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L’armonizzazione contabile degli enti locali: corso a Arzignano 16 e 23 ottobre 2014

29 Set 2014
29 Settembre 2014

La città di Arzignano ha organizzato un corso sulla armonizzazione contabile degli enti locali.

Il corso, strutturato in due giornate, affronta il tema della riforma dell'ordinamento contabile degli Enti locali e dei propri organismi, attuata dal d. Lgs. n.118/2011, relativo alla armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio. Tale riforma ha pervaso i principi teorici e le norme tecniche e pratiche per la tenuta della contabilità, incentrandosi su alcuni aspetti in particolare: una più ampia e approfondita definizione dei principi contabili generali e applicati; una nuova classificazione delle entrate e delle spese di bilancio; comuni schemi di bilancio preventivo, di rendiconto e di bilancio di esercizio; la redazione in termini di competenza e di cassa del bilancio di previsione; una interpretazione "potenziata" della competenza finanziaria; la tenuta obbligatoria di un sistema contabile economico-patrimoniale a fianco di quello finanziario; la redazione obbligatoria di un bilancio consolidato del gruppo dell'ente territoriale; l'introduzione del metodo della sperimentazione prima della pubblicazione delle norme definitive. Gli elementi della riforma sono trattati dalla dott.ssa Paola Lorenzini, dirigente servizi amministrativi e finanziari del Comune di Brescia e dalla dott.ssa Simona Cavasin, nelle giornate di giovedì 16 e giovedì 23 ottobre 2014, dalle ore 9 (registrazione dalle ore 8.45) alle ore 13 e dalle ore 14 alle ore 16, presso la sala conferenze di Acque del Chiampo, in via Ferraretta ad Arzignano.

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Lo spunto del sabato: Alice nel paese delle emergenze

27 Set 2014
27 Settembre 2014

Un tempo Alice viveva nel paese delle meraviglie.

Era un paese stupendo, con montagne rosate, cime innevate e ghiacciai, colline, pianure, fiumi maestosi, laghi incastonati nei colli come pietre preziose, alberi secolari, chiese antiche, resti archeologici di passate civiltà gloriose, persone di bellissimo aspetto, alcuni con gli occhi azzurri come il cielo della primavera e i capelli biondi del popoli del nord, altri con i capelli e gli occhi neri come l'ebano, con il loro sapore mediorentale, persone che parlavano lingue diverse e si capivano tra di loro meglio con i movimenti delle mani e del capo che con le parole che uscivano dalla bocca sorridente e sensuale.

Erano persone capaci di amare con ardore la loro famiglia, la bellezza del  mondo, l'arte e la poesia, di lavorare con passione creativa, di mostrarsi generosi e solidali con le persone in difficoltà, con lo sguardo rispettoso verso il Mistero della vita, che sta in alto.

Non era, peraltro, un mondo  irreale, senza problemi: come in tutti i consorzi umani di ogni tempo e di tutte le parti del mondo, c'erano anche le situazioni gravose e difficoltose:  la droga e le tossicodipendenze,  l'inquinamento, gli abusi edilizi,  la mafia e la criminalità organizzata,  il terrorismo politico,  l'evasione fiscale e  la corruzione dei pubblici dipendenti.

L'unico modo saggio e intelligente con cui una società civile può affrontare i propri problemi consiste in uno scatto etico, nell'elevare in modo paziente la coscienza e la cultura del popolo, affinchè i problemi vengano ridotti a essere eccezioni e non la condizione normale e diffusa della vita sociale.

L'essere umano non è perfetto e non lo diventerà mai, a dispetto di ogni ideologia politica, filosofica o religiosa.

Nel paese delle meraviglie, però, accade un giorno che qualcuno decise che i problemi ordinari di ogni consorzio  umano non dovessero più chiamarsi "problemi ordinari", ma "emergenze". 

E i giornali e le televisioni inculcarono nella teste delle persone che il paese delle meraviglie fosse in gravissimo pericolo, perchè in preda alle emergenze.

Allora una classe di uomini che si autodefinirono "puri", chiamati i "padroni della legalità" per via della loro salvifica ideologia messianica, si autoassunsero il compito di salvare il popolo e il paese delle meraviglie,  combattendo contro le emergenze, con metodi violenti e repressivi, senza controllo alcuno.

Così il paese delle meraviglie cambiò nome e divenne il paese delle emergenze, oscillante tra l'Inquisizione e l'Alto Medioevo, privo di argini e di tutele reali ed effettive.

E le emergenze non finivano mai: quando una passava un po' di moda, ne spuntava un'altra e i padroni della legalità erano sempre indaffaratissimi a salvare il paese e il popolo e a rilasciare interviste ai giornali e alle televisioni, per incensare la propria missione salvifica.

E un clima cupo paralizzava il popolo, che non riusciva più a capire cosa stesse accadendo e a reagire.

E fu così che il popolo, per quella strana forma di gratitudine che le vittime riconoscono ai loro torturatori, fu ben felice di attribuire agli uomini puri poteri immensi e privi di qualsiasi controllo democratico, stipendi altissimi, pensioni dorate,  i primi posti nei banchetti e a teatro, gli onori dei giornali e delle televisioni e la dedica delle vie cittadine.

Intanto la conferenza episcopale quasi ogni giorno ricordava che per salvare il mondo bisognava opporsi alle coppie di fatto e ai matrimoni omosessuali: evidentemente a ognuno toccano le emergenze che si merita.

Dedicato a chi vive ancora nel paese delle meraviglie.

Dario Meneguzzo 

I soggetti che segnalano un abuso edilizio al comune non sono controinteressati

26 Set 2014
26 Settembre 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4790 del 2014.

Si legge nella sentenza: "irrilevante, in primo luogo, risulta la prospettata tardività della notifica del ricorso di primo grado a detti appellanti incidentali, non avendo questi ultimi la posizione di controinteressati in senso giuridico formale in rapporto agli atti, impugnati dal signor Montone. Detti appellanti incidentali infatti, in quanto proprietari di un immobile limitrofo a quello di cui si discute, sono titolari di un interesse protetto alla regolare edificazione sul fondo vicino, con possibilità di sollecitare interventi repressivi dell’Amministrazione e di impugnare titoli abilitativi rilasciati con riferimento a quest’ultimo, se ritenuti illegittimi; l’Amministrazione, tuttavia, è tenuta ad adottare i provvedimenti ritenuti necessari nei confronti del solo proprietario dell’area, direttamente interessata dall’intervento edilizio ritenuto irregolare, senza che l’atto rechi alcuna indicazione riguardo ai soggetti, che abbiano eventualmente sollecitato le iniziative comunali e senza pertanto che tali soggetti possano ritenersi controinteressati, se non in via di mero fatto, con conseguente ininfluenza dell’eventuale notifica del ricorso agli stessi (notifica da ritenersi effettuata, nel caso di specie, per mero tuziorismo). A maggior ragione tale posizione di controinteresse non può essere invocata per l’ordine di cessazione dell’attività, in rapporto al quale viene meno anche il criterio della vicinitas e a cui i signori Sodano e Di Giorgio possono ritenersi interessati solo in via indiretta, ovvero con esclusivo riferimento ad una destinazione d’uso dell’edificio di cui trattasi, conforme a quella prevista dalla vigente disciplina urbanistica. L’art. 41, comma 2 del Codice del processo amministrativo (approvato con d.lgs. n. 104 del 2010) è del resto chiaro nell’indicare quale “controinteressato” alla conservazione dell’atto il soggetto “che sia individuato nell’atto stesso”.

Dario Meneguzzo - avvocato

Quando le comunicazioni inviate a mezzo Posta elettronica certificata producono gli effetti previsti dal DPR 68/05

25 Set 2014
25 Settembre 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 1248 del 2014.

Le comunicazioni inviate a mezzo posta elettronica certificata producono gli effetti previsti dal DPR 68/05 se si utilizza l'indirizzo PEC risultante dal portale INI PEC e dalla visura camerale della Ditta e il recapito risulti dai rapporti di trasmissione e accettazione.

sentenza TAR Veneto 1248 del 2014

Anche il Consiglio di Stato qualche volta censura il difetto di motivazione dei dinieghi della Soprintendenza

25 Set 2014
25 Settembre 2014

La Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Provincia di Lecce ha espresso parere negativo in merito a una istanza di rilascio di permesso di costruire per la realizzazione in una zona vincolata di un  fabbricato per civile abitazione articolato in piano terra e primo piano e il comune la ha conseguentemente respinta. 

La Soprintendenza ha motivato il proprio diniego sulla base della seguente motivazione: “l’intervento, se realizzato, a causa delle linee architettoniche adottate e per la sopraelevazione proposta, per la caratterizzazione dell’area, dove le costruzioni esistenti sono di semplice fattura ed ad un unico livello, di fatto costituirebbe una alterazione agli stati cognitivi dello stato dei luoghi”.

Il TAR Puglia - Lecce ha accolto per difetto di motivazione il ricorso contro tale diniego con la sentenza n. 170 del 2014, sentenza che è stata confermata dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4778 del 2014.

Si legge nella sentenza: "8. Si tratta, come appare evidente, di una motivazione quasi tautologica, la quale, anziché evidenziare nello specifico i profili di pregiudizio che la realizzazione dell’intervento proposto arrecherebbe al bene paesaggistico tutelato, si limita, in maniera del tutto generica, a rilevare che le caratteristiche dell’intervento oggetto dell’istanza (ambiguamente richiamate con il riferimento alle “linee architettonicheadottate” e alla “sopraelevazione proposta”) lederebbero l’interesse tutelato, determinando, in particolare, una non meglio precisata “alterazione agli stati cognitivi dello stato dei luoghi”. Dalla citata motivazione non è dato comprendere né quali siano in concreto gli aspetti dell’opera proposta la cui realizzazione contrasterebbe con il vincolo paesistico (in altri termini, non è dato comprendere in che senso e in che modo le linee architettoniche adottate e la sopraelevazione proposta arrecherebbero tale pregiudizio), né, tantomeno, la reale consistenza del paventato pregiudizio al bene paesaggio, essendo tutt’altro che perspicuo l’ambiguo riferimento alla “alterazione agli stati cognitivi dello stato dei luoghi”. Le suddette carenze motivazionali sono nel caso di specie aggravate dal fatto che, come evidenzia la sentenza appellata, l’intervento proposto è destinato a collocarsi in un’area (tipizzata dal PRG quale “zona BT turistico-residenziali edificate e di completamento”) nella quale è, peraltro, consentita la realizzazione di fabbricati articolati in piano terra e primo piano e che, nella stessa zona, risultano già presenti diversi fabbricati con sviluppo del primo piano. A ciò deve aggiungersi che, nella specie, il fabbricato proposto presenta un primo piano arretrato rispetto alla quinta stradale e, per la sua dimensione, poco visibile dalla strada".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4778 del 2014

Contributo di costruzione e monetizzazione della dotazione di servizi per cambio di destinazione d’uso senza opere da industria a terziario

25 Set 2014
25 Settembre 2014

La questione decisa dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4757 del 2014 riguarda la sede del Corriere della Sera, in via Solferino a Milano.

Si consiglia la lettura integrale della sentenza, vista l'articolata motivazione.

sentenza CDS 4757 del 2014

 

Nuova emergenza per i Comuni: l’assalto dei cartelli pubblicitari

24 Set 2014
24 Settembre 2014

In queste settimane molti Comuni del Vicentino (e non solo) si trovano a dover rispondere a centinaia di richieste finalizzate ad ottenere l’installazione di cartelloni pubblicitari all’interno del perimetro comunale. Si segnala che, nella maggioranza dei casi, queste richieste provengono da un’unica ditta avente sede legale a Torino.

I Comuni, già oberati dalle normali attività dell’ente, si trovano così costretti a perdere una notevole quantità di tempo/energie e risorse per istruire e studiare della pratiche che, quasi sempre, devono essere rigettate per mancanza della documentazione necessaria.

Alla luce di ciò si segnale che alcuni Comuni hanno proposto e/o hanno intenzione di proporre un esposto alla Procura competente al fine di accertare la possibile esistenza di profili di illiceità penale nella condotta tenuta da questa ditta, che paralizza il lavoro degli uffici.

Chiarito ciò, per quanto riguarda il rispetto dei termini procedimentali si ricorda che, nonostante l’ordinario termine di conclusione del procedimento amministrativo previsto dalla L. n. 241/1990 (trenta giorni), nel caso di specie sembra applicarsi la disciplina “speciale” dettata dall’art. 53, c. 5 del D.P.R. n. 495/1992 (Regolamento Attuativo del Codice della Strada) secondo cui: “L'ufficio competente entro i sessanta giorni successivi, concede o nega l'autorizzazione. In caso di diniego, questo deve essere motivato”. Tale termine, talaltro, non sembra aver carattere perentorio: “Il Collegio ritiene, infatti, di non doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine per la definizione delle domande di installazione di cartelli pubblicitari, previsto dall’art. 53, comma 5, del d.p.r. n. 495/1992 non riveste carattere perentorio, non risultando espressamente qualificato dalla norma come tale, e secondo cui il decorso del termine medesimo non comporta il formarsi del silenzio assenso sulle predette domande (cfr. Cass. civ., sez. II, 27 novembre 2006, n. 25165; 1° marzo 2007, n. 4869; 10 giugno 2010, n. 13985; TAR Umbria, Perugia, 3 febbraio 2010, n. 50). A quest’ultimo riguardo, occorre, in particolare, rimarcare che l'istituto del silenzio assenso, contemplato dall’art. 20 della l. n. 241/1990 come regola generale nei procedimenti ad istanza di parte per l’adozione di provvedimenti amministrativi, non ha portata illimitata, ma include deroghe per atti e procedimenti indicati dal comma 4 dello stesso articolo, tra i quali figurano specificamente quelli inerenti alla pubblica sicurezza e all'incolumità pubblica.

Ebbene, a tale ambito derogatorio è senz’altro annoverabile il procedimento controverso, tenuto conto che l’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992 espressamente stabilisce, per ragioni attinenti alla sicurezza della circolazione, che i cartelli pubblicitari, in ogni caso, non possono essere apposti lungo le strade senza la dovuta autorizzazione” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII; 18.06.2014, n. 3414).

Discussa invece è la possibilità, per l’ente, di prevedere dei termini maggiori.

Per quanto riguarda il silenzio-assenso, invece, lo stesso si ritiene non applicabile atteso che: “Infatti, secondo la più recente e prevalente giurisprudenza :

- l'installazione di impianti pubblicitari è indubbiamente soggetta ad un provvedimento autorizzatorio da parte del Comune (articolo 3, comma 3, del d.lgs. 507/1993 e articolo 23, comma 4, del d.lgs. 285/1992) e le richieste di autorizzazione alla collocazione di impianti e manufatti da utilizzare per l'affissione diretta di manifesti commerciali ed i conseguenti atti di diniego adottati dall'Amministrazione attengono all'esercizio di un potere (il duplice potere previsto dalle norme predette) ben diverso da quello inerente l'affissione diretta in spazi di propria pertinenza, ai sensi dell'articolo 28, quarto comma, del d.P.R. 639/1972; ne consegue che, poiché solo per il consenso di cui all'articolo 28, quarto comma, del d.P.R. 639/1972 si rende configurabile il silenzio-assenso previsto dall'articolo 20 della legge 241/1990, tale istituto non è applicabile ai procedimenti in esame, relativi alla installazione di cartelli pubblicitari e non all'affissione diretta di materiale pubblicitario sui cartelli medesimi (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, III, 17 aprile 2002, n. 1490 e 16 dicembre 2004, n. 6479; T.A.R. Piemonte, I, 14 novembre 2005, n. 3523; v. anche T.A.R. Sardegna, 23 gennaio 2002, n. 56 e T.A.R. Lombardia, Milano, III, 24 ottobre 2005, n. 3891);

- in ogni caso, ai sensi del citato articolo 3 del d.lgs. 507/1993, il Comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità, con il quale deve disciplinare "le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse" (comma 2) e "in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione ..." (comma 3) e anche i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti. L'installazione di impianti pubblicitari, pertanto, è attività "contingentata"” (T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 03.02.2010, n. 50) ed ancora: “Passando all'esame della seconda censura il Collegio ritiene di doversi discostare dalla precedente giurisprudenza anche di questo TAR che si è pronunciata per la applicabilità della normativa ex art. 14 comma 4 septies del d.l. 318 del 1986 convertito nella legge 488 del 1986, secondo la quale si poteva ritenere che sulla domanda della ricorrente si fosse ormai formato il silenzio assenso, poiché la stessa giurisprudenza non ha comunque mai affrontato il problema della sopravvenuta normativa di riforma del codice della strada.

È infatti da ritenersi che dopo l'entrata in vigore della nuova normativa e, in particolare del D.P.R. 495/92 che, all'art. 53, comma 5^ prevede il termine di 60 giorni per la concessione delle autorizzazioni in parola e quindi regolamenta in maniera completa ed esaustiva la fattispecie dei cartelli pubblicitari senza contemplare il silenzio assenso, non possa più applicarsi la precedente normativa ex art. 14 comma 4 septies l. 488/1986 che, in quanto contenuta in un corpo normativo diretto a dettare disposizioni relative alla finanza locale, ha carattere dichiaratamente fiscale e non può ritenersi norma speciale destinata a prevalere sulla totale rivisitazione della fattispecie riguardante le modalità per la collocazione dei mezzi di pubblicità in ambito stradale ai fini della sicurezza stradale. Infatti il D.Lv. 30 aprile 1992 n. 285 "Nuovo codice della Strada" all'art. 23 disciplina compiutamente la materia e, se è vero che, come ricorda parte ricorrente, al comma 5^ viene fatta salva la autorizzazione alla collocazione dei mezzi pubblicitari sulle sedi ferroviarie da parte dell'Ente Ferrovie, pur sempre "previo nulla osta dell'ente proprietario della strada", è anche vero che il successivo comma sesto stabilisce che "Il regolamento stabilisce le norme per le dimensioni, le caratteristiche, l'ubicazione dei mezzi pubblicitari lungo le strade...." Il nuovo codice della strada, in altre parole, ha chiaramente rivisitato ex novo l'intera materia per quanto attiene all'impatto della pubblicità sulla sicurezza stradale ed è evidente che quanto delle precedenti norme non collimi con la nuova normativa e con la normativa regolamentare da questa espressamente prevista deve intendersi tacitamente abrogato, tanto più che il successivo nono comma addirittura prevede che "Per l'adattamento alle presenti norme delle forme di pubblicità attuate all'atto dell'entrata in vigore del presente codice provvede il regolamento di esecuzione" .

È quindi evidente che, non contemplando il nuovo codice né il suo regolamento, alcuna forma di silenzio tacito per il rilascio delle varie forme di autorizzazioni e/o nulla osta previste in siffatta materia da parte degli enti proprietari delle strade - e quindi da parte dei soggetti tenuti a verificare il rispetto delle norme codicistiche relative alla sicurezza stradale - non può più ritenersi in vigore la previsione al riguardo dettata dall'art.14 comma 4-septies della l. 488/86” (T.A.R. Friuli Venezia-Giulia, Trieste, 13.03.2001, n. 136).

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Campania n. 3414 del 2014

TAR Umbria n. 50 del 2010

TAR Friuli Venezia-Giulia n. 136 2001

La vicinitas è sufficiente a radicare la legittimazione del confinante a impugnare il titolo edilizio

24 Set 2014
24 Settembre 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4764 del 2014 è significativa perchè segna un ritorno all'antico in materia di legittimazione del confinante a impugnare il titolo edilizio del vicino. In questo sito abbiamo più volte pubblicato le sentenze del TAR che affermavano che per essere legittimati a impugnare il titolo edilizio del vicino non bastava la "vicinitas", ma occorreva uno specifico interesse.

Il Consiglio di Stato, invece, afferma che basta la vicinitas: "Se, in linea generale, l’interesse a ricorrere nel processo amministrativo è caratterizzato dagli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui al citato art. 100 c.p.c., in materia edilizia la giurisprudenza più recente (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013 n. 361; Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 settembre 2012 n. 4926; Consiglio di Stato, sez. IV, 29 agosto 2012 n. 4643; Consiglio di Stato, sez. IV, 10 luglio 2012 n. 4088; C.G.A. della Regione Siciliana Sent. 4 giugno 2013 n. 553) ha da tempo specificato che:

-- la c.d. “vicinitas”, cioè la una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, è sufficiente a radicare la legittimazione del confinante;
-- non è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che
propone l'impugnazione in quanto la realizzazione di interventi che comportano un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio che è pregiudizievole “in re ipsa” in quanto consegue necessariamente dalla maggiore tropizzazione (traffico, rumore), dalla  minore qualità panoramica, ambientale, paesaggistica; e dalla possibile diminuzione di valore dell’immobile;

-- ciò esime, di norma, il Giudice da qualsiasi necessità di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o non un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione. Nella fattispecie in esame, se deve peraltro prescindersi dalla dedotta ubicazione, frontista o limitrofa che sia, del terreno di proprietà degli uni e dell’altro, dagli atti versati risulta peraltro evidente il collegamento sussistente fra la proprietà degli odierni appellati e le opere contestate dagli stessi, ed il nocumento collegabile alla riduzione del cono visivo causata dall’edificazione del fabbricato di proprietà dell’appellante. Non vi sono quindi dubbi sull’interesse a ricorrere degli odierni appellati".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4764 del 2014

L’impugnazione del PRG non si estende in automatico al P.I. che ne recepisce i contenuti

24 Set 2014
24 Settembre 2014

Ringraziando l'arch. Emanuela Volta per la segnalazione, pubblichiamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 2569 del 2014.

A proposito della questione indicata nel titolo, nella sentenza si legge che: "3.1. Il primo nodo da sciogliere attiene alla statuizione con il quale il Giudice di prime cure ha dichiarato improcedibile la domanda di annullamento della variante 305, in ragione della sopravvenuta approvazione del Piano degli interventi che ne ha recepito i contenuti, escludendo, in assenza dell’impugnazione di quest’ultimo atto, un’efficacia caducante automatica. Il principio è corretto in diritto. Il Piano degli Interventi è un atto di pianificazione che ha recepito (tra l’altro) i contenuti della precedenti varianti, confermandone la validità e l’attualità, in forza di un rinnovato esercizio del potere pianificatorio. E’ da escludersi pertanto un legame di presupposizione tale da giustificare un effetto caducante automatico.

3.2. Nel caso di specie, gli appellanti precisano che alcuni dell’originario gruppo hanno esteso l’impugnazione anche al Piano degli Interventi. La circostanza non è contestata, per cui è evidente che la statuizione di improcedibilità deve ritenersi limitata esclusivamente a coloro che non hanno impugnato il Piano predetto.

4.1 Ulteriore e più complessa questione è quella dell’efficacia viziante, sul Piano degli Interventi, dell’eventuali illegittimità procedimentali che hanno caratterizzato la variante recepita. Il Giudice di prime cure ha dichiarato “improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, anche le censure svolte nei confronti della specifica procedura di adozione della variante in esso recepita, poiché attinenti alla fonte di essa, allo stato non più rilevante in quanto totalmente sostituita dall’esercizio del nuovo potere pianificatorio”. Gli appellanti in proposito sostengono che il PI si sarebbe limitato a recepire acriticamente la variante 305 senza compiere apposita istruttoria e senza fornire indicazioni (ad es. sui vincoli preordinati all’esproprio) che non fossero meramente evincibili dalla variante recepita, in guisa che, se quest’ultima non è stata approvata in osservanza delle norme procedimentali, non potrebbe essere validamente incorporata dal PI: l’invalidità dell’atto recepito determinerebbe in parte qua quello dell’atto incorporante. L’argomentazione non può essere condivisa.

4.2. E’ certo che il PI abbia recepito i contenuti della variante 305. Il PI tuttavia non è frutto composito della pregresse varianti, ma autonoma pianificazione, libera (ovviamente nei limiti della discrezionalità) di confermare o modificare scelte compiute in precedenza. Anche ove l’opzione sia stata quella di confermare, ciò non toglie che essa sia manifestazione di discrezionalità, atteso che sebbene si tratti sempre del medesimo potere pianificatorio, il decorso del tempo e la sua riedizione, ne fanno, di per sé soli, un diverso episodio governato da proprie regole procedimentali. Non v’è pertanto ragione di vagliare il rispetto delle regole di una pianificazione riconducibile all’episodio precedente, proprio perché i contenuti sono stati confermati dalla successiva pianificazione.

5. La sentenza non merita riforma nemmeno laddove afferma, sia pur incidenter tantum, che i vincoli preordinati all’esproprio promanano in via originaria dal PI. La circostanza che il PI abbia confermato la variante 305, recependola, non significa tuttavia, come sostenuto dagli appellanti, che sia stata artificiosamente prolungata la durata massima dei vincoli, comunque fissata in cinque anni dall’art. 9 del dPR 327/2001, salva motivata reiterazione a seguito della decadenza.  Questo spiega anche il perché il PI non ha riportato l’analitico elenco delle aree interessate dai vincoli, limitandosi a richiamare quello di cui alla variante previgente".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CdS n. 2569 del 2014

La VIA non deve essere già acquisita ai fini dell’approvazione del progetto “preliminare”

24 Set 2014
24 Settembre 2014

Lo precisa il Consiglio di Stato nella sentenza n. 2569 del 2014.

Si legge nella sentenza: "7.1 Anche le censure riguardanti la VIA sono infondate. Secondo gli appellanti, la VIA avrebbe dovuto essere già acquisita ai fini dell’approvazione del progetto “preliminare”. Invero gli stessi riconoscono che la disciplina normativa non lascia dubbi in ordine al modus procedendi, e tuttavia sostengono che l’art. 23 comma 1 del dlgs 152/2006, e l’art. 93 comma 4 del dlgs 163/2006, che riferiscono la VIA e lo studio di impatto ambientale, al progetto “definitivo”, sarebbero costituzionalmente illegittimi per violazione degli artt. 3, 9 e 97 cost.  In particolare, lo stadio avanzato della progettazione non lascerebbe spazio alla cd opzione zero, ed in ogni caso quest’ultima determinerebbe uno spreco di attività e denaro, oltre che l’ingiustificata apposizioni di vincoli preordinati all’esproprio.

7.2. Il Collegio è di diverso avviso. La progettazione preliminare, soprattutto quando provenga da privati, è attività destinata ad essere superata dagli ulteriori sviluppi legati al confronto con l’amministrazione. E’ solo con il progetto definitivo che l’opera è compiutamente rappresentata e sono individuate le caratteristiche dei materiali prescelti e dell'inserimento delle opere sul territorio. Non v’è dunque irragionevolezza nella scelta compiuta dal legislatore. Né v’è compromissione dell’ambiente, atteso che il preliminare non autorizza alcuna modifica del territorio, nelle more dello studio ambientale e dell’approvazione del definitivo.

7.3. Quanto all’asserita violazione del principio di uguaglianza nella disciplina della fattispecie similare costituita dalla progettazione preliminare delle opere cd “strategiche” e per gli insediamenti produttivi, è agevole osservare che, in via generale e per tutte le fattispecie, il legislatore ha legato l’acquisizione della VIA, da un lato, al grado di precisazione e dettaglio dei lavori da eseguire (in modo che non rimangano aspetti e profili che possano sfuggirvi), e dall’altro, alla ragionevole probabilità che la progettazione definitiva introduca sensibili modifiche a quella preliminare. Tanto premesso sui criteri generali, la diversità delle opzioni normative che caratterizzano le opere strategiche è giustificata dalle peculiarità contestualmente introdotte in punto di progettazione preliminare: innanzitutto, dalla citata disciplina emerge che la fase preliminare dell’attività progettuale di dette opere è caratterizzata da maggior approfondimento e dettaglio (art. 165 comma 3 dlgs 163/2006); poi la stessa disciplina prevede che per le eventuali modifiche apportate  dalla progettazione definitiva, la VIA debba essere comunque acquisita in sede di definitivo. Nelle procedure “ordinarie” il legislatore, ha per contro ritenuto che le modifiche al preliminare siano circostanza fisiologica e così statisticamente probabile da ritenere opportuno il raggiungimento di uno stadio progettuale definitivo prima di valutare l’impatto ambientale. Quanto detto vale ancor per di più per il project financing in cui la progettazione preliminare è redatta dal privato promotore.

7.4. In tal senso non possono considerarsi fattori ostativi, né il possibile spreco di risorse economiche, né l’imposizione di vincoli espropriativi che derivano dalle previsioni di recepimento in sede urbanistica della progettazione preliminare. Il primo è un ordinario fattore di rischio, comunque mitigato dalle considerazioni preliminari di carattere ambientale che il soggetto proponente deve fare sin dall’esordio della progettazione, il secondo è invece strumento di garanzia che consente ai privati interessati dal vincolo, di partecipare attivamente al procedimento di approvazione del definitivo, fornendo eventuali suggerimenti localizzativi. In ogni caso, la legge individua una durata massima del vincolo, sicchè dal punto di vista dei proprietari non v’è ragione di duolersi che esso trovi il suo dies a quo nella progettazione preliminare (rectius negli atti urbanistici che la recepiscono) piuttosto che in quelle definitiva".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CdS n. 2569 del 2014

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