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Quali attività commerciali si possono fare all’interno delle stazioni di servizio (a proposito di legislatore insipiente)

23 Gen 2013
23 Gennaio 2013

 Il D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, contenente “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012 n. 27, all’art. 1 prevede che: “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in attuazione del principio di libertà di iniziativa economica sancito dall'articolo 41 della Costituzione e del principio di concorrenza sancita dal Trattato dell'Unione europea, sono abrogate, dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3 del presente articolo e secondo le previsioni del presente articolo:

    a) le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell'amministrazione comunque denominati per l'avvio di un’attività economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalità;

    b) le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché' le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di nuove attività economiche o l'ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità, ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti.

  2. Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica”.

 

Nonostante l’asserita abrogazione delle normative che prevedono dei limiti numerici/quantitativi alle attività economico-commerciali, all’art. 17, c. 4, del medesimo Decreto Legge si prevede che: “All'articolo 28 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono apportate le seguenti modificazioni:

    a) il comma 8 è sostituito dal seguente:

      "8. Al fine di incrementare la concorrenzialità, l'efficienza del mercato e la qualità dei servizi nel settore degli impianti di distribuzione dei carburanti, è sempre consentito in tali impianti:

      a) l'esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), della legge 25 agosto 1991, n. 287, fermo restando il rispetto delle prescrizioni di cui all'articolo 64, commi 5 e 6, e il possesso dei requisiti di onorabilità e professionali di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59;

      b) l'esercizio dell’attività di un punto di vendita non esclusivo di quotidiani e periodici senza limiti di ampiezza  della superficie dell'impianto e l'esercizio della rivendita di tabacchi, nel rispetto delle norme e delle prescrizioni tecniche che disciplinano lo svolgimento delle attività di cui alla presente lettera, presso gli impianti di distribuzione carburanti con una superficie minima di 500 mq;

      c) la vendita di ogni bene e servizio, nel  rispetto della vigente normativa relativa al bene e al servizio posto in vendita, a condizione che l'ente proprietario o gestore della strada verifichi il rispetto delle condizioni di sicurezza stradale”.

Dunque, in base ad una interpretazione strettamente letterale, all’interno delle stazioni di servizio sono ammesse solamente le attività commerciali previste dall’art. 5, c. 1, lett. b), l. 25.08.1991 n. 287, ossia gli “esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonché' di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffè, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari)”, con le limitazioni previste dagli artt. 64 e 71 del D. Lgs. 59/2010 in tema di sorvegliabilità, di rispetto della normativa urbanistico-edilizia, igienico-sanitaria e di sicurezza nei luoghi di lavoro e dei requisiti professionali e di onorabilità

Al contrario, per altre attività similari o comunque strettamente connesse a quelle testé citate - tra cui quelle previste dall’art. 5, c. 1, lett. a), l 25.08.1991, n. 287 aventi ad oggetto gli “esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari)”- la possibilità di realizzarle all’interno delle aree di servizio è subordinata al rispetto dei limiti quantitativi e dimensionali previsti dalla l.r. Veneto 21 settembre 2007, n. 29 concernete la “Disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande”.

Quanto esposto è confermato dalla Deliberazione della Giunta Regionale n. 1010 del 05 giugno 2012, pubblicata nel BUR n. 49 del 26.06.2012.

Alla luce della normativa adottata nasce spontaneo un quesito: l’intenzione del legislatore non era di favorire la libertà di iniziativa economica sancita dalla Costituzione e dalle normative comunitarie abolendo ogni tipologia di restrizione alla libera concorrenza?

dott. Matteo Acquasaliente

DGRV n. 1010 del 2011

L’A.P. sul soggetto competente alla verifica dell’anomalia dell’offerta in una gara con l’offerta economicamente più vantaggiosa

23 Gen 2013
23 Gennaio 2013

Le procedure di affidamento degli appalti pubblici di lavori servizi e forniture, si articolano in una serie di fasi finalizzate all’aggiudicazione a favore del soggetto miglior offerente, selezionato sulla base di criteri legislativamente stabiliti negli articoli 81 e 84 del D.Lgs n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) che sono il criterio del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa indicati nella delibera a contrarre e nel bando o lettera di invito.

Nella dinamica procedimentale volta all’aggiudicazione può accadere che l’offerta presentata dal partecipante alla gara appaia anormalmente bassa rispetto all’entità delle prestazioni richieste nel bando e cioè apparentemente troppo gravosa per l’offerente e molto conveniente per la P.A..

Ciò potrebbe suscitare il sospetto della scarsa serietà dell’offerta o di una non corretta esecuzione della prestazione contrattuale, laddove, l’offerta anomala, non consente di assicurare il conseguimento di un profitto anche se, occorre dirlo, non sempre un’offerta che consente un maggiore risparmio per la P.A. corrisponde ad una non esatta esecuzione della commessa pubblica.

Per superare le diffidenze che la presentazione di offerte a primo impatto anomale impone, il Codice dei contratti pubblici prevede la verifica di congruità dell’offerta volta a verificare la sostenibilità, l’attendibilità e reale convenienza.

L’obbiettivo di fondo è contemperare  due opposte esigenze: da un lato la convenienza della P.A. ad affidare l’appalto al prezzo più basso e dall’altro evitare l’esecuzione della prestazione al di sotto di un limite dettato dalle leggi del mercato a discapito di una corretta prestazione contrattuale con effetti distorsivi, tra l’altro anche sulla concorrenza.

Ma nell’ambito di una gara di appalto da aggiudicare, poniamo, col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dopo la presentazione delle offerte e l’apertura delle buste chi procede ad individuare la cosiddetta soglia di anomalia?

A tal proposito gli operatori del diritto, prima dell’intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, davano due risposte differenti.

Un primo filone individuava in capo alla commissione aggiudicatrice, costituita ex art. 84 del D.Lgs n. 163/2006, la competenza esclusiva ad effettuare ogni attività (tecnico – discrezionale) di carattere valutativo.

Un secondo filone riteneva che il responsabile unico del procedimento (R.U.P.) potesse verificare l’anomalia personalmente ovvero delegare a ciò la commissione aggiudicatrice.

Questa seconda risposta è stata condivisa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 36/2012 che ha statuito come nelle gare d’appalto, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sia legittima la verifica di anomalia dell’offerta eseguita, anziché dalla commissione aggiudicatrice, direttamente dal responsabile unico del procedimento avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante.

Infatti, anche nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 121 del d.P.R. n. 207/2010 è attribuita al responsabile del procedimento la facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procede personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice.

Con tale decisione la Plenaria ha respinto l’appello di una associazione temporanea di imprese altoatesina e confermato la sentenza di primo grado n. 193/2010 del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma di Bolzano, che aveva abbracciato il secondo filone interpretativo maggiormente aperto a valorizzare il ruolo del R.U.P. nella funzione di verifica e supervisione sull’operato della commissione.

Rocco Giacobbe Vaccari – Avvocato del Foro di Padova

adunanza plenaria 36 del 2012

Convegno organizzato da Venetoius sulla nuova legge regionale 50/2012 in materia di Commercio

22 Gen 2013
22 Gennaio 2013

Venetoius organizza per  venerdì 15 febbraio 2013 un convegno sulla nuova legge regionale in materia di commercio, con il patrocinio dei Comuni di Torri di Quartesolo e di Arzignano, come da locandina allegata.

Relatori saranno il prof. Giuseppe Piperata, il prof. Bruno Barel, l'avv. Guido Zago, il dott. Antonio Casella e l'arch. Fernando Lucato.

Il convegno si terrà a Torri di Quatesolo, presso l'Hotel Piramidi, sala Cheope, via Brescia, 20.

La partecipazione è gratuita, ma, per ragioni organizzative è obbligatoriamente richiesta una preventiva adesione tramite e-mail al seguente indirizzo:

venetoius@hotmail.it

Pubblichiamo la locandina dell'evento

locandina convegno commercio TQ


 

La realizzazione di un vano scale coperto esterno non costituisce un volume tecnico

22 Gen 2013
22 Gennaio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 11 del 2013 si occupa di un caso nel quale il ricorrente, avendo realizzato due scalette esterne per accedere alla sottostante cantina, aveva realizzato abusivamente a copertura degli accessi due strutture prefabbricate in coppi, munite di apertura laterale mediante serramenti in alluminio e il quale aveva respinto una domanda di sanatoria per esubero della volumetria assentibile.

Scrive il TAR: "Va in primo luogo esclusa la pretesa riconducibilità degli interventi eseguiti dal ricorrente ai cd. volumi tecnici, come tali esenti da titolo autorizzatorio.
Invero, sono comunemente identificati quali volumi tecnici unicamente i manufatti che sono strettamente necessari a contenere gli impianti tecnici al servizio dell’edificio (impianto idrico, termico, televisivo, di parafulmini, di ventilazione), i quali, proprio per la suddetta funzione, non possono essere compresi, per esigenze funzionali, all’interno del corpo dell’edificio cui inseriscono: orbene, secondo un costante orientamento, i vani scale non costituiscono volumi tecnici, bensì volumi complementari a quelli dell’immobile adibito ad abitazione, né nel caso di specie è stata dimostrata la diversa funzione di contenimento di impianti tecnici; inoltre, va sottolineato come trattasi della copertura esterna, emergente dal terreno, dell’accesso alle scale.
Ne consegue che detto volume doveva essere considerato ai fini urbanistico-edilizi e quindi ai fini del computo della volumetria ammissibile all’interno dell’ambito di proprietà.
Ed è proprio con riguardo a tale profilo, evidenziato nel provvedimento impugnato, che la sanatoria non è stata concessa in ragione dell’accertato eccesso di volumetria, in osservanza del dettato di cui al’art. 39 n.t.a..
A tale riguardo va osservato come l’istruttoria compiuta dall’amministrazione sia stata eseguita in modo adeguato, essendo stata rilevata la dimensione e la funzione dei manufatti abusivamente realizzati in esubero rispetto alla volumetria già realizzata dal ricorrente.
In proposito va infatti evidenziato quanto rilevato nella scheda istruttoria (doc. 4 Comune), ove sono state esaurientemente descritte le caratteristiche strutturali e dimensionali dei due manufatti, posti a copertura dei due vani scale, nonché l’avvenuto superamento dei limiti di volumetria ammissibili per effetto di altre costruzioni realizzate nell’ambito di proprietà.
In merito ed a confutazione dell’obiezione della difesa ricorrente, che ha rilevato come sia stata citata da parte dell’amministrazione comunale documentazione attinente ad altra pratica edilizia (prot. n. 3456/1999, doc. n. 8 Comune), va osservato come tale documento n. 8 di parte resistente, sebbene riferito ad altra pratica, sia stato prodotto proprio a conferma dell’avvenuto superamento del volume consentito con riguardo ad altri precedenti interventi eseguiti nel medesimo ambito".

sentenza tar Veneto 11 del 2013

La risposta di cortesia può essere un atto non impugnabile

22 Gen 2013
22 Gennaio 2013

Le c.d. “risposte di cortesia” della Pubblica Amministrazione possono essere non suscettibili  di impugnazione, in primo luogo se sono meramente confermative di circostanze passate, non comprendono alcun elemento innovativo e si limitano ad esporre quale sia lo stato giuridico del rapporto; in secondo luogo se dalle stesse non ne scaturisce nemmeno una rinnovata istruttoria o una riponderazione degli interessi.

A stabilire ciò è il Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 24 che ritorna sull’argomento già affrontato nella sentenza Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2006, n. 826, ove si precisò che “Poiché la nota del presidente dell'A.R.S.S.A. con la quale è stata respinta la domanda del dipendente, di inquadramento nell'VIII qualifica funzionale, si risolve in una risposta di cortesia, volta a ribadire ad un soggetto dotato di specifica professionalità, su invito di quest'ultimo, le ragioni del diniego di reinquadramento già chiarite, nella loro essenza, all'interessato, tale atto, non avendo valenza autonomamente lesiva, non può considerarsi idoneo a riaprire il termine di legge, per l'impugnazione, ormai consumato.”. Nella motivazione della detta decisione, cui si fa rinvio, si ha cura di precisare, tra l’altro, che “Il diniego in realtà, non risulta conseguente ad alcuna rinnovata istruttoria, per la quale, del resto, neppure sussistevano i presupposti, dal momento che l'atto di diffida si era limitato a riprodurre, pedissequamente, l'elencazione delle mansioni già contenuta nella prima istanza, senza sottoporre alla valutazione dell'Amministrazione alcun elemento nuovo.”

dott.sa Giada Scuccato

sentenza cds 24 del 2013

Il potere sanzionatorio previsto dall’art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001 ha portata generale

21 Gen 2013
21 Gennaio 2013

Il comma 2 dell'articolo 27 del D.P.R. 380 del 2001 stabilisce che: "Il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilita', o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonche' in tutti i casi di difformita' dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi".

Tale disposizione, il cui coordinamento con gli articoli 31 e seguenti, è ancora tutto da chiarire, ha una evidente portata generale, che supera l'antica divisione tra abusi maggiori, soggetti a demolizione, e abusi minori (un tempo riferiti alle opere soggette ad autorizzazione edilizia), soggetti al pagamento di una sanzione pecuniaria.

Per esempio, il TAR, nella sentenza n. 22 del 2013, già allegata al post che precede, ha ritenuto tale articolo applicabile al caso di un caminetto che viola le prescrizioni del regolamento comunale.

Scrive il TAR: "Sul punto deve ritenersi applicabile quanto sancito dall’art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001 laddove riconosce all'Amministrazione Comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutte le attività urbanistico-edilizie del territorio, ivi comprese quelle riguardanti immobili sottoposti a vincolo storico-artistico e impone l'obbligo, per il dirigente competente, di adottare immediatamente provvedimenti definitivi, al fine di ripristinare la legalità violata dall'intervento edilizio realizzato, mediante l'esercizio di un potere-dovere del tutto vincolato dell'organo comunale, senza margini di discrezionalità, diretto a reprimere gli abusi edilizi accertati (T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 05-04-2012, n. 1647)
3.1 Se, infatti, la presentazione di un’istanza, attiva un interesse pretensivo in relazione al quale sussiste discrezionalità dell’Amministrazione nel concludere o meno il procedimento, una volta che nel corso degli accertamenti posti in essere, emergano difformità o abusi, il disposto di cui all’ artt. 27 e seguenti del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), impegna l'amministrazione competente ad avviare il procedimento di verifica della regolarità dei titoli abilitativi e/o della conformità dei manufatti realizzati ai progetti assentiti, e di conseguenza, ad adottare gli atti inibitori conseguenti all’esercizio di un’attività vincolata.
Solo nell’ipotesi in cui non emergano anomalie l’Amministrazione, non è tenuta ad adottare uno specifico atto o, al contrario, ad emanare un provvedimento di archiviazione (T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 13 settembre 2012, n. 577 e T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 24 gennaio 2011, n. 693).
Nel caso di specie era stata proprio la Polizia Municipale di Padova che, nel corso del sopralluogo del 16/05/2009, aveva accertato la presenza “sul tetto di un comignolo in muratura a servizio di un caminetto a legna installato all’interno dell’appartamento della Sig.ra Caliceti. La distanza del comignolo dalla parete finestrata del sottotetto dell’esponente, oggetto di condono n. 7966/2004, risulta inferiore ai 10 metri previsti dal regolamento edilizio”.

Chi denuncia un abuso edilizio può impugnare i provvedimenti negativi del comune?

21 Gen 2013
21 Gennaio 2013

Si occupa della questione la sentenza del TAR Veneto n. 22 del 2012.

Scrive il TAR: "Per quanto concerne l’interesse a ricorrere ne va rilevata la sua esistenza, risultando, parte ricorrente, pienamente legittimata all’impugnazione del provvedimento di cui si tratta. Quest’ultima, infatti, sostiene l’illegittimità di un provvedimento di archiviazione di un’istanza diretta a rilevare l’esistenza di un abuso edilizio (nella species un camino con relativo comignolo) posto ad una minima distanza dalla proprietà della ricorrente, assumendo che la violazione delle relative distanze tra i manufatti, e il funzionamento stesso del camino, ha l’effetto di pregiudicare il pieno utilizzo delle proprietà della ricorrente.
Come ha confermato una recente decisione del Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 986) “sono impugnabili, da parte di terzi, i c.d. provvedimenti negativi con cui un soggetto pubblico titolare di poteri di controllo e sanzionatori dispone l'archiviazione di un determinato procedimento sanzionatorio avviato su impulso di parte o comunque rifiuta di intervenire, a condizione che il soggetto denunciante (poi ricorrente) sia portatore di un interesse particolare e differenziato, che assume essere stato leso dalla mancata adozione del provvedimento repressivo e, dunque, si connoti sostanzialmente, rispetto al provvedimento, quale soggetto controinteressato”.
Parte ricorrente, non solo è risultata destinataria da parte del Comune di tutti gli atti successivi alla presentazione della propria istanza, ma ha palesato sin da subito il pregiudizio arrecato alla proprietà dall’abuso così contestato.
Le argomentazioni sopra citate non solo consentono di evidenziare l’esistenza di un’astratta possibilità di lesione, riconducibile alla possibilità che vi siano emissioni nocive, ma conferma, seppur indirettamente, l’esistenza della giurisdizione di questo Tribunale e, ciò, laddove si consideri che la controversia di cui si tratta non ha ad oggetto, l’accertamento circa il superamento dei limiti di normale tollerabilità di cui all’art.844 del codice civile, bensì la legittimità del provvedimento di archiviazione emanato dal Comune di Padova in data 30/09/2011".

Il silenzio assenso sul permesso di costruire non si forma se l’istanza non contiene la dichiarazione di conformità urbanistica da parte del progettista

21 Gen 2013
21 Gennaio 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 20 del 2013.

Scrive il TAR: "...Un’ultima considerazione va fatta con riguardo alla ritenuta formazione del provvedimento tacito di assenso per effetto della decorrenza dei termini di legge e quindi della sostanziale inutilità del provvedimento di diniego assunto tardivamente dall’amministrazione, circostanza che potrebbe assumere rilevanza anche a fronte della ritenuta inammissibilità del ricorso, in quanto la formazione del silenzio porterebbe a superare il diniego precedentemente opposto dal Comune.

Al riguardo è incontestato che la documentazione allegata alla nuova domanda di permesso di costruire non contiene la dichiarazione di conformità urbanistica da parte del progettista.

Ciò costituisce impedimento per la formazione del silenzio assenso, in quanto non può essere condivisa la tesi di parte ricorrente che pretenderebbe di supplire detta mancanza con la possibilità per l’amministrazione di intervenire successivamente in autotutela.

Una simile conclusione si pone in contrasto con lo spirito e le finalità della procedura semplificata, che consente lo snellimento dell’azione dell’amministrazione solo sul presupposto che la stessa sia stata messa nelle condizioni di conoscere nella sua completezza tutti gli elementi necessari al fine di giudicare l’assentibilità dell’intervento: cosa che nella fattispecie non è avvenuta...".

sentenza TAR Veneto 20 del 2013

C’era una volta la “vicinitas”

18 Gen 2013
18 Gennaio 2013

C'era una volta la "vicinitas", come criterio sufficiente per stabilire chi avesse un interesse qualificato a impugnare un titolo edilizio: si diceva che il vicino ha sempre interesse a impugnare, perchè ogni edificazione sul fondo del vicino qualche danno può arrecargli.

Il TAR Veneto, peraltro, da qualche tempo ritiene non corretta questa tesi e lo ha fatto con una serie di sentenze che hanno dichiarato inammissibili per carenza di interesse i ricorsi dei confinanti che hanno impugnato i titoli edilizi dei vicini.

La sentenza n. 15 del 2013 puntualizza la questione: "la condizione di mera vicinitas non è di per sé sola sufficiente a radicare la legittimazione ad impugnare i titoli edilizi rilasciati dall’amministrazione con riguardo ad ambiti confinanti con quello che è nella disponibilità del soggetto proponente il ricorso.
Se, invero, in termini di principio (così come osservato nel precedente citato da parte ricorrente, C.d.S, IV, 5715/2012), la vicinitas assume principale rilievo per qualificare e differenziare l’interesse fatto valere in ricorso, è tuttavia altrettanto indiscutibile come detta circostanza debba essere valutata nel caso concreto (così come ritenuto proprio nel precedente citato, ove è stata esaminata la situazione di fatto e le caratteristiche dell’intervento da realizzare nell’area confinante quella dei ricorrenti), onde accertare quale sia il reale pregiudizio che il rilascio del titolo autorizzatorio produrrebbe sulla vicina proprietà del ricorrente.
In altre parole, il requisito della vicinitas rappresenta uno dei criteri, indubbiamente il primo, per qualificare una posizione differenziata, necessaria per radicare l’interesse e la legittimazione a ricorrere, ma non è di per sé solo sufficiente a rendere ammissibile la proposizione del gravame.
Occorre, infatti, che la posizione del vicino risulti qualificata e quindi emerga dalla mera posizione di “quisque de populo”, qualificazione che dovrà essere caratterizzata dal pregiudizio che, anche se in termini astratti o possibilistici, il rilascio del titolo edilizio impugnato e la realizzazione dell’intervento assentito potrebbe produrre a carico dell’area posta nelle vicinanze di quella dell’intervento.
Come sottolineato anche nell’arresto giurisprudenziale citato da parte ricorrente, il mero richiamo al criterio della vicinitas, sebbene costituisca indizio inequivocabile dello stabile collegamento con la zona interessata dall’edificazione, così da differenziare la posizione del terzo, deve essere integrato ed interpretato in modo tale da porre in evidenza l’ulteriore profilo che deve caratterizzare la posizione legittimante, ossia la dimostrazione del pregiudizio derivante a carico del terzo, costituito dall’incidenza negativa che il progetto assentito potrà avere sul bene di proprietà o in godimento del vicino, così da comprometterne la fruizione o il valore.
In tali termini (cfr. C.d.S., IV, n. 8364/2010), il mero principio della vicinitas è stato interpretato ed integrato in rapporto alla dimostrazione da parte del soggetto che intende ottenere l’annullamento del titolo edilizio rilasciato al vicino, del vulnus da tale atto derivante alla propria sfera giuridica, quale deminutio economica e patrimoniale del bene di proprietà".

Sarà interessante vedere cosa dirà il Consiglio di Stato, se la sentenza verrà impugnata.

sentenza tar Veneto 15 del 2013

Cessione dei parcheggi previsti dalla legge Tognoli e decreto semplificazioni (5/2012)

17 Gen 2013
17 Gennaio 2013

L’art. 9 della L. 122/1989 (c.d. “Legge Tognoli”) ha introdotto, come sappiamo, una disciplina derogatoria delle norme urbanistiche comunali, al fine di incentivare la realizzazione di posti auto per le costruzioni preesistenti che ne sono sprovviste. Tali parcheggi possono essere realizzati secondo tre modalità: 1. nel sottosuolo dei fabbricato, nei locali siti al piano terreno (che vengono così a mutare la destinazione d’uso) o nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato; 2.  su aree comunali o nel loro sottosuolo con concessione del diritto di superficie a singoli privati o a cooperative edili (art. 9, comma 4); 3. su aree esterne condominiali, da parte di singoli condomini (art. 9, comma 3). In tutti e tre i casi la legge, all’art. 9, comma 5, istituiva un vincolo di pertinenzialità tra l’unità immobiliare e il parcheggio: “I parcheggi realizzati ai sensi del presente articolo non possono essere ceduti separatamente dall'unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli.”

Per completezza, occorre dire che la medesima legge disciplina, invece, all’art. 2, un’altra categoria di parcheggi, vale a dire quelli da ricavare necessariamente in caso di realizzazione di nuove costruzioni; in particolare l’art. 2 citato  ha sostituito l’art. 41 sexies della L. 1150/1942, aumentando la quantità di superficie a parcheggio necessaria per le nuove costruzioni (da 1 mq. ogni 20 mc. di costruzione a 1 mq per ogni 10 mc.).

Tornando alla prima disposizione, segnaliamo che l’art. 9 della c.d. “Legge Tognoli” è stata oggetto di vari interventi di modifica nel corso degli anni.

Riportiamo di seguito brevemente le modifiche più significative.

Una importante modifica è stata introdotta dall’art. 137, comma 2, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e riguarda il titolo abilitativo edilizio necessario per realizzare tali parcheggi, che è costituito dalla d.i.a. Si osserva, al riguardo, che, a seguito delle modifiche introdotte al testo Unico dell’Edilizia dal d.l. 70/2001, la d.i.a. deve intendersi ora sostituita con la scia.

Una ulteriore importante modifica ha riguardato la disciplina di circolazione dei parcheggi così realizzati ed è stata introdotta dal Governo Monti con il c.d. Decreto Semplificazioni (D.L. 5/2012 convertito in L. 35/2012).

Fermo restando quanto previsto dall' articolo 41-sexies, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, e l'immodificabilità dell'esclusiva destinazione a parcheggio, la proprietà dei parcheggi realizzati a norma del comma 1 può essere trasferita, anche in deroga a quanto previsto nel titolo edilizio che ha legittimato la costruzione e nei successivi atti convenzionali, solo con contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso comune.

Dunque, per i soli parcheggi realizzati ai sensi del comma 1 (quelli indicati al punto 1 che precede), è possibile, a differenza di quanto avveniva in precedenza, la cessione separata rispetto all’unità immobiliare a cui pertengono, con il limite che deve essere comunque istituito un vincolo pertinenziale con un altro immobile sito nel medesimo Comune. In sostanza, si tenta di contemperare l’obiettivo di semplificare le e compravendite tra privati per liberalizzare la circolazione dei beni con l’obiettivo pubblicistico di destinare spazi a parcheggio; rimane  infatti la destinazione a parcheggio dell’immobile.

 Il decreto legge manteneva invece fermo il divieto di vendere separatamente dalla relativa unità immobiliare i parcheggi realizzati ai sensi del comma 4 dell’art. 9 (quelli indicati al punto 2 che precede), confermando la sanzione della nullità degli atti di alienazione constastanti col divieto. Poiché, tuttavia, era stata sottolineata l’ingiustificata disparita di trattamento tra i parcheggi realizzati su aree private e quelli realizzati su aree pubbliche, in sede di conversione, il legislatore ha aggiunto il seguente periodo al comma 5 citato: “I parcheggi realizzati ai sensi del comma 4 non possono essere ceduti separatamente dall'unita' immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale e i relativi atti di cessione sono nulli, ad eccezione di espressa previsione contenuta nella convenzione stipulata con il comune, ovvero quando quest'ultimo abbia autorizzato l'atto di cessione”. In sostanza, è tata rimessa alla discrezionalità dei Comuni la scelta se consentire la vendita separata di questa categoria di parcheggi.

 Effettuata questa disamina, possono evidenziarsi i seguenti aspetti problematici relativi alle più recenti modifiche della norma in esame:

 a)      l’obbligo di mantenere il vincolo di destinazione a parcheggio e il vincolo di pertinenzialità con altra unità immobiliare sita nello stesso comune è sfornita di sanzione;

b)      sappiamo che l’esercizio del potere discrezionale da parte del Comune è soggetto pur sempre al principio della ragionevolezza, per cui ci si chiede quale motivazione logica e razionale potrebbe addurre il Comune per autorizzare la cessione separata;

c)      i limiti che il modificato comma 5 prevede per i parcheggi ai sensi del comma 1 (destinazione a parcheggio e pertinenzialità rispetto ad altra unità immobiliare dello stesso comune) valgono anche per i parcheggi ai sensi del comma 4? Il testo di legge non lo dice espressamente, per cui per questa via potrebbe essere stata introdotta una ulteriore (forse non voluta) disparità di trattamento tra le due tipologie di parcheggi.

avv. Marta Bassanese

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