La collocazione nel territorio pianificato delle opere di urbanizzazione secondaria necessita di una specifica destinazione dell’area su cui esse devono sorgere

08 Ott 2013
8 Ottobre 2013

Lo precisa il Consiglio di Stato nella sentenza n. 4445 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "...4.2. Come detto innanzi, Agorà ha dedotto nel primo grado di giudizio e puntualmente reiterato anche innanzi a questo giudice d’appello la censura dell’assenza, nell’ambito della vigente strumentazione urbanistica primaria del Comune di Roccabascerana, di un vincolo preordinato all’esproprio idoneo alla realizzazione dell’opera in questione e incidente sul proprio fondo, posto che le particelle catastali apprese al fine della realizzazione dell’edificio scolastico risultano incluse in zona “CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”.

Tale censura è fondata.

A tale riguardo nella sentenza impugnata si legge – come rilevato innanzi – che “la certificazione versata in atti, precisa all’art. 19 delle N.T.A. che la summenzionata zona CP1 riguarda aree di espansione residenziale pubblica, già destinata a tale scopo dal Piano per l’edilizia Economica e Popolare vigente e Nuovo Piano di Zona redatto ai sensi e per gli effetti della L. 14 maggio 1981 n.219 e del D.L.vo 30 marzo 1990 n. 76, escludendo, dunque, l’uso promiscuo pubblico-privato, per cui su tali aree esiste un vincolo preordinato all’espropriazione imposto dal vigente P.R.G. definitivamente approvato con decreto del Presidente della Provincia di Avellino n. 6/04 bis del 10 marzo 2006, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 18 del 18 aprile 2006. Né l’opera si pone in variante allo strumento urbanistico, attesa la sua destinazione ad attrezzature e servizi, per cui la pretesa violazione della procedura di variante semplificata, ex art. 19 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, risulta malamente invocata”.

Le affermazioni del giudice di primo grado travisano la situazione di fatto e risultano infondate per quanto attiene alla configurazione giuridica della situazione medesima.

Le particelle catastali di proprietà di Agorà assoggettate nella specie ad espropriazione (nn. 1008, 1009 e 672 del Foglio 13) sono indubitabilmente incluse dal vigente P.R.G. del Comune di Roccabascerana in zona “CP1 di espansione residenziale pubblica già programmata”, destinata alla realizzazione di edilizia residenziale, sia pure esclusivamente ad iniziativa pubblica.

L’opera pubblica realizzata dal Comune è – viceversa – un edificio scolastico, la cui collocazione non è prevista in tale zona.

Dalla lettura della sentenza di primo grado parrebbe di intendere che la destinazione dell’area ad edilizia residenziale pubblica potrebbe nella specie consentire l’utilizzazione del relativo vincolo di esproprio anche per realizzare una scuola, verosimilmente in quanto “attrezzatura” o “servizio” riconducibile all’urbanizzazione secondaria, trattandosi di servizio sociale a supporto di un insediamento abitativo.

In effetti, l’art. 4, secondo comma, lett. a) e b) della L. 29 settembre 1964 n. 847, come introdotto dall’art. 44 della L. 22 ottobre 1971 n. 865 e in parte sostituito dall’art. 17 della L. 11 marzo 1988 n. 67, menziona tra le opere di urbanizzazione secondaria gli “asili nido e scuole materne”, nonché le “scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo”.

Ma, se le opere di urbanizzazione primaria (cfr. l’anzidetto art. 4, primo comma: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione e spazi di verde attrezzato) sono ovunque realizzabili proprio in quanto essenziali per le fondamentali esigenze della collettività, la collocazione nel territorio pianificato delle opere di urbanizzazione secondaria necessita di una specifica destinazione dell’area su cui esse devono sorgere, ed a tal fine per ampia parte dell’elencazione contenuta nel secondo comma dell’art. 4 della L. 847 del 1964 si impone, quindi, la previa destinazione dell’area del relativo insediamento a zona F ( “parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”: cfr. art. 2 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444).

Ciò non è avvenuto per il caso di specie; e – come rettamente dedotto da Agorà – risulta conseguentemente omesso l’apposito procedimento di cui all’art. 9, comma 5, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il quale – per l’appunto – nel testo modificato per effetto del D.L.vo 27 dicembre 2002 n. 302, dispone che “nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all’esproprio, il Consiglio comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la Regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del Consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia”.

L’accoglimento di tale censura risulta assorbente e determina la caducazione dell’intero procedimento ablatorio, impedendo in particolare che all’approvazione del progetto dell’opera disposto con la deliberazione consiliare n. 16 dd. 12 maggio 2009 possa riconoscersi anche il valore di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera medesima...".

sentenza CDS 4445 del 2013

Differenza tra restauro/risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia

08 Ott 2013
8 Ottobre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4863 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Orbene, la differenza tra restauro e risanamento conservativo, da un lato, e ristrutturazione edilizia dall'altro, risiede essenzialmente nella  conservazione formale e funzionale dell'organismo edilizio che connota il primo rispetto alla seconda. Ne consegue che è consentita, negli interventi di restauro e risanamento conservativo, la sostituzione di parti anche strutturali e in generale di elementi costitutivi degli edifici (strutture portanti, pareti perimetrali: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, novembre 2012, n. 5818, vedi anche Sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4694), e quindi anche un rinnovo sistematico e globale purché nel rispetto degli elementi essenziali tipologici, formali e strutturali (Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2981). Orbene, nel caso di specie deve recisamente escludersi che i profili segnalati dall'appellante, già ricorrente in primo grado, connotino l'intervento quale ristrutturazione edilizia, e ciò sia con riferimento lavori relativi al "....camino situato all'interno dell'edificio..." (pag. 3 dell'appello), sia con riguardo alla realizzazione a piano terra, già destinato a negozi, di "locali passanti" ed anche delle opere ai due piani superiori intese alla realizzazione di destinazioni d'uso abitative compatibili (pag. 15-16 dell'appello), peraltro volte a ripristinare quelle originarie  (l'appellante stessa rileva a pag. 14 dell'appello che ai piani superiori vi erano alloggi poi trasformati in depositi a servizio dei negozi sottostanti). Ne consegue che l'intervento assentito con la concessione edilizia n. 165/95 del 13 dicembre 1995 non contrasta con l'invocata normativa tecnica attuativa, che comunque non può modificare la individuazione tipologica di cui all'art. 31 comma 1 lettere c) e d) della legge n. 457/1978".

sentenza CDS 4863 del 2013

Il c.d. sotterramento delle opere abusive non equivale alla loro demolizione

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, con la sentenza del 18 settembre 2013 n. 4345, chiarisce che il ripristino dello stato dei luoghi, conseguente all’ordine di demolizione di un’opera abusiva, non può essere realizzato con il c.d. “sotterramento” dell’abuso: “Come accertato dalla CTU, l’abuso non è stato demolito ma semplicemente “riempito” di terreno, approfittando della circostanza che si tratta di un volume interrato. Orbene, non può assolutamente condividersi la tesi di parte ricorrente, secondo cui il riempimento del volume con terreno sarebbe equivalente alla rimozione dell’abuso, perché renderebbe il volume inutilizzabile.

Ciò, in primo luogo, perché il d.P.R. n. 380/2001 prevede la sanzione della “rimozione”, o della “demolizione”, o del “ripristino dello stato dei luoghi” (art. 31). Sono termini che intendono, con tutta evidenza, l’eliminazione dell’opera abusiva, ed esigono che lo stato dei luoghi debba tornare com’era prima della realizzazione dell’abuso. Il riempimento con terreno di un volume interrato non può essere equiparato ad una “rimozione”, e men che meno ad una demolizione o ad un ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, occorre considerare che il riempimento del volume con terreno non determina affatto l’inutilizzabilità definitiva dell’opera: i ricorrenti ben potrebbero, in futuro, rimuovere il terreno e recuperare la possibilità di utilizzo del volume; ed è per questo che occorre la demolizione vera e propria dell’abuso.

Sul punto, occorre anche disporre la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, per le determinazioni di competenza. Infatti, il verificatore, nella relazione depositata in data 04.07.2012, ha affermato che “il villino risulta rimosso e lo stato dei luoghi ripristinato”, affermazione che, come successivamente accertato, non risponde a verità”.

 Nella medesima sentenza si evidenzia, altresì, che occorre il Permesso di Costruire laddove la recinzione determini una trasformazione radicale dello stato dei luoghi: “Anche per quanto concerne l’istallazione dell’inferriata, la censura secondo cui tale intervento non necessita del permesso di costruire non può essere accolta. Infatti, per costante giurisprudenza di questo Tribunale, è richiesto il permesso di costruire quando la recinzione determina un’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, come nel caso di recinzione costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo (Tar Campania, Napoli, sez. VII, n. 4261/2012). Nel caso di specie, come si evince dal provvedimento impugnato, è stata istallata un’inferriata su m.l. 30 su un muro, sicché anche tale intervento era subordinato al previo rilascio del permesso di costruire”.

Infine, per quando concerne la decadenza dell’ordine di demolizione in seguito alla presentazione dell’istanza di sanatoria, i Giudici affermano che: “Il ricorso non può essere accolto neanche per quanto concerne l’ordine di demolizione degli abusi per i quali erano state presentate le due istanze di condono. Infatti, è ben vero che, per costante giurisprudenza, l’ordinanza di demolizione è illegittima se adottata dopo la presentazione della domanda di condono atteso che l'Amministrazione comunale, prima di ordinare la demolizione delle opere eseguite, avrebbe dovuto esaminare detta domanda. Tale orientamento, tuttavia, non si applica nei casi in cui manchino, in modo evidente, i presupposti per l’ammissibilità della domanda medesima. Infatti l’obbligo di riesaminare l’abusività delle opere provocato dalla domanda di condono ha senso solo in presenza di un intervento astrattamente sanabile, ossia quando per effetto della formazione di un nuovo provvedimento esplicito (di accoglimento o di diniego), da qualificare come atto non meramente confermativo, risulterebbe definitivamente vanificata l’operatività dell’impugnato provvedimento demolitorio (T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 03 maggio 2005, n. 745)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Napoli n. 4345 del 2013

E’ inderogabile il divieto di costruzione a meno di 10 metri dai corsi d’acqua ex art. 96 comma 1, lettera f) del R.D. 523/1904

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Il Tar Lombardia - Brescia, sez. II, con la sentenza n. 814 del 2 ottobre 2013 ha ribadito il carattere inderogabile del divieto di costruzione a meno di 10 metri dai corsi d’acqua ex art. 96 comma 1, lettera f) del R.D. 523/1904 (Testo unico sulle opere idrauliche). Il TAR afferma che il divieto opera anche in relazione alle domande di sanatoria, con la conseguenza che la prassi dell’Autorità deputata alla tutela del vincolo idraulico (Genio Civile) di rilasciare permessi in sanatoria non appare suffragata né dalla legge né dalla giurisprudenza. Ciononostante si deve dare atto che il rilascio di “autorizzazioni idrauliche in sanatoria” risolverebbe non pochi problemi pratici; non è, infatti, infrequente che, in occasione di un intervento di ristrutturazione, il proprietario scopra che il suo edificio è sorto (magari in epoca remota, ma comunque successiva al 1904) all’interno della fascia  di rispetto dei 10 metri dal corso d’acqua e non sappia più quale santo invocare.

La norma suddetta risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l'inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (T.A.R. Toscana, sez. III – 8/3/2012 n. 439). In assenza di elementi a suffragio dell’applicazione della deroga contenuta nella lett. F del citato art. 96, ne consegue tra l’altro che nessuna opera realizzata in violazione della norma de qua può essere sanata e altresì – come affermato nella già citata sentenza di questo T.A.R. n. 1231/2011, "che è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all'interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso che, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto, trova applicazione l'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree (da ultimo: TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981)".”

avv. Marta Bassanese

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Atto di segnalazione AVCP n. 4, del 25 settembre 2013 “Redazione degli atti di pianificazione e riconoscimento dell’incentivo ex art. 92, comma 6, del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163”

07 Ott 2013
7 Ottobre 2013

Pubblichiamo l'atto di segnalazione della AVCP n. 4, del 25 settembre 2013, riguardante “Redazione degli atti di pianificazione e riconoscimento dell’incentivo ex art. 92, comma 6, del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163”.

Nelle premesse di tale atto si legge che: "L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nell’esercizio del potere di segnalazione al Governo ed al Parlamento di cui all’art. 6, comma 7, lett. f), del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (di seguito Codice), intende formulare alcune osservazioni in relazione alla disciplina recata dall’art. 92 dello stesso decreto legislativo, rubricato “Corrispettivi, incentivi per la progettazione e fondi a disposizione delle stazioni appaltanti”. Tale disposizione statuisce, al comma 6, che “Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto”.  In merito alla norma sopra riportata questa Autorità e la Corte dei conti hanno reso pronunce non pienamente conformi (come si illustrerà di seguito) in ordine alla tipologia di atti di pianificazione in relazione ai quali l’amministrazione interessata può riconoscere i compensi incentivanti, ivi previsti, al personale interno che li ha redatti.  Pertanto sono pervenute numerose richieste di chiarimenti in materia da parte degli operatori del settore (incluse associazioni di categoria), con particolare riferimento alla pianificazione urbanistica. Stante il tenore letterale della norma, che non consente la chiara individuazione degli atti di pianificazione in relazione ai quali è possibile corrispondere l’incentivo de quo al personale incaricato della redazione degli stessi, ed al fine di dirimere il contrasto interpretativo in materia, si pone dunque l’esigenza di un intervento di modifica o di integrazione dell’art. 92, comma 6, del Codice nel senso di seguito indicato".

Segnalazione AVCP n. 4 del 2013

Martedì 8 ottobre udienza pubblica in Corte Costituzionale sull’impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri della L.R. 50/2012 sul commercio

04 Ott 2013
4 Ottobre 2013

  Reg. ric. n. 36 del 2013 n° parte 1 pubbl. su G.U. del 10/04/2013 n. 15

per Regione Veneto:

Bruno BAREL

Ezio ZANON

Daniela PALUMBO

Andrea MANZI

 Ricorrente

Presidente del Consiglio dei Ministri

Resistenti

Regione Veneto

Oggetto:
Commercio - Norme della Regione Veneto - Esercizi di vicinato - Apertura, modificazioni di superficie, mutamento di settore merceologico, trasferimento di sede e subingresso - Assoggettamento a SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) da presentarsi allo sportello unico per le attività produttive (SUAP) - Ricorso del Governo - Denunciato esonero dalla verifica di assoggettabilità a VAS (valutazione ambientale strategica) per le varianti conseguenti a procedura di SUAP afferenti a strutture di vendita - Contrasto con le norme statali - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 17.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s).

Commercio - Norme della Regione Veneto - Medie strutture di vendita - Apertura, modificazioni di superficie, mutamento di settore merceologico, trasferimento di sede, subingresso - Assoggettamento ad autorizzazione rilasciata dallo sportello unico per le attività produttive (SUAP) ovvero, a seconda del tipo di attività e della superficie di vendita superiore o meno a 1.500 mq, a SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) da presentarsi al SUAP - Ricorso del Governo - Denunciato esonero dalla verifica di assoggettabilità a VAS (valutazione ambientale strategica) per le varianti conseguenti a procedura di SUAP afferenti a strutture di vendita - Contrasto con le norme statali - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 18.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s).

Commercio - Norme della Regione Veneto - Grandi strutture di vendita - Apertura, modificazioni di superficie, mutamento di settore merceologico, trasferimento di sede, subingresso - Assoggettamento ad autorizzazione rilasciata dallo sportello unico per le attività produttive (SUAP) ovvero, nei casi di riduzione di superficie, mutamento del settore merceologico, modifica della ripartizione e subingresso, a SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) da presentarsi al SUAP - Ricorso del Governo - Denunciato esonero dalla verifica di assoggettabilità a VAS (valutazione ambientale strategica) per le varianti conseguenti a procedura di SUAP afferenti a strutture di vendita - Contrasto con le norme statali - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 19.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s).

Commercio - Norme della Regione Veneto - Grandi strutture di vendita - Requisiti urbanistici e ambientali - Prevista applicazione della normativa sulla VIA (valutazione di impatto ambientale) limitatamente alle grandi strutture aventi superficie di vendita compresa tra 2.501 e 8.000 mq ovvero superiori a 8.000 mq, rispettivamente assoggettate alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, o screeening, ed alla procedura di VIA propriamente detta - Indiscriminata esenzione dalla verifica di assoggettabilità a VIA per tutte le strutture con superfici di vendita da 150 a 2.500 mq nei comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti e da 250 a 2.500 mq nei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti - Ricorso del Governo - Denunciata illegittima restrizione del campo di applicazione della VIA - Contrasto con le norme statali - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 22.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s).

Commercio - Norme della Regione Veneto - Strutture di vendita a rilevanza regionale - Assoggettamento dei relativi interventi edilizi ad un accordo di programma ai sensi dell'art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, anche in variante ai piani territoriali - Ricorso del Governo - Denunciata possibilità che l'accordo di programma determini deroghe ulteriori rispetto alle varianti agli strumenti urbanistici contemplate dal predetto art. 34 - Contrasto con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio - Violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio.
- Legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, art. 26.
- Costituzione, art. 117, comma secondo, lett. s); d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 135 e 143.

Norme impugnate

Num. Art. Co. Nesso  
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 17   
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 18   
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 19   
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 22   
legge della Regione Veneto 28/12/2012 50 26   

Parametri costituzionali

Num. Art. Co. Nesso  
Costituzione 117  (collegamento a Normattiva)

Udienza Pubblica del 08/10/2013 rel. CARTABIA

ricorso Corte Costituzionale legge regionale veneta commercio

La prescrizione degli interessi moratori connessi agli oneri di urbanizzazione

04 Ott 2013
4 Ottobre 2013

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 05 settembre 2013 n. 4462, si occupa degli interessi moratori collegati agli oneri di urbanizzazione.

I Giudici di Palazzo Spada confermano la sentenza appellata del T.A.R. Campania, Salerno, n. 2599/2003, ove si era affermato che: “il termine di prescrizione per gli oneri di urbanizzazione è di dieci anni ed “inizia il suo corso soltanto nel momento in cui è previsto l’adempimento della relativa obbligazione e quindi . . . dalla data di rilascio del provvedimento concessorio”, mentre per il costo di costruzione decorre dallo scadere di sessanta giorni dalla data di ultimazione delle opere”, e che: “gli interessi dovuti, da qualificarsi moratori “perché fissati convenzionalmente per l’ipotesi di ritardo nell’adempimento dell’obbligazione”, sono “maturati via via, di giorno in giorno, fino a che non è intervenuta la prescrizione del credito” e anche per essi il termine di prescrizione è decennale, non potendosi applicare il termine quinquennale poiché “essendo il credito principale unico e da estinguersi in un’unica soluzione, anche gli interessi moratori . . . per la loro natura di credito accessorio e in difetto di una pattuizione che ne prevedesse una corresponsione periodica, sono risultati soggetti al medesimo regime del credito cui afferivano”:

- infine “l’obbligazione di interessi è si collegata con vincolo di accessorietà all’obbligazione principale, ma solo nel momento genetico, cosicché una volta sorta le sue vicende risultano indipendenti da quelle dell’obbligazione principale”.

La sentenza in esame approfondisce tali considerazioni asserendo che: “Il Collegio rileva che gli interessi moratori, quali sono quelli oggetto di pattuizione intervenuta tra le parti, non costituiscono esclusivamente “frutto civile” (ex art. 820, comma terzo, c.c.), quali gli interessi su capitali, dovuti per effetto del godimento che altri abbia del denaro, ovvero sono l’effetto di una “produzione di pieno diritto” afferente a crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro (ex art. 1282 c.c.).

La funzione degli interessi moratori convenzionalmente pattuiti è (anche) quella di determinazione convenzionale dell’entità del risarcimento del danno derivante da ritardo nell’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore (art. 1224, comma secondo). Tale determinazione ha carattere esaustivo, senza che il creditore possa richiedere – anche mediante prova di un danno di entità patrimoniale maggiore – ulteriori somme a titolo di risarcimento del danno per la predetta causale.

In definitiva, per effetto della pattuizione degli interessi moratori, al verificarsi dell’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria, e fintanto che questo perdura, il creditore “originario” diviene altresì titolare di un ulteriore diritto di credito (alla percezione degli interessi moratori), derivante dall’inadempimento; ed il termine di prescrizione di tale diritto non può che decorrere dal momento del prodursi di tale “fatto”, e fintanto che questo non viene a cessare con l’adempimento dell’obbligazione principale.

In altre parole, l’obbligazione principale costituisce il “presupposto” dell’obbligazione accessoria costituita dal pagamento degli interessi moratori, ma – occorre precisare - tale “accessorietà” attiene al necessario collegamento con detta obbligazione, sia in quanto l’esistenza di questa è il presupposto dell’obbligazione degli interessi; sia in quanto il quantum della prima costituisce il parametro di calcolo della misura (in percentuale) degli stessi interessi moratori.

In questo senso deve essere intesa (e dunque condivisa) l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale il vincolo di accessorietà all’obbligazione principale sussiste solo “nel momento genetico”.

Si intende cioè affermare che tale “momento genetico” non deve essere inteso come quello di insorgenza (e dunque di conseguente “indissolubilità”) di entrambe le obbligazioni, posto che la prima nasce da propria fonte, che può essere il contratto, ovvero, come nel caso di specie, l’esercizio di potestà pubbliche, mentre la seconda, pur trovando nella medesima fonte della prima la propria previsione, nasce dall’inadempimento di quella.

Tale “momento genetico” deve essere invece inteso come momento di collegamento strutturale tra le due obbligazioni, trovando la seconda nella prima obbligazione la propria “ragion d’essere” e il presupposto della determinazione della propria misura.

Ciò chiarito e posto che la fonte ed il momento di insorgenza dell’obbligazione accessoria diverge da quello dell’obbligazione principale, non può che essere condiviso quanto affermato dal I giudice in ordine al fatto che “una volta sorta le sue vicende risultano indipendenti da quelle dell’obbligazione principale”, di modo che il regime di prescrizione (e la decorrenza del relativo termine) sono del tutto autonomi.

Ciò comporta che la intervenuta prescrizione del diritto di credito afferente all’obbligazione principale non comporta (né comunque rileva) ai fini della prescrizione dell’obbligazione accessoria.

Alle considerazioni sinora esposte, occorre ancora aggiungere che – contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante – non può trovare applicazione, con riferimento agli interessi moratori, il termine di prescrizione quinquennale.

Ed infatti, se gli interessi moratori costituiscono il risultato di una determinazione convenzionale del risarcimento del danno dovuto al creditore per le conseguenze derivanti dall’inadempimento, e dunque costituiscono l’oggetto di un (autonomo) diritto di credito, essi non possono rientrare nella eccezionale previsione dell’art. 2948 n. 4 c.c..

Ciò in quanto essi hanno natura affatto particolare e non costituiscono somma da pagarsi periodicamente, poiché la “periodicità” (ossia il riferimento temporale ad anno), rappresenta non già un termine di pagamento, quanto un momento di determinazione, convenzionalmente definito, della misura del risarcimento del danno derivante da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 4462 del 2013

 

La destinazione a verde agricolo non è un vincolo strumentale soggetto alla decadenza quinquennale

03 Ott 2013
3 Ottobre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n.  4472 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "4.1.- La Sezione osserva che il limite temporale del quinquennio, riguardante l'efficacia delle prescrizioni dei piani regolatori generali nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione o a vincoli che comportino l'inedificabilità, è valevole unicamente per i vincoli che producano un effetto sostanzialmente espropriativo, tale da annullare o ridurre notevolmente il valore degli immobili cui si riferiscono, e non nel caso di vincolo strumentale (Consiglio di Stato sez. IV 13 febbraio 2013 n. 907) I vincoli soggetti a detta decadenza sono solo quelli preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificazione, e che dunque svuotino il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio; tali quindi non sono le previsioni di un piano regolatore che destinano un'area a verde, trattandosi di vincoli conformativi della proprietà, in quanto inquadrabili nella zonizzazione dell'intero territorio comunale o di parte di esso, che incidono su una generalità di beni, in funzione della destinazione dell'intera zona in cui questi ricadono (Consiglio di Stato sez. IV 6 maggio 2013 n. 2432). Invero, la limitazione all'esercizio dello “ius aedificandi”, rinveniente dalla destinazione a verde, non configura, di per sé, l'imposizione di un vincolo sostanziale ed uno svuotamento incisivo del diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, tale da rendere il suolo inutilizzabile rispetto alla sua naturale vocazione ovvero da diminuirne significativamente il valore di scambio. Non inibisce cioè necessariamente in radice il godimento del bene da parte del proprietario, ma può circoscriverne soltanto le modalità esplicative, attuabili anche ad iniziativa del medesimo proprietario, purché in conformità alla predetta destinazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9372). In particolare deve ritenersi che fra tali vincoli non rientri la destinazione a verde agricolo, atteso che quest'ultima non si configura come una limitazione tale da rendere inutilizzabile l'immobile in relazione alla destinazione inerente alla sua natura, restando al proprietario la possibilità di trarne un utile mediante la coltivazione e, inoltre una possibilità, sia pure contenuta entro parametri prestabiliti, di limitata edificazione (Consiglio di Stato, sez. V, 7 agosto 1996 n. 881)".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 4472 del 2013

Per realizzare una canna fumaria nel muro comune non serve l’autorizzazione condominiale

03 Ott 2013
3 Ottobre 2013

Il T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, con la sentenza del 27 settembre 2013 n. 1985, afferma che le canne fumarie realizzate nel muro comune del condominio non necessitino dell’autorizzazione dell’assemblea condominiale.

 

Nello specifico si tratta di interventi che ogni condomino può realizzare da solo ex art. 1102 c.c. secondo cui: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.

 

A tal fine si legge che: “Il parametro valutativo dell'attività edilizia svolta dai privati consiste nell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre salvi i diritti dei terzi; perciò la legittimità di un'autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la regolazione dei rapporti tra parti private.

Conseguentemente non sussiste un obbligo generalizzato per l'Amministrazione di verificare che non sussistano limiti di natura civilistica per la realizzazione di un'opera edilizia; tuttavia, essa ha il potere-dovere di verificare in capo al richiedente un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, al fine di accertare il requisito della sua legittimazione.

Circa l'ampiezza dei poteri istruttori, a ciò finalizzati, è stato, peraltro, precisato che non si tratta di obbligare la P.A. a complessi e laboriosi accertamenti anche per non aggravare il procedimento. Ciò premesso, nella specie non si ravvisano limiti sostanziali a richiedere e conseguire il titolo edilizio, in quanto si tratta di intervento riconducibile all'art. 1102 c.c., il quale consente le modificazioni apportate dal singolo condomino, senza necessità del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tese a trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, ivi compresa l'installazione sul muro di elementi ad esso estranei posti al servizio esclusivo della singola unità immobiliare, purché non precluda agli altri condomini l'uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità (cfr., in relazione ad analoga fattispecie concernente l’installazione di canna fumaria, TAR Toscana, 29 aprile 2009, n. 724, nonché Id. 27 settembre 2012, n. 1569.

In sostanza, non può dubitarsi della riconducibilità all'ambito degli interventi contemplati dall'art. 1102 c.c. di tutte le modificazioni - apportabili dal singolo condomino, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione - che consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, ivi compresa l'installazione sul muro di elementi ad esso estranei posti al servizio esclusivo della singola unità immobiliare, purché non precluda agli altri condomini l'uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità (ferme restando, beninteso, le iniziative di tutela giurisdizionale esperibili dai condomini in sede civile)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Salerno n. 1985 del 2013

Nota sull’aumento dell’IVA al 22%

03 Ott 2013
3 Ottobre 2013

Dal 1° ottobre 2013 l'aliquota IVA del 21% sale al 22%.

Sull'applicazione dell'aumento pubblichiamo una nota per gentile concessione dell'autore  Società & Professionisti srl di Malo (VI).

Speciale Informativa_Aumento Iva al 22

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