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A che cosa e quando servono la VAS e la VIA

24 Set 2014
24 Settembre 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 2569 del 2014 contiene anche una interessante disamina della VAS e della VIA e dei rapporti tra le due figure.

Si legge nella sentenza: "Può dunque passarsi all’esame delle censure sulla mancata VAS e VIA, questioni controverse che, attenendo ai contenuti della variante recepita e non già alla procedura per la sua approvazione, continuano a conservare rilevanza.

6.1. Quanto alla VAS, gli appellanti ne stigmatizzando la mancata acquisizione, fondando essenzialmente le loro conclusioni sulla genericità ed incompletezza della previsione dell’opera viaria già oggetto di valutazione del rapporto ambientale in occasione dell’approvazione del PAT. La progettazione preliminare dell’opera, elaborata dal promotore, e poi recepita nella strumentazione urbanistica a mezzo di apposita variante (non già al PAT, ma al vecchio PRG che in forza della legge regionale assume, per le parti non incompatibili, la valenza di Piano degli Interventi, nelle more dell’approvazione di quest’ultimo) avrebbe precisato, modificato e integrato il percorso viario con l’aggiunta di opere accessorie (parcheggi, edifici) non contemplati dalle previsioni programmatorie, necessariamente generiche, del PAT.

6.2. Le argomentazioni a supporto della censura non convincono. Sul punto giova preliminarmente sintetizzare le linee portanti della disciplina generale dettata dallo Stato. La valutazione ambientale di piani e programmi (VAS), e la valutazione di progetti (VIA), hanno entrambe la finalità di assicurare che l'attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile (art. 4 comma 3 codice ambiente).
Più in particolare:
a) la valutazione ambientale di piani e programmi ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente, contribuendo all'integrazione delle  relative previsioni, con considerazioni specificatamente ambientali, che siano tali da guidare l’amministrazione nell’effettuazione nelle scelte discrezionali, tipiche, per l’appunto, dei piani e dei programmi, così consentendole di dare prioritaria considerazione gli interessi alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale, come del resto deve essere alla luce del principio di sviluppo sostenibile (in proposito, art. 3 quater, comma 2). Ne discende che nel rapporto ambientale (ossia l’atto che contiene i risultati dell’esame condotto dall’autorità procedente) debbono essere individuati, descritti e valutati gli impatti significativi che l'attuazione del piano o del programma proposto, potrebbe avere sull'ambiente e sul patrimonio culturale, nonche' le ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell'ambito territoriale del piano o del programma stesso (art. 13 c. 4).

b) la valutazione di singoli progetti avviene invece sulla base della progettazione preliminare ed ha l’obiettivo di verificare l’impatto sull’ambiente dell’opera progettata. Lo studio di impatto ambientale (ossia l’atto che contiene i risultati dell’esame condotto dal soggetto proponente) contiene una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal proponente, ivi compresa la cosiddetta opzione zero, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell'impatto ambientale. Il provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale, se favorevole, sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell'impianto.

6.3. Da questa prima ricognizione si ricava che la VAS concerne la pianificazione e la programmazione alle quali l’amministrazione è obbligata, ed è concomitante alla stessa così da favorire l’emersione e l’evidenziazione dell’interesse ambientale di modo che esso venga in via prioritaria considerato dall’amministrazione; la VIA concerne i singoli progetti ed è necessaria ai fini della verifica dell’entità  dell’impatto ambientale dell’opera proposta, in guisa da stimolare soluzioni mitigative da valutare secondo il principio dello sviluppo sostenibile, sino all’opzione “zero”, qualora l’impatto non sia evitabile neanche con l’adozione di cautele. L’interferenza fra i due strumenti valutativi è all’evidenza costituito dai progetti inseriti nei Piani operativi, poiché essi sono destinati ad essere valutati una prima volta nell’ambito del generale contesto pianificatorio, ed una seconda volta in fase preliminare alla realizzazione.

6.4. Il codice dell’ambiente, al fine di evitare duplicazioni, ridondanze o incoerenze ha cercato di coordinare le due valutazioni, ed in particolare ha previsto che: 
1) quando il progetto sia conforme alla localizzazione prevista dal Piano già oggetto di VAS, “nella redazione dello studio di impatto ambientale… possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale” così come, nella fase di valutazione dei progetti “debbono essere tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS” (art. 10). Ciò significa che il progetto non dovrebbe, in linea di massima, essere inibito in ragione della sua già vagliata localizzazione. Ha altresì previsto in relazione al più delicato caso del progetto dell’opera che importi variante localizzativa al Piano, che “ferma restando l'applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere” (art. 6 comma 12, introdotto dal D.Lgs. 29-6-2010 n. 128).
In sostanza, in quest’ultimo caso, il legislatore ha ritenuto che quando la modifica al Piano, derivante dal progetto, sia di carattere esclusivamente localizzativo, la VIA è sufficiente a garantire il principio di sviluppo sostenibile, non essendo necessaria una preliminare fase strategica che evidenzi altre opzioni localizzative. Logico corollario è che qualora la localizzazione proposta dovesse essere, secondo la VIA, pregiudizievole per l’ambiente nonostante ogni cautela, il progetto andrà incontro ad una mera inibizione. 

6.5. Si tratta di una soluzione normativa che, avendo principalmente ad oggetto il progetto (e non il Piano da variare), è caratterizzata da un approccio “non”  preventivo, ossia non finalizzato alla ricerca di opzioni localizzative alternative (com’è tipico dell’approccio concomitante e collaborativo della VAS), ma focalizzato esclusivamente alla valutazione dell’impatto ai fini di un’alternativa si/no. La soluzione è corretta e non confligge con il principio di massima tutela ambientale al quale è votata la VIA. Sacrifica piuttosto l’interesse allo sviluppo urbanistico ed economico nella misura in cui l’opera potrebbe prestarsi ad essere realizzata in luoghi diversi da quelli proposti, ma ciò è frutto di una scelta del legislatore che punta sulla centralità ed importanza di una corretta e preventiva pianificazione. Nel caso di specie, l’opera è stata oggetto di una progettazione preliminare eseguita dal promotore nell’ambito di una procedura di project financing, che ha indotto la modifica dello strumento urbanistico di secondo livello (PRG ), per adeguarlo al Piano sovraordinato che già tale opera pur in via indicativa prevedeva. Così facendo ha apportato modifiche localizzative e specificazioni realizzative che ferma restando la VIA giusto quanto sopra chiarito, non necessitano di VAS".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CdS n. 2569 del 2014

R.T.I. e requisiti generali

24 Set 2014
24 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1216 affronta alcune questioni relative applicazione dell’art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006 con precipuo riferimento al R.T.I..

Per quanto concerne il socio di maggioranza di società con meno di quattro soci, si legge che: “Al riguardo, è sufficiente rilevare che per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, l’obbligo dichiarativo posto dall’art. 38 a carico del socio di maggioranza di società con meno di quattro soci deve ritenersi circoscritto ai soli soci persone fisiche e non anche, come invece dedotto dalla stazione appaltante, al socio di maggioranza persona giuridica (ex multis, Cons. St., sez. V, 8.04.2014, n. 1648); sarebbe, infatti, “del tutto illogico limitare l’accertamento de quo alla sola persona fisica nel caso di socio unico ed estendere, invece, l’accertamento alle persone giuridiche nel caso di società con due o tre soci, ove il potere di maggioranza nella compagine sociale, è sicuramente minore rispetto a quello detenuto da socio unico” (cfr., in tal senso, T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 28.11.2013, n. 1598)”.

Con riferimento al giovane professionista integrato nel gruppo dei progettisti deputato alla progettazione delle opere, invece, si asserisce che: “Osserva, infatti, il Collegio, che l’obbligo di dimostrare il possesso dei requisiti di ordine generale di cui al citato art. 38 del Codice dei contratti pubblici, incombente sui soggetti concretamente incaricati delle attività di progettazione, ancorché non rivestenti, dal punto di vista formale, la qualifica di concorrente, trova la sua ratio nella necessità di assicurare che chiunque entri in contatto con la stazione appaltante sia affidabile dal punto di vista professionale e morale, specie nel caso in cui, come quello in esame, il giovane professionista sia anche progettista in quanto necessariamente coinvolto nella redazione del progetto ai sensi della richiamata disposizione regolamentare di cui all’art. 253, comma 5, del d.P.R. n. 207/2010”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1216 del 2014

Come incide il decorso del tempo sulla concessione di accesso alla pubblica via?

23 Set 2014
23 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1215 chiarisce che i provvedimenti in materia di diniego della concessione di accesso ad una pubblica via devono essere motivati in modo preciso e puntuale ove il decorso del tempo abbia ingenerato un legittimo affidamento in capo al privato: “Il ricorso è fondato.

Il diniego espresso da ANAS al rinnovo della concessione si è manifestato, in buona sostanza, nella convinzione della contrarietà del riferito accesso stradale all’art. 60 del regolamento per l’esecuzione del codice della strada che vieta che le pertinenze stradali possano essere ubicate in prossimità di intersezioni.

Ora, come sopra ricordato, la situazione fattuale oggetto di negativa valutazione da parte di Anas, si è protratta, senza soluzione di continuità, per oltre 43 anni.

Ebbene, non consta dagli atti che, durante il riferito periodo di utilizzo dei riferiti ingressi, ANAS abbia mai opposto alcuna obiezione circa la violazione normativa solo ora rilevata.

Tale evenienza, pertanto, ha inciso una radicata situazione soggettiva che, consolidata negli anni, ha indotto l’attuale sub concessionario a ritenere, in perfetta buona fede, del tutto legittimi gli accessi all’area alberghiera, così da impegnare, nell’impresa, ingenti risorse economiche, anche perché la stessa ANAS aveva consentito, nel 1969 e nel 1993, l’utilizzazione di tali ingressi a mezzo di concessione.

Allora, il mutato e oltremodo tardivo ripensamento svolto da ANAS circa la legittimità dei riferiti accessi, in disparte il sospetto per la reale finalità del provvedimento contestato, deve essere manifestata, necessariamente, in modo obiettivo e documentato, spiegando le ragioni per cui tali ingressi, immutati nella loro consistenza topografica e ritenuti conformi all’art. 60 cit., già allora vigente, sono stati, dopo quarantatre anni, considerati violativi, come detto, della prescrizione che vieta pertinenze in prossimità degli incroci e in che modo l’accesso attraverso la grande rotatoria di Mestre connota quest’ultima, solo ora, come intersezione.

Pertanto, la sintetica ed insufficiente esposizione motiva, in uno con la carenza istruttoria volta proprio a rappresentare, giustificare e confortare tale antitetico ed innovativo orientamento tecnico-giuridico da parte di ANAS, comporta il vizio del provvedimento impugnato ed il suo conseguente annullamento”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1215 del 2014

La funzione dei chiarimenti in sede di gara

23 Set 2014
23 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1218 si occupa della natura e della funzione dei chiarimenti che la stazione appaltante può fornire in sede di gara statuendo che: “E’ insegnamento giurisprudenziale consolidato che :” …i chiarimenti non potrebbero aggiungere e/o modificare le previsioni della lex specialis di gara, ma solo fornirne un'interpretazione, di modo che, se invece le modificassero, non potrebbero vincolare i concorrenti. D'altro canto, in caso di ambiguità nella formulazione della lex specialis, dovrebbe darsi prevalenza all'interpretazione che garantisce la più ampia partecipazione alla gara, secondo il principio di favor partecipationis.

Perciò i chiarimenti non potrebbero introdurre adempimenti più stringenti rispetto a quelli prescritti dalla lex specialis, ma potrebbero, tuttavia, assicurare un'interpretazione più favorevole del regime di accesso alla gara, sempre nella prospettiva del favor partecipationis…” ( Tar Lazio, sez. 1 ter, 21 luglio 2014, n. 7796)”.

Nella stessa sentenza il Collegio chiarisce, all’interno di un Raggruppamento Temporaneo d’Imprese (R.T.I.), i rapporti tra la mandante e la mandataria: “Le censure sollevate nel terzo e nel quarto motivo di ricorso, invero, ripetono i medesimi rilievi già sollevati, in sede giurisdizionale, dalla terza graduata nella gara di cui è causa.

Il conseguente ricorso, in cui è stata evocata anche l’attuale ricorrente, è stato definito con la sentenza breve di questo Tribunale n. 917/2013 che non è stata impugnata e, pertanto, risulta passata in giudicato.

Nel merito il giudice, nella citata sentenza breve, ha statuito :” la necessità che la mandataria debba “assumere” i requisiti in misura percentuale superiore alla mandante significa non già che la mandataria debba “possedere” i requisiti in misura preponderante rispetto alla mandante, ma soltanto che li “spenda” in misura maggioritaria rispetto a quest’ultima, con riferimento, ovviamente, anche alla quota di partecipazione al raggruppamento ed alla quota di esecuzione dell’appalto (cfr. CdS, V, 28.9.2012 n. 5120; 11.12.2007 n. 6363)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1218 del 2014

Il bando e l’aggiudicazione sono atti autonomi

23 Set 2014
23 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1205 conferma l’onere di impugnare, oltre il bando di gara, anche l’aggiudicazione, stante l’autonomia di questi due atti: “Ritiene il Collegio che i rilievi attinenti la legge di gara in grado di produrre derivate conseguenze caducanti anche nei confronti degli atti conseguenti riguardano e si esauriscono nelle sole evenienze escludenti del concorrente, proprio perché la originaria esclusione, se illegittima, comporta la necessità di riammissione del candidato alla gara, per cui se questa, per qualche motivo, si è già conclusa, lo stesso deve essere posto in grado di recuperare la situazione soggettiva illegittimamente sacrificata, salva, in ogni caso, l’opposizione di terzo.

Nel caso di specie, invece, i rilievi espressi dalla ricorrente hanno, se così si può dire, natura funzionale, senza che ciò abbia impedito alla stessa di partecipare alla competizione.

In tale evenienza, pertanto, la questione sollevata si inserisce nella nota tematica dei vizi dell’atto presupposto con effetti vizianti o caducanti.

Le pregresse oscillazioni giurisprudenziali al riguardo risultano ormai composte attraverso l’individuazione dell’effetto caducante dell’atto consequenziale nella sussistenza del rapporto di presupposizione consequenziale diretta, immediata e necessaria tra i due atti ( cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 23 ottobre 2007, n.5559 e sez. V 10 maggio 2010, n.2766).

Tale relazione non si rinviene tra il bando e la conseguente aggiudicazione proprio per le evidenti ragioni di autonomia di quest’ultimo.

Infatti, anche in tema di appalti, la giurisprudenza ha ribadito che l’impugnazione di atti lesivi contenuti nel bando non esclude l’onere di impugnare l’atto finale del procedimento proprio per la sua natura di atto autoritativo, i cui effetti possono essere eliminato soltanto con un contrario atto in autotutela ovvero con una sentenza ( cfr. Cons. di Stato, sez. V, 11 febbraio 2002, n. 785; Cons. Stato, sez.V, 4 maggio 2005 n. 2168).

La circostanza che l’atto finale sia affetto da invalidità derivata dai vizi dell’atto presupposto, non esclude, pertanto, che tale invalidità debba essere oggetto di autonoma impugnazione attraverso i rimedi tipici del processo impugnatorio, per cui, in mancanza, l’atto finale si consolida e non è più impugnabile (cfr Cons. st., sez.V, n. 2168 del 2005 cit.)

Conformemente all’indicato insegnamento, il Collegio ritiene che la mancata impugnazione dell’atto finale della procedura di gara non possa essere superata dalla sola contestazione del bando proprio perché, se il primo, in disparte l’autonoma natura autoritativa, costituisce, in tesi, espressione e derivazione delle previsioni del bando, lo stesso non assume un connotato di consequenzialità necessaria di quest’ultimo potendo, tra l’altro, la relativa procedura essere affetta da vizi autonomi ed ulteriori rispetto a quelli, asseritamente, propri della legge di gara, mentre i vizi del bando, come detto, assumono una mera funzione viziante del provvedimento finale.

Né assume giuridico significato la generica censura al riguardo proposta nel ricorso, la quale, all’evidenza, rappresenta una mera clausola di stile, generica e priva di una formale esternazione dei motivi di ricorso”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1205 del 2014

In zona PIP bisogna rimborsare al Comune i costi reali di urbanizzazione e in più pagare il contributo concessorio tabellare

22 Set 2014
22 Settembre 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 4687 del 2014.

Si legge nella sentenza: "La questione verte sugli atti con cui il Comune di Capaccio ha approvato il p.i.p. e ha inserito la norma regolamentare sulla scorta della quale ha richiesto pro quota ai proprietari i costi per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

Con la prima censura il Comune appellante rileva: “violazione e falsa applicazione degli artt. 16 DPR 6.6.2001 n. 380, 27 e 35 L. 22.10.1971 n. 865, 88, D.Lgs. 2.7.2010 n. 104. Error in iudicando ed eccesso di potere per perplessità, travisamento, presupposto erroneo e carenza assoluta di istruttoria e di motivazione”.

L’amministrazione espone che il giudice di prime cure ha errato nel ritenere non dovuto il contributo per gli oneri di urbanizzazione.

Il motivo è fondato.

La norma regolamentare e la richiesta dell’amministrazione sono legittime. Invero, l’art. 27 della L. n. 865 del 1971 affida la gestione ai Comuni che devono recuperare i costi sostenuti per gli espropri e le urbanizzazioni, sicchè il contributo dovuto non è calcolato sulla base delle tabelle, come assume il giudice di primo grado, ipotesi che invece si ha per l’intervento diretto collegato ad un permesso a costruire, nel quale il Comune deve recuperare integralmente il costo delle urbanizzazioni ovvero le opere realizzate dai privati che vengono cedute all’Ente.

Il Comune deve recuperare dai privati gli esborsi affrontati per l’esproprio delle aree e per la realizzazione delle opere di urbanizzazione (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 16 dicembre 1983 n. 26; Cons. St., sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 421; Cons. St., sez. V, 6 maggio 1997, n. 462; Cass. Civ., sez. I, 7 febbraio 2007, n. 2706).

Nella specie il contributo di urbanizzazione è commisurato al costo delle opere di urbanizzazione da realizzarsi concretamente nella zona, e differisce dal contributo da pagare all’atto del rilascio della concessione di costruzione, che ha natura contributiva, rappresentando un corrispettivo delle spese che la collettività si addossa per il conferimento al privato della facoltà di edificazione e dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della trasformazione.

Trattandosi di due istituti diversi ne derivano oneri diversi, l’uno relativo al costo sostenuto per rendere urbanizzata ed edificabile la singola area, l’altro relativo ad un contributo, di carattere tributario volto alla realizzazione del generale assetto urbanistico del territorio comunale (cfr. Cons. St., sez. V, 6 maggio 1997, n. 462; Cons. St., sez. V, 26 luglio 1985, n. 263). La giurisprudenza di questo Consiglio ha, invero, sancito che il rimborso dei costi reali per le opere di urbanizzazione realizzate dal Comune è previsto in diritto di superficie di un lotto P.E.E.P ceduto o assegnato, ma non come contributo per il rilascio della cessione edilizia, che segue sempre i parametri tabellari (cfr. dec. n. 462 del 1997 cit.).

Il contributo per il rilascio della concessione edilizia imposto dalla L. 28.1.1977 n. 10, commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale, in quanto prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione, ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato senza tener conto dell’utilità che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative alla concessione assentita, mentre ha diversa natura il rimborso delle spese di urbanizzazione effettivamente sostenute dall’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 35, XII comma, L. 22.10.1971, n. 865, essendo rivolto a determinare il prezzo di cessione ossia a reintegrare il Comune del costo sostenuto per l’espropriazione, l’urbanizzazione e l’ulteriore trasferimento dell’area".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza Consiglio di Stato n. 4687 del 2014

Equitalia dichiara il soggetto inadempiente anche se sulla questione pende un ricorso

22 Set 2014
22 Settembre 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4694 del 2014, già allegata al post che precede (cui si rinvia per l'inquadramento giuridico della questione), specifica che la pendenza di una controversia non impedisce a Equitalia di certificare che un soggetto è inadempiente.

Si legge nella sentenza: "3. Con altro ordine di censure l'appello principale di Equitalia e l'appello incidentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri censurano la sentenza di primo grado laddove ha ritenuto che non possa parlarsi di “inadempimento” tutte le volte in cui sussistano controversie giurisdizionali o giurisdizionali-amministrative.

Tali motivi di appello devono trovare accoglimento.

Deve ritenersi che l'inadempimento cui si riferisce l'art. 48 bis cit. sia quello relativo all'obbligo di pagamento delle somme contenute nella cartella esattoriale. La cartella di pagamento, presuppone l'iscrizione a ruolo da parte dell'ente pubblico creditore, con cui si forma un titolo esecutivo stragiudiziale.

In assenza di provvedimenti giurisdizionali di sospensione cautelare, o di definitivo annullamento delle cartelle o dei ruoli, l'obbligo di pagamento resta valido ed efficace ed il soggetto che non effettua il versamento delle somme nei termini prescritti deve qualificarsi, ai sensi dell'art. 48 bis, quale soggetto “inadempiente”.

Tale interpretazione è ricavabile anche dal D.M. n. 40/2008 che definisce le modalità di attuazione dell'articolo 48-bis e, all'art. 1 lett e) definisce come “inadempimento” “il mancato assolvimento da parte del beneficiario, nel termine di sessanta giorni previsto dall'articolo 25, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, dell'obbligo di versamento di un ammontare complessivo pari almeno a 10.000 euro, derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento, relative a ruoli consegnati agli agenti della riscossione”.

La diversa interpretazione della normativa data dalla sentenza di prime cure non può condividersi, in quanto vanificherebbe la procedura prevista dal legislatore ex art. 48 bis ogni volta che l'inadempiente proponesse, anche in modo palesemente pretestuoso, un ricorso giurisdizionale contestando la propria inadempienza".

Dario Meneguzzo- avvocato

La dichiarazione di inadempimento rilasciata da Equitalia è un provvedimento (certificato) soggetto alla giurisdizione amministrativa

22 Set 2014
22 Settembre 2014

Il ricorso deciso dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4694 del 2014 riguarda un professionista, titolare di una convenzione per la prestazione di consulenza ed assistenza legale a favore dell'ATAC S.p.A., che ha impugnato la qualificazione di "soggetto inadempiente" a lui attribuita dalla società Equitalia Servizi S.p.A. a seguito della verifica prevista ai sensi dell'art. 48-bis del D.P.R. 27 settembre 1973, n. 602, come introdotto dall'art. 2, comma 9, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, conv. con modif. dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, richiesta dalla stessa ATAC S.p.A. per il controllo della posizione fiscale del ricorrente medesimo.

Tale procedura si sostanzia in un accertamento circa l'eventuale morosità del beneficiario al pagamento, sulla base di una richiesta che i soggetti pubblici inoltrano ad Equitalia Servizi S.p.A. prima di effettuare un pagamento di un importo superiore ad € 10.000,00 (diecimila/00). La società concessionaria provvede, così, a controllare se il beneficiario risulti inadempiente all'obbligo derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento, comunicando, poi, senza ulteriori elaborazioni, al soggetto pubblico richiedente l'importo dovuto dal beneficiario.

Le modalità riguardanti l'espletamento della procedura di verifica e gli effetti che ne conseguono sono disciplinate dal D.M. n. 40 del 18 gennaio 2008.

Il ricorrente aveva contestato  quanto dichiarato da Equitalia.

A proposito della giurisdizione su questa questione, così si è pronunziato il Consiglio di Stato: "La ricorrente Equitalia e la difesa erariale criticano la sentenza di prime cure, contestando la giurisdizione del G.A. in materia. Secondo parte appellante, Equitalia Servizi, lungi dal formare elenchi di sorta e dall'attribuire qualifiche più o meno commendevoli, si limiterebbe a rendere all'Amministrazione richiedente una mera dichiarazione di scienza circa le informazioni risultanti dagli archivi informatici degli Agenti della riscossione. Equitalia Servizi, all'esito delle richieste ex art. 48 bis del d.P.R. 602/1973, non opererebbe alcun atto di natura provvedimentale di inserimento in alcuna lista, ma si limiterebbe a controllare se dal "sistema informativo [...] risulta un inadempimento a carico del beneficiario" e a comunicare le risultanze di tale indagine all'amministrazione richiedente (cfr. art.2, comma 2, del d.m. n. 40/2008).

Secondo tale tesi, dunque, l’atto adottato da Equitalia sarebbe attaccabile solo tramite querela di falso, quindi di fronte al G.O.

La tesi di parte appellante non è condivisibile e deve confermarsi sul punto la sentenza impugnata.

Questa Sezione ritiene che si sia in presenza di una potestà certificativa dell’“inadempimento”, così come disciplinata ex art. 48 bis del d.P.R. 602/1973 ed ex art.2, comma 2, del d.m. n. 40/2008.

Nella specie, all'esito delle richieste ex art. 48 bis del d.P.R. 602/1973, opera un atto di natura provvedimentale di comunicazione delle risultanze di indagine all'amministrazione richiedente (art.2, comma 2, del d.m. n. 40/2008) volto all’accertamento “qualificativo” delle inadempienze di natura tributaria ed extra tributaria, e ciò a prescindere dall’accertamento delle specifiche posizioni di diritto soggettivo siano esse di natura tributaria e non.

Di fronte pertanto all’esercizio di detta potestà certificativa è rinvenibile la competenza del giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità, non vertendo la presente controversia sull’accertamento della debenza o meno a carico di parte ricorrente di obbligazioni di natura tributaria o sanzionatoria.

E' quindi competente il G.A. a conoscere della legittimità dell'atto impugnato".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4694 del 2014

Quando l’esercizio di fatto di mansioni superiori comporta il diritto a una maggiore retribuzione

22 Set 2014
22 Settembre 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4712 del 2014.

Si legge nella sentenza: "L’appellante, già ricorrente in primo grado, agisce per l’accertamento del diritto a percepire le differenze retributive in relazione all’esercizio di fatto delle mansioni proprie di una qualifica superiore a quella da lui formalmente rivestita quale dipendente della U.S.L. n. 37, poi A.S.L.. n. 1 di Napoli.

L’interessato esponeva di essere stato inquadrato con la qualifica di “ausiliario specializzato” con il III livello retributivo, ma di essere stato costantemente adibito, dal 1982, a mansioni di autista di autoambulanze per trasporto infermi, qualifica pertinente al V livello retributivo.

Donde la pretesa delle differenze retributive per l’intero periodo.

Il ricorrente allegava ordini di servizio e altra documentazione intesa a comprovare l’effettivo esercizio delle mansioni di autista di autoambulanze.

2. Con sentenza n. 15446/2007 il T.A.R. Campania ha rigettato il ricorso osservando, in sintesi, che per giurisprudenza consolidata l’esercizio di fatto delle mansioni superiori (quand’anche la prestazione sia incontroversa, come nella fattispecie) non comporta il diritto alla maggiore retribuzione, se non quando (e nei limiti in cui) vi sia stato un formale atto di incarico per la copertura di un posto vacante in organico. In questo contesto, per “atto formale” si intende un atto proveniente non semplicemente da un superiore gerarchico (come nel caso degli ordini di servizio) bensì dall’organo competente ad adottare i provvedimenti in materia di stato giuridico e trattamento economico del personale. Ed invero, perché l’incarico possa produrre effetto anche in ordine al trattamento economico dell’impiegato, è necessario che l’organo che lo conferisce sia competente, appunto, ad emanare atti che incidono sul bilancio dell’ente e sulle previsioni di spesa; e possa assumersene la relativa responsabilità.

Ciò posto, il T.A.R. ha ritenuto che gli atti acquisiti al giudizio non avessero le caratteristiche necessarie per dare titolo al maggior trattamento economico.

3. L’atto d’appello proposto dall’originario ricorrente non contiene elementi utili a sovvertire l’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato.

L’appellante insiste, invece, nel richiamare i molteplici ordini di servizio e atti analoghi, i quali peraltro, come si è già accennato, non possiedono i requisiti essenziali per produrre l’effetto desiderato.

4. Unitamente all’atto di appello, tuttavia, è stata prodotta la delibera 4 agosto 1994, n. 70, del Commissario straordinario della U.S.L. n. 37, che nelle intenzioni della parte dovrebbe soddisfare i suddetti requisiti (peraltro, s’intende, solo per il periodo successivo alla data di quella delibera).

Ed invero, l’organo fonte del provvedimento (Commissario straordinario) aveva indubbiamente piena competenza in ordine ai provvedimenti concernenti lo stato giuridico e il trattamento economico del personale. In essa, inoltre, si dà espressamente atto che nella pianta organica dell’ente risultano vacanti cinque posti di operatore tecnico-autista di autoambulanze, e che è necessario provvedere alla copertura provvisoria mediante utilizzazione del personale di livello inferiore, già adibito alla guida dei mezzi di emergenza.

Tuttavia, neppure questo provvedimento appare risolutivo nel senso voluto dall’appellante. Infatti la delibera n. 70 non individua direttamente i dipendenti destinatari dell’incarico, né stabilisce i termini iniziali e finali dell’incarico. Al contrario, su questi aspetti fa rinvio ad atti ulteriori da emanare di volta in volta, con la precisazione che l’incarico non potrà avere durata superiore a tre mesi.

Risulta quindi che la delibera n. 70 aveva carattere solo programmatico ovvero di massima, e non produceva effetti immediati.

5. L’appellante ha prodotto inoltre un atto (10 novembre 1994), a firma del Commissario straordinario, con il quale – in dichiarata applicazione della delibera n. 70 – all’interessato sono state conferite le mansioni superiori di operatore tecnico-autista «con decorrenza immediata e per un periodo di un mese».

Anche volendo riconoscere che tale atto integri tutti gli estremi dell’”atto formale” ai sensi della giurisprudenza sopra richiamata, sta di fatto che esso appare espressamente riferito al periodo di un mese.

Ora, secondo l’art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, com’è noto, l’assegnazione temporanea alle mansioni superiori non conferisce diritto al miglior trattamento economico, se non per la durata eventualmente eccedente sessanta giorni nell’anno solare.

Neppure questo atto, dunque, è risolutivo ai fini voluti dall’appellante".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza Consiglio di Stato n. 4712 del 2014

Quando l’ente può effettuare la verifica di anomalia dell’offerta?

22 Set 2014
22 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza dl 16 settembre 2014 n. 1213 chiarisce quando la stazione appaltante possa procede alla verifica della congruità dell’offerta: “Quanto alla censura secondo cui l’offerta non doveva essere sottoposta a verifica perché non aveva superato la soglia di anomalia, è appena il caso di rilevare che il comma 7 dell’art. 88 del D.lgs 163/2006 consente alla stazione appaltante di sottoporre :” … a verifica la prima migliore offerta se la stessa appaia anormalmente bassa…”.

Nel caso di specie è evidente che il costo del lavoro proposto non era adeguato al monte ore settimanali proposto (731,50), tanto che, in sede di giustificazioni, la ricorrente ha dovuto, per spiegare il dato economico, modificare la originaria proposta riducendo le ore lavorative così da poter giustificare l’offerta.

Né può sottacersi che la verifica dell’anomalia ha l’esclusiva finalità di verificare se, nel complesso, l’offerta sia seria e sostenibile e, conseguentemente, adeguata alla puntuale e d esatta esecuzione del contratto ( Cons.St., sez.VI, 21 maggio 2009, n. 3146), per cui,anche il solo sospetto, di essere in presenza di un offerta anomala, consente, anzi, impone alla p.a. la conseguente verifica”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1213 del 2014

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