I poteri del Comune nei confronti di una CILA
Il TAR Catania ha affermato che a fronte di una CILA, che rappresenta il titolo necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del d.P.R. 380/2001 non impongono la SCIA o il PdC, il potere di controllo comunale può ricondursi all’accertamento che l’opera ricada effettivamente nell’ambito dell’edilizia sottoposta a tale strumento di semplificazione, senza che possano trovare ingresso altre questioni, in quanto estranee alla fattispecie disciplinata dal legislatore. Del resto, la mancata previsione di controlli sistematici rischierebbe di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA avrebbe, in sostanza, l’unico effetto di attirare l’attenzione della P.A. sull’intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l’attività totalmente abusiva.
Nel caso di specie, il Comune aveva revocato una concessione di suolo pubblico per asserita abusività della collocazione di una pedana, la quale, però, aveva costituito oggetto di una CILA presentata 7 anni prima, su cui l’Ente locale non aveva esercitato (né illo tempore, né prima dell’adozione della revoca) alcun potere e che, pertanto, doveva ritenersi ancora efficace; la presenza della pedana non aveva, peraltro, costituito ostacolo al rinnovo della concessione negli anni precedenti alla revoca.
Pare di capire che il TAR concordi con il Consiglio di Stato, laddove ha affermato che devono essere mutuati i principi consolidatisi con riferimento alla separazione tra autotutela decisoria e esecutiva in materia di SCIA con conseguente applicazione dei limiti di tempo e di motivazione declinati nell’art. 19, commi 3, 4, 6-bis e 6-ter l. 241/1990, in combinato disposto con il richiamo alle «condizioni» di cui al successivo art. 21-novies.
Post di Alberto Antico – avvocato

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