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La non costante giurisprudenza del TAR Veneto sul potere dei comuni di disciplinare le distanze del Piano Casa

03 Set 2012
3 Settembre 2012

Il TAR Veneto si è recentemente riespresso sul tema del potere dei comuni di disciplinare l’applicazione del Piano Casa con la sentenza n. 01105/2012.

I ricorrenti sono proprietari di un immobile (edificio e terreno circostante) ad uso promiscuo, commerciale e residenziale, sito nel Comune di Vicenza, zona S. Croce.

L'edificio è destinato al piano terra, all'esercizio del commercio (rivendita complementi d'arredo), ai piani superiori, ad abitazione.

II terreno è invece tutto destinato a parcheggio.

Per effetto di una variante al P.R.G. allora vigente, la porzione di terreno di proprietà dei ricorrenti è stata parzialmente compresa in un ambito urbano, gravato da un vincolo strumentale. Per effetto di detta variante l'area di proprietà dei ricorrenti veniva individuata come area a servizi di interesse generale e, più precisamente, da destinarsi a parcheggio pubblico.

Al fine di soddisfare l'esigenza di realizzare taluni parcheggi coperti a servizio dell'attività commerciale nella porzione non compresa nell'area di pianificazione attuativa, i ricorrenti presentavano un’istanza di rilascio di titolo edilizio (p.g. n. 6173/10 e 7928/2010) ai sensi e per gli effetti della L.Reg. 14/09.

Con preavviso di diniego, comunicato in data 20 gennaio 2011, il Comune di Vicenza preannunciava il rigetto dell'istanza.

In data 21 aprile 2011 i ricorrenti ricevevano la comunicazione del provvedimento di diniego opposto dal Comune di Vicenza che cosi motivava: "l'intervento edilizio proposto non è conforme alla normativa urbanistico edilizia per contrasto, sul confine di zona, con il disposto dell'art. 1.1. della Delibera del Consiglio Comunale n.71 "Limiti e criteri e modalità applicative ai fini dell'attuazione della L.R.14/09" in quanto ".. . non sono ammesse deroghe alle disposizioni degli strumenti urbanistici comunali vigenti riguardanti le distanze dai confini, le distanze dalle strade, ecc... ".

Detto provvedimento veniva impugnato unitamente alla delibera del Consiglio comunale del Comune di Vicenza, n. 71 del 30 ottobre 2009, con cui venivano introdotte deroghe all'ambito di applicazione della l.r. 14/09 e, ancora, unitamente alle delibere adottate in variante del Prg e con riferimento alle aree in questione in epigrafe citate.

Il TAR Veneto ha dichiarato il ricorso infondato e lo ha rigettato per i motivi di seguito precisati.

Con il primo motivo il ricorrente fonda l’illegittimità del diniego impugnato sostenendo, a sua volta, l’illegittimità della delibera n. 71/09 adottata dal Comune di Vicenza in attuazione della L. Reg.14/2009. A parere della ricorrente solo le distanze fissate dalla Legge statale devono considerarsi pienamente vigenti, stante l’impossibilità per l’Amministrazione di prevedere limiti ulteriori. Solo quindi la violazione di detta peculiare tipologia di distanze avrebbe potuto legittimare l’adozione di un provvedimento di rigetto a fronte della presentazione di un’ istanza di costruire.

Il TAR afferma nella sentenza che “...Detta ricostruzione deve ritenersi non condivisibile…”.

Afferma infatti che il connaturato disposto degli art. 9 comma 5 della L. reg. 14/2009 e art.8 comma 4 dell’art.13/2001 ha attribuito ai Comuni il potere di adottare specifiche delibere attuative della Legge c.d. “Piano casa”, in quanto tali, suscettibili di prevedere ” se e con quali limiti e modalità applicare la normativa di cui agli art. 2 e 3, compiendo all’uopo….specifiche valutazioni di carattere urbanistico ed edilizio paesaggistico ed ambientale”. Rientrava quindi nei poteri dei Comuni dare attuazione alla normativa soprarichiamata, ponendo in essere degli atti di vera e propria pianificazione urbanistica, provvedimenti questi ultimi che, per assurdo, avrebbero potuto non solo limitare, ma anche escludere (entro determinate eccezioni) l’applicazione della normativa di cui si tratta. L’esercizio di detto potere, espressamente delegato per volontà del Legislatore Regionale al Comune, ha attribuito allo stesso la facoltà di esercitare un’attività tipicamente di “discrezionalità tecnica”, obbligando l’Amministrazione al solo rispetto di prederminati limiti (si veda l’artt. 2 -9 della L.reg.14/2009) contenuti nella stessa disciplina, tra i quali, è opportuno ricordare proprio le norme sulle distanze di derivazione statale.

Continua il TAR Veneto affermando che ricordata così la ratio alla base della normativa sopra richiamata risulta evidente come sia da considerare pienamente legittima la scelta posta in essere dal Comune di Vicenza di “non introdurre deroghe alle disposizioni vigenti degli strumenti urbanistici comunali vigenti riguardanti le distanze dai confini, le distanze dalle strade ecc..”, intendendo così attuare una forma di politica urbanistica del territorio strettamente rispettosa dei limiti previgenti e, ciò malgrado le possibilità di deroga consentite dalla normativa citata.

Ne consegue, afferma il TAR, la legittimità della delibera del Consiglio Comunale di Vicenza e, nel contempo, la contestuale infondatezza del motivo di impugnativa addotto dalla ricorrente.

Ma vi è di più.

Il TAR Veneto dichiara altrettanto infondato il secondo motivo alla base del ricorso nella parte in cui assume ostativo al rilascio del permesso di costruire quanto contenuto nell’art. 8 punto 4 delle NTA laddove ritiene illegittima l’equiparazione – disposta ai fini del calcolo delle distanze – tra il “confine delle zone urbanistiche” e i “confini di proprietà”. Per il ricorrente non sarebbe possibile fondare il diniego del permesso impugnato sulla violazione della distanza dal confine da un’area di interesse pubblico in quanto mancherebbe il piano attuativo idoneo a individuare, e localizzare, la specifica opera che persegue l’interesse pubblico e, ancora, a concretizzare così una classificazione urbanistica ritenuta di mero indirizzo in quanto contenuta nel solo Piano Regolatore.

E’ del tutto evidente, afferma il TAR Veneto la non ammissibilità di detta argomentazione e, ciò, laddove si consideri come la legittimità dell’equiparazione tra le zone urbanistiche ai “confini in proprietà” è il risultato della asserita indispensabilità di fissare un limite che sia il presupposto per un corretto calcolo delle distanze e, ciò, anche in mancanza di un opera pubblica già realizzata. La stessa norma risponde, inoltre, all’applicazione di un principio equitativo – così come avviene per i “confini in proprietà” - in ragione del quale il rispetto delle norme in materia di distanze viene ripartita – equamente - tra le due aree confinanti in funzione della loro destinazione e zonizzazione prevista nel Piano regolatore e, ciò, quindi a prescindere se la classificazione, delle une, preveda la realizzazione di un interesse personale e privatistico o, al contrario, la tutela di un interesse generale e proprio della collettività che incide su quel determinato territorio.

Prosegue il TAR Veneto affermando che è inoltre del tutto evidente come la suddivisione in zone costituisca il compito “primario” cui è deputato proprio il Piano regolatore (o le sue varianti), non essendo necessario l’emanazione di un piano attuativo se non per stabilire modalità di esecuzione e prescrizioni che nulla hanno a che vedere con la destinazione già impressa e definita dallo stesso Prg. Laddove si facesse propria l’interpretazione del ricorrente ne verrebbe svilita la stessa concreta applicazione della normativa sulle distanze che, resterebbe quasi “sospesa”, e comunque non applicabile, in mancanza dell’emanazione degli strumenti di pianificazione secondaria.

 I principi desumibili dalla sentenza sopra illustrata appaiono però sigificativamente diversi da una precedente sentenza del TAR Veneto già commentata su blog venetoius.myblog.it  in data 22/10/2010.

Un Comune, in sede di approvazione della deliberazione comunale prevista dall'articolo 9, comma 5, della legge regionale veneta n. 14/2009 (piano casa), probabilmente per arginare gli effetti dannosi che deriverebbero dalla interpretazione del piano casa in senso ampio, vale a dire nel senso che l'ampliamento in deroga in esso previsto (articolo 2, comma 1) consenta di derogare a tutte le previsioni del regolamento edilizio e degli strumenti urbanistici, ha previsto che “la norma statale in materia di distanze tra i confini e tra gli edifici è integrata dalle previsioni in materia del vigente P.R.G. del Comune di R. e comunque fatti salvi i diritti dei terzi nel rispetto del codice civile".

Tenendo conto del fatto che il comma 8 dell'art. 9 della legge fa già "salve le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente" e che, di conseguenza, il piano casa non consente di derogare alla distanza di 3 metri tra costruzioni, prevista dal'art. 873 del codice civile, e alla distanza di 10 metri tra pareti finestrate, prevista dal decreto ministeriale del 1968 (che sono normative statali), è evidente che il Comune voleva soprattutto  dire che il piano casa non può derogare alle distanze dai confini previsti dalla normativa comunale (di solito sono previsti 5 metri). 

 Il TAR Veneto, però, con la sentenza n. 5694 del 2010, ha annullato tale previsione limitativa introdotta dal comune, affermando che:

“… 4.4. Infine, non si può mancare di osservare come la soluzione adottata dal Comune di R. tenda a comprimere l’efficacia di una disciplina di legge in una materia, come il governo del territorio, dove la potestà legislativa è affidata alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, di competenza statale, tra i quali non pare tuttavia rientrare il disposto di cui all’art. 873 c.c.: sicché non vi è ragione di ritenere che specifiche previsioni, contenute in un regolamento comunale in materia edilizia, possano limitare la forza espansiva della disciplina di cui alla l.r. 14/09…”.

dott. David De Arena

sentenza TAR veneto 1105 del 2012

Le modifiche alla L. 241/90 in forza del decreto legge 83 del 2012 dopo la conversione

03 Set 2012
3 Settembre 2012

Si informa che il DECRETO-LEGGE 22 giugno 2012, n. 83 (in SO n.129, relativo alla G.U. 26/06/2012, n.147), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (in SO n. 171, relativo alla G.U. 11/08/2012, n. 187),ha disposto le seguenti modifiche alla legge 241/90 - Nuove norme in materia di procedimento amministrativo:

 -       con l'art. 13, comma 01, la modifica dell'art. 2, comma 9-bis come segue:

 Art. 2  (Conclusione del procedimento).

 “…9-bis. L'organo di  governo  individua,  nell'ambito  delle  figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui  attribuire  il  potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o  in  mancanza  al funzionario      di      piu'      elevato      livello      presente nell'amministrazione.((Per ciascun procedimento,  sul  sito  internet istituzionale  dell'amministrazione   e'   pubblicata,   in   formato tabellare  e  con   collegamento   ben   visibile   nella   homepage, l'indicazione del soggetto a cui e' attribuito il potere  sostitutivo e a cui l'interessato puo' rivolgersi ai sensi e per gli effetti  del comma 9-ter. Tale soggetto, in  caso  di  ritardo,  comunica  senza indugio il nominativo del responsabile,  ai  fini  della  valutazione dell'avvio del procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali  di  lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza  alle  disposizioni  del  presente comma,  assume  la  sua  medesima  responsabilita'  oltre  a   quella propria)).”

  -       con l'art. 13, comma 1) la modifica dell'art. 19, comma 1 come segue:

 Art. 19 (Segnalazione certificata di inizio attivita' - Scia)

 “….tali attestazioni e asseverazioni sono  corredate dagli elaborati tecnici necessari  per  consentire  le  verifiche  di competenza dell'amministrazione.((Nei  casi  in  cui  la  normativa vigente prevede l'acquisizione di atti o  pareri  di  organi  o  enti appositi, ovvero l'esecuzione  di  verifiche  preventive,  essi  sono comunque  sostituiti   dalle   autocertificazioni,   attestazioni   e asseverazioni o certificazioni di cui al  presente  comma,  salve  le verifiche   successive   degli   organi   e   delle   amministrazioni competenti.))  La  segnalazione,   corredata   delle   dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonche' dei relativi elaborati  tecnici, puo' essere presentata mediante  posta  raccomandata  con  avviso  di ricevimento, ad  eccezione  dei  procedimenti  per  cui  e'  previsto l'utilizzo esclusivo della  modalita'  telematica;  in  tal  caso  la segnalazione si considera presentata al momento  della  ricezione  da parte dell'amministrazione…”

 -       con l'art. 3, comma 1) l'introduzione del comma 1-bis all'art. 14-bis come segue:

 Art. 14-bis. (Conferenza di servizi preliminare)

   “ … ((1-bis. In relazione alle procedure di cui  all'articolo  153  del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, la conferenza dei servizi e' sempre indetta. La conferenza si esprime sulla base  dello  studio di fattibilita' per le procedure che  prevedono  che  lo  stesso  sia posto a base di gara ovvero sulla base del progetto  preliminare  per le procedure che prevedono che lo stesso sia posto a base di gara. Le indicazioni  fornite   in   sede   di   conferenza   possono   essere motivatamente  modificate   o   integrate   solo   in   presenza   di significativi   elementi   emersi   nelle   fasi    successive    del procedimento.)) …“

Modifiche al decreto legislativo 59/2010 (attuazione direttiva servizi nel mercato interno)

03 Set 2012
3 Settembre 2012

Sulla G.U. del 31 agosto 2012 è stato pubblicato il DECRETO LEGISLATIVO 6 agosto 2012 , n. 147 - Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno.‏

 Modifiche decreto servizi nel mercato interno

 

Le disposizioni edilizie ed igienico-sanitarie in materia di agriturismo e itturismo della L.R. 28/2012

31 Ago 2012
31 Agosto 2012

Legge Regionale N. 28 del 10 agosto 2012

Disciplina dell'agriturismo, ittiturismo e pescaturismo.

Disposizioni edilizie e igienico sanitarie

Art. 16

Immobili destinati all’agriturismo

1. Sono utilizzabili per le attività agrituristiche, i fabbricati rurali o parte di essi, nella disponibilità dell’azienda e non più necessari per le attività di coltivazione, selvicoltura e allevamento nonché per le attività connesse.

2. L’utilizzazione agrituristica non comporta cambio di destinazione d’uso degli edifici e delle superfici censite come rurali.

3. Al fine di consentire di migliorare l’offerta turistica, è consentita la realizzazione di piscine nelle aziende agrituristiche e nelle aziende ittituristiche ubicate in zona agricola, in deroga ai commi 2 e 3 dell’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio ed in materia di paesaggio".

4. Gli interventi per assicurare la conformità alle norme vigenti in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche di cui al comma 6 dell’articolo 5 della legge 20 febbraio 2006, n. 96, sono effettuati, a esclusione delle aziende agrituristiche ubicate in zona montana e alle aziende agrituristiche la cui ricettività complessiva è pari o inferiore a sei posti letto, nel rispetto delle prescrizioni per le strutture ricettive di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236 "Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visibilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche", anche con opere provvisionali.

Art. 17

Immobili destinati all’ittiturismo

1. Sono utilizzabili per attività ittituristiche i fabbricati e le strutture attrezzate nella disponibilità dell’azienda, ivi compresi i manufatti della tradizione locale, quali i casoni e i capanni.

2. Per gli interventi edilizi in funzione dell’attività ittituristica in zona agricola, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 ovvero, qualora tale attività venga svolta in zona diversa da quella agricola, si applica la normativa vigente in materia edilizia.

3. Gli interventi edilizi in funzione della attività ittituristica in zona agricola di cui al comma 2 sono consentiti:

a) agli imprenditori ittici, in deroga ai requisiti di cui alle lettere b) e c) del comma 2 dell’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11;

b) sulla base di un piano aziendale, di cui la Giunta regionale definisce i contenuti e la competenza per il suo esame e approvazione.

4. Gli interventi per assicurare la conformità alle norme vigenti in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche di cui al comma 6 dell’articolo 5 della legge 20 febbraio 2006, n. 96, sono effettuati, a esclusione delle aziende ittituristiche la cui ricettività complessiva è pari o inferiore a dieci posti letto, nel rispetto delle prescrizioni per le strutture ricettive di cui al decreto del ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236 "Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visibilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche", anche con opere provvisionali.

Art. 18

Norme igienico sanitarie comuni alle attività agrituristiche e ittituristiche

1. Le strutture e i locali destinati all’esercizio dell’attività agrituristica o ittituristica devono possedere i requisiti igienico-sanitari previsti dai regolamenti comunali edilizi e di igiene.

2. La Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, ai sensi dell’articolo 5 della legge 20 febbraio 2006, n. 96 può definire specifiche condizioni e modalità di attuazione:

a) delle norme igienico-sanitarie relative a strutture e locali, con riferimento alle particolari caratteristiche degli edifici destinati alle attività agrituristiche e ittituristiche, compresi i manufatti della tradizione locale quali casoni e capanni e alle limitate dimensioni delle relative attività svolte;

b) per la conformità alla disciplina in materia di igiene degli alimenti dei locali e delle attrezzature destinati al trattamento e alla somministrazione di sostanze alimentari e del piano di autocontrollo igienico-sanitario, tenendo conto della diversificazione e della limitata quantità delle produzioni, al fine dell’autorizzazione a utilizzare cucina e locali polifunzionali di trattamento, manipolazione, trasformazione e conservazione, prevedendo eventualmente anche l’uso da parte di più aziende agrituristiche o ittituristiche.

3. È comunque consentita la macellazione di animali allevati in azienda in apposita sala di macellazione e lavorazione annessa all’azienda agrituristica; tale attività è consentita ai fini della somministrazione di cui all’articolo 5 e della vendita diretta di avicunicoli e, previa visita sanitaria in loco da parte dell’azienda unità locale socio-sanitaria competente, di dieci capi per ciascuna delle specie suina, ovina e caprina.

4. Sono sempre consentiti gli interventi edilizi necessari per l’adeguamento alle norme igienico-sanitarie nonché per gli adeguamenti tecnologici per assicurare la conformità alle norme vigenti in materia.

5. Le piscine in dotazione alle aziende agrituristiche o ittituristiche e gli eventuali centri benessere sono riservati ai soli ospiti che fruiscono dell’ospitalità in alloggio o in spazi aperti.

6. All’azienda agrituristica che opera nei limiti di cui al comma 5 dell’articolo 3 è consentito l’uso della cucina per gli ospiti laddove sia disponibile uno spazio comune adeguato per il consumo dei pasti.

Una tettoia con utilizzazione industriale aumenta la superficie coperta ed è soggetta a contributo concessorio

30 Ago 2012
30 Agosto 2012

La questione è stata così decisa dal TAR Veneto con la sentenza n. 1100 del 2012.

Scrive il TAR: "ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato di quantificazione degli oneri per il rilascio della concessione edilizia, abbia correttamente applicato la normativa sopra citata al caso di specie, riguardante l’edificazione di una tettoia, che viene descritta dalla difesa dell’amministrazione resistente e senza contestazioni specifiche da parte della ricorrente, come di estensione pari a mq. 1626, con pilastri e fondazioni in cemento armato e tetto in lastre ondulate di fibrocemento, occupante lo spazio fra due preesistenti capannoni, in modo da metterli in collegamento fra loro.
Infatti, si tratta di una vera e propria costruzione che ha comportato l’ampliamento della superficie coperta esistente, avente destinazione industriale, e come tale soggetta ai contributi dovuti per il rilascio della concessione edilizia.
La ditta ricorrente sostiene in proposito che, in concreto, tale costruzione non sarebbe destinata ad attività produttiva, bensì ad attività accessoria di carico e scarico delle merci, e pertanto non dovrebbe essere assoggettata al contributo ecologico previsto per le opere destinate ad attività produttive industriali o artigianali.
Si ritiene, invece, che, come sostenuto dalla difesa dell’amministrazione, il contributo in esame sia dovuto sul solo presupposto dell’ampliamento della superficie coperta, la quale necessariamente seguirà la destinazione industriale della superficie preesistente, a prescindere dallo specifico e concreto uso che poi la ditta faccia di quel nuovo spazio coperto; che potrà essere direttamente o indirettamente destinato ad attività produttiva, anche in ragione delle concrete e mutevoli esigenze dell’impresa, senza che ciò influisca sull’ assoggettamento della nuova costruzione al contributo.
2.3. Per le medesime ragioni, anche la delibera consiliare n. 26 del 7 marzo 1995, di cui ha fatto puntualmente applicazione l’amministrazione comunale, appare legittima, in quanto, la normativa statale e quella regionale sopra riportate, non richiedevano al Comune di prevedere una differenziazione di trattamento, all’interno di ciascun impianto produttivo, fra spazi coperti effettivamente e direttamente destinati ad attività produttiva e spazi coperti destinati ad attività accessorie rispetto a quella prettamente produttiva, bensì solo di parametrare il contributo ecologico alle situazioni locali ed ai tipi di attività produttiva. Ebbene, in applicazione di tale criterio, il Comune di Altavilla Vicentina, tenendo conto delle diverse attività esercitate nell’ambito del suo territorio, ha correttamente effettuato una distinzione tra le attività di tipo industriale e quelle di tipo artigianale, prevedendo per ciascuna di esse una diversa quota del contributo da moltiplicare per i mq. di superficie coperta".

sentenza TAR Veneto 1100 del 2012

Esiste anche il berceau

30 Ago 2012
30 Agosto 2012

Il berceau consiste in un pergolato (solitamente in legno) coperto da piante rampicanti e caratterizzato dalla mancanza di pareti e di una copertura impermeabile, utilizzato spesso nei centri storici delle città per evitare una copertura impattante con l’ambiente circostante.

La sostituzione della copertura del berceau costituisce un intervento di manutenzione straordinaria (ex art. 3, comma 1, D.P.R. 380/2001 sono “interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici”).La manutenzione straordinaria, tuttavia, non deve snaturare le caratteristiche del berceau: “se invece la nuova copertura risultasse assimilabile ad un vero e proprio solaio e i rampicanti avessero una funzione puramente ornamentale saremmo di fronte ad un opera del tutto diversa , ossia a un nuovo locale coperto, come tale non più qualificabile né come berceau né come semplice pertinenza dell’edificio” (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 17 novembre 2010, n. 4638).

L’elemento discriminante tra la manutenzione straordinaria e la realizzazione di un nuovo solaio, quindi, è la distanza delle assi: la loro separazione esclude la presenza di una copertura integrale assimilabile ad un solaio. Al contrario, non vi è alcuna normativa specifica che indichi la distanza che le travi devono avere per poter affermare che si tratti di un berceau e non di un’altra categoria edilizia, come ad esempio i portici: spetta all’Amministrazione – sembrerebbe - definire nei propri strumenti urbanistici tali distanze.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Brescia, 17.11.2010 n. 4638

Entrate in vigore le nuove tariffe degli avvocati che verranno applicate dai tribunali

29 Ago 2012
29 Agosto 2012

Il 23 agosto 2012 (art. 42) è entrato in vigore il Decreto del Ministero della Giustizia  20 luglio 2012, n. 140, pubblicato sulla G.U. n. 195 del 22 agosto 2012, contenete, tra l'altro, le nuove tariffe degli avvocati, che verranno applicate dagli organi giurisdizionali.

Pubblichiamo una copia del decreto e un commento dell'Unione Triveneta dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati.

tariffe forensi

Parametri commento triveneto

E’ legittimo che un ente locale socio finanzi una società in house?

29 Ago 2012
29 Agosto 2012

La Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, con la deliberazione n. 515/2012/PAR depositata in Segreteria il 22.08.2012 si pronuncia sulle condizioni di ammissibilità della concessione di un finanziamento da parte di un Comune ad una propria società partecipata (nella specie, si verte della ipotesi di istituzione nel bilancio comunale di un apposito fondo per anticipare le somme alla società pubblica partecipata mediante l’impiego di disponibilità di cassa dell’ente locale) e sulle modalità di allocazione in bilancio.

La Corte, in particolare, analizza la questione in oggetto sotto un triplice profilo: contabile, finanziario e societario.

Da un punto di vista contabile, “la scelta delle modalità di finanziamento in favore della società deve essere tuttavia adeguatemene ponderata ed il trasferimento di risorse pubbliche deve rientrare nell’alveo delle attività di produzione di beni e servizi strettamente necessari per il perseguimento delle finalità di pubblico interesse e non deve comunque trasformarsi in un vantaggio competitivo a beneficio della società per attività che le sono precluse o limitate per legge”.

Sul piano finanziario, occorre rispettare il principio di sana gestione finanziaria attraverso:

- la garanzia di un vantaggio economico superiore a quello ricavabile dal deposito delle somme presso il Tesoriere;

- la possibilità di estinzione a breve termine o di pronto disinvestimento del capitale impiegato;

- la valutazione del rischio d’impresa derivante dalla mancanza di idonee garanzie di disinvestimento delle somme impiegate, considerando che l’art. 2467 c.c. prevede la postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e la sua restituzione, se tale rimborso è avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società.

 Infine, sotto il profilo del diritto societario, tale finanziamento determina “un incremento del debito a medio-lungo termine (per effetto del contratto di finanziamento stipulato con l’ente socio); inoltre, poiché detto debito va ad incrementare il valore delle passività aziendali è possibile ipotizzare anche un danno ai creditori sociali, poiché va a diluire il tasso di rimborso potenziale dei crediti chirografari in ipotesi di futura insolvenza”.

Alla luce di quanto esposto, quindi, si può affermare che la possibilità di finanziare una società in house da parte di un ente socio sia astrattamente possibile, anche se concretamente poco realizzabile stante la presenza di rigidi canoni economico-finanziari da rispettare e di normative di settore che non favoriscono tale operazione.

dott. Matteo Acquasaliente

corte dei conti parere 515-2012

Le novità nel processo civile, nella legge Pinto e in quella fallimentare

28 Ago 2012
28 Agosto 2012

Pubblichiamo una nota del 27 agosto 2012 dell'Unione Triveneta dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati sulle recenti novità in materia di processo civile, legge Pinto (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo) e legge fallimentare.

commento triveneto novità procedura civile pinto e fallimentare

Si sentiva la mancanza delle leggi 34 e 36?

28 Ago 2012
28 Agosto 2012

Evviva, evviva ….. sono estasiato dall’intenso sforzo con cui la Regione Veneto – malgrado il periodo festivo – promulga norme di equità edilizia e di salvaguardia del territorio e dell’ambiente!

Mi riferisco a due norme in particolare:

la Legge Regionale 36 del 10 agosto 2012, pubblicata sul BUR il 17.08.2012, e la Legge Regionale 34 sempre del 10 agosto e sempre compresa nel medesimo BUR.

Ma andiamo con ordine.

Con la Legge Regionale 34, si mette mano al vetusto e sopravvissuto articolo 76 della L.R. 61/1985 (Legge oggetto – almeno da parte mia - di sentiti rimpianti), nella parte in cui si classificano gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo.

La modifica – non di poco conto – prevede che siano considerati alla stregua di manutenzione straordinaria anche la trasformazione di una singola unità immobiliare in più unità e – viceversa – anche l’aggregazione di più unità immobiliari.

Però c’è una limitazione: non tutti gli interventi siffatti sono ammissibili, ma solo a condizione che non si intervenga sulle parti comuni, e che non avvenga un cambio d’uso  (ci mancherebbe altro!).

 Ma allora, quello che fin’ora era soggetto a Permesso di Costruire, d’un botto passa quale attività libera, senza che si adombri nemmeno la possibilità di farlo rientrare in altro titolo edilizio.

 La questione non è di poco conto, specificatamente in relazione a Norme di livello superiore ed in fatto di materia concorrente fra Stato e Regioni, dato che – modestamente – rilevo nella norma un palese ed evidente contrasto con quanto prescritto dall’articolo 10, comma 1°, lettera c) del D.P.R. 380/2001, quando indica esplicitamente il subordino al Permesso di Costruire per gli “….interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo del tutto o in parte diverso dal precedente, e che comportino aumento delle unità immobiliari…. “!!

 E’ pur vero che il comma 2° del medesimo articolo sancisce la potestà – in capo alle Regioni – di dettare norme che indichino quali siano i “…… mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o loro parti, subordinate a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività …..”, ma ho sempre inteso che tale facoltà regionale fossa rivolta a dirimere l’annosa questione del cambio di destinazione d’uso con o senza opere, dato che si parla specificatamente di “uso di immobili”.

 Sono ancora convinto che tale facoltà non legittimi l’azione normativa ora intrapresa dalla Regione Veneto (scimmiottando pari norma adottata dalla Regione Lombardia).

 Veniamo ora alla seconda norma edilizia adottata: una piccola chicca.

La Legge regionale 36 modifica gli articoli 2 e 9 della Legge Regionale 14/2009 (Piano Casa), spostando dall’articolo 9 l’indicazione della possibilità – per gli edifici ad uso prima abitazione in zona agricola – di calcolare l’ampliamento sulla volumetria massima assentibile (i famosi mc. 800), ed inserendo tale indicazione all’articolo 2, come “comma 4bis”, ma con una piccola e sostanziosa aggiunta:

per i soli edifici composti da due unità immobiliari, anche se sovrapposte, la volumetria massima assentibile (cioè sempre i famosi mc. 800) è riferita a ciascuna unità immobiliare e non all’intero edificio.

Mi sorge un dubbio:  ma non avevamo sempre respinto – fin dalla gloriosa Legge Regionale 24/12985 - l’ipotesi che l’ampliamento fino a mc. 800 potesse essere riferito alle singole unità immobiliari, in modo tale da evitare artificiose gemmazioni dell’edificato?

 Ed ancora, mi auguro che per “unità immobiliare” si intenda quella destinazione residenziale (ma perché non l’hanno scritto?), dato che – come è ampiamente noto – anche l’autorimessa è una unità immobiliare:  lasciare laschi interpretativi in pasto a professionisti dotati di fervida immaginazione, è molto pericoloso nel campo edilizio.

 Ma vorrei fare un piccolo esempio pratico di applicazione di questa nuova norma, che – a mio avviso – rende l’idea comprensibile molto di più di tanti commenti:

Ipotizziamo di operare a Cortina (da un lato perchè origine della vicenda giuridica relativa alla volumetria massima ammissibile relativamente al Piano Casa, e dall’altro perche luogo da sempre oggetto di lucruosi interventi edilizi).

La preesistenza è costituita da un piccolo edificio isolato, su due piani, con due identiche abitazioni (al piano terra ed al piano primo), ognuna della superficie lorda di mq. 70,00 e del volume lordo di mc. 210,00.

 Prima della venuta della nuova norma, la Legge Regionale 14/2009 Piano Casa  permetteva per tale immobile – se prima abitazione – un ampliamento complessivo (riferito all’edificio e non alle unità immobiliari) tale da portare l’immobile a totali mc. 960,00 (cioè attuali mc. 420,00, ammissibili mc. 800,00, ampliamento del 20% su mc. 800,00 = mc. 160), corrispondenti a circa nr. 4 unità immobiliari da mq. 70:  in sostanza dalle due unità originarie era possibile operare un raddoppio di altre due unità delle medesime caratteristiche (rispondente ad una logica di dare alloggio ai figli dello stesso nucleo familiare).

 Ben diversa è la questione se l’intervento viene previsto con la normativa attuale:

l’ampliamento, compreso l’esistente, pari a mc. 960,00 (cioè gli 800,00 mc. ammissibili più il 20%) riguarda ogni singola unità e non più il complesso dell’edificio, per cui è possibile realizzare un intervento che porti ad un volume complessivo pari a mc. 1.920,00: siamo quindi passati, in un sol colpo, da un edificio composto da nr. 2 unità residenziali di mq. 70,00, ad un edificio composto da nr. 9 unità immobiliari di mq. 70,00, e tutto questo in zona agricola!!...... nel nostro esempio a Cortina ……… direi un intervento alquanto appetibile commercialmente, certamente non volto a risolvere esigenze residenziali di familiari.

 Ma oltre a tale aspetto, volevo sottolineare la peculiarità specifica della norma: si applica solo ed esclusivamente ad immobili composti da due unità immobiliari;  ed il cittadino che nel proprio edificio di unità ne ha 3, magari piccole, ed ha effettivamente esigenze residenziali familiari? Sembrerebbe non poter partecipare a tale agevolazione edificatoria……. a meno che non applichi preventivamente la nuova norma di cui alla L.R. 34/2012, per cui – mediante intervento di edilizia libera – riunisce due unità immobiliari in una singola e così – avendo portato l’edificio da tre a due unità immobiliari – rientra nei nuovi criteri.

 Ad ognuno le proprie considerazioni, ma resta di fatto la constatazione che produrre normative urbanistiche di dettaglio e specifiche, seppur originate da buoni intenti, ma prive di un’ossatura di ampio respiro e di una inquadratura generale, non aiuta ad uno sviluppo urbanistico coordinato, né garantisce principi di equità e trasparenza dell’azione amministrativa di tutela e gestione del territorio.

dott. Salvatore Abbate

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