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Il vincolo cimiteriale è davvero rispettato?

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

La normativa in materia di vincolo cimiteriale è rappresentata sia dal R.D. n. 1934/1265 sia dal D.P.R. n. 285/1990. Nello specifico l’art. 338 R.D. n. 1934/1265 attualmente prevede che: “1. I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell'impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge.

2. Le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano ai cimiteri militari di guerra quando siano trascorsi 10 anni dal seppellimento dell'ultima salma.

3. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa fino a lire 200.000 e deve inoltre, a sue spese, demolire l'edificio o la parte di nuova costruzione, salvi i provvedimenti di ufficio in caso di inadempienza.

4. Il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni:

a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;

b) l'impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari.

5. Per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre .

6. Al fine dell'acquisizione del parere della competente azienda sanitaria locale, previsto dal presente articolo, decorsi inutilmente due mesi dalla richiesta, il parere si ritiene espresso favorevolmente .

7. All'interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all'utilizzo dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d'uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell' articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457”.

L’art. 57, D.P.R. n. 285/1990 invece stabilisce che: “1. I cimiteri devono essere isolati dall'abitato mediante la zona di rispetto prevista dall'art. 338 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934  n. 1265, e successive modificazioni.

  2. Per i cimiteri di guerra valgono le norme stabilite dalla legge 4 dicembre 1956, n. 1428, e successive modifiche.

3.   (COMMA ABROGATO DALLA L. 1 AGOSTO 2002, N. 166)

4.   (COMMA ABROGATO DALLA L. 1 AGOSTO 2002, N. 166)

  5. Il terreno dell'area cimiteriale deve essere sciolto sino alla profondita' di metri 2,50 o capace di essere reso tale con facili opere di scasso, deve essere asciutto e dotato di un adatto grado di porosita' e di capacita' per l'acqua, per favorire il  processo di mineralizzazione dei cadaveri.

  6. Tali condizioni possono essere  artificialmente realizzate con riporto di terreni estranei.

  7. La falda deve trovarsi a conveniente  distanza dal piano di campagna e avere altezza tale da essere in piena o comunque col piu' alto livello della zona di assorbimento capillare, almeno a distanza di metri 0,50 dal fondo della fossa per inumazione.

 Dalla normativa citata appare che, di regola, le nuove costruzioni devono stare almeno 200 m dal “perimetro dell’impianto cimiteriale” (T.A.R. Abruzzo, sez. I, 14.10.2008, n. 1141) e che, in alcune tassative ipotesi, il Comune può derogare tale limite legale.

La giurisprudenza, inoltre, è costante nel ritenere che il vincolo cimiteriale, dato che deriva direttamente dalla legge statale, prevalga anche sugli strumenti urbanistici comunali che sono in contrasto con esso: “La fascia di rispetto cimiteriale prevista dall'art. 338 t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265, misurata a partire dal muro di cinta del cimitero, costituisce un vincolo assoluto d'inedificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di piano regolatore generale, che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo (Consiglio di Stato, sez. IV, 22.11.2013, n. 5571); “il vincolo cimiteriale di inedificabilità viene ad imporsi ex se, con efficacia diretta ed immediata, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla esistenza o sui limiti di tal vincolo(Cons. di Stato, sez. V, n. 519/1996). Ed ancora è stato sottolineato che: “Poiché sia la disposizione di cui all'art. 338, primo comma, del testo unico approvato col R.D. n. 1265/1934, sia quella di cui all'art. 57 del D.P.R. n. 285/1990, dispongono il divieto di costruire o ampliare edifici intorno ai cimiteri, imponendo una fascia di rispetto, si deve ritenere che tali disposizioni determinino il regime giuridico delle aree rientranti nella fascia di rispetto cimiteriale e si applichino indipendentemente da quale sia la loro destinazione prevista dal piano regolatore" (Cons. di Stato, Sez. IV, n. 4415/2007)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.11.2013, n. 5544); “Posto che i vincoli legali di inedificabilità non possono essere derogati dai piani urbanistici, i quali costituiscono fonte normativa di grado inferiore, una tavola del piano regolatore o una norma dello stesso non possono derogare al divieto di edificabilità previsto dalla normativa sulle fasce di rispetto cimiteriale” (Cass., civ., sez. I, 12.10.1991, n. 11133).

Alla luce di ciò la parte maggioritaria della giurisprudenza ritiene che detto vincolo comporti una inedificabilità assoluta (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 16.03.2009, n. 289; Id., 05.06.2008, n. 1559).

Chiarito ciò, qual è l’ente competente a vigilare sulla corretta applicazione di tale vincolo?

Alla luce dell’art. 54 del D.P.R. n. 265/1990 (secondo cui:1. Gli uffici comunali o consorziali 
competenti devono essere dotati di una planimetria in scala 1:500 dei cimiteri esistenti nel territorio del comune, 
estesa anche alle zone circostanti comprendendo le relative zone di rispetto cimiteriale. 

  2. La planimetria deve essere aggiornata ogni cinque anni o quando siano creati nuovi cimiteri o siano soppressi quelli vecchi o quando a quelli esistenti siano state apportate modifiche ed ampliamenti”), sembrerebbe che spetti proprio all’ente comunale, ovvero all’ente competente a “recepire” questo vincolo, vigilare altresì sulla sua osservanza e sulla sua corretta applicazione.

 Di conseguenza, i piani urbanistici comunali in contrasto con questo limite legale, dovrebbero essere ex se illegittimi e dovrebbero essere disapplicati dallo stesso ente in attesa di una loro modifica.

 Data la natura cogente ed inderogabile del vincolo cimiteriale, gli atti amministrativi adottati in violazione del vincolo (ad es. i permessi di costruire rilasciati in zone soggette a vincolo cimiteriale) dovrebbero essere affetti da nullità ex art. 21 septies l. n. 241/1990, per difetto di competenza dell’ente, comportando anche la non sanabilità e la non condonabilità delle opere abusive realizzate? La giurisprudenza non ha chiarito questa questione: l'alternativa è che siano solamente illegittimi e non radicalmente nulli.

 La normativa citata, però, si presta anche ad un altro dibattito giurisprudenziale concernente la portata dell’art. 338, c. 5, del R. D. n. 1265/1934 ove si prevede che: “Per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre”.

Parte della giurisprudenza, infatti, ritiene che l’espressione “intervento urbanistico” si riferisca solamente alle opere pubbliche o di pubblica utilità al fine di non snaturare la ratio stessa della legge (Consiglio di Stato, sez. V, 29.03.2006 n. 1593; Id., 03.05.2007, n. 1934).

 Al contrario, altra parte della giurisprudenza ricomprende in questa espressione anche le opere realizzate dai privati.

In particolare i Giudici hanno ritenuto legittima la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale per consentire ai privati di realizzare un complesso edilizio di 22 appartamenti (cfr. T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 22.02.2007, n. 189, ma si veda anche T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. II, 20.03.3009, n. 322; Id., 18.05.2007, n. 973; Id., 26.06.2007, n. 1348).

Lo stesso T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 27.07.2009 n. 2226, afferma che il suddetto vincolo possa essere derogato anche per interventi privati: “Infatti l’area in cui sono state realizzate le opere abusive ricade nel vincolo cimiteriale.

Il vincolo cimiteriale impone l’inedificabilità assoluta e dunque deve essere ordinata la demolizione delle opere realizzate in area soggetta a vincolo cimiteriale, anche se si tratta di opere pertinenziali.

Sotto tale profilo la sanzione demolitoria è espressamente imposta dall’art. 4 della legge n° 47 del 1985 e dall’art. 91 della legge regionale n° 61 del 1985.

3. Infondata è la doglianza di eccesso di potere per incongruità e illogicità manifesta.

Infatti l’eventuale presenza di altri fabbricati all’interno dell’area soggetta a vincolo cimiteriale non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione.

Quanto alla mancata richiesta, da parte dell’Amministrazione Comunale, di riduzione dell’ampiezza della zona soggetta a vincolo cimiteriale, essa non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, perché è stato fatto riferimento al P.R.G. vigente.

Né può essere censurato il P.R.G. per quanto attiene all’ampiezza dell’area soggetta a vincolo cimiteriale, trattandosi di ampiezza determinata dalla legge.

Il privato può presentare, ai sensi dell’art. 338 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, un’istanza al Consiglio Comunale di riduzione della zona di rispetto cimiteriale prima della realizzazione dell’intervento e non invece dopo la realizzazione dello stesso.

Nel caso di specie non solo è mancata l’istanza di riduzione del vincolo, ma è mancata anche l’istanza volta all’ottenimento del titolo edilizio”.

Una possibile spiegazione di tale interpretazione potrebbe essere rinvenuta nel fatto che, la versione vigente dell’articolo, non prevede più l’espressione “interventi di pubblica utilità” introdotta nel disegno di legge n. 2032/2002 presentato - nel corso della XIV legislatura - per modificare il citato articolo. 

A mio parere, la questione non si può ancora considerare risolta nè in un senso nè nell'altro: qualunque sia la soluzione, peraltro, a me sembra che la riduzione del vincolo prevista in via generale dallo strumento urbanistico valga solo per l'ampliamento del cimitero e per le opere pubbliche e non per i privati. Qualora si ritenga che il vincolo possa essere ridotto anche per gli interventi urbanistici dei privati, probabilmente sarebbe necessaria di volta in volta una apposita deliberazione del consiglio comunale (fatto salvo che un giudice amministrativo o una Procura potrebbero ritenere il tutto illegittimo, magari un giorno si e uno no, come ormai ci hanno abituato).

Ma è poi così difficile scrivere una buona volta una disposizione di legge che sia comprensibile e non suscettibile di essere interpretata in qualsiasi senso?  

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 2226 del 2009

CdS n. 5544 del 2013

CdS n. 5571 del 2013

Permesso di costruire in deroga e altezze ex art. 8 del D.M. 1444/68

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

Sul rapporto tra l’art. 8 del D.M. 1444/68 e il permesso di costruire in deroga, segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 41 del 2014, che sottolinea come la valutazione dell'altezza dell'edificio sia soggetta a una valutazione di tipo discrezionale da parte del Comune (nel caso specifico il vicino aveva impugnato un permesso in deroga riguardante un albergo).  

Scrive il TAR: "Premesso che l’art. 8 del D.M. 1444/68, richiamato dalla normativa statale e regionale per il rilascio del permesso di costruire in deroga, quale prescrizione non derogabile, prevede per le costruzioni da realizzarsi in zone C, che siano contigue o in diretto rapporto visuale  con zone A, che le altezze massime dei nuovi edifici non possono superare altezze “compatibili” con quelle degli edifici delle zone A; che quindi la disposizione rimanda all’amministrazione la valutazione di compatibilità delle altezze delle nuove costruzioni rispetto a quelle esistenti in zona A, giudizio che è pacificamente caratterizzato da connotati di discrezionalità tecnica, quindi sindacabile solo nelle ipotesi in cui emergano elementi sintomatici dell’eccesso di potere sotto il profilo della illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e della sproporzionalità del rapporto tra esistente e realizzando in deroga; atteso che, sulla base dell’esame della planimetrie depositate in giudizio dalla stessa ricorrente, il confronto fra l’altezza della villa e relativa torretta di proprietà della ricorrente (rispettivamente pari a mt. 10,40 e mt. 12,90) e le altezze di progetto relative all’ampliamento dell’albergo Stadio (mt.13,80 e mt.16,90 per l’ulteriore piano per ascensore) - dati che peraltro non sembrano collidere con quelli rilevati dall’amministrazione in occasione del sopralluogo eseguito nell’ottobre del presente anno - non appaiono in ogni caso sproporzionate o comunque di dislivello tale da poter essere ritenute non compatibili, nei termini indicati dall’art.8 del d.m. 1444/68; che quindi, anche a prescindere dalla pur fondata eccezione preliminare di tardività (atteso che l’accesso risulta effettuato in data 3 luglio, con espressa dichiarazione sottoscritta dall’interessata di aver ottenuto copia di quanto richiesto, ossia del progetto riferito al permesso di costruire, così come indicato nella richiesta di accesso del 1.2.2013, ma il ricorso risulta notificato il 61° giorno), le doglianze di parte ricorrente non  appaiono fondate, non rilevandosi i ricordati profili sintomatici di una valutazione tecnico discrezionale operata dall’amministrazione in violazione dei limiti fissati dalla legge".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 41 del 2014

Quando è legittimo differire l’accesso agli atti e conseguenze in materia di spese processuali

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

In materia di differimento dell'accesso agli atti, segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 42 del 2014.

Scrive il TAR: "Il Collegio, preso atto della documentazione depositata dall’amministrazione intimata al momento della costituzione in giudizio e rilevato che - soprattutto per quanto riguarda la richiesta di parte ricorrente di acquisire gli atti specificatamente inerenti le segnalazioni inoltrate al Comune da cittadini - detti atti sono stati resi disponibili, ritiene che il ricorso possa considerarsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Tuttavia, quanto alle spese di lite e nella prospettiva della soccombenza virtuale, va osservato che il comportamento dell’amministrazione a fronte dell’istanza di accesso presentata dalla ricorrente, non risulta immune dai vizi denunciati, nonostante sia stato fatto uso del potere di differimento previsto dalla legge 241/90 e dal D.P.R. 184/2006. Invero, premesso che l’atto di differimento ha indicato in modo del tutto generico le esigenze di differimento, senza indicare, se non in termini altrettanto generici, il termine e la durata di detto differimento (“presumibilmente entro il corrente mese”) e che l’istanza risulta essere stata sostanzialmente soddisfatta solo a seguito della proposizione del presente ricorso, notificato nel successivo mese di ottobre; ricordato che a tale riguardo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, è nel senso che l’atto con cui si dispone il differimento dell’accesso deve indicare specificatamente l’analitica sussistenza delle circostanze a ciò legittimanti, in tale norma previste, e deve, altresì, indicare il termine e la durata di tale differimento (cfr., T.A.R. Lazio, II, 7.4.2010, n. 5760; T.A.R. Lombardia, Brescia, 9.1.202, n. 3); ritenuto altresì che nessun obbligo sussisteva a carico della ricorrente di provvedere alla riformulazione dell’istanza di accesso, essendo pacificamente pendente la prima richiesta per effetto del differimento opposto dall’amministrazione; per detti motivi, in applicazione del principio della soccombenza virtuale, ribadita l’improcedibilità del ricorso, va disposta la condanna dell’amministrazione intimata alla rifusione a favore della icorrente delle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 42 del 2014

Aggiornamento tributario

10 Feb 2014
10 Febbraio 2014

Per gentile concessione dello studio Società & Professionisti srl di Malo (VI) pubblichiamo la circolare mensile per l'impresa n. 2/2014, contenente l'aggiornamento in materia tributaria.

Circolare n. 2 del 05-02-2014

Piano casa ter: osservazioni e domande

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014
 
da ieri è attivo questo indirizzo di posta dove potranno essere inviate le osservazioni e le domande sulla legge regionale 8 luglio 2009, n.14, come modificata dalla LR 32/2013, in vista della circolare esplicativa che la Giunta regionale, sentita la Seconda commissione consiliare, dovrà emanare ai sensi dell'art.14, comma 1, LR 32/2013.

Il TAR Veneto dichiara che le deroghe alla distanze dai confini previste dal Piano Casa sono conformi alla Costituzione

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 06 febbraio 2014 n. 151, chiarisce che le norme previste dal c.d. Piano Casa che derogano alla distanza dal confine per la prima casa di abitazione (cfr. art. 8, comma 4 e 5 della Legge Regionale Veneto n. 13/2011 ed art. 2, comma 1, art. 6, comma 1 ed art. 9 comma 5 della Legge Regionale Veneto n. 14/2009) sono conformi alla Costituzione .

Nello specifico si legge che: “Il collegio ritiene che il ricorso sia fondato, non sussistendo ragione di discostarsi dal precedente orientamento che ha portato all’adozione di numerose sentenze che già si sono pronunciate in relazione alla insussistenza di un potere comunale di apportare limiti alle previsioni derivanti dalla legge regionale del cosiddetto secondo piano casa che consentono di derogare a tutte le norme in tema di distanze (diverse da quelle di fonte statale ), poste da fonti locali in materia urbanistico edilizia per quanto concerne gli interventi sulla prima casa di abitazione. In particolare già con la sopra citata sentenza della seconda sezione n.1213 del 2013 è stato espressamente affermato che ciò vale anche per le previsioni che subordinano la facoltà di costruire sul confine al previo consenso del vicino. In senso conforme anche la sentenza numero 835/2013 e numerose altre. Va in proposito rimarcato che, invece, la sentenza numero 1105 del 2012, citata dal resistente comune, non si riferisce ad interventi edilizi concernenti la casa di prima abitazione.

Dato che è incontestato che, nel caso di specie, non viene in questione il rispetto delle distanze tra fabbricati di cui all’articolo 873 del codice civile e al D.M. n. 1444 del 1968 è del tutto evidente la manifesta infondatezza della sollevata eccezione di incostituzionalità della normativa straordinaria e derogatoria di cui al piano casa, che risulta anche irrilevante in causa in punto di fatto, dal momento che è escluso in radice che possa venire in questione la violazione dei principi civilistici”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 151 del 2014

AVCP: Determinazione n. 1 del 15 gennaio 2014 – Requisiti speciali per la partecipazione alle gare

07 Feb 2014
7 Febbraio 2014

AVCP: Determinazione n. 1 del 15 gennaio 2014

Linee guida per l'applicazione dell'art. 48 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163

Requisiti speciali per la partecipazione alle gare

La deeterminazione contiene nuove indicazioni operative alle stazioni appaltanti ed agli operatori economici.

In seguito all’evoluzione normativa e giurisprudenziale, relativa al procedimento di verifica dei requisiti speciali per la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (art. 48 del D. LGS. 12 aprile 2006, n. 163), l’Autorità ha riesaminato la materia - già affrontata con la Determinazione n. 5 del 2009 - con una nuova Determinazione al fine di fornire nuove indicazioni operative alle stazioni appaltanti ed agli operatori economici.

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Sommario

Premessa
1. Ambito di applicazione della procedura.
1.1. Appalti di lavori pubblici e requisiti richiesti.
1.2. Concessioni di servizi e Concessioni di lavori.
1.3. Settori speciali.
2. Requisiti oggetto a verifica.
2.1. Livelli minimi specifici di capacità tecnico-economica e relativa comprova.
2.2. Determinazione del periodo di attività documentabile.
2.3. Mezzi di prova per dimostrare il possesso dei requisiti.
3. Applicazione dell'articolo 48 agli appalti di progettazione ed esecuzione.
4. Applicazione dell'articolo 48 in caso di avvalimento.
5. Natura dei termini per gli adempimenti previsti dalla norma.
5.1. Natura del termine posto ai concorrenti sorteggiati.
5.2. Modalità di applicazione dell'art. 48, comma 1 bis.
5.3. Verifica sull'aggiudicatario provvisorio e sul secondo graduato.
6. Momento della verifica.
7. Verifica ex art. 48 e d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
8. Presupposti al cui verificarsi si ricollegano le previste misure sanzionatorie.
8.1. Sanzioni irrogate dalla stazione appaltante.
8.2. Sanzioni irrogate dall’Autorità.
8.2.1. Sanzione pecuniaria.
8.2.2. Sospensione dalle gare.

Da quale anno un immobile deve essere supportato da un titolo abilitativo edilizio per non risultare abusivo?

06 Feb 2014
6 Febbraio 2014

Alla domanda risponde il Consiglio di Stato con la sentenza n. 435 del 2014, precisando che dipende da zona a zona del territorio comunale, ma anche da comune a comune.

Si legge nella sentenza: "Deve essere sottolineato infatti, in primo luogo, come con la normativa richiamata dall’appellante – legge n. 765 del 1967 (cosiddetta “legge-ponte”) – sia stato soltanto esteso a tutto il territorio comunale quell’obbligo di titolo abilitativo, che per i centri urbani risultava già introdotto dall’art. 31 della legge urbanistica n. 1150 del 1942 e che, per le principali città-capoluogo, era già in precedenza previsto nei rispettivi regolamenti edilizi. Per la città di Roma, in particolare, ogni costruzione da eseguirsi nel relativo territorio, anche fuori dal centro abitato o dalle zone di espansione, era soggetta a preventiva autorizzazione del sindaco, a norma dell’art. 1 del regolamento edilizio comunale del 1934 (cfr. anche, al riguardo, Cass. civ. SS.UU., 16.3.1984, n. 1792) Nella situazione in esame, il proprietario interessato si è limitato a sottolineare come le opere di chiusura di quella che era sicuramente, in origine, una terrazza coperta, fossero anteriori al 1967: circostanza evidentemente insufficiente, per le ragioni appena dette, in presenza di abusi edilizi realizzati nella città di Roma. Lo stesso attuale appellante riconosce che il primo certificato catastale, risalente al  1925, con riferimento all’unità immobiliare di cui trattasi attribuiva alla medesima la consistenza di “vani 2”, mentre l’accresciuta consistenza di “vani 3” comparirebbe in un secondo certificato, rilasciato nel 1949. Da tale documentazione il proprietario interessato deduce “in maniera inequivocabile” che la tamponatura della veranda “fu eseguita….poco prima o poco dopo l’acquisto del 1947, atteso che grazie a tale tamponatura i vani dell’immobile passarono da 2 a 3 ed in tal modo furono nuovamente accatastati”. Se dunque, come lo stesso proprietario attesta, una terrazza coperta fu trasformata in vano abitabile intorno al 1947, l’intervento edilizio avrebbe dovuto essere autorizzato e, in caso   contrario, il carattere abusivo del medesimo poteva sicuramente, come avvenuto, essere contestato nei confronti del nuovo proprietario, benchè non responsabile dell’originario intervento senza titolo. Per pacifica giurisprudenza, infatti, la repressione degli illeciti edilizi può essere disposta in qualsiasi momento, trattandosi di illeciti permanenti cui si associano sanzioni a carattere reale, in rapporto alle quali non può essere invocato il principio di estraneità degli attuali proprietari alla relativa effettuazione (fatte salve l’inopponibilità dell’acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime – ove gli stessi proprietari collaborino alla rimozione dell’abuso – nonché ogni possibile azione di rivalsa, nei confronti degli effettivi responsabili, da parte degli acquirenti in buona fede di un immobile in tutto o in parte abusivo, la cui regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio non fosse stata doverosamente accertata al momento del rogito). Non può porsi in dubbio, inoltre, che l’aggiunta di un vano chiuso all’unità abitativa, in luogo di una preesistente terrazza, sia intervento a carattere ristrutturativo, in quanto implicante aumento di volume e del connesso carico urbanistico, con conseguente necessità di permesso di costruire, a norma dell’art. 10 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380 e di licenza edilizia in base alla normativa previgente (per quanto qui interessa, almeno dal 1934). Il Comune intimato, peraltro, addebita  l’esecuzione di opere di ristrutturative allo stesso attuale appellante, che – dopo avere effettuato una parziale rimessa in pristino dello stato dei luoghi – non fornisce puntuali chiarimenti sull’effettiva consistenza delle opere eseguite, limitandosi a rivendicare la regolarità di una preesistente veranda (oggetto di non meglio precisata “tamponatura”), ma sulla base di presupposti normativi inidonei – come già in precedenza chiarito – a giustificare anche gli interventi pregressi, ove privi di qualsiasi titolo abilitativo, con conseguente infondatezza del primo ordine di censure, sotto il profilo sia della violazione di legge che dell’eccesso di potere".

 sentenza Cons_Stato_n. 435 del 2014

Quando la diversa localizzazione e la violazione delle distanze dai confini diventano variazioni essenziali?

06 Feb 2014
6 Febbraio 2014

Segnaliamo sul punto al sentenza del TAR Veneto n. 38 del 2014.

Scrive il TAR: "La questione da esaminare riguarda quindi, sia in punto di fatto che di diritto, la legittimità della rilevanza attribuita dall’amministrazione alle difformità rilevate, ovverosia se correttamente, secondo l’assunto del Comune, dette difformità sono state di entità e caratteristiche tali da dover essere qualificate come variazioni essenziali e quindi idonee a giustificare l’ordine di demolizione integrale o se, seguendo la diversa prospettazione di parte ricorrente, dette difformità, pur sussistenti, siano di rilievo minore, non identificabili come essenziali, così da non giustificare l’ordine contestato.  A tale specifico riguardo parte istante ha richiamato le risultanze dell’istruttoria compiuta nel corso del giudizio civile instaurato dai condomini confinanti per l’accertamento del rispetto delle distanze dai confini e dai fabbricati, così come previste dalle NTA, nonché per la manutenzione nel possesso previa eliminazione delle eventuali opere eseguite in difformità; in via alternativa, parte istante ha chiesto ai fini istruttori, l’esecuzione di una nuova verificazione per ordine del Tribunale. Ritiene il Collegio che, anche in un’ottica di economia processuale, possa essere utilizzata la consulenza tecnica resa in sede di giudizio civile e le risultanze dalla stessa emerse proprio con riguardo alle difformità accertate, in modo particolare per quanto riguarda le distanze dai confini e dai fabbricati e con esse, quale necessario presupposto, le altezze oggettivamente raggiunte dall’edificio in contestazione e le opere comunque rilevanti ai fini di tali profili (muro di confine, livello da considerare per il computo delle altezze, etc.). Ciò premesso, è possibile osservare leggendo le conclusioni contenute nell’ordinanza del Tribunale civile di Vicenza del 25.10.2011 (la quale ha definito il giudizio possessorio instaurato a monte dai condomini confinanti, accogliendo in parte il reclamo presentato dalla società The Goal avverso la decisione di prime cure), che l’indagine istruttoria compiuta su ordine del giudice civile ha chiarito nel dettaglio lo stato di fatto e la rilevanza di determinati importanti elementi, in tale sede necessari per accertare l’effettivo rispetto delle distanze dell’erigendo condominio rispetto a quelli confinanti, così come rispetto alle linee di confine tra le diverse proprietà.  In tale occasione, chiarito il riferimento normativo da tenere presente al fine di stabilire gli esatti parametri di riferimento – art. 17 N.T.A. del Comune di Vicenza, che impone tra fabbricati il rispetto di una distanza minima tra pareti finestrate pari all’altezza del fabbricato più alto con un minimo assoluto di 10 mt e per i confini una distanza minima pari alla metà dell’altezza del fabbricato prospiciente il confine con un minimo di 5 mt. – sono state puntualizzate alcune importanti premesse, al fine di attestare la sussistenza di eventuali difformità, in quella sede rilevanti ai fini della manutenzione nel possesso dei confinanti. Trattasi della misurazione dell’altezza degli edifici, che il giudice di secondo grado ha ritenuto di dover computare con riferimento alla quota di campagna e non dalla quota del piano stradale, così come emerso dagli accertamenti effettuati dal CTU allora incaricato delle rilevazioni. Altro profilo che è emerso in sede di istruttoria civile riguarda la considerazione o meno delle terrazze ai fini del computo delle distanze: la decisione del Tribunale civile è stata a tale riguardo nel senso di non computare le terrazze scoperte, facendo così applicazione delle prescrizioni dettate dalle NTA, che attribuiscono rilevanza solo all’ipotesi in cui si tratti di terrazze dotate di copertura ad una quota di almeno 50 cm dal piano di campagna. Infine, soprattutto per quanto riguarda il computo delle distanze dal confine, il giudice civile ha escluso che il muro esistente sul mappale 145, risultando inferiore ai 3 mt di altezza, possa essere considerato costruzione. Orbene, proprio sulla base di tali premesse in punto criteri di misurazione delle distanze, la consulenza tecnica commissionata dal giudice civile ha condotto alla conclusione per cui sussistono delle difformità - che infatti hanno consentito di ritenere la sussistenza di una turbativa del possesso - così come dettagliatamente individuate in ordinanza sia per le distanze dal confine che dai fabbricati, rappresentati rispettivamente dai condomini Imperiali e Francesca. Tuttavia, è agevole osservare, come sottolineato nelle proprie difese dalla ricorrente, che le difformità rilevate non risultano di consistente entità, risolvendosi nel mancato rispetto delle distanze prescritte per confini e fabbricati, con riguardo ai diversi impalcati, entro dimensioni molto modeste, al di sotto del metro lineare. Ciò premesso e rilevato altresì come dalle planimetrie allegate da parte ricorrente, così come a loro volta desunte dalla CTU più volte ricordata, non risulta violata la sagoma del progetto originario per quanto attiene alla localizzazione dell’intervento, il Collegio non può che convenire con l’assunto difensivo di parte ricorrente circa la non riconducibilità delle pur esistenti difformità all’ipotesi di variazioni essenziali previste dal Testo Unico dell’Edilizia, al fine di giustificare l’ordine di demolizione imposto dall’amministrazione con i provvedimenti impugnati. Invero, il presupposto, sul quale si basa la determinazione del Comune intimato, di procedere all’integrale demolizione di tutto il realizzando edificio poggia sull’assunto, non dimostrato, bensì contraddetto dalle rilevazioni operate in sede di consulenza tecnica disposta dal giudice civile, dell’esistenza di variazioni al progetto assentito per quanto attiene  alla localizzazione ed al rispetto delle prescrizioni sulle distanze dai confini e dai fabbricati, variazioni ritenute di entità tale da rientrare nelle ipotesi disciplinate dall’art. 32, lettera c) del D.P.R. 380/01. Diversamente, l’accertamento istruttorio emerso per effetto della CTU richiamata ha evidenziato che la sagoma dell’edificio è comunque ricompresa in quella prevista in occasione del rilascio del titolo edilizio e che la pur rilevata inosservanza delle prescrizioni sulle distanze risulta di minima entità e quindi non ha comportato difformità tali da costituire una variazione essenziale del progetto assentito. Sussistono quindi i vizi denunciati da parte ricorrente, non essendo stato adeguatamente comprovato e motivato negli atti impugnati il presupposto di fondo su cui si è basato l’ordine di demolizione integrale dell’edificio imposto dall’amministrazione, ossia, come più volte osservato, la sussistenza di difformità tali da comportare variazioni essenziali del progetto assentito, in punto localizzazione e violazione delle norme sulle distanze, così come qualificabili ai sensi dell’art. 32  del D.P.R. 380/01 e quindi suscettibili di essere sanzionate con l’integrale demolizione dell’edificio".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 38 del 2014

Bene demaniale e concessione amministrativa

06 Feb 2014
6 Febbraio 2014

Nella  sentenza del T.A.R. Veneto n. 128/2014, i Giudici chiarisco i rapporti tra bene demaniale e concessione amministrativa: “Quindi, è fuori di dubbio che il bene in questione è un bene demaniale e, come tale, affidato all’ente gestore attraverso una concessione traslativa.

Ciò comporta, sotto il profilo giuridico, l’esercizio di un potere pubblico, di cui l'atto concessorio è diretta espressione, funzionalmente rivolto alla esclusiva tutela dell'interesse pubblico attraverso l’esercizio di poteri autoritativi.

Il tentativo di ricondurre le concessioni nell’ambito della disciplina degli accordi di cui all'art. 11 della l. n. 241 del 1990, così da svuotare di ogni aspetto autoritativo il fenomeno concessorio, non è mai stato recepito dalla giurisprudenza amministrativa, confortata in tale senso anche dall’autorevole opinione della Corte costituzionale (Corte Cost., 6 luglio 2004, n.204).

Il concessionario, quindi, proprio in virtù della concessione, acquisisce potestà e prerogative proprie della pubblica autorità ( Cass. Civ., s.u., 22 febbraio 2007, n.4112), come ribadito anche dal giudice amministrativo :” … E’, infatti, “ius receptum” il fatto che un soggetto, attributario di una concessione da parte di una pubblica amministrazione, assume la natura di sostituto di quella pubblica amministrazione e, relativamente ai poteri pubblici trasferitigli in forza del provvedimento concessorio, è esso stesso pubblica amministrazione” ( Cons.St., sez IV, ottobre 2005 n. 5473), così che l’utilizzazione del bene - o di una parte di esso – segnatamente, in questo caso, delle aree del demanio aeronautico, non potrà, mai, formare oggetto di rapporti di natura privatistica ( Cass. Civ., s.u., 4 luglio 2006, n.15217).

Tali principi si radicano anche nelle ipotesi di sub-concessioni, generalmente ammesse se non espressamente vietate dal titolo o dalla norma.

Conseguentemente, una volta intervenuta la concessione, anche la scelta del privato sub-concessionario deve avvenire secondo i noti moduli dell’evidenza pubblica, al fine di garantire l’osservanza anche dei principi, di derivazione comunitaria di trasparenza e non discriminazione.

È fin troppo evidente infatti che dai provvedimenti concessori in questione derivano, da un lato vantaggi di tipo economico in capo al futuro sub-concessionario, dall’altro una entrata per il concessionario, con la conseguente ineluttabilità di procedure di gara che garantiscano la scelta del miglior contraente, anche in ossequio ai principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa”. 

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 128 del 2014

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