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L’installazione dei cartelloni pubblicitari lungo le strade richiede (sempre) il Permesso di Costruire?

25 Set 2013
25 Settembre 2013

La nozione legale di pubblicità si ricava dal D. Lgs. n. 74/2002 (“Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55/CE, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa”), secondo cui la pubblicità è connotata da “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi” (cfr. art. 2, c. 1, lett. a)).

Tale nozione è ritenuta valida anche per definire la pubblicità sulle strade.

 Nello specifico, per “manufatto pubblicitario” si intende ogni forma di comunicazione al pubblico realizzata sulla strada (o nelle sue pertinenze di servizio) oppure in terreni privati ed idonea ad essere percepita dagli utenti della strada.

Tra questi mezzi pubblicitari alcuni possono presentare grandi dimensioni, quali le insegne di esercizio (scritte in caratteri alfanumerici, completate eventualmente da simboli e da marchi, realizzate e supportate con materiali di qualsiasi natura, installate nella sede dell’attività cui si riferiscono o nelle pertinenze accessorie alle stesse) ed i cartelli (manufatti bidimensionali supportati da un’idonea struttura di sostegno, con una sola o entrambe le facce finalizzate alla diffusione di messaggi pubblicitari o propagandistici, sia direttamente, sia tramite sovrapposizione di altri elementi, quali manifesti, adesivi o altro).

Chiarita la natura dei “manufatti pubblicitari”, quale provvedimento amministrativo è necessario per l’installazione dei cartelli pubblicitari lungo le strade?

 Premesso che la materia è disciplinata da un coacervo di disposizioni (D. Lgs. 285/1992 (“Nuovo Codice della Strada”), D.P.R. 495/1992 (“Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice della Starda”), D. Lgs. n. 42/2004 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”), da una interpretazione puramente letterale delle norme si ricava che, ex art. 23, c. 4, C.d.S.: “La collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell'ente proprietario della strada nel rispetto delle presenti norme. Nell'interno dei centri abitati la competenza è dei comuni, salvo il preventivo nulla osta tecnico dell'ente proprietario se la strada è statale, regionale o provinciale”.

Assodato ciò, quali valutazioni implica tale autorizzazione e, soprattutto, di quale titolo edilizio consiste?

Per quanto concerne il primo quesito, si sottolinea che tale autorizzazione implica un forte potere discrezionale dell’ente proprietario della strada in quanto: “I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative al perseguimento di quell’obiettivo (sentenza Sezione 20/04/2011 n. 593; TAR Toscana, sez. III – 11/06/2004 n. 2047);

II) la valutazione della pericolosità dei cartelli pubblicitari è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi logici (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 07/07/2008 n. 2886);

III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore, con una scelta perfettamente legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli individui: infatti il valore dell’iniziativa economica privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il valore superiore della salute individuale e collettiva, al quale è garantita la massima protezione (cfr. sentenze Sezione 28/02/2008 n. 174; 27/11/2008 n. 1702; 05/03/2009 n. 529);

IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze della produzione e del commercio (di cui la pubblicità stradale è una componente), consumando in misura proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano (TAR Brescia – 06/09/2004 n. 1013)” (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 20.11.2012, n. 1816).

 Inoltre, analizzando l’autorizzazione in modo più approfondito, si nota che è molto più simile ad una concessione di suolo pubblico: “Il Collegio ha già affermato con precedenti pronunce che l’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia (TAR Calabria, Catanzaro, I sezione 14.02.2012, n. 183; 31.12.2011 n. 1675).

Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere sicuramente caratterizzato da profili di discrezionalità, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia-Brescia, Sez. I 28.02.2008 n. 174).

Siffatto potere, inerente alla ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione (conf.: Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).

Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.

Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.

In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.

Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio- assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n. 408)” (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.07.2012, n. 716).

Per quanto riguarda il titolo edilizio, invece, la giurisprudenza ritiene necessario il Permesso di Costruire, ex art. 10 D.P.R. 380/2001, laddove il cartellone pubblicitario presenti notevoli dimensioni e sia infisso stabilmente al suolo, mentre negli altri casi è sufficiente la S.C.I.A. ex art. 19 l. 241/1990: “Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.

Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.

Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..

Per quanto concerne la formazione del silenzio-assenso invocato dalla ricorrente osserva il Collegio che la collocazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico implica necessariamente un formale provvedimento di concessione del bene pubblico, non essendo configurabile la formazione di un titolo abilitativo tacito attraverso il silenzio-assenso sulla domanda di installazione (cfr. TAR Milano Lombardia sez. IV, 23.01.2009 n. 208)” (ex multis T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.07.2012, n. 716; Id., 14.02.2012, n. 186; Tribunale di Pescara, 12.07.2012, n. 909; Cass. pen., sez. III, 06.12.2010, n. 43249; Id., 15.01.2004, n. 5328; Cons. Stato, sez. V, 11.05.2008, n. 10840; Id., 17.05.2007, n. 2497).

In realtà, il Ministero dei Lavori pubblici sembra richiedere sempre il Permesso di Costruire per gli interventi de quibus: l’art. 23, c. 10, C.d.S., infatti, prevede che: “Il Ministro dei lavori pubblici può impartire agli enti proprietari delle strade direttive per l'applicazione delle disposizioni del presente articolo e di quelle attuative del regolamento, nonché disporre, a mezzo di propri organi, il controllo dell'osservanza delle disposizioni stesse”.

In applicazione di ciò, il Ministero delle Infrastruttura e dei Trasporti, con il parere del 05.10.2011 prot. n. 4928, ha affermato che le autorizzazioni ex art. 26 C.d.S. – quindi anche quelle di cui si discorre – non sono attratte dalla S.C.I.A. ex art. 19 l. 241/1990 perché: “nel merito, l’attuale art. 19 della Legge 241790, riformata di recente con la Legge 122/2010 e legge 106/2011, definisce la S.C.I.A. “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria...”. Le autorizzazioni e le concessioni rilasciate ai sensi dell’art. 26 del Codice sono riferite a norme generali riguardanti la costruzione o la tutela delle strade, per cui a parere dello scrivente Ufficio, trattasi di atti che non possono essere sostituiti dalla S.C.I.A. poiché sono di fatto atti rilasciati dalle amministrazioni (in questo caso l’ente proprietario della strada o da altro ente da quest’ultimo delegato o dall’ente concessionario) preposte alla pubblica sicurezza e/o alla cittadinanza. Si evidenzia infine che l’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni deve effettuare una valutazione preventiva e eventualmente dettare delle prescrizioni in merito alle autorizzazioni da concedere, che il ricorso alla S.C.I.A. non consentirebbe dia attuare”.  

dott. Matteo Acquasaliente

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TAR Catanzaro n. 716 del 2012

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Prorogato il piano faunistico-venatorio del Veneto

25 Set 2013
25 Settembre 2013

 Il Piano Faunistico Venatorio è il più importante strumento di programmazione e pianificazione in materia di gestione del territorio a fini faunistici. In Italia la pianificazione faunistico-venatoria viene attuata, in accordo con la Legge  157/92, attraverso la realizzazione e l’applicazione dei Piani Faunistico-Venatori (P.F.V.)  demandati alle Regioni e alle Province per il territorio di propria competenza.
Il Piano faunistico venatorio regionale del VENETO, sulla base dei criteri dettati dall'art. 10 della Legge 157/92, è approvato dal Consiglio regionale su proposta della Giunta regionale ed ha validità di cinque anni, come previsto dall'art. 8 della Legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50. Il Piano, corredato dalla relativa cartografia e dal regolamento di attuazione, ha i seguenti contenuti e finalità:
-attuazione della pianificazione faunistico venatoria mediante il coordinamento dei Piani provinciali (adeguato, ove necessario, ai fini della tutela degli interessi ambientali e di ogni altro interesse regionale);
-criteri per l'individuazione dei territori da destinare alla costituzione delle Aziende faunistico venatorie, delle Aziende agri-turistico-venatorie e dei Centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale;
-schema di Statuto degli Ambiti territoriali di caccia;
-   indice di densità venatoria minima e massima per gli Ambiti territoriali di caccia;
-  modalità di prima costituzione dei Comitati direttivi degli Ambiti territoriali di caccia e dei Comprensori alpini, loro durata, norme relative alla loro prima elezione e rinnovo;
-criteri e modalità per l'utilizzazione del fondo regionale per la prevenzione ed i danni prodotti dalla fauna selvatica e nell'esercizio dell'attività venatoria, previsto dall'art. 28 della L.R. 50/93;
-  disciplina dell'attività venatoria nel territorio lagunare vallivo;
-criteri per l'assegnazione del contributo ai proprietari e conduttori di fondi rustici ai fini dell'utilizzo degli stessi nella gestione programmata della caccia, di cui al comma 1 dell'art. 15 della Legge 157/92.
Il Piano faunistico venatorio regionale è stato approvato con Legge Regionale n. 1 del 5.1.2007 (BUR n. 4 del 9.1.2007), modificata dall'ultima DGR n. 2463 del 4/08/2009, avente ad oggetto il periodo 2007/2012  ed avente validità quinquennale. Con la Legge Regionale n. 1 del 1.2.2013  la validità del Piano Faunistico venatorio regionale è stata rideterminata al 30.9.2013.
Il 18 settembre 2013, è stato approvato il “: Progetto di legge n. 376 - Rideterminazione del termine di validità del piano faunistico-venatorio regionale approvato con legge regionale 5 gennaio 2007, n. 1” . Nella relazione si legge: “Con leggi regionali 24 febbraio 2012, n. 8 e 1° febbraio 2013, h. 1 il Consìglio regionale ha disposto rideterminazioni dei termini di validità del piano faunistico venatorio regionale 2007-2012 approvato con legge regionale 1/2007, aggiornando il termine di validità di cui trattasi sino al 30 settembre 2013. Dette proroghe dì validità si rendevano necessarie in relazione alle incombenze connesse ali 'espletamento della procedura dì valutazione ambientale strategica (VAS) applicata al PFVR ed ai correlati piani faunistìco-venatorì provinciali, secondo un articolato ed innovativo approccio metodologico in grado di affrontare contestualmente, nell'ambito di detto procedimento valutativo, a due livelli di pianificazione faunìstico-venatoria che in tal modo trovavano finalmente composizione funzionale a fronte di una incerta definizione dei rapporti di interdipendenza, così come appare dalla lettura degli articoli 8 e 9 della legge regionale 50/1993”. L'articolo 1, del progetto di legge approvato, stabilisce che la validità del piano vigente è prorogata al 10 febbraio 2014.
Dopo un complesso lavoro di preparazione e coordinamento avviato, con la sottoscrizione di uno specifico protocollo d'intesa, a giugno 2011, la Regione e le Province del Veneto sono pervenute all'adozione delle rispettive proposte di Piano faunistico-venatorio per il periodo 2014-2019. Detti Piani faunistico-venatori propongono, ognuno per le parti di propria competenza, gli elementi di pianificazione territoriale, di programmazione e regolamentazione delle attività venatorie e di gestione ambientale e della fauna sulla base di obiettivi strategici ambientali e gestionali condivisi.
L'insieme dei Piani costituisce un assetto complessivo che, per la prima volta, viene presentato ai portatori di interesse e al pubblico generico prima della loro formale approvazione, secondo quanto previsto dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS).
Sul punto seguirà una nota sulle proposte relative alla Provincia di Vicenza.

dott.sa Giada Scuccato

Dove vengono spesi i soldi pubblici in Italia

24 Set 2013
24 Settembre 2013

Dal sito internet dell'economista Eugenio Benetazzo (http://www.eugeniobenetazzo.com/bilancio-dello-stato.htm) traiamo le interessanti note che pubblichiamo:

"In questo momento così delicato della vita del nostro paese, a fronte di un palese immobilismo dell'attuale scena politica, il contribuente medio deve avere una conoscenza il più possibile ampia ed approfondita di quelli che sono i centri di spesa più rilevanti e di come questi ultimi si siano evoluti negli ultimi dieci anni. Votare per questo o quel partito non ha senso se le rispettive offerte di politica economica non mirano a razionalizzare o meglio a tagliare là dove oggettivamente vi sia immane incombenza. Ad esempio dall'analisi del Bilancio dello Stato per Competenza previsto per il 2013 si possono evidenziare un totale di spese correnti per 482 MLD (di cui 89 MLD solo per interessi passivi, stimati in 95 MLD per il 2014 e 99 MLD per il 2015) che salgono ad un totale complessivo di 524 MLD, aggiungendo anche i 42 MLD per spese in investimenti fissi e trasferimenti in conto capitale. Sempre per il 2013 sono previsti 204 MLD di rimborso prestiti per titoli del debito pubblico (contro i 247 MLD del 2012): pertanto il budget finanziario dello Stato per il 2013 sommando le varie poste arriva a oltre 760 MLD.

 A questo punto diventa interessante scomporre alcuni capitoli di spesa per aggregati economici di costo: sono stanziati 86 MLD per le retribuzioni del personale dipendente, 230 MLD per trasferimenti alle Amministrazioni Pubbliche, di cui 114 MLD per la previdenza ed assistenza sociale. Significativi diventano anche i costi propri delle varie strutture periferiche: ne citiamo alcune, Giustizia 7 MLD, Difesa 17 MLD, Istruzione scolastica ed universitaria 48 MLD, Organi Costituzionali 2.7 MLD, Tutela dei Beni e delle Attività Culturali 1.4 MLD, Accoglienza all'Immigrazione 1.5 MLD ed infine l'insignificante Turismo con 0.028 MLD (riflettete a fondo soprattutto sull'entità di questi ultimi tre). Capite da voi come le aree e le voci di costo su cui sarebbe possibile tagliare molto e duramente, per ovvie ragioni di capienza, tanto in quantità che in qualità, sono rispettivamente l'assistenza sanitaria, la previdenza sociale, le retribuzioni del personale dipendente e l'istruzione scolastica (ricordo che il MIUR è il sesto datore di lavoro al mondo): tutti settori dello Stato che sono strategici per ottenere consenso elettorale. Chiedetevi ora chi dovrebbe essere in Italia il duro che dà inizio all'epoca dei tagli ed al tempo stesso ad un nuovo decennio di piombo".

Pubblichiamo anche il Bilancio 2013 in breve, redatto  dal Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Bilancio_in_breve_2013

Nuovo parere VTR su art. 38 PTRC

24 Set 2013
24 Settembre 2013

In data 18 settembre 2013 il Comitato ha integrato il parere del 20 marzo 2013, n. 10 sulla variante parziale con attribuzione della valenza paesaggistica al PTRC del 2009.

Ci scrive il dott. David De Arena: "Ho visto il parere della VTR .... a proposito di semplificazione e neocentralismo regionale.

Due perplessità:

a) Al parere pare siano allegati degli elaborati grafici che esplicitano l'ambito di applicazione dell'art. 38 ... se ne sa qualcosa?

b) Detto parere comporterà una delibera di chiarimento da parte della Giunta Regionale?

Un dubbio: la salvaguardia impressa dall'art. 38 del PTRC sembra una tipologia anomala: infatti appare come una salvaguardia "procedimentale" e non oggettiva (riferita cioè ad un oeggetto di pianificazione o di tutela).

E' una nuova categoria di salvaguardia? Ma non dovrebbero essere le leggi, e non i piani, che disciplinano i procedimenti"?


Distanze di rispetto da impianti di depurazione: criteri di misurazione

24 Set 2013
24 Settembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4606 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: ""... 4.2. Per quanto attiene al secondo aspetto, in questo caso viene in rilievo l’interpretazione dell’art. 24.3.3 delle N.T.A., che impone un vincolo di inedificabilità in una fascia di rispetto di mt 150 dal “perimetro degli impianti pubblici di depurazione di acque luride e di discariche controllate”.

Al riguardo parte appellante, al fine di sostenere che i capannoni per cui è causa si troverebbero, in tutto o per la loro maggior parte, al di fuori della predetta fascia di rispetto, assume che la stessa andrebbe calcolata a partire non già dal limite esterno dell’intera area ospitante l’impianto di depurazione, ma dalle pareti del singolo, specifico edificio adibito a depuratore.

Per meglio comprendere l’inaccettabilità di tale lettura, occorre tener presente che la richiamata prescrizione del P.R.G. è attuativa della prescrizione tecnica contenuta nell’Allegato 4 alla Deliberazione del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento del 4 gennaio 1977, laddove:

- la necessità di garantire una distanza minima degli impianti di depurazione dall’abitato è ricondotta alla esigenza di “evitare che microrganismi patogeni o sostanze particolarmente pericolose raggiungano (…) zone abitate, residenziali o commerciali o di traffico notevole” (par. 1.2);

- conseguentemente, viene demandata alla “autorità competente in sede di definizione degli strumenti urbanistici” la fissazione di una fascia di rispetto di almeno mt 100, con specifico riferimento alla “area destinata allo impianto” (par. 1.2);

- tale ultima area è espressamente definita come quella “sufficiente per tutte le necessità connesse con il funzionamento ottimale dell’impianto stesso: deposito per materiale di consumo e di risulta, edifici ausiliari, parcheggi e quant’altro occorre per il corretto funzionamento dell’impianto” (par. 1.5).

Alla luce dei dati testuali sopra richiamati, risulta evidente che la pretesa di parte appellante di ancorare la misurazione della fascia di rispetto al perimetro del singolo edificio, anziché a quello dell’area ospitante l’impianto nella sua globalità, oltre che con la lettera delle prescrizioni tecniche, contrasta anche con la loro ratio: è evidente infatti che la previsione di una fascia di rispetto con connesso vincolo di inedificabilità mira non già a tutelare l’impianto di depurazione in quanto immobile considerato nella sua realtà “statica”, ma ad assicurarne la piena funzionalità, in rapporto alle esigenze di tutela della salute umana (e, quindi, anche in una prospettiva “dinamica” di possibile espansione e sviluppo dell’impianto medesimo)...".

sentenza CDS 4606 del 2013

 

S.O.S. tecnico: secondo la Regione Veneto serve o no la VAS per i piani attuativi?

24 Set 2013
24 Settembre 2013

La DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE n. 143/IIM del 10 settembre 2013 ha per oggetto la risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 535 del 20.01.2012 presentata dal consigliere Peraro Stefano, avente per oggetto: "Serve o no la VAS per i piani attuativi?"

La Sibilla Cumana ha dichiarato: "c'è sempre qualcosa da imparare".

Risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 535 del 20.01.2012

Convegno dell’Università di Padova su genetica e biodiritto

24 Set 2013
24 Settembre 2013

Il Dipartimento di diritto pubblico, internazionale e comunitario dell'Università di  Padova organizza il CONVEGNO INTERNAZIONALE
"Genetics, Robotics, Law, Punishment", come da locandina allegata.

Padova-Treviso, 30 settembre – 1° ottobre 2013

Programma Conv. Genetics Robotics Law Punishment

L’installazione di un ascensore per disabili deroga alle distanze stabilite dai regolamenti edilizi comunali ma non a quelle stabilite dagli artt. 873 e 907 c.c.

23 Set 2013
23 Settembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1106 del 2013, che decide un  caso nel quale il Comune, a seguito della presnetazione di una DIA,  aveva inviato una diffida a non effettuare l'intervento" per la realizzazione di un ascensore esterno, motivato con la mancanza di un atto di assenso da parte della proprietaria dell’area scoperta confinante.

Scrive il TAR: "l’atto di assenso da parte della proprietaria dell’area scoperta confinante, tardivamente richiesto dall’amministrazione, non è necessario nel caso in esame d’installazione di un ascensore per disabili, dove, operando la deroga alle distanze stabilite dai regolamenti edilizi comunali, prevista dall’art. 79 comma 1 D.P.R. n. 380/2001 in favore delle opere finalizzate ad eliminare le barriere architettoniche, rimangono rispettate le distanze stabilite dagli artt. 873 e 907 c.c. (rispettivamente tra costruzioni e delle costruzioni dalle vedute) essendo l’immobile della controinteressata un’area scoperta non edificabile e non un fabbricato".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1106 del 2013

Qual è il c.d. contenuto minimo del contratto di avvalimento?

23 Set 2013
23 Settembre 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 11 settembre 2013 n. 1092, si occupa del contratto di avvalimento e delle dichiarazioni unilaterali di cui all’art. 49 , c. 2, lett. a) e d), D. Lgs. 163/2006.

Seppur manca un orientamento consolidato in materia, il Collegio cerca di definire il contenuto minimo che il contratto di avvalimento deve avere: “6.3. L’art. 49 del D.Lgs. n. 163 del 2006 prevede, al primo comma, che il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto. Il secondo comma della stessa disposizione prevede che, “ai fini di quanto previsto nel comma 1”, il concorrente allega, “oltre all’eventuale attestazione SOA propria e dell’impresa ausiliaria”, tra l’altro:

- una sua dichiarazione, “attestante l’avvalimento dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara, con specifica indicazione dei requisiti stessi e dell’impresa ausiliaria” (lettera a);

- “una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente” (lettera d);

- in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto (lettera f).

La stessa disposizione prevede, al comma 4, che “il concorrente e l’impresa ausiliaria sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto”.

6.4. Le disposizioni riportate contemplano, dunque, un procedimento negoziale complesso composto dai negozi unilaterali del concorrente (lettera a) e dell’impresa ausiliaria (lettera d), indirizzati alla stazione appaltante, nonché da un contratto tipico di avvalimento (lettera f) stipulato tra il concorrente e l’impresa ausiliaria (così, da ultimo, Consiglio di Stato, VI, 13 giugno 2013, n. 3310).

6.5. L’esigenza di una puntuale individuazione dell’oggetto del contratto di avvalimento, oltre a discendere dalle norme generali in materia di invalidità contrattuale, per indeterminatezza (ed indeterminabilità) di un elemento essenziale dell’impegno negoziale (artt. 1325 e 1418 c.c.), risulta, sul piano funzionale, inscindibilmente connessa, nell’ambito delle procedure contrattuali del settore pubblico, alla necessità di non permettere agevoli aggiramenti del sistema dei requisiti di ingresso alle gare pubbliche.

6.6. Per le stesse ragioni, l’esigenza di determinazione dell’oggetto esiste anche con riferimento alla dichiarazione unilaterale in quanto “nell’istituto dell’avvalimento l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto alla gara, dovendosi essa impegnare non soltanto verso l’impresa concorrente ausiliata ma anche verso la stazione appaltante a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi sia carente, sicché l’ausiliario è tenuto a riprodurre il contenuto del contratto di avvalimento in una dichiarazione resa nei confronti della stazione appaltante” (Cons. Stato, VI, 13 maggio 2010, n. 2956). Ciò in quanto occorre soddisfare “esigenze di certezza dell’amministrazione”, essendo la dichiarazione dell’impresa ausiliaria “volta a soddisfare l’interesse della stazione appaltante ad evitare, dopo l’aggiudicazione, l’insorgere di contestazioni sugli obblighi dell’ausiliario” (Cons. Stato, VI, n. 2956 del 2010, cit.)”.

Premesso che nel caso di specie la dichiarazione unilaterale resa dall’ausiliaria, nei confronti della stazione appaltante, difettava sia della natura dei requisiti in concreto prestati sia della misura del prestito, il T.A.R. afferma che: “né la disciplina vigente sopra richiamata né i principi generali in materia di determinazione/determinabilità dell’oggetto del contratto consentono di integrare per relationem o aliunde l’omessa specificazione della misura dell’avvalimento in concreto operato nei confronti di ciascuna impresa che compone il raggruppamento (cfr. Consiglio di Stato, III, 29 ottobre 2012, n. 5512)” e che: “la dichiarazione richiesta dalla lettera a) del comma 2 dell’art. 49 esprime precipuamente l’impegno, assunto dalla concorrente nei confronti della stazione appaltante, di ricorrere all’istituto dell’avvalimento, impegno che si connota, nella previsione normativa, non quale generico riferimento all’utilizzo dell’istituto, ma come concreta specificazione dei suoi contenuti, riferiti ai requisiti oggetto di esso ed alla impresa ausiliaria. Trattasi, allora, di atto con il quale il concorrente si qualifica nei confronti della stazione appaltante e, quindi, di documento essenziale di concreta “identificazione” del soggetto che intende contrattare con la p.a. (cfr., in questo senso, TAR Sicilia, Palermo, III, 23.11.2011, n. 2174). Da tale natura e funzione della dichiarazione in esame discende la relativa verificabilità ai sensi dell’art. 48, il cui esito negativo comporta la sanzione espulsiva”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1092 del 2013

E’ illegittimo l’esproprio se il decreto di occupazione d’urgenza viene emesso e non notificato?

23 Set 2013
23 Settembre 2013

Il, Consiglio di Stato con la sentenza n. 4458 del 2013 dice di no.

Scrive il Consiglio di Stato: "l’appellante sostiene che – contrariamente a quanto  affermato nella sentenza di I grado - le violazioni di norme di legge prescriventi la notifica del decreto di occupazione “non comportano semplicemente un attentato ai poteri partecipativi del privato ed al contraddittorio procedimentale, ma attentano direttamente all’istituto proprietario ed al sistema di guarentigie del cittadino – proprietario”, non essendo possibile che “il proprietario possa subire che i propri beni vengano legittimamente trasformati e in modo irreversibile dalla mano pubblica e dal soggetto espropriante senza avere ricevuto la notifica di alcun atto”. Da ciò deriverebbe, in sostanza, che, laddove l’art. 22-bs DPR n. 327/2001 prescrive la notifica del decreto di occupazione di urgenza, introduce una regola procedimentale il cui mancato rispetto, per un verso, rende illegittimo l’atto e dunque, una volta annullato quest’ultimo, priva i suoi effetti della “copertura” derivante dalla presunzione di legittimità e dunque, in ultima istanza, rende illecito il comportamento dell’amministrazione. Posto che la parte appellata sostiene di non avere potuto procedere alla notifica dell’atto per sostanziale irreperibilità della società Speranza 2006, nonostante le ricerche effettuate (v. pagg. 24 – 29 memoria 10 gennaio 2012), il Collegio non ritiene di doversi soffermare sulla questione della reperibilità della società proprietaria del bene oggetto di occupazione, dato che il difetto di notificazione del decreto di occupazione di urgenza non integra una illegittimità di questo, né inficia in via derivata – una volta che sia stato emesso il decreto di esproprio – la legittimità del procedimento espropriativo. L’art. 22-bis DPR n. 327/2001 (introdotto dal d. lgs. n.  302/2002), prevede, in particolare, che: “qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell' articolo 20 , può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, decreto motivato che determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione, e che dispone anche l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari. Il decreto contiene l'elenco dei beni da espropriare e dei relativi proprietari, indica i beni da occupare e determina l'indennità da offrire in via provvisoria. Il decreto è notificato con le modalità di cui al comma 4 e seguenti dell' articolo 20 con l'avvertenza che il proprietario, nei trenta giorni successivi alla immissione in possesso, può, nel caso non condivida l'indennità offerta, presentare osservazioni scritte e depositare documenti” (comma 1). Orbene, il Collegio rileva che, anche alla luce del testo dell’art. 22 – bis, la notificazione del decreto di occupazione, lungi dall’acquisire non tanto la natura di elemento “integratore” della legittimità dell’atto, quanto la veste di condizione per la legittima produzione degli effetti di questo, si pone come elemento estraneo all’atto stesso e alla produzione di effetti da esso derivanti “secundum legem”, e costituisce esclusivamente una forma di comunicazione del provvedimento emesso dall’amministrazione al suo destinatario, esclusa ogni natura recettizia dell’atto, implicante come tale una diversa e possibile decorrenza dei suoi effetti. Come è stato già chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Cons. St., sez. IV, n. 1668/2007), il vizio (o il difetto) della notifica del decreto di esproprio e/o di occupazione non incide sulla legittimità del provvedimento, quanto sulla opponibilità dello stesso al destinatario e sulla effettiva decorrenza dei termini posti a disposizione dell’espropriando per esercitare il suo diritto alla tutela, in particolare giurisdizionale. 4. Le ragioni esposte al precedente punto 3 contribuiscono a sorreggere anche la reiezione del quarto motivo di appello (sub d) dell’esposizione in fatto), con particolare riguardo alla doglianza riportata sub d2), dove si lamenta l’illegittimità del decreto di occupazione derivante dall’omessa notifica del decreto stesso e degli avvisi di immissione in possesso".

Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4458 del 2013

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