Le varianti urbanistiche sono indipendenti dal P.I.

31 Mar 2014
31 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 20 marzo 2014 n. 371, si occupa del rapporto tra la variante urbanistica al P.R.G./P.I. e l’approvazione del P.I., confermando quanto già dichiarato nelle sentenze n. 416/2013 e n. 417/2013: “Con tali sentenze si è infatti precisato che tali “due strumenti urbanistici, oltre a non essere fra loro collegati da un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, non risultano avvinti da un nesso procedimentale né diretto né indiretto, poiché il PI è normativamente legato, quale suo completamento, al Piano di Assetto Territoriale. A ciò deve aggiungersi che il recepimento della variante n. 305 ad opera del PI, per quanto in esso non espressamente previsto, non è idoneo a trasferire su quest’ultimo i vizi eventualmente sussistenti nella originaria procedura di adozione della variante medesima: detto recepimento opera infatti un rinvio recettizio al “contenuto” dell’atto richiamato e non già un rinvio alla “fonte” normativa utilizzata per l’adozione di esso. Alla stregua di tali considerazioni deve quindi ritenersi che l’adozione del Piano degli Interventi rende in ogni caso improcedibili, per sopravvenuta carenza di interesse, i ricorsi in esame relativamente a tutte le censure svolte nei confronti della specifica procedura di adozione della variante in esso recepita, poiché attinenti alla “fonte” di essa, allo stato non più rilevante in quanto totalmente sostituita dall’esercizio del nuovo potere pianificatorio”. Da tale rapporto Di autonomia del P.I. rispetto agli atti di approvazione del progetto preliminare e della variante urbanistica n. 305 ne deriva dunque, anche nel caso in esame, l’improcedibilità per sopravvenuto difetto d’interesse delle censure di natura procedimentale - individuate nel prosieguo - mosse nei confronti di quest’ultimi atti”.

Per quanto riguarda il potere discrezionale dell’ente il Collegio afferma che: “3.3. Con riferimento al terzo motivo – con il quale si contesta, in sostanza, la specifica localizzazione dell’opera pubblica rispetto alla proprietà della ricorrente - il Collegio rileva che la censura impinge in valutazioni discrezionali e di merito dell’Amministrazione rispetto alle quali non sono stati dedotti vizi di macroscopica illogicità e/o incongruenza; peraltro, quanto alla questione degli accessi alla proprietà Abital, essa appare maggiormente conferente alla fase attuativa delle previsioni generali, come condivisibilmente disposto in sede di piano degli interventi, laddove, in risposta alle osservazioni di Abital ed in parziale accoglimento delle stesse, si è stabilito che “le diverse possibilità di accesso all’area siano oggetto di verifica in sede di PUA”.

3.4. Quanto sopra detto in ordine ai limiti di sindacabilità delle scelte discrezionali in materia urbanistica, vale anche relativamente alla ipotizzata violazione dell’art. 28 del regolamento del codice della strada, di cui al quarto motivo, posto che la norma statale si limita a imporre delle distanze minime lasciando allo strumento di pianificazione l’esercizio del proprio potere discrezionale sul punto, e non risultando che la scelta di imporre una fascia di rispetto di venti metri dalla viabilità secondaria sia inficiata da palesi errori di fatto o abnormi illogicità”, mentre per quanto concerne l’apporto collaborativo dei privati si legge che: “Infatti, per giurisprudenza consolidata condivisa da questa sezione (v. sent. n. 689/2013) le osservazioni presentate dagli interessati in merito alle varianti di piano assumono valore di apporto collaborativo, il cui rigetto non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano, come avvenuto nel caso di specie”.

Infine con riferimento sia alla fonte della possibile lesione del privato sia alla necessità della V.I.A./V.A.S. per la realizzazione dell’opera pubblica si legge che: “3.6. Invece, il settimo motivo, come eccepito dal Collegio all’odierna udienza di discussione, deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione ad agire della odierna ricorrente nei confronti dell’intera serie procedimentale inerente la gara ad evidenza pubblica concernente l’individuazione del soggetto promotore. Infatti, la ricorrente in quanto estranea alla gara medesima, è sprovvista di qualunque posizione differenziata rispetto ad essa e dunque priva di un interesse legittimo giudizialmente tutelabile che la abilita a sindacarne la legittimità. E’ infatti evidente che la lesione di cui la ricorrente si duole non deriva dalla pretesa illegittimità della procedura selettiva in sé e per sé considerata, ma dalla decisione della realizzazione dell’opera pubblica secondo un determinato schema progettuale ed una precisa localizzazione, la cui valenza lesiva è data non già dall’individuazione di un determinato soggetto esecutore, bensì dalla sua assunzione nell’ambito di un determinato strumento urbanistico (variante n. 305) da cui discende l’effetto impositivo di vincoli preordinati all’espropriazione in conseguenza della localizzazione dell’opera stessa (cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, n. 416/2013).

4. Con riferimento ai motivi aggiunti presentati, nel ricorso n. 1920/10, avverso la delibera di approvazione della variante urbanistica n. 305, come esposto in fatto, con essi si ripropongono le medesime censure dedotte con il ricorso principale con l’aggiunta, innanzitutto, di un motivo (sub III) con il quale si lamenta la mancata sottoposizione del progetto alla procedura d’impatto ambientale.

4.1. Quest’ultima specifica questione, è stata già decisa da questo Tribunale con le sentenze già citate nn. 416 e 417 del 2013 con le quali si è osservato sul punto che: “dal rapporto ambientale approvato con DGRV 4148/2007 risulta che tale infrastruttura viaria é stata oggetto di specifica valutazione, come emerge dall’estratto della Valutazione ambientale strategica acquisito agli atti di causa in cui essa è specificamente indicata quale “potenziamento della rete stradale con la realizzazione del Traforo delle Torricelle”. Peraltro, trattandosi di progetto ancora “preliminare”, esso non risulta ancora sottoponibile a VIA per l’espresso riferimento solo a quello “definitivo” contenuto all’art. 23 del decreto legislativo n. 156 del 2006. La valutazione di impatto ambientale su di un progetto preliminare in project financing, in quanto tale suscettibile di successive modificazioni in ragione dell’interesse pubblico, non potrebbe infatti assolvere al proprio scopo che è appunto quello di valutare il progetto definitivo dell’opera pubblica prevista dallo strumento urbanistico generale”.

Pertanto tale terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti non può essere accolto.

4.2. Inoltre, con motivo rubricato come sesto nel medesimo ricorso per motivi aggiunti, si solleva la questione dell’elusione della sentenza n. 3634/05, con la quale si è annullato il diniego espresso dal Comune sul progetto di PIRU presentato dalla Abital, nel 2004, relativamente all’area di sua proprietà, oggi interessata dal progetto dell’opera autostradale in discussione.

Al riguardo si osserva che tale sentenza, censurando la valutazione preliminare d’inammissibilità del progetto effettuata dal Comune, ha lasciato integra l’ampia discrezionalità dell’amministrazione nella valutazione del merito di tale progetto di PIRU, con la conseguenza che la Abital non era titolare di una posizione qualificata che condizionasse l’amministrazione nell’approvazione degli strumenti urbanistici successivi”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 371 del 2014

TAR Veneto n. 416 del 2014

TAR Veneto n. 417 del 2014

Quando il ricorso incidentale deve essere esaminato prima di quello principale?

31 Mar 2014
31 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 20 marzo 2014 n. 357, chiarisce in quali casi occasioni il ricorso incidentale deve essere esaminato con priorità rispetto a quello principale. In particolare, se nel post del 05.02.2014 si era evidenziato che il ricorso incidentale non prevalesse più ex se su quello principale, nella sentenza che ivi si commenta il T.A.R. dichiara che le ipotesi di ricorso incidentale c.d. escludente hanno comunque priorità su quello principale: “Quanto all’ordine di trattazione delle questioni, il Collegio ritiene che debba essere esaminato prioritariamente, rispetto al ricorso principale, il ricorso incidentale in quanto ha carattere escludente, sollevando un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario per non essere stato escluso a causa di un preteso errore dell’amministrazione (cfr. Ad. plen. n. 4 del 2011 e Ad. plen. n. 9 del 2014)”.

Nel caso di specie il T.A.R. ha accolto il ricorso incidentale diretto ad escludere “l’offerta avanzata dalla ricorrente (in tutte e tre le procedure) per violazione dell’art. 86, comma 3-bis e comma 3-ter, dell’art. 87, comma 4, anche in relazione all’art. 46, comma 1-bis, e all’art. 131 del d.lgs. n. 163 del 2006, essendo stato operato il ribasso anche sugli oneri di sicurezza per rischi interferenziali (non soggetti a ribasso), così come fissati dall’Amministrazione nel bando”, atteso che: “7.4. L’offerta economica della ricorrente si pone quindi in contrasto con quanto prescritto dal disciplinare di gara che sul punto prevede che “il prezzo offerto dovrà essere formulato come ribasso percentuale sull’importo a base di appalto soggetto a ribasso” (cfr. lettera “b” sub 2. “modalità di formulazione dell’offerta tecnica e dell’offerta economica ed attribuzione di punteggi”), incidendo così su un elemento che per legge è insuscettibile di ribasso in quanto connesso a fattori interferenziali di esclusiva pertinenza della stazione appaltante, preventivamente individuati e indicati nel bando.
7.5. Tale contrasto si traduce nella violazione di una norma imperativa in subiecta materia di cui l’art. 131 del d.lgs. n. 163 del 2006 è specifica espressione e, al contempo, in un’incertezza assoluta dell’offerta, per l’equivocità dell’importo cui riferire il proposto ribasso percentuale.
7.6. L’offerta della concorrente ricorrente principale doveva pertanto essere esclusa: di qui l’accoglimento del ricorso incidentale con conseguente sopravvenuta improcedibilità del ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse”.

Per quanto ivi interessa si riportano le massime tratte dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 25 febbraio 2014 citata dai Giudici: “l’art. 4, comma 2, lett. d), nn. 1 e 2, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni nella legge 11 luglio 2011, n. 106, che ha aggiunto l'inciso ‘Tassatività delle cause di esclusione’ nella rubrica dell'articolo 46, del Codice dei contratti pubblici e nel suo testo ha inserito il comma 1-bis, non costituisce una norma di interpretazione autentica e, pertanto, non ha effetti retroattivi e trova esclusiva applicazione per le procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati pubblicati (nonché alle procedure senza bandi o avvisi, i cui inviti siano inviati), successivamente al 14 maggio 2011, data di entrata in vigore del medesimo decreto legge.

In considerazione del principio della tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici (applicabile unicamente alle procedure di gara disciplinate dal medesimo Codice), i bandi di gara possono prevedere adempimenti a pena di esclusione, anche se di carattere formale, purché conformi ai tassativi casi contemplati dal medesimo comma, nonché dalle altre disposizioni del Codice, del regolamento di esecuzione e delle leggi statali.

Il “potere di soccorso” sancito dall’art. 46, comma 1, del Codice dei contratti pubblici - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la produzione tardiva della dichiarazione o del documento mancanti o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal medesimo Codice, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali.

E’ illegittima la previsione del bando di una gara ‘diversa da quelle di massa’, disciplinata dall’art. 6, comma 1, lett. b), l. 7 agosto 1990, n. 241, e non dal Codice dei contratti pubblici , qualora essa non consenta il “potere di soccorso” e disponga l’esclusione nel caso di inosservanza di una previsione meramente formale.

Il giudice amministrativo deve decidere la controversia, ai sensi degli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, secondo comma, c.p.c., secondo l’ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della sussistenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell’azione.

Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, va esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale il ricorso incidentale ‘escludente’ che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario (che non ha partecipato alla gara o vi ha partecipato ma è stato legittimamente escluso, ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione); tuttavia, per ragioni di economia processuale può esservi l’esame prioritario del ricorso principale, qualora questo risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile;

Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere ‘escludente’; tale carattere non si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale.

Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale – escluso dall’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la ‘medesima fase procedimentale’.”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 357 del 2014

Ad. Pl. n. 9 del 2014

Il rito avverso il silenzio non può contestare il merito delle scelte dell’Amministrazione

28 Mar 2014
28 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 14 marzo 2014 n. 330 chiarisce che il rito avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione e disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a. non può essere utilizzato dal ricorrente per aggirare i termini perentorio previsti per l’impugnazione dell’atto o del provvedimento amministrativo illegittimo: “l’evidente inammissibilità del ricorso è quindi conseguente non solo alla tardività delle censure dedotte avverso tali atti, ma soprattutto per l’utilizzo del rito speciale del silenzio, che ha la finalità di accertare l’eventuale illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, impregiudicata ogni valutazione sulla fondatezza della pretesa sottostante.

E’ quindi evidente che risulta del tutto inammissibile una pretesa azionata con tale speciale rito al fine di denunciare l’illegittimità di tali atti, anche se al solo fine di avallare la parimenti denunciata illegittimità del silenzio, non essendo possibile recuperare per questa via i termini per la loro impugnazione, ormai decorsi da tempo.

In buona sostanza, non è ammissibile che attraverso il rito del silenzio, denunciando l’illegittimità dell’inerzia della Pubblica Amministrazione a fronte di una richiesta di interventi in autotutela, possa essere sostanzialmente concessa una sorta di rimessione in termini per ottenere, in via indiretta, l’annullamento degli atti non tempestivamente impugnati.

Per altro verso e specificatamente per quanto poi riguarda il caso di specie e la denunciata illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione intimata, si osserva in primo luogo come detta inerzia non sia qualificabile in alcun modo come illegittima a fronte di un’attività che, diversamente da quanto prospettato dalla difesa istante, non è affatto vincolata.

Invero, va ancora una volta ribadito come gli atti di pianificazione contestati e la concessione edilizia e sua variante rilasciate alla controinteressata non sono mai stati oggetto di impugnazione e quindi sono del tutto legittimi ed efficaci: in modo particolare i titoli edilizi, che hanno consentito la costruzione dell’edificio contestato dal ricorrente, sono stati rilasciati in piena conformità alla disciplina urbanistica allora vigente, mai impugnata e quindi pienamente operativa.

Ne consegue che nessun obbligo sussisteva per l’amministrazione di intervenire su tali atti in autotutela, disponendo il loro annullamento e/o la loro revoca, trattandosi di atti a tutti gli effetti legittimi ed inoppugnabili”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 330 del 2014

L’atto interlocutorio non necessita di essere impugnato

28 Mar 2014
28 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 280 dichiara che il provvedimento con cui il Comune, a fronte di una richiesta di autorizzazione per l’installazione di una stazione radio-base, chiede all’istante di presentare una variante al piano comunale di settore per la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, costituisce un atto interlocutorio che non può essere autonomamente impugnato perché: “Va peraltro evidenziato che il provvedimento impugnato col presente ricorso non è un provvedimento di diniego conclusivo del procedimento, bensì un provvedimento interlocutorio, dunque neutrale, che tuttavia determinava un aggravamento ingiustificato se non un arresto del procedimento, come accennato dal Collegio nell’ordinanza cautelare. Con esso infatti si indicava alla ricorrente la necessità di presentare, per il proseguimento della pratica edilizia, un’istanza di variante al piano comunale di settore per la localizzazione degli impianti per la telefonia mobile, come previsto, dall’art. 24 delle n.t.a. di tale piano, per i casi in cui l’area interessata dalla nuova infrastruttura non fosse compresa tra i siti previsti dal piano di settore.

Ne deriva che nel caso in esame, ai fini di una definitiva e completa soddisfazione dell’interesse della ricorrente, non vi era alcun provvedimento di diniego da revocare preventivamente da parte dell’amministrazione, come invece argomentato dalla difesa della ricorrente, occorrendo solo il superamento della tortuosità procedimentale imposta dalla nota impugnata, che era di ostacolo ad una celere e favorevole conclusione del procedimento, come poi effettivamente avvenuto”.

Nel caso di specie, però, è lo stesso Collegio a confermare che questo atto interlocutorio aveva la natura di un c.d arresto procedimentale per il quali, si ricorda, vi è l’onere di impugnazione: “Di arresto procedimentale può parlarsi ove ci si trovi dinanzi a fattispecie endoprocedimentali sostanzialmente provvedimentali, ossia preclusive delle aspirazioni dell’istante o comunque di uno sviluppo diverso e per esso maggiormente favorevole: è il caso, ad es., delle clausole escludenti, o delle statuizioni terminative di fasi del procedimento destinato a concludersi con provvedimenti favorevoli a terzi (Cfr. Cons. di Stato, Ad. plen., 10 luglio 1986, n. 8; da ultimo Ad.Plen. 28 gennaio 2012, n. 1). Esse onerano il destinatario del tempestivo esperimento dell’azione di annullamento, pena la decadenza (non così per i pareri vincolanti. Sul punto, da ultimo, Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-03-2012, n. 1829)” (Consiglio di Stato, sez. IV, 09.05.2013, n. 2511).

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 280 del 2014

CdS n. 2511 del 2013

Le controversie relative agli obblighi derivanti da un accordo di programma spettano al G.A.

28 Mar 2014
28 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 19 marzo 2014 n. 350, evidenzia che le controversie collegate agli obblighi derivanti dall’accordo di programma ex art. 32 della L. R. Veneto n. 35/2001 – secondo cui: “1. Fermo restando quanto previsto dalla legge regionale 1 giugno 1999, n. 23, per l'attuazione organica e coordinata di piani e progetti che richiedono per la loro realizzazione l'esercizio congiunto di competenze regionali e di altre amministrazioni pubbliche, anche statali ed eventualmente di soggetti privati, il Presidente della Giunta regionale può promuovere la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento. 

2. L'accordo può prevedere altresì procedimenti di arbitrato, nonché interventi surrogatori di eventuali inadempienze dei soggetti partecipanti, escluse le amministrazioni statali. 

3. Per verificare la possibilità di concordare l'accordo di programma, il Presidente della Giunta regionale convoca una conferenza fra i soggetti interessati. 

4. L'accordo consiste nel consenso unanime dei soggetti interessati, autorizzati a norma dei rispettivi ordinamenti in ordine alla natura e ai contenuti dell'accordo stesso. Esso è reso esecutivo con decreto del Presidente della Giunta regionale ed è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto. L'accordo sostituisce ad ogni effetto le intese, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti da leggi regionali. Esso comporta, per quanto occorra, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, nonché l'urgenza e l'indifferibilità dei relativi lavori, e la variazione integrativa agli strumenti urbanistici senza necessità di ulteriori adempimenti” – spettano all’Autorità Giudiziaria Amministrativa atteso che: “in via preliminare che è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto il rispetto degli obblighi nascenti da un accordo di programma (nella specie, ai sensi dell’art. 32 della LR n. 35/2001) stipulato tra la Regione ed un Comune volto a disciplinare la concessione di un contributo, trattandosi di atto che rientra tra gli accordi previsti dall’art. 133, I comma, lett. a), n. 2 del DLgs n. 104/2010 e dall'art. 11, u.c. della legge n. 241/1990 (che, appunto, devolvono al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulle controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi stipulati dalla P.A. con gli interessati, al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo e, comunque, “gli accordi fra pubbliche amministrazioni”): nè osta a tale devoluzione la congiunta proposizione della domanda di adempimento dell'accordo e/o di condanna al risarcimento dei danni o di indennizzo, in quanto la questione non attiene all'ambito della giurisdizione, ma solo all'estensione dei poteri del giudice amministrativo (cfr. SS.UU. ord. 9.3.2012 n. 3689; CdS, IV, 22.8.2011 n. 4795)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 350 del 2014

Il diniego della S.C.I.A. non necessità del c.d. preavviso di rigetto

27 Mar 2014
27 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 20 marzo 2014 n. 379, chiarisce che la L. R. Veneto sul turismo, ovvero la L. R. 14.06.2013 n. 11 considera attività ricettiva extralberghiere anche l’esercizio di affittacamere (cfr. art. 27) e che, per quanto concerne la S.C.I.A. per lo svolgimento di questa attività, il Comune che intende inibire tale atto privato deve porre in essere solo la comunicazioni di avvio del provvedimento e non quella dei motivi ostativi atteso che: “Non è fondata la censura di tardività del provvedimento inibitorio impugnato, in quanto, a prescindere dall’esame della questione se la falsa dichiarazione di parte ricorrente sulla conformità dell’intervento alle norme urbanistiche possa consentire all’amministrazione l’inibizione senza limiti di tempo, in ogni caso alla parte ricorrente è pervenuta nei termini previsti dall’art. 19 della legge n° 241 del 1990 la comunicazione di avvio del procedimento.

Con la comunicazione di avvio del procedimento l’amministrazione, pur riservandosi di adottare un successivo provvedimento definitivo in seguito alle controdeduzioni, ha già comunicato al privato che l’attività non può essere intrapresa e dunque a partire dalla conoscenza di tale comunicazione di avvio del procedimento si determina in capo al privato la consapevolezza che l’attività intrapresa è illecita e che dunque non può essere svolta.

Il privato è stato dunque tempestivamente messo nelle condizioni di cessare l’attività che viene esercitata in proprio e non per effetto di un provvedimento amministrativo.

Né si può configurare in capo all’amministrazione l’obbligo di comunicare il preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10-bis della legge n° 241 del 1990, non essendo quella del privato un’istanza, ma appunto la comunicazione di un’attività che viene iniziata ed esercitata in proprio.

Dunque il provvedimento impugnato è dovuto e vincolato e non sussistono i lamentati profili di eccesso di potere”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 379 del 2014

In materia di attrezzature elettroniche si forma il silenzio-assenso

27 Mar 2014
27 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 19 marzo 2014 n. 353, chiarisce che la normativa dettata dal D. Lgs. n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche) prevale sul Codice della Strada in quanto normativa speciale. Di conseguenza, se l’Amministrazione non esprime il proprio diniego nei confronti della richiesta di autorizzazione per i lavori di scavo in una via pubblica per la posa di cavi in fibra ottica entro il termine di 45 giorni dalla richiesta, si forma il silenzio-assenso. A riguardo si legge che: “Stabilisce infatti l’art. 88 del D.lgs n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche) che “1. Qualora l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica presupponga la realizzazione di opere civili o, comunque, l'effettuazione di scavi e l'occupazione di suolo pubblico, i soggetti interessati sono tenuti a presentare apposita istanza…all'Ente locale ovvero alla figura soggettiva pubblica proprietaria delle aree. … 7. Trascorso il termine di quarantacinque giorni dalla presentazione della domanda, senza che l'Amministrazione abbia concluso il procedimento con un provvedimento espresso ovvero abbia indetto un'apposita conferenza di servizi, la medesima si intende in ogni caso accolta…”.

Nella specie, l'istanza di rilascio di titolo autorizzatorio per lavori di scavo e posa di cavi in fibra ottica, corredata dalla relazione tecnica, è stata presentata in data 2 gennaio 2013, per cui, non avendo l'ente locale fatto pervenire nel termine di legge alcun atto di diniego, né convocato una conferenza di servizi, la società ricorrente ha acquisito il relativo titolo abilitativo, formatosi tacitamente una volta trascorsi quarantacinque giorni dalla presentazione dell’istanza.

Inoltre, ai sensi del comma 6 dell’art. 88 citato “il rilascio dell'autorizzazione comporta l'autorizzazione alla effettuazione degli scavi indicati nel progetto, nonché la concessione del suolo o sottosuolo pubblico necessario all'installazione delle infrastrutture”.

Ne consegue che è del tutto illegittima la condotta tenuta dall’amministrazione, la quale, contestando l’abusività del cantiere aperto dalla ricorrente e dalla ditta subappaltatrice, e di fatto inibendo la prosecuzione dei lavori, ha illegittimamente pretermesso (senza previa attivazione di un procedimento di secondo grado) la formazione per silenzio-assenso del titolo abilitativo, comprensivo, quest’ultimo, dell’autorizzazione all’apertura del cantiere stradale, e sostitutivo di ogni altra autorizzazione, in ragione della prevalenza della speciale disciplina dettata dal D.lgs. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche) su quella prevista dal Codice della Strada in materia di autorizzazione all’apertura di cantieri stradali”.

Conclusivamente, l’autorizzazione richiesta da Infratel Italia si è perfezionata per effetto del trascorrere del tempo, in mancanza di un provvedimento di diniego tempestivamente espresso”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 353 del 2014

Quali sono le responsabilità dell’autore materiale dell’inquinamento e quelle del c.d. proprietario incolpevole?

27 Mar 2014
27 Marzo 2014

Il T.A.R. veneto, sez. III, nella sentenza del 20 marzo 2014 n. 373, con riferimento alla normativa precedente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 152/2006 (c.d Codice Ambinte), ovvero al D. Lgs. n. 22/1997 (c.d. decreto "Ronchi") ed al D.M. n. 471/1999, afferma che, per individuare la normativa applicabile ai reati di inquinamento ambientale, occorre porre attenzione alle conseguente attuali della condotta colposa/dolosa e non al momento esatto in cui è stato realizzato il comportamento illecito: “Il Collegio, pur dovendo dare atto che nel senso propugnato dai ricorrenti si è recentemente espressa la Cassazione (cfr. Sez. I civile 21 ottobre 2011, n. 21887), ritiene preferibile l’opposta tesi – per esempio recentemente affermata dal TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 19.7.2011, n. 1081 e costituente giurisprudenza consolidata del G.A. - secondo cui la normativa in materia di bonifiche di cui all'art. 17 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 è applicabile a qualunque situazione di inquinamento ancora in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica (cfr. Cons. St., Sez. VI, 9.10.2007, n. 5283, T.A.R. Parma, 28.6.2011, n. 218; T.A.R. Toscana; Sez. II 1.4.2011, n. 573). A tale conclusione si deve pervenire, ove si ponga mente al fatto che l’inquinamento dà luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura finché non vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro i limiti normativamente accettabili (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5.12.2008, n. 6055)”.

Da ciò pare potersi affermare che le normative in materia ambientale derogano ai principi di legalità e di irretroattività delle leggi atteso il superiore interesse pubblico che esse tutelano.

Per quanto concerne le responsabilità dell’autore dell’inquinamento e quelle del c.d proprietario incolpevole del sito il Collegio, sempre con riferimento alla normativa ante Codice Ambiente, afferma che: “Con riguardo, poi, all’asserzione, fatta dai ricorrenti, che nel 1975 il riempimento della cava costituisse attività lecita, in quanto la prima disciplina in tema di discariche è stata dettata dal D.P.R. n. 915 del 1982, va richiamato il principio secondo cui l’obbligo di messa in sicurezza e di successiva bonifica è la semplice conseguenza oggettiva dell’aver cagionato l’inquinamento. Il complesso delle norme in tema di bonifica non sono altro che l’applicazione alla materia in esame (si potrebbe dire, la procedimentalizzazione nella materia in esame) della norma generale dell’art. 2043 c.c. (il cui disposto esiste da quando esiste il diritto), secondo cui ogni soggetto è tenuto a reintegrare il danno che abbia cagionato con il proprio comportamento. Norma generale che, d’altronde, è a sua volta espressione del principio, ancor più generale, di responsabilità, in base al quale ciascuno risponde delle proprie azioni e omissioni (il c.d. principio comunitario del chi inquina paga ne costituisce ulteriore specificazione in materia ambientale).

In punto di diritto è necessario ripercorrere il sistema normativo delineato dal D.Lgs. n. 22/1997, alla stregua della condivisibile ricostruzione fattane del Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI , 15.7.2010 n. 4561):

<<Il d.lgs. n. 22/1997, applicabile ratione temporis, alle ordinanze impugnate …prevede che accanto alle responsabilità dell'inquinatore si collocano, ad ulteriore garanzia dell'esecuzione degli interventi previsti, quelle del proprietario del sito inquinato.

La responsabilità dell'inquinatore e quella del proprietario si fondano su presupposti giuridici diversi ed hanno differente natura.

La responsabilità dell'autore dell'inquinamento, ai sensi dell'art. 17, comma 2, del D.Lgs. 22/1997, costituisce una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree inquinate. La natura oggettiva della responsabilità in questione è desumibile dal fatto che l'obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all'art. 17, comma 2, del D.Lgs. 22/1997, in connessione con una condotta "anche accidentale", ossia a prescindere dall'esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all'autore dell'inquinamento.

Ai fini della responsabilità in questione è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l'azione (o l'omissione) dell'autore dell'inquinamento ed il superamento - o pericolo concreto ed attuale di superamento - dei limiti di contaminazione, in coerenza col principio comunitario "chi inquina paga", principio che risulta espressamente richiamato dall'art. 15 della direttiva n. 91/156, di cui il D.Lgs. del 1997 costituisce recepimento.

Sensibilmente diversa si presenta invece la posizione del proprietario del sito, per la responsabilità del quale occorre fare riferimento al comma 10 dell'art. 17, che dispone che gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate; il comma 11 del medesimo articolo dispone poi altresì che le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile.

Ne consegue che chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all'onere reale, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza. Quella posta in capo al proprietario dall'art. 17, commi 10 e 11, è pertanto una responsabilità "da posizione", non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l'apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione.

È quindi evidente che il proprietario del suolo - che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all'inquinamento - non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell'inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell'esistenza dell'onere reale sul sito.

Il responsabile diretto e principale della bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale è invece individuato, sia dall'art. 17, commi 2 e 3, del D.Lgs. 22/1997, che dagli artt. 7 e 8 del D.M. 471/1999, esclusivamente in colui che abbia cagionato l'inquinamento.

Ciò è stato reso ancora più evidente dall'art. 8 dal citato D.M., il quale individua, in conformità all'art. 17, comma 3, nel responsabile dell'inquinamento il destinatario dell'ordinanza comunale di diffida ad adottare gli interventi necessari in relazione allo stato di contaminazione dei suoli, prevedendo invece che la stessa ordinanza debba essere "comunque notificata anche al proprietario del sito" ma solo "ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22", e cioè in relazione all'esistenza dell'onere reale sulle aree inquinate, che deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica, ed al privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime.

Il proprietario del sito a cui non sia imputabile, neppure in parte, la contaminazione dello stesso, non è pertanto tenuto né ad attivare di propria iniziativa il procedimento previsto dall'art. 17 comma 2, né ad ottemperare all'ordinanza comunale che imponga la bonifica del sito notificatagli, come si è detto, solo in ragione dell'esistenza dell'onere reale (C.d.S. n.4525/2005)>>.

Ancora, è stato posto in luce dal Supremo Consesso Amministrativo (cfr. Sez. V, 16.6.2009 n. 3885) che : << Il complesso di questa disciplina è rispondente ai dettami del diritto comunitario ed, in particolare, al principio “chi inquina paga” che va - come è tradizione nella giurisprudenza comunitaria – interpretato in senso sostanzialistico, in modo da non pregiudicare l’efficacia del diritto comunitario (per un richiamo all’effettività come criterio guida nell’interpretazione del diritto comunitario ambientale cfr. Corte di giustizia Ce 15 giugno 2000 in causa Arco).

Il principio “chi inquina paga” consiste, in definitiva, nell’imputazione dei costi ambientali (c.d. esternalità ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell’impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita data dall’attività di trasformazione industriale dell’ambiente che non supera gli standards legali).

Ciò, sia in una logica risarcitoria ex post factum, che in una logica preventiva dei fatti dannosi, poiché il principio esprime anche il tentativo di internalizzare detti costi sociali e di incentivare – per effetto del calcolo dei rischi di impresa - la loro generalizzata incorporazione nei prezzi delle merci, e, quindi, nelle dinamiche di mercato dei costi di alterazione dell’ambiente (con conseguente minor prezzo delle merci prodotte senza incorrere nei predetti costi sociali attribuibili alle imprese e conseguente indiretta incentivazione per le imprese a non danneggiare l’ambiente).

Esso trova molteplici significative applicazioni nel campo della disciplina dei rifiuti e del danno ambientale.

Con specifico riguardo alla contaminazione dei siti, pare rilevante quanto stabilito dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, “sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale”. Anche tale direttiva è conformata dal principio “chi inquina paga” che emerge dal diciottesimo considerando della direttiva: “ secondo il principio “chi inquina paga, l’operatore che provoca un danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale danno, dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l’autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell’operatore. E’ inoltre opportuno che gli operatori sostengano in via definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.”

La direttiva non si applica al danno di carattere diffuso – ma tale non è il caso di specie - se non in presenza di un nesso causale tra il danno e l’attività di singoli operatori.

Va quindi precisato, alla luce di tale esigenza di effettività della protezione dell’ambiente, che, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l’imputabilità dell’inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, e che la prova può essere data in via diretta od indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ, (le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato), prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’ “id quod plerumque accidit” che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori.>>”.

TAR Veneto n. 373 del 2014

dott. Matteo Acquasaliente

La circolazione stradale può essere limitata per “tutelare la quiete dei cittadini residenti”

26 Mar 2014
26 Marzo 2014

Lo dice il TAR Veneto nella sentenza n. 282 del 2014.

Si legge: "2. E’ infondato il primo motivo, mediante il quale si sostiene la violazione degli artt. 6 e 7 del D.L. 34/92 n. 285, nella parte in cui prevede la necessità che i provvedimenti di limitazione alla circolazione siano motivati sulla base di argomentazioni, tassativamente individuate dalle disposizioni sopra citate.

2.1 Per la ricorrente la motivazione del provvedimento impugnato, in quanto riferita alla necessità di tutelare la “quiete dei cittadini residenti” non rientrerebbe nelle ipotesi e nelle fattispecie di cui agli articoli in questione.

2.2 Contrariamente a quanto argomentato deve ritenersi rispettato l’onere motivazionale a carico dell’Amministrazione comunale e, più in generale, le prescrizioni contenute negli art. 6 e 7 del D. L. n. 285/1992.

2.3 Sul punto va rilevato come il riferimento alla “quiete dei cittadini residenti” integra una nozione suscettibile di confluire nella tutela della salute e dell’ordine pubblico, principi questi ultimi in considerazione dei quali risultano ammissibili i provvedimenti limitativi della circolazione stradale nei centri abitati sulla base delle disposizioni sopra citate.

2.4 Va, altresì, rilevato che la Corte Costituzionale, nel ribadire la necessità di ottemperare al disposto di cui all’art. 16 della Costituzione, ha avuto modo di precisare che, i principi relativi alla libertà di circolazione e alla libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione, non precludono al Legislatore la possibilità di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscano sul movimento  della popolazione (si veda Corte Costituzionale n. 264/1996 e n. 12 del 1965 e sent. n. 64 del 1963).

2.5 In particolare si è sancito che l'uso delle strade, specie per quanto riguarda i mezzi di trasporto, “può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengono al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare ed alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere”.

2.6 Si è, altresì, precisato che “la tipologia dei limiti deve essere articolata tenendo conto dei vari elementi in gioco: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'uso indiscriminato del mezzo privato”.

3. Si consideri, ancora, che la disciplina vigente al momento di emanazione del provvedimento di cui si tratta aveva già rilevato come la limitazione del rumore nelle ore notturne costituisse un elemento idoneo per circoscrivere, a sua volta, l’inquinamento acustico nei centri abitati (si veda per esempio l’art. 2 comma 1 lett.a) della L.n. 447/1995).

4. Nel caso di specie l’Amministrazione comunale, lungi dall’inibire in assoluto detto diritto di circolazione, si era limitata ad adottare un provvedimento di limitazione parziale della circolazione (dalle ore 20.00 alle 06.00), peraltro circoscritto non alla totalità degli automezzi, ma solo a quelli la cui massa fosse superiore a 35 q.

5. Detto provvedimento era stato adottato sulla base di una nota della USLL del 29/08/1997 che aveva analizzato l’esistenza di una situazione di “disturbo” correlata al traffico di mezzi pesanti, in partenza e in arrivo dai depositi della ricorrente, sulla base di un’articolata analisi dello  stato del manto stradale e del traffico esistente in varie ore della giornata.

6. Ne consegue che il provvedimento adottato, lungi da incidere in senso assoluto sulla libertà di circolazione di cui all’art. 16 e 41 della
Costituzione, risultava introdurre una limitazione proporzionale, contemperando detto principio con la necessità di garantire un
altrettanto determinante diritto alla tutela della salute e al benessere degli abitanti del luogo.

7. Sussiste pertanto, un corretto rapporto tra il mezzo adoperato e l’obiettivo perseguito, così come risultano esistenti gli ulteriori
presupposti della “necessarietà” della limitazione sancita con il provvedimento impugnato e, ancora, l’ulteriore circostanza della sua
“adeguatezza” e, ciò, in ottemperanza a quei principi giurisprudenziali già citati anche da parte ricorrente (consiglio di Stato n. 485/1991 e TAR Lombardia Brescia n.10/2011). 

8. Si consideri, in ultimo, come l’adozione delle delibere in materia di circolazione stradale costituisce espressione di un potere di
discrezionalità tecnica insindacabile da parte di questo Tribunale, al di la delle ipotesi di eccesso di potere peraltro insussistenti nel caso di specie ( T.A.R. Salerno, Campania, sez. II del 05/05/2011 n. 876).

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 282 del 2014

Gli interessi sull’indennità di esproprio liquidati dalla Corte d’Appello decorrono dal decreto di esproprio

26 Mar 2014
26 Marzo 2014

Lo precisa la sentenza del Consiglio di Stato n. 1026 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "Il TAR, accertato il passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello, ha ordinato al Comune di Loreto di “depositare presso la Cassa depositi e prestiti la differenza fra l’indennità di esproprio determinata giudizialmente nella misura di €. 714,853,06 e l’importo già versato di €. 53.197,00, oltre interessi al saggio legale sulla predetta differenza a decorrere dal decreto di esproprio”...  In questa sede il contenzioso, sollevato dal Comune di Loreto a mezzo del gravame, afferisce soprattutto alla decorrenza degli interessi, non avendo – ad avviso del Comune – la Corte di appello chiaramente statuito che essi avrebbero dovuto decorrere dalla data del decreto di esproprio, anziché dalla data della sentenza...  Venendo al merito della questione, il giudicato da ottemperare conteneva la condanna dell’amministrazione al pagamento della maggior  somma oltre degli interessi al tasso legale. Nella decisione è altresì contenuto il riferimento a Cass. 8873/1993. E’ evidente che il riferimento agli interessi attenesse non al tempo successivo alla condanna - essendo l’obbligazione pecuniaria degli interessi di pieno diritto prevista direttamente dall’art. 1283 per i crediti liquidi ed esigibili (quali sono quelli per l’appunto liquidati con sentenza), ma al tempo passato, ed in particolare al periodo in cui le somme avrebbero dovuto essere concretamente erogate nella loro “giusta” entità, ossia la data del decreto di esproprio (che segna anche il passaggio della proprietà). Le ragioni del riconoscimento degli interessi sono del resto spiegate dalla pronuncia della Cassazione, cui fa puntualmente riferimento la Corte di Appello, ed essenzialmente individuabili nella necessità di compensare l’espropriato della perdita dei benefici legati al trattenimento della somma da parte dell’amministrazione, a prescindere da valutazioni in termini di colpa. Il TAR ha dunque correttamente deciso. L’appello è pertanto respinto".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 1026 del 2014

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