condono edilizio non legittima un’intenzione, ma sana un effettivo e dimostrato uso del bene diverso da quello autorizzato".

sentenza tar Veneto 21 del 2013

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