Tag Archive for: Veneto

Per sottoscrivere un accordo ex art. 6 L.R. 11/2004 bisogna essere proprietari dell’area?

13 Feb 2014
13 Febbraio 2014

Nella sentenza n. 616 del 2014 il Consiglio di Stato risponde di no, ritenendo che basti un contratto preliminare.

Si legge nella sentenza: "3.1. - In relazione al primo motivo di appello, con cui è stata lamentata la violazione degli artt. 6 e 20 della legge regionale Veneto n. 11 del 2004, nonché l’eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, in quanto l’accordo sarebbe stato sottoscritto con la società XXX, nonostante questa non risultasse al momento della sottoscrizione proprietaria dell’area interessata dall’accordo, va ribadita la posizione del primo giudice, che ha rimarcato, in primo luogo, la non applicabilità delle norme invocate a parametro; in secondo luogo, la circostanza che nella specie non si è dato luogo al rilascio di un titolo edilizio, circostanza che naturalmente presuppone la titolarità o comunque la disponibilità giuridica dell’area sulla quale verrà realizzato un determinato intervento da parte del soggetto che avanza la richiesta; e infine, la sufficienza del contratto preliminare stipulato".

Rimozione dell’amianto ed ordinanza contingibile ed urgente

12 Feb 2014
12 Febbraio 2014

Il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, nella sentenza del 06 febbraio 2014 n. 337, si occupa del rapporto tra l’obbligo di rimozione del cemento-amianto e l’ordinanza sindacale contingibile ed urgente.

Alla luce sia del D.M. 06.09.1994 sia della legge n. 257/1992 non pare esserci un obbligo cogente e generalizzato di rimozione e/o smaltimento del cemento-amianto laddove esso sia in buone condizioni, come sottolinea anche la parte ricorrente: “È contestata la ricorrenza dei presupposti per far luogo all’emanazione dell’ordinanza contingibile ed urgente, che si è basata sull’ispezione della P.M., la quale si è limitata ad effettuare delle fotografie al tetto della chiesa, senza considerare che la presenza di materiali contenenti amianto non comporta di per sé un pericolo per la salute (DM 6/9/1994), occorrendo appurare la loro friabilità e considerare che la rimozione non è l’unico metodo di bonifica, essendone previsto anche l’incapsulamento”.

Al contrario, i Giudici sembrano far coincidere la presenza incontestata del cemento-amianto con la sua pericolosità atteso che: “Posto che la presenza (incontestata) di materiale contenente amianto sul tetto della Chiesa Madre di Grottaglie costituisce fonte di pericolo per la privata e pubblica incolumità, così da giustificare l’emissione dell’ordinanza contingibile ed urgente, la stessa non sfugge però alla necessità di un’adeguata istruttoria, dalla quale risultino quali specifiche prescrizioni debbano essere osservate, al fine di rimuovere la situazione pregiudizievole”.

Nel prosieguo della sentenza, però, correttamente si legge che l’ordinanza de qua è illegittima perché priva di adeguata istruttoria e motivazione, atteso che la rimozione del cemento-amianto non è ex se l’unica possibile forma di bonifica: “Nel caso di specie, l’esame del D.M. 6 settembre 1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto”) mostra la necessità di avere riguardo all’effettiva consistenza del materiale, dovendo dipendere da esso la scelta del metodo di bonifica, tra quelli indicati all’art. 6 (rimozione; incapsulamento; confinamento).

Con detta norma tecnica sono dettate le indicazioni per la scelta del metodo di bonifica, precisando espressamente che <<un intervento di rimozione spesso non costituisce la migliore soluzione per ridurre l'esposizione ad amianto. Se viene condotto impropriamente può elevare la concentrazione di fibre aerodisperse, aumentando, invece di ridurre, il rischio di malattie da amianto>>.

A ciò consegue che l’ordinanza impugnata, priva di istruttoria e di motivazione in ordine alla scelta di rimuovere la copertura della chiesa, palesa una inesatta modalità di esercizio del potere, astrattamente idoneo (per quanto detto) ad aggravare il fenomeno anziché risolverlo, allorché sia dimostrato che la rimozione costituiva una cattiva scelta per prevenire il pericolo alla salute pubblica.

Il provvedimento è pertanto illegittimo, per il denunciato vizio di difetto di istruttoria, e va conseguentemente annullato”.

 Lo scrivente è consapevole dell’estrema pericolosità e dei gravi danni fisici-psicologici-morali che l’esposizione continua, ma anche sporadica, alle fibre contenenti amianto causa alle vittime - ma anche ai loro familiari - sia nei luoghi di lavori sia nelle abitazioni private. Allo stato attuale, però, dalla legislazione vigente sembra davvero difficile affermare l’esistenza di un obbligo cogente di rimozione dello stesso, se esso non sia friabile e in cattivo stato manutentivo. Ovviamente ciò non esime i proprietari degli edifici aventi una copertura in cemento-amianto dal porre in essere l’obbligatoria valutazione del rischio dello stato del tetto; analogamente i vicini e/o i soggetti direttamente interessati possono sollecitare le autorità competenti - in primis l’A.R.P.A.V. - a verificare il rispetto del suddetto obbligo.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Puglia Lecce n. 337 del 2014

Se il comune si sbaglia nel calcolare il contributo concessorio può chiedere il conguaglio entro il termine di prescrizione

12 Feb 2014
12 Febbraio 2014

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 50 del 2014.

Scrive il TAR: "3.1. La concessione edilizia comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione, in quanto ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio partecipa agli oneri ad essa relativi (cfr., Cons. St., sez.V, 6 maggio 1997, n. 462). Esso ha natura, quindi, di corrispettivo di diritto pubblico.

3.2. La quantificazione dei contributi dovuti dal soggetto in cui favore è rilasciata la concessione è ordinariamente effettuata all'atto del rilascio della concessione medesima, ma il Comune, anche in seguito, ben può effettuare la rideterminazione dell'ammontare del contributo dovuto dal concessionario, in quanto il potere è espressione del generale principio di autotutela (cfr. T.A.R. Veneto, II, 1 febbraio 2011, nn. 181 e 189; Cons. St.,V, 30 settembre 1998, n. 1144) che può essere legittimamente esercitato ogni qual volta l'amministrazione si renda conto di essere incorsa, per qualsiasi ragione, in errore nella liquidazione o nel calcolo del contributo.

3.3. Ed invero, è stato inoltre ritenuto che, poiché l'eventuale errore nella determinazione dei costi di costruzione e degli oneri di
urbanizzazione configura un indebito oggettivo da parte dell'intestatario della concessione, la sola preclusione alla azionabilità del credito effettivamente dovuto è la prescrizione del diritto alla percezione degli oneri nel loro integrale ammontare (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 06 novembre 2002 , n. 4267).

3.4. Nella fattispecie oggetto di giudizio, peraltro, non vi è dubbio che l’errore commesso dall’amministrazione debba essere qualificato in termini di mero errore di calcolo, come è evidente per quanto riguarda la determinazione del costo di costruzione relativo alla parte
residenziale; ma come ugualmente può dirsi con riferimento al costo di costruzione relativo alla parte commerciale, che non era stato affatto calcolato con la prima determinazione (da intendersi invece limitata alla parte residenziale), non essendo stato ancora prodotto dalla ricorrente il relativo computo metrico. Con la conseguenza che quest’ultima non poteva far affidamento sulla correttezza o sulla definitività della originaria determinazione, essendo essa ben consapevole che il costo di costruzione relativo alla parte commerciale dell’edificio era ancora tutto da liquidare".

Il termine di prescrizione è quello ordinario di 10 anni.

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 50 del 2014

L’incameramento della cauzione provvisoria ex art. 48 D. Lgs. n. 163/2006

12 Feb 2014
12 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto nella sentenza n. 152/2014 si sofferma sull’incameramento della cauzione provvisoria collegata al mancato possesso del requisito della regolarità tributaria: il suo incameramento deriva dall’applicazione dell’art. 48, c. 1, D. Lgs. n. 163/2006 secondo cui: “1. Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati al contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito di cui all'articolo 42, comma 1, lettera a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 6 comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento” e non dall’art. 75, c. 6, D. Lgs. n. 163/2006 il quale dispone che: “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”.

Sul punto si legge che: “Questo Tribunale - che pure ha seguito un’interpretazione diversa (fondandola sulla lettera dell’art. 48 del codice, sulla funzione sanzionatoria della disposizione ivi contenuta e, conseguentemente, sul suo carattere tassativo che ne preclude l’estensione in via analogica ad altre fattispecie non specificamente contemplate: cfr. TAR Veneto, I, 28.5.2013 n. 768) -, non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria discende [non già dall’art. 48 del DLgs n. 163/2012, ma] dall'art. 75, VI comma del DLgs n. 163 del 2006 e riguarda tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario, intendendosi per fatto dell'affidatario qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, dunque non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto di requisiti generali di cui all'art. 38” (CdS, Ap, n. 8/2012): tuttavia, l’interpretazione perorata dall’intestato Tribunale - dalla quale, peraltro, non ritiene sussistano validi motivi per discostarsi - appare, nel caso di specie, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che la legge di gara (cfr. l’art. 3.3 del disciplinare) limitava espressamente l’incameramento della cauzione alle sole, tassative ipotesi di 1) rinuncia formale del concorrente-aggiudicatario entro il termine per la presentazione della rituale documentazione e di 2) mancata produzione, dopo l’aggiudicazione, della prescritta documentazione. Ipotesi, queste, certamente non ricorrenti in questa sede.

Donde l’accoglimento della prospettata censura, con conseguente annullamento della determinazione con cui è stato disposto l’incameramento delle cauzioni provvisorie prestate relativamente a tutti i lotti a cui la ricorrente aveva chiesto di partecipare”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 152 del 2014

 

 

L’accertamento dell’Agenzia delle Entrate vincola la stazione appaltante

12 Feb 2014
12 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, nella sentenza n. 152/2014, chiarisce inoltre che la causa di esclusione ex art. 38, c. 1, lett. g), D. Lgs. n. 16372006 (secondo cui: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: (...)g) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”) impone - di regola - alla stazione appaltante di considerare quanto accertato dall’Agenzia delle Entrate nell’atto di accertamento/cartella di pagamento: “Ciò premesso va evidenziata l’inconferenza sia del pagamento effettuato (tardivamente) a saldo dell’importo recato dalle tre cartelle menzionate dall’attestazione dell’Agenzia, sia degli elementi con i quali (anche qui, tardivamente, in quanto avrebbe dovuto presentarli, semmai, in occasione dell’ostensione dell’offerta) l’interessata tenta di dimostrare l’avvenuto, tempestivo pagamento di una parte del debito tributario, pagamento che avrebbe ricondotto l’esposizione debitoria sotto la soglia di “gravità”: ed infatti, mentre il pagamento effettuato in data 16.5.2012 è pacificamente intempestivo ai fini della dimostrazione della regolarità fiscale (cfr, Ap 4.5.2012 n. 8 e, da ultimo, CdS, V, 17.1.2014 n. 169), la (tentata) dimostrazione in sede giurisdizionale è, oltre che intempestiva, affatto inconferente ai fini della contestazione del debito tributario recato dalla certificazione dell’Agenzia (in ragione dell’insindacabilità di quest’ultima da parte del giudice amministrativo), senza trascurare, peraltro, che le cartelle di pagamento erano, all’epoca in cui dovevano essere posseduti i requisiti, valide, efficaci ed esecutive (talchè, non essendo state impugnate, rappresentavano inequivocabilmente un credito dell’erario eseguibile nel loro intero importo, importo che, come si è accennato, superava abbondantemente la soglia di “gravità” indicata dall’art. 38 del codice).

Ed invero, premesso che ai sensi dell’art. 38, I comma, lett. g) costituiscono causa di esclusione dalle gare di appalto le gravi violazioni, definitivamente accertate, alle norme in materia di imposte e tasse e che, a tale fine, mentre la nozione di “violazione grave” si desume dallo stesso art. 38, II comma, l’esistenza della violazione dev’essere attestata dall’Agenzia delle Entrate tramite apposita attestazione (documento che, sotto il profilo oggettivo, “si sostanza in una dichiarazione di scienza e si colloca fra gli atti di certificazione o di attestazione aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso dell'ente, assistiti da pubblica fede ex articolo 2700 c.c. e facenti pertanto prova fino a querela di falso”: cfr. CdS, IV, 12.3.2009 n. 1458; V, 3.2.2011 n. 789 e 17.5.2013 n. 2682, ancorchè in relazione al DURC, di analoga natura), ne segue che le certificazioni relative alla regolarità tributaria delle imprese partecipanti a procedure di gara per l'aggiudicazione di appalti con la Pubblica amministrazione emanate dalla predetta Agenzia si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto (cfr., in relazione all’analoga fattispecie della violazione delle norme in materia previdenziale e assistenziale, Ap, 4.5.2012 n. 8 e, da ultimo, CdS, V, 17.5.2013 n. 2682).

È appena, poi, il caso di accennare che in materia di appalti pubblici, ai fini della valutazione della definitività dell'accertamento per gli effetti di cui all'art. 38, I comma, lett. g) del DLgs n. 163/2006, rileva unicamente la circostanza che al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara sia spirato il termine per l'impugnazione dell'atto di accertamento/cartella di pagamento senza che sia stato proposto ricorso giurisdizionale (cfr., pur in relazione alla lettera “i”, CdS, V, 13.7.2010 n. 4511).

Ciò precisato, la spettanza in capo alle stazioni appaltanti di poteri istruttori nei confronti dell’attestazione di regolarità fiscale è ammissibile soltanto nel caso di incompletezza della certificazione (nel caso, cioè, in cui dalla certificazione non fosse rilevabile la effettiva portata della gravità della violazione per mancata indicazione degli importi il cui pagamento sia stato omesso), giacchè in tal caso non si tratta di trascurare il ruolo fondamentale svolto dall’attestazione stessa quanto, al contrario, di prendere atto delle sue risultanze, che appunto non consentono, per la loro incompletezza, di comprendere l’entità della violazione degli obblighi tributari perpetrata dall’impresa, e quindi la dimensione della loro gravità”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 152 del 2014

La posizione dell’aggiudicatario nella fase integrativa dell’efficacia

12 Feb 2014
12 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 08 febbraio 2014 n. 152, chiarisce che nella fase c.d integrativa dell’efficacia che segue l’aggiudicazione definitiva l’aggiudicatario non si trova in alcuna alcuna posizione preferenziale o privilegiata, atteso che: “Ai sensi dell’art. 11, VIII comma del codice dei contratti, “l'aggiudicazione definitiva diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti”. Ciò significa, dunque, che il predetto provvedimento amministrativo, ancorchè perfetto (e che attribuisce all’aggiudicatario il diritto a stipulare il contratto), è assoggettato ad un’ulteriore fase, c.d. integrativa (durante la quale il diritto a stipulare è posto in uno stato di aspettativa), che, ancorchè strutturalmente autonoma, è tuttavia, sotto il profilo funzionale, parte integrante della procedura a cui il concorrente aveva chiesto di partecipare e che si conclude soltanto con il riscontro positivo del possesso dei requisiti: l’esclusione dell’aggiudicatario “definitivo” a seguito dell’esito negativo di tale fase, pertanto, non assume i connotati dell’atto “di secondo grado” (quale atto finale di un procedimento nuovo ed autonomo di riesame, per la cui adozione è pacificamente necessaria la comunicazione di avvio), ma è mera conseguenza dell’accertato, mancato possesso dei requisiti di ammissione e, dunque, inerente al medesimo procedimento a cui l’interessato si è volontariamente assoggettato.

In altre parole, così come il difetto, in capo al concorrente, del possesso dei prescritti requisiti di ammissione accertato in corso di gara comporta l’esclusione del concorrente dalla gara stessa, analogamente il riscontro “ex post” del mancato possesso dei requisiti (di ammissione) in capo al concorrente aggiudicatario “sub condicione” (e cioè la constatazione dell’esito negativo della “verifica del possesso dei prescritti requisiti” a cui è sottoposta l’aggiudicazione definitiva) non impedisce soltanto il sorgere del suo diritto a stipulare il contratto (diritto che, come si è detto, si trovava in uno stato di “torpore”), ma opera a monte della stessa aggiudicazione e comporta la sua esclusione dalla gara per il semplice fatto che, attesa l’assenza di quei requisiti che egli aveva dichiarato di possedere, non poteva esservi ammesso: senza, dunque – trattandosi di requisito che aveva affermato di possedere -, necessità di informare il concorrente”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 152 del 2014

Non basta presentare la denunzia di inizio dei lavori per precludere la decadenza del permesso di costruire

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Lo ricorda la sentenza del TAR Veneto n. 49 del 2014.

Scrive il TAR: "Ed infatti il provvedimento di annullamento (rectius revoca) del permesso di costruire si basa su corretti presupposti fattuali e giuridici che ne rendevano doverosa l’adozione. In particolare, il permesso di costruire n. 111 rilasciato il 18.08.2010 e notificato il 24.08.2010, è stato revocato, ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, per decorrenza del termine annuale fissato per l’inizio dei lavori. Tale circostanza del tardivo inizio dei lavori trova riscontro nell’istruttoria condotta dall’amministrazione e riassunta nella motivazione del provvedimento impugnato, dalla quale è risultato che:

a) pur se la comunicazione d’inizio lavori è stata inoltrata il 7.09.2010, l’apposizione del cartello di cantiere è avvenuta solo il 30.11.2011, oltre l’anno dalla notifica del permesso di costruire;

b) in ogni caso, i lavori sono effettivamente iniziati solo il 6.07.2013, giorno di apposizione di un nuovo cartello di cantiere recante il nome di  una nuova ditta esecutrice dei lavori (Gabrielli e non più Edil Salem); circostanza non smentita dalla ricorrente, la quale, in entrambi i ricorsi oggi in decisione, ha anzi dichiarato che al momento della notifica dell’ordinanza di sospensione dei lavori del 15.07.2013, la realizzazione dei cancelli era in corso d’opera;

c) infine, la circostanza del tardivo inizio dei lavori ha trovato ulteriore conferma nella dichiarazione, resa all’amministrazione il 4.09.2013 dal rappresentante della prima ditta incaricata (Edil Salem), “di non aver mai effettuato alcuna opera edilizia neppure di scavo relativa alle opere oggetto del permesso di costruire n. 111 del 18.08.2010”.

A fronte di tali emergenze istruttorie la ricorrente nulla ha allegato nè provato circa l’effettivo inizio dei lavori nel corso dell’anno decorrente dal rilascio del permesso di costruire, essendosi invece limitata ad opporre che la comunicazione d’inizio lavori era stata trasmessa già il 7.09.2010. Tuttavia, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, condiviso anche da questa sezione (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 3 dicembre 2010 n. 6327), al fine di precludere la decadenza del permesso di costruire per inosservanza del termine iniziale dei lavori, non è sufficiente la presentazione della denuncia d’inizio dei lavori, essendo necessario che le opere concretamente poste in essere entro l’anno dal rilascio del titolo siano di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà del titolare della concessione di realizzare quanto da lui progettato, e non meramente simboliche o fittizie o comunque solo preparatorie".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 49 del 2014

Anche gli atti endoprocedimentali sono soggetti all’accesso

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 46 del 2014.

Scrive il TAR: "Il provvedimento di rigetto è viziato da un evidente difetto di motivazione nella parte in cui sostiene che i documenti oggetto della richiesta costituirebbero atti endoprocedimentali e, come tali, sottratti alla tutela di cui all’art. 22 della L. n. 241/90. Sul punto risulta dirimente constatare che l’esigenza di tutelare la trasparenza e l’imparzialità di un’attività amministrativa sorge in un momento antecedente alla conclusione del procedimento e, ciò, al fine di consentire all’interessato di proporre, già in questa fase, osservazioni e deduzioni in merito a quanto accertato. Detta interpretazione è confortata da un costante orientamento giurisprudenziale (si veda Cons. Stato Sez. V, 30-08-2013, n. 4321 e  Cons. Stato Sez. III, 28-11-2011, n. 6276) nella parte in cui ha sancito che “il diritto all'accesso ai documenti amministrativi ove ne ricorrano i presupposti e non sussistano altre cause ostative (quale ad es. una previsione espressa nell'apposito regolamento dell'ente), può essere esercitato anche con riferimento ad atti endoprocedimentali in pendenza del relativo procedimento (Conferma della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli, sez. VI, n. 4251/2011)”. Costituisce, infatti, principio consolidato che la legittimazione all'accesso ai documenti amministrativi (artt. 22 ss. della L. n. 241/1990) deve ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti anche nei suoi confronti e il diritto di accesso, purché non diretto a detto controllo generalizzato, può essere esercitato anche indipendentemente dall'esistenza di una lesione immediata della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere e a partecipare alla formazione di quelli successivi (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma, sez. I ter, n. 7050/2012). E’, altresì, noto che in materia di accesso la nozione di interesse giuridicamente rilevante è più ampia rispetto a quella dell'interesse all'impugnazione, circostanza quest’ultima che consente la legittimazione all'accesso a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti,  indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica (T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter Sent., 14-11-2007, n. 11193). Ne consegue che il ricorso deve essere accolto sussistendo l’obbligo del Ministero delle Politiche Agricole di rilasciare copia, nonché consentire la visione e l’accesso della documentazione richiesta nel termine di trenta giorni dalla notifica, o comunicazione in via amministrativa, della presente sentenza".

sentenza TAR Veneto n. 46 del 2014

S.O.S. tecnico: quesiti sul piano casa

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Pubblichiamo un esempio di quesiti sul piano casa inviati alla Regione Veneto da un tecnico comunale.

"Venuto a conoscenza che si possono inoltrare in Regione quesiti in merito alla L.R. n. 32/2013 -  Piano Casa 3, formulo i seguenti quesiti:

 1) Nel caso di realizzazione del corpo staccato, ai sensi dell’art. 2 del Piano Casa, la tettoia fotovoltaica è possibile attaccarla al corpo staccato o si può realizzarla solamente in aderenza al fabbricato esistente al 11/07/2009? (Delibera Giunta Regionale 2508/2009)

2) Al fine del versamento del contributo di costruzione dovuto per l’ampliamento di un fabbricato residenziale ai sensi dell’art. 2 comma 5, si può ritenere che nel caso in cui tale ampliamento venga abbinato anche alla realizzazione di una tettoia fotovoltaica ai sensi dell’art. 5, la stessa possa essere anche considerata ai sensi dell’art. 7 comma 1 bis (almeno 3 Kwp), e quindi che per una prima casa d’abitazione il contributo di costruzione non è dovuto?

3) Ai sensi dell’art. 7 della Legge :

  1. “ferma restando l’applicazione dell’articolo 17 del D.P.R. n. 380/2001, per gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 3 ter e 3 quater, il contributo di   costruzione è ridotto …..”

1 bis. “in deroga al comma 1, per gli interventi di cui agli articoli 2,3,3 ter e 3 quater che utilizzano fonti di energia rinnovabile….”

Anche nei successivi commi il rinvio a quanto previsto dall’art. 3 bis non c’è, per tanto risulta che gli interventi previsti dall’art. 3 bis il contributo di costruzione risulta da pagare intero. E’ corretta tale analisi? (manca il riferimento dell’art. 3 bis anche nell’art. 9 comma 7 in merito alla tempistica di presentazione delle istanze).

4) Ai sensi dell’art. 2 comma 1 ultimo periodo “Resta fermo che sia l’edificio che l’ampliamento devono insistere in zona territoriale omogenea propria.”. Si chiede se nel caso di corpo staccato ad uso residenziale sia ammissibile il cambio di zona di P.r.g. o di P.I. rispetto al fabbricato che genera cubatura (da zona agricola a zona edificabile e viceversa).

5) Ai sensi dell’art. 3bis in zona agricola oltre che l’ampliamento di edifici a destinazione residenziale, è consentito ampliare edifici funzionalmente destinati alla conduzione del fondo; si chiede come va dimostrata la funzionalità dell’ampliamento per la conduzione del fondo. Basta la relazione agronomica o ci vuole un Piano Aziendale vistato dall’Ispettorato dell’Agricoltura? Può ampliare un fabbricato agricolo l’Imprenditore Agricolo non a titolo professionale o chiunque sia proprietario di un fabbricato agricolo ma esegua una professione diversa dall’agricoltore?

6) Visto quanto enunciato nell’art. 9 comma 8 bis, si chiede di precisare meglio come va calcolata la deroga dell’altezza del 40% dell’edificio esistente, in rapporto anche all’altezza massima ammissibile degli edifici stabilite nelle Norme Tecniche di Attuazione di P.r.g.  da altrii atti pianificatori Comunali.

7) in merito a quanto previsto dall'art. 9 c. 8 " Sono fatte salve le distanze previste dalla normativa statale vigente".

 Si chiede si si possa costruire sul confine sulla base del principio della prevenzione temporale infatti:

 la legge si ispira al principio della prevenzione temporale (*), desumibile dal combinato disposto degli artt. 873, 874, 875 e 877, secondo il quale il proprietario che costruisce per primo determina, in concreto, le distanze da osservare per le altre costruzioni da erigersi sui fondi vicini. Chi edifica per primo su di un fondo contiguo ad un altro ha una triplice facoltà alternativa:

a) costruire sul confine: di conseguenza il vicino potrà costruire in aderenza o in appoggio (pagando in tale ipotesi, ai sensi dell'art. 874, la metà del valore del muro);

b) costruire con distacco dal confine: e cioè alla distanza di un metro e mezzo dallo stesso o a quella maggiore stabilita dai regolamenti locali; in tal caso il vicino sarà costretto a costruire alla distanza stabilita dal codice civile o dagli strumenti urbanistici locali;

c)costruire con distacco dal confine ad una distanza inferiore alla metà di quella totale prescritta per le costruzioni su fondi finitimi salvo il diritto del vicino, che costruisca successivamente, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando il valore del suolo. In tal caso, il vicino può costruire in appoggio, chiedendo la comunione del muro che non si trova a confine (ed in tale ipotesi deve pagare, ai sensi dell'art. 875, la metà del valore del muro) oppure in aderenza.

(*) E' stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 873, 875 e 877 in riferimento agli artt. 3 e 42 Costituzione, basata sulla presunta lesione del principio di uguaglianza determinata dal principio di prevenzione. Secondo la Corte Costituzionale, il diritto di prevenzione per essere assicurato a ciascuno dei proprietari confinanti non viola il diritto di uguaglianza e, inoltre, l'esercizio della prevenzione, una volta che sia stati concretamente compiuto, dà luogo ad una situazione differenziata rispetto alla precedente tale da giustificare la diversità di disciplina per situazioni diverse (Corte Costituz. 22.3., n. 1905).

Ringraziando per la cortese attenzione, porgo distinti saluti.

        Geom. Seragiotto Tobia – Ufficio Tecnico del Comune di Brendola (Vi)"

I pannelli fotovoltaici sono belli o brutti?

11 Feb 2014
11 Febbraio 2014

Continua il contrasto tra la Soprintendenza e il TAR Veneto circa l'installazione dei pannelli fotovoltaici nelle zone vincolate. La sentenza del TAR Veneto n. 48 del 2014 accoglie un ricorso in questa materia.

Si legge nella sentenza: "Il ricorso può essere accolto, risultando fondato il primo motivo del ricorso, mediante il quale si sostiene il carattere apodittico e generico della motivazione contenuta nel parere della Soprintendenza. Come è noto, nello specifico caso, l'autorizzazione paesaggistica persegue lo scopo di dare adeguata composizione al conflitto tra due interessi di rango costituzionale: quello alla salubrità ambientale - garantito dallo sviluppo di impianti che producono energia da fonti rinnovabili non inquinanti - e quello alla conservazione del paesaggio -  potenzialmente leso dalla realizzazione di tali impianti, ove essi abbiano rilevante impatto visivo - e si sostanzia in un'inevitabile scelta di merito amministrativo, sulla quale il controllo ministeriale non può mai sfociare in un sindacato di merito, dovendosi arrestare ai soli profili di legittimità (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1013). Analoghe pronunce di merito hanno evidenziato che il progressivo diffondersi degli impianti fotovoltaici, ha finito inevitabilmente per condizionare il giudizio estetico comune, di modo che i detti pannelli, pur innovando la tipologia e la morfologia della copertura, vengono percepiti non soltanto come fattore di disturbo visivo, ma anche come evoluzione dello stile costruttivo accettata dall'ordinamento e dalla sensibilità collettiva e quindi alla stregua di elementi normali del paesaggio (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 28-01-2013, n. 235). Si è altresì affermato che per negare l'installazione di un impianto fotovoltaico sulla sommità di un edificio, bisogna dare la prova dell'assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio, cosa che non coincide con la semplice visibilità dei pannelli da punti di osservazione pubblici (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 4 ottobre 2010, n. 3726 e 15 aprile 2009 n. 859). Anche questo Tribunale, come correttamente ha ricordato parte ricorrente, ha già in precedenza rilevato la necessità che il potere di discrezionalità tecnica posto in essere dalla Soprintendenza nella valutazione di compatibilità paesaggistica degli impianti fotovoltaici, sia strettamente riferito all’intervento di cui si tratta, risultando indispensabile poter evincere gli elementi del paesaggio e dell’ambiente  che potrebbe risultare deturpato, o quanto meno pregiudicato dalle prescrizioni imposte dalla Soprintendenza. In mancanza di detti presupposti, e quindi in assenza di elementi che consentano di ricostruire l’iter logico e le ragioni dell’incompatibilità, è del tutto evidente che la valutazione, pur di merito, si traduce in un giudizio apodittico che potrebbe risultare estensibile ed applicabile sempre e comunque a prescindere dal contesto paesaggistico in cui l’impianto si colloca. Applicando dunque questi principi alla vicenda in esame, emerge l’eccesso di potere in cui è incorsa  l’Amministrazione, non risultando possibile individuare il valore architettonico o paesaggistico dell’edificio, o ancora i valori e le esigenze da tutelare nell’ambiente circostante. Non è dato comprendere quale degrado paesaggistico creerebbe il posizionamento dei pannelli su due falde anziché su una, né i vantaggi riconducibili ad una loro disposizione asimmetrica piuttosto che simmetrica. Ne consegue che sia possibile annullare i provvedimenti impugnati nella parte in cui subordinano l’autorizzazione all’installazione dei pannelli fotovoltaici a determinate condizioni e prescrizioni".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 48 del 2014

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