Tag Archive for: Veneto

Quale normativa si applica alle convenzioni di lottizzazioni

01 Ott 2014
1 Ottobre 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza del 25 settembre 2014 n. 4812 si sofferma sulla normativa applicabile alle convenzioni di lottizzazioni: “Innanzi tutto, occorre osservare che l’interpretazione delle convenzioni di lottizzazione non può essere esclusivamente effettuata – come sostenuto dalle appellanti – “attenendosi alle regole di ermeneutica contrattuali fissate dal codice civile”.

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Le controversie di natura patrimoniale spettano al Giudice Ordinario

01 Ott 2014
1 Ottobre 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 24 settembre 2014 n. 4803 riforma la sentenza del TAR Veneto n. 911/2014, commentata nel post del 27.06.2014, giungendo ad affermare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in materia cimiteriale allorquando la contestazione concerni gli aspetti puramente patrimoniali della concessione: Read more →

D.I.A. ed annullamento d’ufficio

30 Set 2014
30 Settembre 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 22 settembre 2014 n. 4780 si occupa della D.I.A. specificando l’iter da seguire per il suo eventuale annullamento d’ufficio: “8. Anche a prescindere dai profili di ambiguità presenti nella sentenza appellata (che effettivamente, in motivazione, sembra fare riferimento, per sostenere la legittimità del provvedimento impugnato, a lavori di ristrutturazione concernenti un diverso immobile ed un diverso procedimento di d.i.a.) risulta, nel caso di specie, dirimente la circostanza (non contestata) secondo cui il provvedimento di demolizione impugnato ha ad oggetto lavori regolarmente assentiti in base alla d.i.a. del 19 giugno 2008, n. 41741.
Risulta, in particolare, che l’Amministrazione comunale non solo ha lasciato che la menzionata d.i.a. si consolidasse, omettendo di esercitare, nel termine perentorio previsto dall’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, il potere inibitorio-repressivo ad essa spettante in caso di carenza dei presupposti per la d.i.a., ma ha omesso anche l’esercizio dei c.d. poteri di autotutela decisoria, espressamente richiamati dal secondo periodo del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990.
L’Amministrazione comunale, in altri termini, anziché procedere, come avrebbe dovuto, all’annullamento d’ufficio, ai sensi dell’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990, della d.i.a. ritenuta illegittima, ha provveduto direttamente, senza alcuna motivazione ulteriore rispetto alla ritenuta illegittimità delle opere eseguite, ad ordinare la sospensione dei lavori e la rimozione degli interventi realizzati.
In tal modo ha violato le garanzie previste dall’art. 19 legge n. 241 del 1990 che, in presenza di una d.i.a. illegittima, consente certamente all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all’art. 23, comma 6, d.P.r. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
Il modus procedendi seguito dall’Amministrazione comunale – tradottosi nella diretta adozione di un provvedimento repressivo-inibitorio, oltre il termine perentorio di sessanta giorni dalla presentazione della d.i.a. e senza le garanzie e i presupposti previsti dall’ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio – si appalesa, pertanto, senz’altro illegittimo.
La d.i.a, infatti, una volta perfezionatasi, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria. Ne consegue l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 4780 del 2014

Il TAR Sicilia ritiene legittimo l’avvalimento cartolare

30 Set 2014
30 Settembre 2014

Anche il T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, nella sentenza del 25 settembre 2014 n. 2521 si occupa dell’avvalimento dell’attestazione SOA giungendo a conclusione diametralmente opposte.  L’impresa ausiliata, infatti, non deve necessariamente fornire anche gli elementi materiali della SOA: “Diversa questione – comunque non sollevata dall’odierna ricorrente, e dunque estranea al thema decidendum - è quella attinente alla giuridica possibilità che l’avvalimento si sostanzi unicamente nella fornitura dell’attestazione SOA, ovvero che sia necessaria anche la messa a disposizione di elementi “materiali” a supporto, quali mezzi, strumenti, risorse umane, etc.
La questione si risolve alla stregua dell’art. 49 del D. Lgs. 163/2006, secondo cui “Il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell'articolo 34, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell'attestazione SOA di altro soggetto”. L’uso del disgiuntivo “o” rende evidente che oggetto del contratto di avvalimento possa anche essere la mera attestazione SOA posseduta dall’ausiliaria.
Tale conclusione, peraltro, è avvalorata dal fatto che la norma predetta, nei successivi commi, specificando il contenuto del contratto di avvalimento e delle collaterali dichiarazioni unilaterali fornite dall’ausiliaria, individua distintamente i “requisiti” (tecnici o finanziari) e le “risorse” (necessarie) oggetto dell’avvalimento; con ciò avvalorando la tesi che l’attestazione SOA possa farsi rientrare tra quelle “risorse” (prive di carattere materiale) che possono essere senz’altro fornite da terzi. Ad ulteriore conferma di ciò va ricordato che la giurisprudenza ha ammesso la possibilità per le imprese di ottenere attraverso l’avvalimento persino un requisito totalmente astratto e collegato all’intera organizzazione dell’impresa quale la “certificazione di qualità aziendale” (Cons. Stato, sez. III, 2344/2011; sez. V, 5496/2011, 5408/2012).
Si deve, comunque, evidenziare, a prescindere dalla configurazione giuridica e dall’ambito di applicazione del contratto in questione, che la ricorrente non ha messo in dubbio nella fattispecie la possibilità di fornire l’attestazione SOA attraverso l’avvalimento, ma ha solo contestato – in modo non condivisibile, come si è detto – la determinatezza del contenuto del relativo contratto concretamente utilizzato nella gara in esame”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Catania n. 2521 del 2014

Il Consiglio di Stato non ritiene legittimo l’avvalimento cartolare

30 Set 2014
30 Settembre 2014

Il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 24 luglio 2014 n. 3949 dichiara che si può ricorrere all’avvalimento anche per la certificazione di qualità, specificando che non è legittimo l’avvalimento SOA c.d. astratto e cartolare, ovvero privo della dimostrazione dei mezzi messi a disposizione dall’ausiliaria a favore dell’ausiliata: “7.- In via generale e conformemente a precedenti giurisprudenziali di questa sezione (6 marzo 2013, n. 1368; 23 ottobre 2012, n. 5408; 23 maggio 2011, n. 3066), va rilevato che nelle gare pubbliche, la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell’organizzazione complessiva, è da considerarsi anch’essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell’impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrare la capacità tecnico professionale di un’impresa, assicurando che l’impresa cui sarà affidato il servizio o la fornitura sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2004, n. 1459).
Afferendo la certificazione di qualità alla capacità tecnica dell’imprenditore, essa è coerente con l’istituto dell’avvalimento quale disciplinato con l’art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006, ma lo è anche con la procedura di gara qui in questione che non preclude il ricorso all’istituto dell’avvalimento per la certificazione di qualità, in disparte la inefficacia di siffatta prescrizione, ove prevista nel bando di gara.
8.- Secondo la sentenza impugnata, non sarebbe sufficiente ad integrare l’impegno quale presupposto di legittimità dell’aggiudicazione, un contratto di avvalimento avente ad oggetto il richiamo alla sola “attestazione SOA”, perché verrebbe frustrata l’esigenza sostanziale della dimostrazione della “effettiva utilizzabilità” delle risorse e dei “mezzi” messi a disposizione dall’ausiliaria a favore dell’ausiliata, cui risponderebbe la specifica previsione di cui all’art. 88 d.p.r. n. 207 del 2010.
L’assunto va condiviso, ma non sono, invece, condivisibili le conseguenze cui perviene l’impugnata sentenza, attesa la esaustività del contratto di avvalimento intercorso tra la Imprex e l’ausiliaria Nobel s.r.l..
Se è vero, infatti, che il limite di operatività di cui all’art. 49, comma 2, lett. f), del codice dei contratti pubblici, di per sé suscettibile di un amplissimo campo operativo, è dato dal fatto che la messa a disposizione del requisito mancante non deve risolversi nel prestito di un valore puramente cartolare e astratto, essendo invece necessario, anche alla luce del chiaro disposto dell’art. 88 del d.p.r. n. 207 del 2010, che dal contratto risulti chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria a prestare le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo nella misura richiesta - impegno che potrebbe essere facilmente eluso ove fosse consentito il ricorso a formule vaghe - deve ritenersi valido ed efficace un contratto di avvalimento il cui contenuto manifesti l’impegno serio e la effettiva messa a disposizione dei requisiti e mezzi di cui l’ausiliata è carente.
Nel caso, il contratto di avvalimento intercorso tra la ditta ausiliante (Nobel s.r.l.) e la Imprex soddisfa in maniera esaustiva i requisiti individuati dalla legge a comprova della serietà dell’impegno assunto dall’ausiliaria.
Nel contratto di avvalimento sono, infatti, chiariti quali sono i requisiti di capacità economico – finanziaria e tecnico – organizzativa propri del modello di gestione e organizzazione dell’impresa ausiliaria che la stessa si è obbligata a mettere a disposizione dell’ausiliata, oltre alle macchine e attrezzature analiticamente elencate.
La impresa ausiliaria si è infine dichiarata responsabile in solido con la concorrente nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto dell’appalto fino al collaudo, assumendosi l’obbligo, anche nei confronti della stazione appaltante, di mettere a disposizione le risorse oggetto di avvalimento in favore dell’impresa ausiliata per tutta la durata dell’appalto.
Il contratto di avvalimento e la dichiarazione resa dalla Nobel sono, quindi, coerenti con le esigenze di specificità di cui all’art. 49, comma 2, lett. f), del d. lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 88 del d.p.r. n. 207 del 2010, il che esclude che il contratto di avvalimento nel caso sia di sola garanzia e insufficiente alla funzione propria”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3949 del 2014

È illegittima la proroga automatica delle concessioni marittime

30 Set 2014
30 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 18 settembre 2014 n. 1224 si occupa della proroga (statale e/o regionale) automatica delle concessioni marittime per la somministrazione di alimenti e/o bevande dichiarandone l’illegittimità perché: “Giova ricordare che il provvedimento di archiviazione del 2.7.2010, oggetto di impugnazione, quanto ai presupposti legislativi, è basato sull’art. 5, comma 1, della legge regionale n. 13/2010 e sull’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 25/2010; invero, il suddetto provvedimento, per quanto in questa sede rileva, è supportato dalla seguente motivazione: “questa Amministrazione non può che ribadire tuttavia di aver doverosamente applicato l’art. 5 comma 1 della LRV n. 13/2010 e l’art. 1 comma 18 del DL 194/2009 convertito in legge n. 25 del 26 febbraio 2010. Questa normativa, nelle more di una nuova disciplina specifica dello Stato italiano e della stessa Regione Veneto in ordine alle regole di concorrenza nel rilascio delle concessioni turistiche ricreative, ha infatti disposto, come noto, una proroga automatica, appunto ex lege, delle concessioni, normativa di proroga che non risulta essere stata dichiarata in contrasto con i principi comunitari.”.

Orbene, come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 213/2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 delle legge regionale n. 13/2010; in particolare, per quanto rileva in questa sede, la Corte, premesso che il legislatore nazionale ha stabilito, all’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009, le modalità di accesso alle concessioni sui beni demaniali marittimi da parte degli operatori economici, ha rilevato come “la normativa regionale impugnata regoli talune ipotesi di rilascio di concessione su beni demaniali marittimi, tutte in contrasto con la disciplina fissata dall’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009.

La prima ipotesi è quella prevista dall’art. 5, comma 1, il quale dispone che le concessioni in corso al momento dell’entrata in vigore della legge regionale e quelle che, alla medesima data, sono oggetto di domanda di rinnovo e in corso di istruttoria, sono prorogate al 31 dicembre 2015.

Tale disposizione, pur indicando lo stesso termine di scadenza, disciplina una fattispecie, nel complesso, diversa da quella statale. Il legislatore regionale, infatti, nel fare uso della proroga ope legis prevista dalla norma statale (fino al 31 dicembre 2015) la applica a concessioni diverse da quelle prese in considerazione da quest’ultima (e cioè in corso al 30 dicembre 2009, data di entrata in vigore del d.l n. 194 del 2009). In sostanza, la disposizione impugnata prende in considerazione le concessioni in corso e quelle oggetto di domanda di rinnovo alla data di entrata in vigore della legge regionale, cioè il 19 febbraio 2010 e, dunque, con riguardo ad un momento temporale diverso e successivo rispetto a quello indicato dalla norma statale, così trovando applicazione rispetto a fattispecie differenti da quelle di cui all’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009.”.

Alla luce di quanto sopra, il richiamo effettuato dal provvedimento di archiviazione impugnato al citato art. 5, comma 1, della legge regionale n. 13/2010 è, dunque, illegittimo e, pertanto, va espunto dal provvedimento medesimo; esclusivamente sotto questo specifico profilo, quindi, il ricorso –in relazione al secondo motivo – è fondato e va accolto.

Peraltro, come in precedenza ricordato, il provvedimento comunale qui contestato trova il proprio fondamento (oltre che sulla disposizione della legge regionale censurata dalla Corte Costituzionale) anche sull’art. 1, comma 18, del D.L. 194/2009, come convertito con legge 26 febbraio 2010, n. 25. A tale proposito, con la stessa decisione sopra ricordata, la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare che il legislatore nazionale, con il suddetto articolo 1, comma 18, ha stabilito le modalità di accesso alle concessioni demaniali da parte degli operatori economici; tale intervento normativo ha fatto seguito alla procedura d’infrazione comunitaria n. 2008/4908, per il mancato adeguamento all’articolo 12, comma 2, della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), il quale vieta qualsiasi forma di automatismo che, alla scadenza del rapporto concessorio, possa favorire il precedente concessionario. La Corte ha aggiunto che “la Commissione europea aveva denunciato il contrasto dell’art. 37 cod. nav. con gli artt. 43 e 81 del Trattato CE (ora artt. 49 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea-TFUE) sul presupposto che, nell’attribuire preferenza al momento della scadenza della concessione al vecchio concessionario, lo stesso art. 37 costituiva un ostacolo all’accesso al mercato di nuovi operatori economici del settore. In ragione di ciò, il legislatore statale è intervenuto con l’art. 1, comma 18, del citato d.l. n. 194 del 2009, con il quale sono state previste:

la soppressione del secondo comma dell’articolo 37 cod. nav., nella parte in cui stabiliva la preferenza accordata al vecchio concessionario;

la proroga al 31 dicembre 2015 delle concessioni per finalità turistico-ricreative in scadenza prima di tale data e in atto al 30 dicembre 2009, giorno dell’entrata in vigore dello stesso decreto-legge;

Dunque, il citato art. 1, comma 18, ha attribuito a tale disciplina carattere transitorio, in attesa della revisione della legislazione in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da realizzarsi nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui al citato art. 37, secondo comma, cod. nav.”.

 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1224 del 2014

E’ possibile rilasciare il condono edilizio contro la volontà del proprietario dell’immobile?

29 Set 2014
29 Settembre 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 4818 del 2014.

Si legge nella sentenza: "Occorre premettere che, in base all’art. 11, comma primo, del d.P.R. 06.06.2001 n. 980, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo.

Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 04.04.2012 n. 1990).

Secondo una tesi sostenuta dalla giurisprudenza di primo grado (cfr. T.a.r. Puglia, Lecce, sez. III, 9 luglio 2011, n. 1057), <<è possibile procedere a condono senza il consenso ed anche contro la volontà del proprietario del bene oggetto del procedimento di sanatoria>>.

Una tesi intermedia, invece, ritiene che alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi della l. 28 gennaio 1977 n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima»: la sanatoria, quindi, sarebbe fungibile ratione personarum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario (cfr. Cons. St., sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 437; sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3520, secondo la quale, però, la riduzione della misura dell’oblazione prevista dall’art. 34 l. n. 47 cit., essendo calcolata in base al solo criterio funzionale della destinazione economica delle opere, opererebbe esclusivamente ratione rei).

In quest’ottica:

a) è stata considerata sufficiente l'avvenuta sottoscrizione, da parte di un soggetto, di un atto di impegno ad acquistare il locale interessato alla sanatoria (cfr. Cons. St., sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3282);

b) è stato ritenuto indispensabile, in caso di dissidio fra proprietari perché le opere di cui si chiede il condono incidono sul diritto di alcuni di essi, che l’istruttoria della pratica ed il provvedimento finale diano conto della verifica della legittimazione del soggetto richiedente (cfr. Cons. giust. amm. 3 giugno 2009, n. 84/2009);

c) è stato considerato inapplicabile l’istituto del condono, laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari, atteso che, diversamente opinando, l’amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere interessati all’eliminazione dell’abuso anche in via amministrativa e non solo con azioni privatistiche (cfr. Cons. St., sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3282).

A tale tesi intermedia aderisce il Collegio (cfr. Cons. St, sez. V, 8 novembre 2011, n. 5894).

Nel caso di specie la richiesta del controinteressato non è stata preceduta da alcuna manifestazione di volontà dei comproprietari avente carattere autorizzatorio; sicché deve ritenersi, conformemente a quanto sostenuto dalla ricorrente in prime cure, che questi fosse privo di legittimazione a richiedere il titolo edilizio.

Il Comune di San Pietro Vernotico, invero, ha omesso l’accertamento relativo all’esistenza in capo al sig. Daniele Bagordo di un valido titolo di disponibilità giuridica dell’immobile, ritenendo idonea prova del diritto di proprietà semplicemente un’autocertificazione resa ai sensi dell’art. 2 della L. n. 15 del 1968 e art. 1 del DPR n. 403/1998.

Tale dovere di accertamento l’amministrazione avrebbe dovuto compiere avendo il sig. Bagordo Daniele rappresentato ed asserito che il lastrico solare sul quale era stata edificata l’opera abusiva fosse in comproprietà tra i sigg.ri Bagordo Stefano, Bagordo Daniele e Foscarini Giuseppa, e quindi avrebbe dovuto prendere in considerazione l’insussistente consenso del comproprietario, il quale, anzi, aveva più volte manifestato il proprio dissenso, rispetto al rilascio del titolo volto a legalizzare il manufatto abusivo".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4818 del 2014

Revoca della concessione cimiteriale per violazione del divieto di cessione tra privati

29 Set 2014
29 Settembre 2014

Anche su questa questione segnaliamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4841 del 2014: "III.2. Nella specie, rileva anche il Regolamento di polizia mortuaria e dei servizi funebri e cimiteriali, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2006, il quale all’art. 44 ha fissato i principi generali del regime concessorio, prevedendo, tra l’altro, che:

- “Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventando di proprietà dell’Amministrazione Comunale, come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata” (comma 1);

- “non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (comma 5);

- “La concessione può essere soggetta: a) a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b) a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi; c) a rinuncia da parte del concessione con retrocessione del bene” (comma 9).

L’articolo 49, disciplinando specialmente l’ipotesi della decadenza, dispone al comma 4 che “il concessionario è tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area in concessione e del manufatto in diritto d’uso…In difetto dovrà essere dichiarata la decadenza della concessione del suolo e dal diritto d’uso del manufatto”, aggiungendo al comma 5 che “Il Dirigente del Servizio competente procederà alla determinazione della declaratoria della decadenza dalla concessione del suolo e contestuale incameramento del deposito cauzionale e del corrispettivo versato per la concessione del suolo ovvero degli importi a qualunque titolo versati e delle opere edilizie eventualmente realizzate”.

L’articolo 53 (“Cessione tra privati”) dispone che “E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati”.

III.3. Ciò posto, con riferimento ai singoli motivi di gravame, si osserva quanto segue.

III.3.1. Deve innanzitutto respingersi il primo motivo di doglianza, con cui gli appellanti hanno lamentato la “errata ricostruzione del fatto”, sostenendo che i primi giudici avrebbero erroneamente interpretato (pronunciando in tal senso una sentenza punitiva, con condanna alle spese) come una machinatio ai danni del Comune l’atto di compravendita del’8 ottobre 2008, giacché esso – ad avviso dei medesimi appellanti - costituiva invece una semplice vendita del manufatto, del tutto lecita e consentita, senza alcun intento di lucro o speculativo (peraltro solo asserito, ma non provato).

In realtà, al di là della pur suggestiva prospettazione di parte, dalla lettura delle motivazioni della sentenza impugnata non emerge alcun suo carattere punitivo, tanto più che la condanna alle spese (la cui liquidazione nel caso di specie, fissata in €. 3.000,00, misura non contestata, non è neppure manifestamente irragionevole od eccessiva) costituisce la normale conseguenza della soccombenza giudiziale, la compensazione delle spese potendo essere disposta solo in caso di soccombenza reciproca ovvero in caso di eccezionali ragioni, da indicarsi esplicitamente.

La legittimità dell’impugnato provvedimento di revoca è stata infatti riconosciuta in ragione della violazione del sopra riportato articolo 53, comma 1, che vieta la cessione diretta tra privati, violazione obiettivamente conseguita alla stipula della compravendita dell’8 ottobre 2008.

I primi giudici hanno al riguardo convincentemente e motivatamente osservato che quel divieto deve essere interpretato “…per la sua portata testuale che è quella di vietare che i privati, senza la partecipazione della amministrazione pubblica, possano liberamente disporre della concessione”, costituendo detto divieto ad un tempo “…specificazione ed estrinsecazione del divieto di subentro inautorizzato” e “…formula pienamente esemplificativa di quel venir meno ai propri obblighi di concessione che l’art. 44 sanziona per l’appunto con la decadenza”, obblighi cui il provvedimento impugnato ha fatto puntuale riferimento, rilevando espressamente che “la vendita realizzata in violazione della normativa regolamentare citata si pone in contrasto con le procedure ad evidenza pubblica di assegnazione dei beni in concessione e deve, pertanto, considerarsi grave inadempimento da parte dell’alienante degli obblighi di conservazione e custodia del bene in concessione posti a suo carico”.

...

"III.3.4. Prive di fondamento giuridico sono le censure mosse con il quarto (“Violazione art. 23 e artt. 44 e 53 del regolamento del Comune di Napoli. Inesistenza di una ipotesi di revoca – sanzione. Violazione del principio di proporzionalità” ed il quinto motivo di gravame (“Violazione art. 44 Regolamento comunale. Diritto sul manufatto costruito dal privato e diritto sul suolo o sul manufatto comunale. Differenze. Ambito applicativo del divieto di cessione”, che possono essere esaminate congiuntamente, per la loro connessione.

Non possono infatti condividersi le tesi degli appellanti, secondo cui, per un verso, la legittimità della revoca–sanzione in esame richiedeva una specifica previsione normativa di rango legislativo in tal senso, in omaggio al principio di legalità e dei corollari di chiarezza e prevedibilità, e, per altro verso, la decadenza prevista dall’art. 44, comma 9, lett. b), avrebbe riguardato esclusivamente l’inadempimento concernente la fase di costruzione del manufatto (insussistente nel caso di specie): fermo restando infatti il rilievo che tali censure potevano essere al più prospettate dal concessionario e non dagli appellanti che, ancora una volta si ribadisce, non hanno alcun titolo al riguardo, va osservato che la revoca in questione è stata espressamente prevista dal Regolamento comunale di polizia mortuaria approvato con la delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, che non è stato oggetto di apposita impugnazione.

Peraltro, ritiene la Sezione che è del tutto logico, e rispondente ai principi generali dell’ordinamento, che l’amministrazione con un proprio provvedimento autoritativo riacquisti la disponibilità di un bene pubblico, dato in concessione ed oggetto di abusi o illeciti da parte del concessionario.

Il relativo potere discende dai principi generali di diritto pubblico, oltre che dalle disposizioni del codice civile che richiamano tali principi generali: per i beni demaniali e per quelli patrimoniali indisponibili, l’amministrazione concedente è titolare in re ipsa del potere di imporne una gestione conforme alle regole e all’interesse pubblico.

In altri termini, il richiamato regolamento approvato dal Comune si fonda sui medesimi principi generali e sulla normativa statale riguardante la gestione dei cimiteri.

Il potere di disporre la decadenza è così esercitabile in ogni caso di inadempimento degli obblighi discendenti dalla concessione, non limitati, secondo il richiamato comma 9, lett. b), dell’art. 44 del regolamento alla sola inosservanza dei termini per l’inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere, ma estesi altresì alla fase della costruzione dei manufatti e del loro mantenimento, proprio a quest’ultimo profilo avendo fatto riferimento l’amministrazione comunale, come già rilevato in precedenza.

Deve poi escludersi che l’art. 44 del regolamento abbia un contenuto equivoco e non chiaro o irragionevole ovvero che esso sia stato formulato in modo tale da non essere facilmente comprensibile, così come è da escludersi la violazione del principio di proporzionalità, atteso che alla violazione degli obblighi derivanti dal rapporto concessorio poteva derivare soltanto la ‘revoca decadenziale’.

In altri termini, il principio di proporzionalità non è stato violato né con la normativa che ha attribuito al Comune il potere di disporre il recupero del bene in sede di autotutela, né con l’emanazione del provvedimento che – riscontrata la violazione – ha concretamente disposto il recupero.

Una volta dichiarata la decadenza dalla concessione del suolo cimiteriale del tutto coerentemente e correttamente, ed in ogni caso in puntuale applicazione del comma 1 dell’art. 44 del regolamento comunale, sono state acquisiste al patrimonio dell’amministrazione le opere realizzate sul suolo demaniale ai sensi dell’art. 953 c.c."

Dario Meneguzzo - avvocato

Lo ius sepulcri è un diritto reale verso i terzi che diventa interesse legittimo a fronte dei poteri autoritativi della P.A.

29 Set 2014
29 Settembre 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4841 del 2014.

Si legge nella sentenza: "III.1. Occorre premettere che, come del resto puntualmente rilevato dai primi giudici, nella materia de qua questa Sezione (8 marzo 2010, n. 1330) ha avuto modo di rilevare che, in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario…lo ius sepulchri, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento. Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri non preclude l’esercizio dei poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione concedente, sicché sono configurabili interessi legittimi quando sono emanati atti di autotutela. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l'intrinseca "cedevolezza" del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000 , n. 3313).

E’ stato anche sottolineato che, “come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell'amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto”, trattandosi “…di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione”, così che, a fronte di successive determinazioni del concedente, il concessionario può chiedere ogni tutela spettante alla sua posizione di interesse legittimo.

È stato precisato che nel corso del rapporto concessorio si devono rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, in quanto “lo ius sepulchri attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all'applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l'interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.

La giurisprudenza ha anche chiarito che, una volta costituito il rapporto concessorio, questo può essere disciplinato da una normativa entrata in vigore successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall'ambito soggettivo di utilizzazione del bene: infatti, non è “pertinente…il richiamo al principio dell'articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall'amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (in termini anche Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608).

Il rapporto concessorio in questione è dunque “pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell'articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell'articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompresa anche la disposizione sulla “nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.

In definitiva nell’ordinamento nazionale il diritto sul sepolcro già costituito sorge con una concessione amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.): la concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta la sussistenza di posizioni di interesse legittimo – con la relativa tutela giurisdizionale – quando l’amministrazione concedente disponga la revoca o la decadenza della concessione per la tutela dell’ordine e della buona amministrazione (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294)".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4841 del 2014

Per ottenere il risarcimento dei danni il privato deve provare la colpa della P.A.

29 Set 2014
29 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 18 settembre 2014 n. 1238 ribadisce che, per ottenere i risarcimento dei danni da parte di un ente pubblico, il privato ha l’onere di dimostrare quantomeno la colpa dell’ente, non potendosi desumere tale stato soggettivo dall’annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo connesso alla domanda di risarcimento: “La giurisprudenza amministrativa (ex pluribus cfr. Consiglio Stato, Sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091) ha più volte chiarito che, al fine di ottenere il risarcimento, non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è necessario che sia fornita la prova, oltre che del danno subito, anche della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa dell'Amministrazione, che sono configurabili quando l'adozione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento, sia dalle norme in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell'ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1238 del 2014

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